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I sette volti del male
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I sette volti del male

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“I sette volti del male” è un saggio - che prende spunto da un romanzo precedente intitolato “Passioni della mente e vibrazioni del cuore” - l’autore affronta il tema dei “Sette Vizi Capitali” nelle forme più svariate che ogni giorno si possono incontrare riconoscendoli addosso alle persone che incrociamo. Affronta il tema con differenti racconti, prendendo spunto e, talvolta, facendo una vera e propria ricerca su taluni personaggi del passato, su altri appartenenti al mito ed alle favole ma anche a persone più vicine alla nostra epoca, ma da lui inventate. Anche se il lettore potrà riconoscere in essi qualche persona conosciuta, i soggetti descritti, lo si ribadisce, sono un parto della fantasia dell’autore. La conclusione della disamina lascia un poco interdetti ma è bene prendere nota di un’opinione che, sebbene, potrebbe non essere condivisa, è pur sempre una voce nel novero delle tante che circolano. “I sette volti del male” non è un romanzo ma, comunque, merita di essere letto. Lo stile, ormai inconfondibile, dell’autore, che per la prima volta si cimenta su questo tipo di “essai”, ne fa un testo la cui lettura è foriera di notizie e dati di fatto non privi di una certa amenità salottiera
LanguageItaliano
Release dateDec 13, 2015
ISBN9788899001506
I sette volti del male

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    I sette volti del male - Learco Learchi d'Auria

    el.dorado.44@hotmail.com

    Prefazione

    Questa opera dello scrittore Learco è un saggio che, a differenza delle opere precedenti, romanzi e racconti, vuole offrire una riflessione sul male, che si manifesta nelle azioni dell’uomo, che una volta era conosciuto attraverso i sette vizi capitali mentre oggi si manifesta sotto altre forme, forse più subdole e striscianti, che strappano l’individuo da quella forma di benessere morale e totale, che ognuno ricerca e a cui tutti anelano.

    È diffusa in tutti noi la convinzione che la nostra vita è permeata di azioni, indirizzate al bene o al male, a seconda delle circostanze, spesse volte, create per soddisfare i nostri bisogni reali o ideali.

    L’uomo, dal canto suo, non nasce necessariamente incline al bene ma si sforza di essere giusto, retto e onesto per la ragione più antica del mondo: la paura del castigo divino e della dannazione eterna. È, anche, opinione molto diffusa che il male trionfa più spesso sul bene ma, scrutando molto più in lungo e molto più in alto, dobbiamo convenire che il trionfo finale è sempre del bene sul male e che il male ha vita breve mentre il bene è eterno.

    Il male, come pure il bene, erano già esistenti nel mondo, prima che l’uomo venisse creato, anche se sembra che apparissero nello stesso tempo, come contrapposizione e come integrazione di un mondo duale.

    Leggiamo nelle Sacre Scritture che tra i tanti alberi che Dio aveva fatto spuntare dalla terra dell’Eden, su cui aveva posto l’uomo, si trovava l’albero della conoscenza del bene e del male. Il male era lì, presente, ma l’uomo ne era immune, e là poteva restare per sempre se il suo frutto non fosse stato mangiato. Come tutti gli altri frutti portavano in sé la propria semenza anche il male aveva in sé il proprio seme per la riproduzione, con una differenza: il seme di tutti gli altri frutti ha avuto bisogno soltanto della terra per riprodursi e moltiplicarsi, mentre quello del male ha avuto bisogno di un corpo, e non soltanto di quello del serpente, ma del corpo dell’uomo fatto a immagine e somiglianza di Dio.  Se Eva ed Adamo non avessero mangiato il frutto, il male sarebbe rimasto eternamente sterile. Il male c’era ma l’uomo non lo conosceva e non lo possedeva; una volta mangiatone il frutto, divenne non solo conoscitore ma anche operatore del male.

    Per fare del bene ognuno di noi deve compiere uno sforzo di volontà per superare la nostra natura, mentre per fare del male basta essere se stessi, basta non fare assolutamente niente.

    Learco, nella descrizione dei volti del male, ha scandagliato l’animo umano nella sua più profonda intimità, e utilizzando storie classiche e fatti quotidiani, personaggi storici e uomini comuni, ci ha condotti in un viaggio spirituale, tra i vari gironi dell’inferno dantesco, per riflettere e migliorarci.

    Magistralmente ha tessuto il canovaccio della vita, su cui una luce divina interviene per sollecitarci ad essere migliori. Un animo sensibile e nobile coglie le sfumature che Learco ha dipinto, nella descrizione dei sette volti del male, con i colori dell’esistenza quasi come a farci comprendere che non avrebbe senso il bene senza il male, perché è la funzione stessa del male a farci apprezzare il bene; entrambi hanno bisogno l’uno dell’altro per poter esistere e dare un senso a tutte le cose.

    Bene e Male sono quindi espressione esteriore di verità più profonde che ci accompagnano fin dalla notte dei tempi, e che indicano lo stretto connubio tra spirito e materia, anima e corpo, uomo e donna, e che rappresentano l’energia stessa che pervade l’universo nei suoi aspetti maschile e femminile, l’aspetto che feconda e quello che genera. Originale è il commento, schietto e sincero dell’autore, nelle riflessioni conclusive. Pone a tutti noi una domanda e contemporaneamente una risposta nel momento in cui, riferendosi ai fatti che si verificano in ogni parte del mondo ricco e opulento, ci fa riflettere su quanto il Male abbia mille volti e mille corpi nei quali manifestarsi e vivere, evolvendo verso forme sempre più feroci e letali.

    Elisa Savarese

    Presidente dell’Università Avalon

    Non volendo erigermi quale censore dei costumi,

    quando mi sono apprestato a scrivere la breve

    raccolta di racconti che seguono, non mi sono

    posto lo scopo d’insegnare nulla a chicchessia.

    Le pagine da me vergate sono la descrizione di

    una realtà di ciò che, comunemente, cade sotto

    l’indicazione di Vizi Capitali.

    Ognuno è padrone dei propri sentimenti come

    lo è del suo modo di essere nonché il sentirsi, o

    meno, schiavo dei vizi ai quali si è affezionato.

    Questi peccati che sono condannati dalla Chiesa

    vengono, oggi, accettati dalla generalità degli

    uomini e delle donne al punto da essere divenuti

    un abito mentale per molte persone. Privarli dei

    loro peccati corrisponderebbe a renderli ignudi

    e, forse anche, privi della loro personalità.

    Dedico queste pagine ad ogni peccatore, mio

    fratello in questo, che non è privo di vizi, ma

    ricordo a chiunque le parole di Chi ha avuto,

    cristianamente, pietas.

    Chi è senza peccato, scagli la prima pietra!

    (Learco Learchi d’Auria)

    I personaggi inseriti nel presente saggio ed anche l’autore, tal quale si descrive, sono stati ideati dalla fantasia.

    Ogni riferimento a persone o a fatti realmente accaduti sono puramente casuali.

    Prologo

    Dopo la pubblicazione del suo romanzo Passioni della mente e vibrazioni del cuore fu quasi inevitabile accettare il suggerimento della Signora Preside della Università Avalon di Castellammare di Stabia, nonché responsabile della EVA, la casa editrice degli scritti di Learco. Più che un suggerimento era suonato come un altro lavoro su commissione, così come ultimamente accadeva con frequenza.

    «Lo sapete che i vostri romanzi Sotto le stelle della Croce del Sud ed anche l’ultimo sulle Passioni della mente, stanno andando a ruba? Hanno superato, nelle vendite, tutti quanti gli altri» aveva detto , approcciando l’argomento con il solito cipiglio della Manager interessata ai numeri ed i risultati.

    «Un successo del tutto casuale dovuto, forse, alla curiosità degli allievi del Corso di Letteratura Moderna e Giornalismo presenti alle mie Conferenze su Storia, Usi e Costumi dei Brasiliani dello scorso anno» aveva risposto Learco, alquanto dubbioso di quell’insperato successo editoriale.

    «Casuali o meno, se gli allievi hanno ritenuto di parlarne con altri, al punto da promuovere l’acquisto dei due romanzi, vuol dire che l’argomento interessa il pubblico…» aveva, subito, replicato prima che lo scrittore iniziasse a sminuire le proprie capacità, come faceva di solito. Aveva, quindi aggiunto: «…dobbiamo sfruttare l’interesse di questo segmento di mercato e battere il ferro fintanto che è caldo!»

    «Non capisco, Signora Preside! Nel primo dei due, ho scritto sulle deviazioni della senilità e nell’ultimo sulle passioni della mente che valicano le barriere temporali. Non saprei, proprio, di che cosa scrivere, ancora» si era schernito Learco, cercando di prendere le distanze da un incarico che sentiva piovergli addosso come una tegola inaspettata.

    «Dei vizi della gente! Potreste scrivere qualcosa sui Sette Vizi Capitali - gli Abiti del Male - come li ha chiamati Aristotele» aveva replicato la Preside che aveva in testa alcune idee ben precise.

    «Che cosa c’entra Aristotele?» chiese Learco che, al momento, non rammentava nulla in proposito.

    «C’entra… c’entra, eccome! Fate una ricerca, frugate nei ricordi del Liceo e lo scoprirete. Sono convinta che, dopo aver trovato, vi appassionerete all’argomento…» aveva soggiunto l’anziana signora concludendo con una domanda: «…me lo scrivete questo libro sui vizi della gente?»

    «Non lo so, devo pensarci, non è il mio genere» aveva concluso, Learco, prendendo tempo ma sperando, in cuor suo, che accantonasse l’idea.

    Ciò, purtroppo, non avvenne ed ogni qual volta che aveva occasione di parlarle, la domanda che Learco riceveva era sempre la stessa: "…allora, me lo scrivete questo libro sui vizi della gente?"

    Il fatto era che aveva una personalità talmente spiccata che difficilmente le si poteva opporre un rifiuto. Era un’anziana insegnante, partenopea verace di Vico Equense, che quando parlava si rivolgeva, compitamente, alle persone dandole del voi. Quella del voi è una espressione di grande riguardo che, nella napoletaneità del linguaggio, si dà alle persone che più si stimano. Da tutti, nonostante avesse un cognome molto noto nella regione, era chiamata semplicemente la Preside. Quando si parlava di lei, poco mancava che ci si mettesse sull’attenti togliendosi il cappello, per chi lo portava in capo. Con quel suo fare manieroso da signora d’altri tempi era capace di infinocchiare chiunque non la conoscesse bene. Chi la conosceva ed aveva a che fare con lei, spesso, la rifuggiva perché sapeva che in un confronto professionale avrebbe dovuto soggiacere, avendo la peggio. La Presidé, abbreviazione di presidente, aveva col tempo, perduto l’accento finale ovvero era divenuta la Signora Preside. Era colei che dirigeva sia la Università Avalon sia la EVA, Editrice Virtuale Avalon collegata, con il cipiglio di un moderno manager d’azienda. In tal modo si comportava, e con la sua inflessibilità era temuta da tutti, dentro e fuori l’ateneo che lei considerava essere un suo feudo personale. Di lei, le male lingue, raccontavano cose turche. Pare che in gioventù, nonostante la sua formazione umanistica fosse avvenuta presso l’Istituto Sant’Anna di Sorrento, retto dalle Suore d’Ivrea, fosse una femminista, contestatrice antesignana e rompiscatole. Con gli anni aveva imparato a nascondere i lati spigolosi del proprio essere, ma il carattere, si sa che prima o poi esce fuori perché non lo si può cambiare. Ciò non toglie che avesse una mentalità giovane che gli proveniva dall’aver vissuto accanto ai suoi ragazzi come amava definire le leve che preparava ad affrontare il futuro nel mondo accademico ed, anche, in quello professionale. Questo fatto la rendeva molto simpatica a Learco che, spesso e volentieri, s’era preso delle libertà verbali, goliardicamente, scherzose. Il gioco durava il tempo di qualche battuta ma, subito dopo, rientrava nei confini di un comportamento corretto ed educato, da… gentiluomo come, la stessa Preside, aveva definito lo scrittore. Più d’una volta s’era lasciata andare, definendo Learco: "un ragazzaccio troppo cresciuto ed impertinente". In altre occasioni aveva, invece, asserito: …è un galantuomo, peccato che dopo di lui, la fabbrica abbia cessato la produzione. Tra il serio ed il faceto, si era instaurato uno strano rapporto fatto di stima, confidenza, affetto con un pizzico di gelosia, anche se mai nulla era avvenuto tra i due, che continuavano a darsi alternativamente del voi e del lei.

    Brasile – Stato di São Paulo - Città di Praia Grande, Venerdì 17 maggio 2019 - Studio di Learco Learchi

    Era rientrato in Brasile da pochi giorni ma benché affaccendato a dipingere qualcosa su tela, la sua mente vagava attorno al problema dei vizi della gente. Di vizi, Learco ne conosceva e… molti. Poteva affermare di saperne abbastanza, tanto da poterci scrivere sopra. Il suo problema era, tuttavia, il come impostarvi quello che aveva l’aria di essere un saggio. Decise che non gli era possibile accettare quell’incarico: era troppo gravoso per le sue limitate conoscenze, nonostante le capacità descrittive.

    «Scriverci sopra, a dirittura, una storia romanzata, è assurdo!» si disse, deciso a chiamare la Preside per comunicarle la sua decisione di dare forfait.

    Nettò il pennello che teneva in mano, lo insaponò con cura, lo risciacquò lo asciugò con un panno e poi lo immerse nel bicchierone colmo di soluzione di diluente, quindi si avviò nella stanza dove teneva il proprio notebook. Accese la connessione con Internet e quindi con quella di Skype, il programma di trasmissioni vocali a distanza. Il collegamento con la Editrice Virtuale Avalon era, come Learco aveva immaginato, on line. Impostò la chiamata.

    «Buon giorno, Signor Learco!» rispose la voce di Marina, la segretaria della Preside, che aveva riconosciuto la login dello scrittore all’apparire sulla finestra apertasi sullo schermo del personal computer dell’ufficio.

    «Buon giorno Marina, avrei bisogno di parlare con la Signora Preside! È lì, presente?» chiese Learco.

    «Sì, è in sede! Attenda un attimo che la chiamo» rispose, solerte, la giovane segretaria.

    Lo scrittore udiva molti rumori di fondo ma, infine riconobbe quello dei tacchetti a spillo della Preside che si stava avvicinando con passo cadenzato, che egli immaginava… marziale.

    «Buona giornata Learco… che cosa avete da dirmi?» entrò, subito, in argomento la donna.

    «Non è una bella notizia, ma non me la sento di tradurre in romanzo un argomento come quello dei vizi della gente» disse Learco, tutto d’un fiato.

    «Nessuno vi ha chiesto di scriverci sopra un romanzo» rispose , calma, calma.

    «È stata lei a dirmi di farlo» replicò Learco, con una punta di risentimento.

    «Non vi ho chiesto un romanzo sui vizi, bensì di scriverci sopra qualcosa…» disse e poi aggiunse: «…che so, una serie di novelle o fatti che riguardano persone che di tali vizi ne fanno una ragione di vita. Qualcosa che si possa stampare in un libro che porterà il nostro nome, come editori, e la sua firma, come

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