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La Stella dell'Eire
La Stella dell'Eire
La Stella dell'Eire
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La Stella dell'Eire

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About this ebook

- Seconda parte della saga Paranormal Romance / Urban Fantasy: "La Croce della vita" -

"Niente ti prepara al dolore. Quello reale, quello profondo, quello che ti spezza il fiato. Puoi passare tutta la vita a cercare di comprenderlo, ma niente ti preparerà mai alla sensazione terribile di perdita, vuoto e disperazione che provai io quel giorno. Diventi irragionevole, pazzo, saresti disposto a tutto pur di fermare quella sofferenza, uccideresti per spegnere il fuoco che ti brucia la carne. Credevo di morire, invece la Furia mi ha salvata.
Io sono una Furia, e ora ricomincio da capo. Giorno uno."


Dopo "La Croce della Vita", "La Stella dell'Eire" ci racconta la prosecuzione della storia di Deva e dei vampiri Sincore, tra atmosfere sempre più gotiche e tenebrose, ma senza rinunciare a sfumature umoristiche e romantiche.


L'autrice - Valentina Marcone, nata nella provincia di Salerno nel 1986, laureata in Farmacia all’università di Salerno, ha una sola grande passione: i libri. Che essi siano di scuola, di favole, di storia, di letteratura classica, non ha importanza, purché scritti in inglese o italiano. Adora il genere fantasy, tanto che il suo primo libro ha come protagonista una Furia. Le piace pensare di non raccontare storie, ma creare personaggi che plasmano da soli la loro storia.
 
LanguageItaliano
Release dateNov 12, 2015
ISBN9788898754373
La Stella dell'Eire

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    La Stella dell'Eire - Valentina Marcone

    Valentina Marcone

    La stella dell'Eire

    Il secondo volume della saga La croce della vita

    I edizione digitale: novembre 2015

    © tutti i diritti riservati

    Nativi Digitali Edizioni snc

    Via Broccaindosso n.16, Bologna

    ISBN: 978-88-98754-37-3

    www.natividigitaliedizioni.it

    info@natividigitaliedizioni.it

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    Copertina a cura di Mangia Gianfranco

    Facebook Jomaylab

    A nonna,

    per tutte le storie

    che mi hai raccontato.

    «Le genti ne fremettero,

    ma è giunta l'ora della tua ira,

    il tempo di giudicare i morti,

    di dare la ricompensa ai tuoi servi,

    ai profeti e ai santi

    e a quanti temono il tuo nome, piccoli e grandi,

    e di annientare coloro che distruggono la terra».

    Apocalisse 11:18

    Capitolo 1

    R ipresi coscienza del mio corpo poco a poco. Ero distesa su qualcosa di duro e freddo, nuda.

    Aprii gli occhi abituandomi alla fioca luce della sera e mi guardai intorno.

    Dove cavolo ero?

    Dio… non ricordavo niente.

    Mi misi in piedi e vidi che ero all'aria aperta, il vento mi sferzava i capelli, sembrava fossi finita su un fabbricato in costruzione.

    Il primo passo non fu doloroso, ma fu di sicuro molto strano, come se stessi tornando a camminare dopo mesi di convalescenza in un letto, avevo le gambe quasi addormentate. Mossi dei goffi passi fino a raggiungere il bordo di quel rettangolo di cemento, intorno a me vedevo solo montagne e alberi. Guardai in giù e mi resi conto di essere all'ultimo piano, solo che non vedevo nessuna scala che collegava i diversi livelli.

    Ah giusto, dovevo essere atterrata lì quando ero ancora una Furia.

    Era strano, non conservavo alcuna memoria, avevo solo dei flash. Eppure ricordavo di essermi trasformata, ricordavo di essere ancora io. Non era come per Dr. Jekyll e Mr. Hyde, io e la Furia non eravamo due personalità distinte, ero sempre io in fondo, solo che la mia mente ragionava in altro modo per così dire.

    Iniziai a tremare per il freddo.

    Sì, forse è meglio lasciar perder le analisi filosofiche per ora dissi a me stessa. Dovevo capire dove mi trovavo e cercare un riparo.

    Sempre che riuscissi a scendere da lì senza uccidermi.

    Sotto forma di Furia mi sentivo davvero forte, ma in quel momento mi sembrava di essere uno straccio, quindi era meglio non provare a saltare nel vuoto. Scrutai in lontananza oltre gli alberi e scorsi un sentiero, ovvio doveva esserci una strada che collegava quella costruzione a una città vicina. Mi avvicinai ai pilastri posti ai quattro lati della struttura, erano abbastanza lisci, per cui non avrei potuto calarmi reggendomi a quelli. L'unico modo era saltare da un piano all'altro. Mi stesi e sporsi la testa per guardare verso il livello sottostante, era un salto di almeno tre metri, potevo farcela. Mi inginocchiai e sporsi le gambe oltre il bordo, piano piano scivolai all'indietro e mi tenni solo con le mani alla lastra di cemento, dondolai verso l'interno e mi lasciai cadere.

    Stranamente riuscii a non fracassarmi nulla. Eseguii la stessa operazione per il piano successivo e finalmente mi trovai a terra.

    Faceva molto freddo per essere maggio, dove cavolo ero finita?

    L'area sembrava deserta, poi ebbi un altro flash in cui volavo osservando più volte la notte che scendeva. Forse era passato maggio ormai, per avere una temperatura simile a giugno sarei dovuta essere in Alaska!

    Mi incamminai tra gli alberi tenendomi sulla sinistra della strada, ovviamente dovevo trovare dei vestiti prima di poter camminare sull'asfalto, ma vagare a piedi nudi nella boscaglia non era il massimo, sentivo ramoscelli aguzzi e foglioline aghiformi conficcarsi nella carne come spine, perciò procedevo lenta, assicurandomi che non ci fosse niente di appuntito sotto il mio piede prima di spostare tutto il peso.

    Camminavo, camminavo, ma gli alberi non si diradavano, così decisi di arrampicarmi su un pino e controllare cosa ci fosse intorno a me. Mi avvicinai a quello più vicino, che mostrava una serie di rami abbastanza robusti che partivano da circa due metri da terra, mi era sempre piaciuto arrampicarmi sugli alberi, ma avevo mani e piedi quasi ghiacciati, in più ero nuda come un verme, perciò la salita non fu così facile, anzi, impiegai una vita e rischiari di cadere e rompermi l’osso del collo più di una volta. Ero a circa dieci metri di altezza quando iniziai a vedere delle luci vicine, c’era un cartello in lontananza ma non riuscivo a leggere nulla.

    Scesi e ripresi a camminare, costeggiando la strada. La schiena mi bruciava molto, cercai di tastarmi con una mano e sentii che avevo delle ferite che correvano ai lati della spina dorsale, forse mi ero fatta male cadendo.

    Ah che stupida, le ali per uscire mi perforavano la carne con gli artigli, perciò era ovvio che avessi quelle due ferite parallele.

    Mi sembrava di aver camminato per un’ora quando, dall'altra parte della strada, vidi un edificio basso e tutto buio vista l'ora tarda. Dall'insegna però si capiva che era un negozio, così mi assicurai che fosse deserto e mi avvicinai alle vetrine. Sembrava vuoto, forse era abbandonato, aggirai la struttura e controllai il retro, se era un negozio doveva avere un'altra entrata che non mi costringesse a rompere una delle vetrine. Trovai la porta, ma era bloccata, con una mano tenni la maniglia mentre mi preparavo a prenderla a spallate. Cedette al primo tentativo.

    L'interno era abbandonato, tutto impolverato. Vagai alla ricerca di qualcosa che potesse essermi utile, volevo soprattutto degli abiti per coprirmi, ma non trovai nulla. Qualcosa però attirò la mia attenzione, una scrivania era ricoperta da fogli di giornale, mi avvicinai e ne presi uno tra le mani, in cerca della data.

    Era una rivista nazionale, perciò non capii in che città fossi, perlomeno sapevo di essere ancora in Canada.

    Guardai la data, era un mensile e quella era l'uscita di settembre. Pensai fosse dell'anno precedente, ma poi lessi anche quello e mi resi conto che erano passati quattro mesi dal giorno della mia trasformazione, anzi, il giornale di sicuro era stato messo lì almeno un mese prima perché si riducesse in quello stato, quindi arbitrariamente erano passati cinque o sei mesi.

    Trattenni il respiro.

    Ero basita.

    Sei mesi? Ero rimasta sotto forma di Furia per sei mesi?

    Sentii l’ansia crescere dentro di me, ma mi bloccai subito. Non avevo tempo in quel momento per una crisi isterica, dovevo trovare dei vestiti e un riparo. Subito.

    Uscii sospirando e ripresi il mio cammino.

    Mentre proseguivo ripensai a tutto quello che ricordavo mentre ero trasformata, la sensazione di avere le ali, la consapevolezza della potenza del mio corpo e soprattutto la costante rabbia che mi ribolliva in petto. Era come se al posto del cuore avessi una fornace di odio che bruciava e bruciava, senza fermarsi mai.

    Chissà se avessi provato la stessa sensazione di bruciore ad ogni trasformazione, ricordai che credevo di andare a fuoco lì, sull'erba dietro casa.

    Quando quel pensiero riaffiorò nella mia mente, tornarono anche tutti gli altri ricordi di quella notte terribile.

    Gli occhi lucidi di Michele, Clara che urlava, e Gabriel…

    L'immagine cambiò e lo vidi di nuovo disteso sul letto con Sarah avvinghiata addosso a lui.

    La rabbia divampò.

    No, non di nuovo…

    ***

    Riaprii gli occhi nello stesso stato confusionale della volta precedente, stavolta però ero distesa sulla neve, il vento era così forte da coprire tutti gli altri suoni, sembrava quasi volesse prendermi a schiaffi tanta era la violenza con cui mi sferzava la pelle.

    Mi misi in piedi con molta fatica, ero stremata, ma dovevo trovare un riparo altrimenti sarei morta per ipotermia. Tremavo così tanto che anche camminare mi era difficile, mi strinsi le braccia intorno al corpo e sperai di non rompermi i denti tanto battevano forte gli uni contro gli altri.

    Morta.

    Sarei morta di freddo. La pelle sembrava trapassata da miliardi di aghi, i piedi erano ormai insensibili, continuavo a sfregarmi il corpo con le mani, ma non sentivo più niente.

    Alzai gli occhi e scorsi una fenditura nella roccia, che fosse una grotta? Non mi importava di dividerla con un orso, un lupo o tutti gli animali feroci dell’universo. Quando vidi che era proprio una grotta per poco non svenni dalla gioia, aumentai il passo e inciampai nei miei piedi proprio davanti all’entrata, Andiamo Deva, ci sei quasi ripetevo a me stessa, ma le gambe non rispondevano più. Strisciai all’interno carponi. Non faceva caldo ovviamente, ma almeno spingendomi dentro l'anfratto avrei potuto distendermi sul terreno e non sulla neve. Ed ero al riparo da quel vento micidiale. Quando le mie mani incontrarono la pietra fredda, mi lasciai cadere e chiusi gli occhi.

    Volevo solo dormire.

    ***

    Non so per quanto tempo dormii, ma quando mi svegliai non faceva più così freddo.

    Riemersi dalla grotta e mi ritrovai sotto la luce della luna. La neve si era quasi sciolta del tutto, quindi erano passati altri mesi…

    Inutile pensarci, mi ammonii. A che serviva contare il tempo, quando non avevi né un obbiettivo, né una casa, né una famiglia?

    Potevo anche rimanere per sempre in quel bosco abbandonato e diventare una specie di eremita, non sarebbe cambiato niente.

    Alzai lo sguardo e fissai la luna che faceva capolino tra i rami degli alberi, il cielo era bellissimo, terso e di un blu profondo, le stelle brillavano come diamanti su un letto di velluto. Cercai un posto dove le fronde degli alberi non mi coprissero completamente la visuale e mi distesi a fissare quella meraviglia.

    Nei giorni seguenti entrai in modalità sopravvivenza, non pensavo a nulla, solo a procurarmi del cibo e a trovare un torrente per l'acqua.

    Sì, avevo mangiato la neve appena sveglia, ma ogni giorno che passava il sole si levava sempre più alto, quindi presto si sarebbe sciolta del tutto.

    Continuavo a dormire di giorno e muovermi di notte esplorando la zona, per evitare di rimanere ferma a lungo durante le ore più fredde. Avevo bloccato ogni pensiero della mia mente, tranne ‘svegliati, cammina, muoviti’. Seguivo solo l’istinto, pensavo come un animale e basta, non contavo nemmeno i giorni.

    Trovai un torrente proprio una notte in cui la temperatura sembrava essersi alzata ancora: incurante di tutto, mi misi in ginocchio lungo il bordo e iniziai a bere buttando la faccia direttamente nell’acqua.

    Ora la sete non sarebbe stata più un problema, ma più passavano i giorni, più la fame aumentava. Non avrei mai ucciso un essere vivente per cibarmene, perciò dovevo mettermi in cammino alla ricerca del paese più vicino.

    In tutti quei giorni non avevo mai acceso un fuoco, nonostante il freddo. Prima di tutto, perché non avevo idea di come fare, la teoria delle pietre che cozzavano l'una contro l'altra ovviamente la conoscevo, ma cosa ne sapevo di quale sasso prendere? Ovviamente non tutte servivano allo scopo e alla fine smisi di pensarci, forse perché sì, sentivo freddo, un freddo infernale, ma dentro di me sapevo che non ne sarei morta. Lo stesso istinto però, mi diceva che dovevo trovare qualcosa da mangiare, perché i morsi della fame iniziavano a farsi sentire, nell’ultima settimana a volte erano stati così forti da farmi piegare in due per il dolore, avevo guardato in giro, ma non c’era nessun cespuglio con bacche anche di dubbia identificazione. Quando il mio sguardo saettò in direzione del verso di un uccello, decisi di rimediare.

    Sembravo davvero una selvaggia, un mostro delle caverne che usciva di notte e si aggirava per la foresta. All'alba si ritirava nella sua grotta e dormiva.

    Mi ritirai per dormire nella caverna un'ultima volta.

    La notte dopo mi incamminai verso la casa più vicina che avevo visto guardando da un albero. Impiegai più di un'ora per raggiungere la casa a un piano in questione, ma più che una casa, era una piccola baracca.

    Rimasi a fissarla per qualche minuto. Una sola porta, una finestra sul davanti e due dietro.

    Il mio unico pensiero era: cibo.

    Forse era proprio così che si sentivano gli zombie quando avvistavano un essere umano. E pensare a quanto li avevo disprezzati in passato. Ora avete tutta la mia comprensione, povere creature esanimi.

    Fino a quel momento mi ero comportata come un animale, ma adesso c’erano in ballo delle persone, perciò avrei dovuto prestare molta più attenzione.

    Mi nascosi nella boscaglia e attesi.

    Il sole era sorto solo da poco quando sentii dei movimenti all'interno di quel piccolo rifugio: c’erano due persone, sentivo i loro passi sul pavimento di legno. Sperai si stessero preparando per uscire, ma dopo poco apparve solo un uomo sulla cinquantina, robusto, con un grosso gilet pieno di tasche, lo vidi salire sul suo vecchio pick-up e allontanarsi in fretta.

    Attesi ancora, in quel momento la compulsione dei vampiri mi sarebbe stata molto utile, sarei potuta entrare, convincere quella che presumevo fosse una donna a darmi dei vestiti e del cibo, quindi andarmene. Invece dovevo starmene lì, in attesa che uscisse anche lei.

    Il sole era alto nel cielo quando la vidi affacciarsi ad una delle finestre sul retro, forse per loro faceva ancora molto freddo, perché avevano tenuto la stufa accesa da quando si erano svegliati.

    L'uomo tornò poco dopo, cazzo. Strinsi i denti e cercai di calmarmi, non ero una bestia.

    Ok avevo fame, molta fame.

    In effetti stavo morendo di fame.

    Ma non ero una bestia e fare del male a quelle persone non era accettabile.

    Per quel giorno non ero stata fortunata. Mi addentrai tra gli alberi in cerca di un posto per dormire, quella volta avrei dovuto dormire di notte.

    Ci avrei provato domani.

    Passarono tre giorni e la donna ancora non si decideva ad uscire, avrei voluto gridare per la frustrazione. Ma che cavolo? Non potevano collaborare almeno un po’? Stavo facendo uno sforzo immane per evitare il disastro. Non sentivano la minaccia incombere su di loro? Non sentivano la morte alitargli dietro il collo? Se mi fossi trasformata in quel momento ero sicuro, li avrei uccisi.

    Quel giorno però, la signora sembrava voler collaborare, o almeno così dissi a me stessa per tirarmi su e placare la mia Furia, la sentii armeggiare con la porta e la vidi uscire con una bacinella tra le braccia, si diresse verso il retro della casa e iniziò a stendere il bucato.

    Vestiti.

    Aspettai che rientrasse in casa e, quando la sentii allontanarsi il più possibile dalla finestra, aggirai la casa e guardai quello che aveva steso.

    Individuai un pantalone, un maglione e un paio di mutande che mi sarebbero stati enormi, visto la stazza della signora in questione che era parecchio sovrappeso, ma non importava, alla prossima occasione avrei scelto meglio. Non attesi che calasse la notte, Adele mi aveva insegnato che i vestiti non si lasciano mai fuori di sera, altrimenti assorbono tutta l'umidità.

    Bloccai quel pensiero all'istante.

    No, non dovevo pensare a quello. Non dovevo pensare a niente altrimenti mi sarei trasformata di nuovo.

    Sopravvivi e basta.

    Mi avvicinai tenendo gli occhi fissi sulla finestra, presi i vestiti che avevo puntato prima e mi ritirai di nuovo. Indossai i due capi storcendo il naso alla sensazione dei vestiti sulla pelle, dopo mesi passati nuda mi ero abituata alla mia pelle scoperta, ma sentirmi avvolta da qualcosa era… confortante.

    Quella notte, prima di addormentarmi, decisi che avrei aspettato altri due giorni, al terzo mi sarei incamminata verso la casa successiva, se quella donna non usciva di casa non sarei mai potuta entrare per prendere del cibo e delle scarpe.

    La fortuna girò dalla mia parte il pomeriggio seguente. L'uomo tornò a casa prima del solito, poco dopo uscirono entrambi e si allontanarono sul pick-up.

    Ah finalmente.

    Aspettai che il rumore si allontanasse a sufficienza ed entrai in casa dalla finestra sul retro, non volevo forzare la porta e lasciarli con una porta rotta, la finestra era più facile da riparare. Avevano litigato quando la moglie aveva scoperto che mancavano dei vestiti, non potevano permettersi di comprarne di altri, perciò non volevo fare più danni di quanto non fossero necessari ad una famiglia già in difficoltà.

    La casa era minuscola e disordinata. Mi diressi verso il frigo, quando lo aprii, vidi solo pezzi di carne sottovuoto e bacinelle piene di qualche brodaglia. Presi il mestolo immerso in una di esse e lo divorai avida. Quasi non ne sentii il sapore, era commestibile, mi bastava. Al terzo mestolo capii che doveva essere una specie di brodo di carne, abbastanza denso e non così disgustoso come sembrava. Avevo quasi prosciugato una bacinella quando mi fermai, dopo mesi di digiuno non volevo rischiare di sentirmi male. Per nascondere le mie tracce presi un po’ di brodo dalle altre tre scodelle e lo riversai in quella quasi vuota.

    Nei pensili della cucina c’erano delle pietanze che proprio non riconoscevo, pesce in scatola e una serie di barattoli di latta. Presi una bottiglia di plastica piena di acqua e la misi sul tavolo, poi trovai delle fette di pane raffermo e le mangiai subito. Afferrai delle scatolette di pesce essiccato e le posai accanto alla bottiglia, non volevo saccheggiare tutto, avrei preso solo il necessario per arrivare alla prossima casa. Mi spostai nella la camera da letto alla ricerca di un paio di scarpe, quelle della moglie erano solo due paia e non molto adatte all'esterno, un paio erano ciabatte, l'altro nere con un tacco basso e quadrato, cercai ancora, finché non trovai degli stivali, erano del marito a giudicare dalla grandezza, li infilai e tornai in cucina. Mangiai altre due fette di pane e poi mi voltai per uscire. Avevo troppe cose in mano però, i pantaloni avevano delle tasche molto piccole, tornai indietro alla ricerca del gilet che avevo visto addosso al marito per tutta la settimana. Lo trovai appeso ad una sedia, lo presi, ci infilai tutto e uscii.

    Era passata all'incirca una settimana quando raggiunsi la seconda casa, il cibo era finito da tre giorni ormai e cominciavo ad avere di nuovo fame. L'acqua non era un problema, il torrente non distava molto perciò riempivo spesso la bottiglia.

    Questa casa sembrava messa meglio dell'altra, sentivo addirittura il rumore di una televisione, ma c’erano tre persone all'interno. Due uomini e una donna, uno era molto anziano, quindi sarebbe uscito più difficilmente.

    Decisi di restare in osservazione per qualche giorno e se avessi capito di non avere possibilità di introdurmi per prendere altro cibo, sarei passata oltre. Non volevo ridurmi nello stesso stato della volta precedente, quando i morsi della fame mi avevano quasi spinto ad attaccare quelle persone pur di procurarmi qualcosa da mettere sotto i denti.

    Una mattina li vidi uscire tutti e tre insieme, forse andavano da qualche parte, forse in chiesa.

    Aspettai che si allontanassero e mi introdussi in casa. Poco dopo avevo dei vestiti nuovi che mi andavano sempre enormi, ma almeno erano puliti, scarpe più piccole, sei scatole di tonno nel gilet, due pagnotte di pane, otto barattoli tra ceci, piselli e fagioli e, dulcis in fundo, una prelibatezza inaspettata, pesche sciroppate, un bel barattolo di vetro ancora intatto. Prima di uscire mi girai verso la televisione, forse potevo capire dov’ero e che mese era almeno, avevo sentito quelle persone parlare una lingua strana, ma ero convinta fosse un dialetto particolare della zona. Cercai il telecomando e iniziai a girare i canali alla ricerca di qualche telegiornale, dopo qualche minuto di zapping trovai le previsioni del meteo.

    Era il 3 marzo e mi trovavo esattamente a Bathurst Inlet, nel Nunavut.

    Avevo volato così tanto?

    Cavolo era passato quasi un anno…

    Mi bloccai.

    Non dovevo pensare.

    Sopravvivi e basta.

    Capitolo 2

    C ontinuai così per molto tempo, ora avevo dei vestiti che mi stavano molto meglio, degli scarponi imbottiti e un giubbotto con cappuccio e molte tasche interne. Avevo trovato addirittura una borsa a tracolla in cui mettere le mie provviste.

    Vivevo giorno per giorno, non sapevo ancora cosa volessi fare. Non potevo pensare al futuro, non così presto.

    Stava quasi per iniziare l’estate quando decisi che dovevo fare qualcosa per evitare di trasformarmi davvero in una bestia, negli ultimi giorni avevo accumulato parecchie provviste che mi sarebbero basate per almeno tre mesi, visto che il mio appetito era diminuito. Quindi presi la decisione di tornare nella mia caverna e affrontare la mia Furia.

    Ormai era successo, mi ero trasformata e che fosse accaduto prima del previsto non aveva importanza, niente avrebbe mai potuto prepararmi alla trasformazione, ma potevo fare qualcosa adesso, potevo capire cosa ero diventata e imparare a controllarlo o almeno a conviverci.

    Quando mi incamminai verso il rifugio che avevo usato tempo prima, faceva così caldo che tolsi addirittura il giubbotto. Arrivata a destinazione stesi il giubbotto per terra, con l'intenzione di usarlo come materasso e allineai tutte le mie provviste. Mi riposai per un giorno intero prima di iniziare il mio esperimento. Avevo recuperato anche un orologio, ma più che le ore, mi interessava il fatto che segnasse i giorni e il mese.

    Mi sedetti tra gli alberi e feci quello che non avevo fatto da quando avevo aperto gli occhi per la seconda volta.

    Ripensai a quella notte, riportai alla mente le parole di Michele che cercava di calmarmi, la litigata con Gabriel, la comprensione di Clara, erano tutti dei grandi attori no?

    Diciotto anni senza dirmi che avevo vissuto fianco a fianco con il mio consorte, avevano deciso di illudermi, di farmi sognare il giorno in cui lo avrei incontrato.

    Perché?

    Sentii gli artigli allungarsi, stava funzionando ovviamente, però dovevo cercare di rimanere me stessa, non dovevo perdere completamente la testa altrimenti mi sarei trovata davvero in Alaska.

    La pelle iniziò a surriscaldarsi, sembrava mi stessi avvicinando sempre di più a un grande fuoco, cercai di resistere, ma il dolore era davvero troppo. Calde lacrime iniziarono a bagnarmi la faccia.

    Dio, il fuoco, andavo a fuoco.

    Iniziai a singhiozzare e gemere di dolore quando la schiena cominciò a bruciarmi ancora più forte, ma era un bruciore diverso, sentivo qualcosa che premeva contro la mia pelle cercando di lacerarla dall’interno. Urlai con tutto il fiato che avevo in gola, piegandomi in avanti e cadendo a faccia in giù sulla terra fredda, quando gli artigli mi tagliarono la pelle e le ali si avvolsero attorno a me come un bozzolo.

    Per un attimo il dolore sembrò darmi tregua e provai una strana sensazione di benessere in quella posizione, ero come isolata dal mondo, riuscivo addirittura a sopportare il dolore della trasformazione.

    Mi concentrai sul mio corpo, sulla sensazione della terra sotto di me, l'aria sulla pelle nuda.

    Non cedere, non cedere ripetevo a me stessa.

    ***

    Quella prima volta non andò molto bene, mi ero svegliata circa cinque settimane dopo non molto lontano dalla mia grotta; certo, era un passo avanti rispetto alla prima volta in cui ero stata trasformata per mesi, ma non potevo restare in quella forma per così tanto tempo, dovevo imparare a controllarmi.

    Così avevo trovato una nuova routine: mi risvegliavo, dormivo per recuperare le forze, mangiavo e ci riprovavo.

    Il controllo delle emozioni era il mio punto debole. Perciò decisi di mettermi alla prova andando a toccare il mio punto debole. La musica. Ormai le scene di quella sera mi erano diventate quasi ‘familiari’ ma se c’era qualcosa che mi faceva esplodere era proprio la musica. Avevo trovato un lettore mp3 in una delle mie escursioni, e a volte mi ritrovavo a piangere da sola sentendo alcune canzoni, come una stupida.

    Man mano le trasformazioni diventavano sempre meno dolorose, la parte peggiore restava quando fuoriuscivano le ali e pensai che quel dolore non avrei mai potuto controllarlo, perciò ora che il dolore fisico si era attenuato potevo passare alla fase successiva.

    Mi ero appena svegliata, la giornata era più uggiosa delle altre, vedevo tutto grigio intorno a me.

    Però, che tempismo. Dopo una settimana di belle giornate, quel pomeriggio triste faceva proprio da sfondo perfetto per il mio test.

    Rimasi ferma con lo sguardo perso nel vuoto per non so quanto tempo. Sapevo cosa dovevo fare, dovevo solo iniziare.

    Feci il primo passo esitante, poi ne feci un altro e in quel momento le note di un pianoforte riempirono l’aria intorno a me. Sembrava quasi fosse lì, vicino a me.

    Reborn and shivering

    Settled on new terrain

    Unsure, unkind, insane

    It’s faint and shaken

    Le lacrime iniziarono a scorrermi lungo il viso.

    Day one, day one

    Start over again

    Step one, step one

    I’m barely making sense

    For now I’m faking it

    ‘Til I’m pseudo-making it

    From scratch, begin again

    But this time I as I

    And not as we

    (Rinata e tremolante

    Spuntata su un terreno nuovo

    Insicura, non convincente

    Quest'ora debole e traballante

    Giorno uno, giorno uno,

    Comincia di nuovo tutto da capo

    Primo passo, primo passo

    Per ora faccio fatica a farmene una ragione

    Sto facendo finta, finché non sembrerà che l'abbia fatto.

    Ricomincio di nuovo da zero

    Ma questa volta io come io

    E non come noi)

    I singhiozzi mi squassavano da capo a piedi. Crollai in avanti sul terreno umido.

    E poi più niente.

    Rimasi trasformata per sei giorni.

    Quando tornai in me dormii per altri due.

    Due settimane dopo decisi di riprovarci. Non mi sarei data per vinta finché non avessi riprodotto nella mia testa quella canzone fino all’ultima nota.

    Presi un profondo respiro, mi sedetti a gambe incrociate e iniziai.

    Reborn and shivering

    Settled on new terrain

    Unsure, unkind, insane

    It’s faint and shaken

    Day one, day one

    Start over again

    Step one, step one

    I’m barely making sense

    For now I’m faking it

    ‘Til I’m pseudo-making it

    From scratch, begin again

    But this time I as I

    And not as we

    Due mesi e quattro tentativi dopo, ancora non ero riuscita ad andare oltre la prima strofa e la cosa mi faceva incazzare parecchio.

    Quel giorno praticamente marciai verso il solito posto.

    Sbuffai e chiusi gli occhi.

    Reborn and shivering

    Settled on new terrain

    Unsure, unkind, insane

    It's faint and shaken

    Day one, day one

    Start over again

    Step one, step one

    I'm barely making sense

    For now I'm faking it

    'Til I'm pseudo-making it

    From scratch, begin again

    But this time I as I

    And not as we

    Gun-shy and shivering

    Tear it without a hand

    Feign brave but still intent

    Little and hardly here

    […]

    Impaurita e tremolante

    Esitante senza un aiuto

    Simulo coraggio con

    L'intento deciso

    Piccola e a stento presente

    Alla terza frase già sentivo gli occhi umidi.

    Il ritornello, quel dannato primo passo, mi faceva sempre crollare. ‘Ricomincio come io e non come noi’ era il segnale per spalancare le

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