La scoperta di nuovi sensi: Il tattilismo futurista
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Filippo Tommaso Marinetti
F. T. Marinetti was born in Egypt in 1876 and died in Italy in 1944.
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Book preview
La scoperta di nuovi sensi - Filippo Tommaso Marinetti
LA SCOPERTA
DI NUOVI SENSI
© 2015 Cue Press
via Aspromonte 16a, 40026 Imola, Italia, cuepress.com
ISBN 978-88-98442-63-8
Direzione
Mattia Visani
Copertina
Sei personaggi in cerca d'autore
Copertina
Filippo Tommaso Marinetti
Paris-Sudan, collezione privata
© 2001
La città del sole
Indice
La scoperta di nuovi sensi
Testi teorici
F. T. Marinetti, Il Tattilismo
F. T. Marinetti, Tattilismo
F. T. Marinetti, Dopo il teatro sintetico e il teatro a sorpresa, noi inventiamo il teatro antipsicologico astratto di puri elementi e il teatro tattile
F. T. Marinetti, Il teatro totale
Testi drammatici
F. T. Marinetti, Il quartetto tattile
F. T. Marinetti, La grande cura
Fillia, Il sesso di metallo
Note
La scoperta di nuovi sensi
All’interno della poetica futurista il Tattilismo − proposta che Marinetti lancia agli inizi degli anni Venti e su cui tornerà, in forme diverse e in maniera più o meno continua, negli anni a venire – resta, singolarmente, come una sorta di piccolo angolo buio, una zona d’ombra poco frequentata dallo scandaglio critico che il Futurismo ha sondato in più di trent’anni di studi. La ragione di tale destino va ricercata, credo, in una sorta di «pregiudizio» che attorno al fenomeno si è venuto a creare. «Pregiudizio» non immotivato visto che, all’interno del Futurismo, il Tattilismo resta cosa sostanzialmente marinettiana, che viene enunciato proprio all’inizio di quella «seconda» fase del movimento, da molti considerata di profilo ribassato rispetto ai ruggenti anni Dieci, e che, infine, per quanto espressioni come «tattile», «tattilità» e «Tattilismo» tornino in maniera costante nei proclami teorici, poi, sul piano della pratica artistica, il fenomeno è ristretto, come vedremo, ad alcuni episodi del Teatro della sorpresa. Questa congiuntura di ragioni diverse ha fatto sì che al Tattilismo si guardasse come a un dato secondario del Futurismo, quasi che Marinetti, proiettato in direzione di una «estetica totale» che investisse globalmente tutti i sensi, si rivolgesse al tatto solo per coprire uno spazio fin lì rimasto inesplorato, senza, per questo, aggiungere elementi nuovi rispetto a quanto enunciato in precedenza. Valga a titolo d’esempio il giudizio di Paolo Fossati –che pure ha il merito di dare un giusto spazio al Tattilismo all’interno dell’analisi del Teatro della sorpresa – il quale afferma, a proposito del manifesto che lo teorizza, che questo «riassume in termini più squisitamente fisici, esperienze pittoriche e plastiche, da Boccioni alle ricerche polimateriche di Prampolini: e ciò anche se il manifesto sottolinea nettamente che il Tattilismo cui Marinetti si riferisce è altra cosa dalle risorse delle arti plastiche» (1). Diverso risulta l’approccio al problema da parte di Umberto Artioli, che inizia il suo La scena e la dynamis con ampi riferimenti al rapporto tra visività e tattilità nella poetica marinettiana, prestando particolare attenzione al tentativo di superare il libro come luogo d’elezione della poesia e, di conseguenza, di fare delle parole in libertà un fatto fisico, corporeo oltre che intellettuale. Artioli, per illustrare la sua tesi, ricorre, però, alla nozione di tattilità senza fare alcun riferimento diretto al Tattilismo come fenomeno specifico. Marinetti, sostiene Artioli, aspira ad una dimensione poetica che non sia dominata dall’intelligenza analitica, dal Logos, dal principio separatore della ragione ma sia data come fatto osmotico, come integrazione totale della sensibilità. «Lungi dall’offrirci una consapevolezza sensoria del tutto – scrive Artioli – come avviene per altre modalità squisitamente sinestetiche, quali ad esempio la tattilità, essa [l’intelligenza analitica, N.d.R.] è discontinua e parcellare» (2). E aggiunge: «Contrapporre il tatto alla vista significa contrapporre la forza alla forma, la totalità al segmento, la continuità al discontinuo, la globalità dinamica del gesto alla divisibilità della sequenza» (3). Sembra dunque che quanto è sinestetico, totalizzante, coinvolgente vada assimilato alla dimensione tattile, di contro a tutto quanto è sezionato, suddiviso, cerebrale, che è riferito all’ambito del visivo. Esisterebbe, dunque, alla radice di tutto il Futurismo, e non solo di un suo momento, una spinta all’integrazione «tattile» dei sensi, al coinvolgimento fisico e non solo intellettuale dello spettatore.
In effetti l’idea del coinvolgimento di più sensi nell’atto della fruizione estetica era stata sollevata in più occasioni negli anni precedenti, a partire da uno dei manifesti guida del primo Futurismo, quello della scultura, scritto da Boccioni nel 1912. In quell’occasione si prospettava l’uso di materiali diversi proprio per sollecitare una fruizione sinestetica. Nel 1913 Carlo Carrà pubblica, inoltre, La pittura dei suoni, rumori, odori in cui la dimensione sinestetica dell’opera viene teorizzata con ancor maggiore puntualità. Ma è del 1915 il manifesto che meglio esprime questa tensione. Si tratta della Ricostruzione futurista dell’universo in cui Balla e Depero propongono di sconfinare dai limiti ristretti dell’opera d’arte e delle tecniche tradizionali a vantaggio di una creatività più libera, che coinvolga lo spettatore nel suo complesso. Nascono così i «complessi plastici», primo vero superamento della staticità della pittura, che saranno astratti, dinamici, trasparentissimi, coloratissimi, luminosissimi, autonomi, rumoreggianti e scoppiettanti, come affermano gli autori. Investiranno, cioè, oltre la vista anche l’olfatto e l’udito ma è singolare che manchi ancora qualsiasi riferimento esplicito al tatto. Nel caso della Ricostruzione futurista dell’universo, poi, questa lacuna risalta con più forte evidenza perché tutto sembra invece tendere proprio in quella direzione (4), eppure di «tattilismo» o di «tattilità» si tace, quasi fosse un dato scontato, un riferimento talmente ovvio da non dover essere precisato.
La questione ci porterebbe lontano. Perché il tatto è assente come «senso estetico» dal primo Futurismo e perché Marinetti non fa riferimento a Balla e Depero come precursori del Tattilismo, preferendo limitarsi a citare Boccioni? Il problema è complesso; al momento ci preme sottolineare solo come il Tattilismo non nasca improvviso e imprevisto ma sia collocabile lungo una direttrice ben precisa e riconoscibile, le cui tappe sembrano condurci per mano alla teoria marinettiana (5). Non per questo, però, lo scritto del 1921 può essere considerato solo come replica dei precedenti, in quanto, se verso quelli ha più di un debito, introduce elementi di novità che emergono solo a un’analisi attenta e puntuale del testo.
Il Tattilismo viene pubblicato come opuscolo della Direzione del Movimento Futurista con una data tutta particolare: 11-1-1921 (6). È universalmente nota la passione simbolica, quasi superstiziosa e scaramantica, di Marinetti per il numero 11 che torna insistentemente nella datazione di molti fra i più importanti manifesti del Futurismo. Il fatto che venga usato anche per quello del Tattilismo ci autorizza a ritenere che Marinetti intendesse affidare a quella pubblicazione un valore tutto particolare. Se consideriamo, poi, la data nel suo insieme la cosa assume un aspetto ancor più ridondante: è una sequenza di 1. E simbolicamente esprime, in modo inequivocabile, il significato di un inizio. L’undici conclude la decina, il ciclo completo dell’ordine numerico, e indica il riaffacciarsi della unità nel suo valore fondante. L’undici è numero della nascita. L’uno del mese indica, ovviamente e chiaramente, l’inizio di un nuovo anno. II ventuno anche ha un valore preciso: è la nascita di un nuovo decennio. Inizio, e inizio su tutti i fronti, dunque. Ma guardiamo l’incipit del manifesto: «Punto e a capo». Più chiaro di così Marinetti veramente non poteva essere. Il Tattilismo segna la fine di qualcosa e la nascita di qualcosa d’altro. Non solo, e non tanto, integra quanto fatto in precedenza, ma apre le porte su un territorio totalmente nuovo.
Evidentemente Marinetti sente la necessità di una evoluzione del suo pensiero. Avverte prossimo il rischio di finire invischiato nelle proprie stesse provocazioni, di trasformarsi in un accademico dell’avanguardia (e per non esser questo finirà con il diventare Accademico d’Italia). «I più anziani fra noi, hanno trent’anni – aveva scritto in Fondazione e Manifesto del Futurismo – ci rimane dunque almeno un decennio, per compiere l’opera nostra. Quando avremo quarant’anni, altri uomini più giovani e più validi di noi ci gettino pure nel cestino, come manoscritti inutili» (7). Nel gennaio del 1921 quei dieci anni sono passati e si affaccia, sinistra, la prospettiva di finir relegati in qualche museo. Ma Marinetti già allora s’era lasciata aperta una via di fuga: «Ma noi non saremo là – aggiunge, lì dove li si attendeva – Essi ci troveranno alfine – una notte d’inverno – in aperta campagna, sotto una triste tettoia tamburellata da una pioggia monotona, e ci vedranno accoccolati accanto ai nostri aeroplani trepidanti e nell’atto di scaldarci le mani al fuocherello meschino che daranno i nostri libri d’oggi fiammeggiando sotto il volo delle nostre immagini» (8). E se il Tattilismo fosse legna (pardon benzina) gettata su quel fuoco? Se fosse il primo passo per affrontare il secondo decennio di vita del Futurismo senza la stanchezza degli epigoni, senza la retorica del proprio passato? Allora, scrive Marinetti, «punto e a capo». Il Futurismo riinizia daccapo, per continuare a guidare le trasformazioni dell’arte e, appresso lei, del mondo. Nessun manifesto, nessuno scritto, è introdotto in maniera così perentoria. Subito dopo, d’altronde, Marinetti continua elencando, in una maniera che diverrà tipica degli scritti degli anni Venti, i successi del Futurismo: «l’odio del Museo, delle Accademie e del Sentimentalismo, l’Arte-azione, la difesa della gioventù contro tutti i senilismi, la glorificazione del genio novatore, illogico e