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Garimpeiros: incredibili storie di immigrati italiani cercatori d’oro e delle gemme preziose del Brasile
Garimpeiros: incredibili storie di immigrati italiani cercatori d’oro e delle gemme preziose del Brasile
Garimpeiros: incredibili storie di immigrati italiani cercatori d’oro e delle gemme preziose del Brasile
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Garimpeiros: incredibili storie di immigrati italiani cercatori d’oro e delle gemme preziose del Brasile

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About this ebook

“Garimpeiros”, un nome che evoca fantasie. Si tratta di una raccolta di incredibili storie di immigrati italiani tra i cercatori d’oro e di gemme preziose del Brasile, per l’appunto i “garimpeiros”. Tra le immagini del quadro che appare sulla prima pagina di copertina. l’autore ha voluto inserire, su un arcobaleno, anche un riferimento storico molto antico. Si tratta della rappresentazione monumentale dei “Bandeirantes”. Erano personaggi al soldo di eserciti coloniali che, tra l’altro, si auto sovvenzionavano cercando metalli e pietre preziose nelle viscere della terra e, per lo più, nei fiumi. Svolgevano, a tempo perso, tra una scorreria e l’altra, l’attività della “garimpa”, la stessa ripresa poi anche da civili in epoche più vicine alla nostra. La ricerca dell’oro ha da sempre avuto un fascino particolare e le Americhe ne sono state lo scenario ideale. Con la scoperta di ricchi filoni sono nate città che però sparivano quando il prezioso minerale si esauriva. Erano baraccopoli di legno che una volta divenute inutili venivano incendiate per poter recuperare i chiodi (merce preziosa fatta a mano). Diverso è stato il destino delle città brasiliane nate all’epoca della scoperta di oro, argento e gemme preziose. Gli insediamenti sono restati e da piccoli villaggi sono divenuti, poi grandi città. Leggere le avventure contenute nel libro, oltre che piacevole, può aiutare a capire un’epoca e la logica che ha spinto uomini impavidi sulla strada dell’avventura.
LanguageItaliano
Release dateFeb 17, 2016
ISBN9788899001353
Garimpeiros: incredibili storie di immigrati italiani cercatori d’oro e delle gemme preziose del Brasile

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    Book preview

    Garimpeiros - Learco Learchi d'Auria

    el.dorado.44@hotmail.com

    Prefazione

    La fantasia dell’autore con questo nuovo romanzo ci offre l’opportunità di riflettere sulla diversità dell’uomo: nel carattere, nelle reazioni, nei comportamenti, nelle scelte, nelle motivazioni che sono alla radice delle scelte stesse. L’analisi di reazioni motivate non sempre da uno stesso modo di concepire la vita si snoda su onde differenti portando, ovviamente, a conclusioni diverse.

    Learco ci conduce in differenti dieci vite, ed in diversi dieci mondi ce ne fa conoscere i particolari.

    Il lettore, affascinato, segue le storie e viene coinvolto nelle vicende che ogni protagonista vive ma contemporaneamente conosce usi e costumi, culture e tradizioni di mondi che ormai sono lontani da noi. Sono mondi che comunque fanno parte della nostra storia cosmica perché hanno generato gli eventi successivi e, tra le molteplici possibilità, hanno realizzato la storia che anche noi contribuiamo a costruire.

    L’autore ci descrive i personaggi uno ad uno, come se fossero amici, ne conosce le emozioni e i pensieri, le reazioni e i sentimenti e, attraverso di loro e il loro agire nella ricerca dell’oro, conduce il lettore a scoprire nella sua anima il riflesso delle proprie emozioni, pensieri e sentimenti nella ricerca della Felicità.

    Siamo un po’ tutti garimpeiros alla ricerca dell’oro della vita e per raggiungere anche un solo granellino di felicità siamo disposti a rischiare, facciamo scelte pericolose, ci inoltriamo nella natura selvaggia che vive dentro di noi, proprio come facevano i cercatori d’oro. Siamo disposti a soffrire per le ferite e le delusioni ma spesso non demordiamo, continuiamo a cercare, setacciamo l’impossibile nella speranza di veder luccicare un semino di oro e talvolta ci lasciamo la vita, perdiamo la gioia e la speranza nel futuro.

    Dobbiamo dire grazie a Learco, per aver consentito a tutti coloro che hanno la sensibilità di comprendere che dai personaggi delle sue storie possono imparare a trasformare i luoghi selvaggi del loro cuore in luoghi esotici, ameni, dove costruire la gioia di vivere questa vita e mettere le premesse positive per le vite successive.

    Come sempre lo scrittore è anche pittore, fantasioso e reale, che utilizza esperienze tristi per dare ad ognuno qualche speranza. La lettura dei suoi romanzi ci fa conoscere il Brasile di oggi e quello più antico e attraverso la comprensione degli eventi leggiamo nella nostra vita più intima.

    Elisa Savarese

    Presidente dell’Università Avalon

    "Oro, metallo prezioso, ambito e ricercato,

    causa di perdizione della ragione ed anche

    dell’anima degli uomini.

    Gemme preziose, simboli di ricchezza, di

    vanità e di potere, se incastonate in una

    nobile corona, per il possesso delle quali

    si giunge a mentire, a rubare ed anche a

    uccidere.

    Oro, smeraldi e brillanti, dannazione per

    chi dalla febbre della ricerca loro è preso.

    Mille perigli per trovarli, mille volte mille

    sono le angosce per custodirli.

    Oro buono per fare monili di gemme ornati

    ma inutile per fabbricarne un sol chiodo.

    È forse stata una perversa invenzione degli

    inferi malvagi?

    No, è solamente la beffa eterna del diavolo,

    da questo inventata, per perderci!"

    (Learco Learchi d’Auria)

    Elenco dei racconti

    I Il flautista 

    II Lo scugnizzo di Portici 

    III Il buttero 

    IV Il bracconiere 

    V Il picciotto d’onore 

    VI Il genovese 

    VII Il carrettiere 

    VIII Il giovine di studio 

    IX Il mozzo 

    X Il gigante di Nocera 

    Prologo

    Prima dell’unificazione dell’Italia nel 1861, non esisteva un divario economico tra Nord e Sud, ma il Piemonte, indebitatosi a causa delle guerre di indipendenza dall’Impero Asburgico pensò di condurre una sua guerra coloniale per depredare il Meridione.

    Secondo lo studioso meridionalista, giornalista e scrittore Pino Aprile, l’unificazione dell’Italia si è compiuta sulla pelle dei popoli del Sud, che furono massacrati, rapinati e umiliati dall’esercito piemontese. Dopo l’impresa di Garibaldi il Sud fu depredato delle sue ricchezze: Il Banco di Sicilia, e quello di Napoli, con le loro riserve auree, impinguarono le casse esangui del Regno di Sardegna. Le navi della flotta della Marina Borbonica vennero, unitamente a quelle della piccola Real Marina Sarda, inglobate nella Regia Marina del nuovo Regno d’Italia, appena nato.

    Il Meridione cadde nello stato di suddivisa subalternità economica in cui si trova ancora oggi. In quegli anni alcuni Paesi europei prosperavano proprio grazie alle colonie, ovvero territori da cui si prendeva tutto ciò che aveva valore, trasformando le popolazioni in semplici consumatori: i piemontesi fecero proprio questo con il Regno delle Due Sicilie afferma Aprile ricordando come Napoli, prima dell’unificazione, fosse la terza città d’Europa per modernità e cultura. Napoli era tra le metropoli più popolose, veniva definita da Herman Melville come la città più allegra del mondo, scintillante di carrozze, quasi non riesco a distinguerla da Broadway, la vera libertà consiste nell’essere liberi dagli affanni ed il popolo pare veramente aver concluso un armistizio con l’ansia e suoi derivati.

    Va anche ricordato che in Calabria, per esempio, esistevano ricchi distretti minerari e siderurgici: I piemontesi dicevano che avrebbero portato modernità e ricchezza ma i dati della Banca d’Italia dicono che al Sud non c’era più povertà che al Nord afferma ancora Pino Aprile.

    Viene sottolineato come, dopo l’unificazione, molte industrie nel Meridione furono soppresse ed i macchinari delle fabbriche vennero smontati per essere trasferiti al Nord. Ciò lasciò solo povertà nel meridione. Migliaia di ribelli vennero barbaramente uccisi con la scusa della lotta al brigantaggio e milioni di persone, furono depredate ed impoverite, così come lo furono anche le chiese ed i luoghi di culto ricchi di argenti votivi. I coloni e la povera gente furono costretti ad emigrare dal Sud verso altri Paesi ma anche nelle regioni del Triveneto avvenne lo stesso fenomeno non appena questo fu annesso all’Italia nel 1866.

    Molti si trasferirono nella Merica, così come i popolani analfabeti la chiamavano, ma buona parte di essi andarono in Brasile per prendere i posti di lavoro lasciati dagli schiavi africani che, nel frattempo, erano stati affrancati.

    Il Parlamento piemontese introdusse nuove tasse solo al Sud, per investire, almeno fino ai primi del ‘900, in bonifiche, strade, ferrovie, scuole solo nel Nord ed a Roma. Secondo l’autore di Terroni, un saggio giornalistico pubblicato nel marzo 2010 ed edito da Piemme, che descrive gli eventi che hanno penalizzato economicamente il meridione, dal Risorgimento ai giorni nostri, l’impresa di Garibaldi fu proprio alla base della cosiddetta questione meridionale perché prosciugò le ricchezze delle due Sicilie e demolì un’economia promettente, minandone la rinascita. Questo portò anche ad un altro effetto, perché secondo Aprile quell’unificazione imposta violentemente distrusse l’attitudine dei meridionali a considerarsi parte di uno Stato, e generò in loro una condizione di minorità.

    Il picco massimo dell’emigrazione italiana in Brasile si ebbe tra il 1880 e il 1920. La maggior parte degli italiani trovarono lavoro nelle piantagioni di caffè brasiliane negli stati di San Paolo, Rio Grande do Sul, Santa Catarina, Paraná, Minas Gerais e Espírito Santo; ma molti altri preferirono insediarsi nelle città, da São Paulo a Rio de Janeiro, a Porto Alegre. Diverse migliaia di italiani, infine, raggiunsero le città del nord-est ed anche quelle del nord amazzonico. Altri si avventurarono nell’interno, in cerca d’oro e pietre preziose, e per il lavoro che facevano venivano chiamati, nella lingua portoghese del Brasile, garimpeiros.

    I Il flautista – 1912–

    Brasile – Stato di Minas Gerais - Città di Itabira, Giovedì 19 dicembre 1912 - Francesco Rizzo e le sue origini

    Francesco stava pensando ai fatti strani della vita e di come da promettente flautista, in Italia, era divenuto commerciante di pietre preziose, in Brasile.

    Tutto era iniziato quando Arturo, suo collega ed amico, lo aveva convinto ad accettare l’ingaggio, come musicista di flauto traverso, nella compagnia operistica diretta dal Maestro Leopoldo Miguez che era in procinto di intraprendere una tournée in Sudamerica. La paga era buona e, per un giovane musicista, l’idea di viaggiare visitando paesi nuovi aveva, certamente, molta attrattiva.

    Arturo apparteneva alla famiglia Toscanini di Parma, città nella quale era nato. Il padre, sarto di professione, era stato un garibaldino che affrontò la guerra ed anche il carcere. In famiglia, come in molte altre del parmense, insieme al pane quotidiano ci si nutriva anche di musica lirica. Arturo, fin dalla più tenera età, aveva dimostrato una grande disposizione musicale al punto di divenire allievo interno della Regia Scuola di Musica dove aveva studiato armonia, composizione e violoncello, finendo con il diplomarsi con lode.

    Francesco Rizzo era nato a Messina nel 1867, coetaneo di Arturo, aveva alle spalle delle origini similari, sebbene appartenente ad una famiglia abbiente del Sud. Si era diplomato nel Conservatorio di Musica Santa Cecilia già Liceo Musicale, la scuola in questo genere di studi più importante di Roma.

    Nel 1886 i due amici, uniti dalla medesima passione per la musica e per l’avventura, si imbarcano diretti in Brasile. Vi è da precisare che seppure Franceso fosse già un ottimo flautista, Arturo si era unito alla compagnia operistica come violoncellista e secondo maestro del coro.

    In Brasile il direttore Leopoldo Miguez abbandonò l’orchestra dichiarando ai giornalisti che la sua decisione era stata causata dal comportamento degli orchestrali italiani. Il suo sostituto, Carlo Superti, doveva dirigere la Aida a Rio de Janeiro, ma fu pesantemente contestato dal pubblico, non riuscendo neanche a dare l’attacco all’orchestra. Il giovane Arturo Toscanini, incitato da alcuni colleghi strumentisti, primo tra questi Francesco, prese la bacchetta, chiuse lo spartito e incominciò a dirigere l’opera a memoria. Ottenne un grandissimo successo, iniziando così la carriera di direttore a soli 19 anni, continuando a dirigere nella tournée per un anno intero.

    Al momento del rimpatrio Francesco diserta ed abbandona la compagnia. In realtà, nell’attesa dell’imbarco, su un piroscafo che tardava a giungere dall’Italia, aveva partecipato, segretamente a Rio de Janeiro, ad un concorso indetto dal Governo Imperiale Brasiliano qualificandosi per l’incarico di Maestro di Musica Bandistica della Marina Militare.

    Mentre Arturo mieteva i propri successi e ottenendo, al ritorno in Italia, la scrittura al Teatro Carignano di Torino per dirigere Edmea e, poi nel 1888, La forza del destino al Teatro Dal Verme di Milano, Franceso girava nei diversi stati dell’impero di Dom Pedro II innamorandosi di quell’immenso semi-continente sudamericano e forse anche… delle donne brasiliane.

    Passarono dieci lunghi anni prima che rientrasse in Italia, giusto a tempo per impalmare la ricca erede della nobile casata d’Auria. La scelta era stata fatta per lui dalla famiglia, così come accadeva in quei tempi. La luna di miele durò tre mesi, visitando le più belle città italiane e d’Europa ma si concluse, poi, in Brasile.

    Francesco ritornò, diversi anni dopo, in quella terra tanto amata ed il Brasile gli aprì le braccia consolatorie per la prematura dipartita della consorte perita nel terremoto che distrusse Messina.

    Mentre rifletteva sul suo passato tentando di mettere ordine nella propria vita di esiliato volontario, aveva compiuto da poco tempo 45 anni e si trovava ad Itabira, una cittadina dello Stato di Minas Gerais. Lì vi era giunto per via della nuova professione perché, a dispetto del motto Cidade do Ferro che appare sulla bandiera municipale, c’è uno dei più importanti giacimenti di smeraldi del mondo che vengono estratti a cielo aperto.

    Brasile – Stato di Minas Gerais - Città di Itabira, Sabato 28 dicembre 1912 - Anniversario del terremoto a Messina

    Un ricordo allucinante perseguitava ancora, dopo quattro anni, Francesco: si trattava della tragedia accaduta alcuni giorni dopo il Natale dell’anno 1908. Il quello stesso giorno di quattro anni prima Francesco perse, per intero, la propria famiglia.

    All’alba di quel funesto Lunedì 28 dicembre, un terremoto improvviso si abbatté violentemente sullo Stretto, colpendo Messina e Reggio Calabria: erano le ore 5,20 circa. Uno dei più potenti sismi della storia italiana aveva quindi colto la regione nel sonno, interrotto tutte le vie di comunicazione, le strade, le ferrovie per Palermo e Siracusa, le tranvie per Giampilieri, sospeso così l’illuminazione stradale fino a Villa San Giovanni e a Palmi. Era avvenuto un terremoto con lo strascico di un maremoto: uno Tsunami, anche se nei primi anni del ‘900 questo vocabolo orientale era poco conosciuto. L’evento devastò particolarmente Messina, causandovi il crollo del 90% degli edifici.

    Tra questi anche il palazzo avito della duchessa Rosaura d’Auria, moglie di Francesco, che subì la quasi totale perdita. Fatta eccezione per la facciata frontale, dei quattro piani nulla era restato in piedi mentre Donna Rosaura era perita con i due figlioletti, anch’essi sepolti sotto le macerie. Il caso volle che Francesco si salvasse giacché, da molti giorni, si trovava, a Milano per una serie di concerti presso il Regio Ducal Teatro alla Scala.

    Francesco in quel quarto anniversario triste rivedeva, rivivendo il proprio dolore, le scene di quel fatto luttuoso: il rientro precipitoso a Messina con mezzi di fortuna, la ricerca dei corpi scavando tra le macerie, il funerale con la presenza dei pochi parenti sopravvissuti, la sepoltura nella tomba di famiglia, ed il lamento delle prèfiche il cui pianto, a pagamento, echeggiava ancora nella sue orecchie come un moto persecutorio. Ricordò che nei mesi successivi non riusciva più a vedersi in quei luoghi colpiti dalla distruzione né se la sentiva di ricostruire quanto più non c’era in quella città desolata. Neppure la musica riusciva a distoglierlo dal dolore. Sentendosi addosso l’odore di una morte incombente, aveva preso l’abitudine di lavarsi sfregando vigorosamente la pelle ma per quanto sfregasse quell’odore, che gli era entrato nelle narici, persisteva. Francesco era dimagrito fuor di misura ed il suo corpo si trascinava con passi faticosi in quella realtà vera ma allucinante. Qualche mese dopo cedette le terre di proprietà, poste al di qua ed anche al di là dello Stretto. Trattandosi di giardini coltivati ad agrumeto, i sensali non avevano incontrato difficoltà a trovare i giusti acquirenti che pagassero per contanti.

    Liquidate le terre, ché degli immobili nulla era restato in piedi, incassato ogni avere in banca e quanto realizzato dalle vendite, Francesco decise di lasciare la nativa Trinacria per andare a vivere lontano. Qualsiasi destinazione gli sarebbe andata bene pur di lasciarsi alle spalle una realtà che riteneva inaccettabile. Fu così che si rammentò di un tempo gaio e del ridente Brasile.

    Partì imbarcando un bagaglio leggero ed il suo flauto traverso riposto un una custodia che teneva per mano ma non sapeva che, con le poche cose, si stava portando addosso il peso gravoso dei propri ricordi.

    Brasile – Stato di Minas Gerais - Città di Itabira, Mercoledì 01 gennaio 1913 - La vita… continua

    L’anno vecchio aveva lasciato il passo a quello nuovo. Dopo i festeggiamenti del Natale e di Fine Anno la vita stava incanalandosi nelle abitudini quotidiane. Francesco, passando per le viuzze cittadine, non poté fare a meno di riconoscere l’odore di feijoada che riempiva l’aria di aromi di cose buone da mangiare. In quel Mercoledì, giornata nella quale si cucina il piatto tipico del Brasile, nonostante fosse il primo giorno dell’anno nuovo, il flautista italiano percepì che la vita continua nonostante tutto; e la vita stava, infatti, continuando anche per lui che, vista l’ora, stava entrando in una trattoria del Centro per pranzarvi.

    Non a caso la feijoada rappresenta, per ogni abitante del Brasile, un simbolo che porta la memoria in dietro nel tempo lontano. Definito anticamente o prato dos escravos altro non è che una elaborazione della comida basica, chiamata anche comida trivial quando è priva delle carni, è composta da piccoli fagioli neri cotti insieme al riso con l’aggiunta di pezzi di carne di manzo e di maiale, precedentemente rosolati insieme a listerelle di cavolo nero soffritto. È un cibo forte composto da carboidrati, proteine vegetali ed animali: il cibo per chi deve fare lavori pesanti come quello nelle fazendas do café, negli engenhos do açucar, oppure usando piccone e pala nelle minas.

    Affondando il cucchiaio nella zuppa di riso e fagioli, Francesco non poté fare ameno di considerare che tutti siamo schiavi, discendenti di schiavi o meno, ed anche i nostri figli, i nipoti e poi anche i pronipoti lo saranno. «Tutti, nel mondo intero, sono schiavi… nessuno escluso» si disse pensieroso.

    Un atto banale, come quello

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