Progettare sistemi incentivanti
By ONE4
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Progettare sistemi incentivanti - ONE4
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Introduzione
Era il 1885 quando Frederick Taylor, il padre dell’organizzazione scientifica del lavoro, presentò ad un convegno dell’associazione americana degli ingegneri meccanici una relazione intitolata Un sistema ad incentivo come passo verso una parziale soluzione dei problemi del lavoro
. Taylor, i cui metodi sarebbero poi stati alla base dei record di produttività della Ford con la nascita della catena di montaggio, partiva dall’idea che l’uomo ha comunque un’insofferenza nei confronti del lavoro, verso il quale nutre un’avversione innata.
Oggi molti concetti del cosiddetto Taylorismo
sono anacronistici e superati ma nelle politiche retributive di tutte le maggiori aziende del pianeta figurano stabilmente i premi di risultato, il cui peso è destinato in futuro ad essere sempre più rilevante. A ben vedere, rendere variabile una quota del trattamento economico risponde anche a criteri di giustizia. Chi merita è legittimo che guadagni di più.
Se giustamente si lamenta che le retribuzioni dei lavoratori italiani sono tra le più basse riconosciute nei paesi più sviluppati, non va dimenticato che il costo del lavoro incide fortemente sui bilanci delle imprese. La disponibilità ad elevare il livello dei compensi non può quindi che essere subordinata ad una contemporanea crescita delle prestazioni. Una ricompensa si giustifica con un adeguato corrispettivo.
Per progettare un efficace sistema incentivante le variabili da prendere in considerazione sono tuttavia molteplici e vi sono una serie di compatibilità che vanno tenute presenti. Le pagine che seguono hanno l’ambizione di costituire una piccola guida e di fornire le istruzioni essenziali per l’uso.
Capitolo 1 - Le funzioni strategiche della leva retributiva
Il knowledger worker
Come si fa a preparare un buon piatto? Ci si procura la ricetta e la si segue fedelmente. E come si fa a fissare un appuntamento con un potenziale cliente? Si prende il telefono e lo si chiama. In realtà sappiamo tutti che non è così scontato: in un caso e nell’altro non è affatto certa la riuscita. Fin dalla notte dei tempi c’è stato chi, quale che fosse la cosa da fare, sapeva cavarsela meglio degli altri. Già fra gli uomini di Neanderthal esistevano quelli che soltanto sul finire del secolo scorso sarebbero stati definiti i knowledge workers
, i lavoratori della conoscenza. Quelli che ad esempio sapevano come scheggiare una pietra per ricavare un’arma affilata o come avvicinarsi a una preda senza che questa fiutasse il pericolo.
Perfino nell’era paleolitica nelle comunità c’era chi si distingueva per la capacità di risolvere un problema, di portare avanti un’idea o un progetto, di contribuire fattivamente al raggiungimento di un risultato di gruppo o di influenzare i suoi simili. Capacità che oggi in termini moderni diremmo di problem solving, project management, teamworking e leadership. Nemmeno nella preistoria il lavoro è stato esclusivamente un semplice fatto di muscoli. Certo il loro peso lo hanno avuto anche le abilità tecniche: non era sufficiente disporre di una rudimentale lancia, occorreva anche saperla usare. Se l’umanità è progredita è accaduto in ogni caso perché i saperi
, acquisiti attraverso la conoscenza, sono stati trasmessi e diffusi mediante la comunicazione.
Chi è esattamente un knowledge worker
? Peter Drucker, considerato il padre del management (e secondo molte fonti colui che avrebbe coniato questa espressione), lo ha sbrigativamente ma efficacemente definito come uno che del proprio lavoro ne sa più di chiunque altro
. In un’azienda le figure di questo tipo sono collaboratori particolarmente preziosi. Non