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L'importanza del fattore C
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L'importanza del fattore C

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Anna, novella Bridget Jones di estrazione proletaria che coltiva il sogno - che parrebbe quasi irrealizzabile - di un lavoro dignitoso, di una casa e di una famiglia ha una sorella, Alice, bella e ‘un po’ stronza’, che fa la modella e il cui destino è legato a doppio filo a un fidanzato ricco e alla di lui famiglia. Due vite che fin dall’inizio procedono sui binari paralleli condizionate inesorabilmente dal fattore C che Alice possiede e Anna no.L’importanza del fattore C è la storia tragicomica di Anna, una giovane donna alle prese con i problemi dei nostri giorni, tra cui la precarietà e le attenzioni moleste da parte di uomini senza scrupoli che si fanno scudo della loro posizione di potere per chiedere favori sessuali in cambio di un posto di lavoro, la quale, grazie alla sua caparbietà e all’appoggio di un gruppo di amiche squinternate che le stanno vicino nei momenti più bui, riuscirà a raggiungere i suoi obiettivi e a realizzare le sue aspirazioni. L’importanza del fattore C è un esempio spassoso di quanto anche in tempi di crisi essere positivi sia necessario, lasciandoci un messaggio importante: non dobbiamo mai rinunciare ai nostri sogni.
LanguageItaliano
Release dateSep 16, 2015
ISBN9788899315283
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    L'importanza del fattore C - Maria Nadia Stefano

    Table of Contents

    Maria Nadia Stefano - Lʼimportanza del fattore C

    L'importanza del fattore C

    L'autrice: Maria Nadia Stefano

    L'importanza del fattore C

    Premessa

    PARTE I - Un tonfo nel passato prossimo

    Capitolo 1 - L’inafferrabile fattore C

    Capitolo 2 - E se non fosse vero?

    Capitolo 3 - Sogni in frantumi

    Capitolo 4 - La mia scatola dei ricordi

    Capitolo 5- Le amiche del cuore

    Capitolo 6 - Un matrimonio da favola

    PARTE II - Il paradigma delle apparenze

    Capitolo 1 - Una sconfortante partenza

    Capitolo 2 - I professionisti della toccata e fuga

    Capitolo 3 - Quando Cupido sbaglia bersaglio... (oppure Saverio)

    Capitolo 4 - L’amore è davvero tutto ciò di cui abbiamo bisogno? (oppure Dario)

    Capitolo 5 - Un imprevedibile manrovescio

    Capitolo 6 - Lavinia, alias la negriera

    Capitolo 7 - Oreste, Mr Acido Muriatico

    Capitolo 8 - Io, Lui e…Facebook

    Capitolo 9 - Una triste dipartita

    PARTE III - Resurrezione

    Capitolo 1 - Non può piovere per sempre

    Capitolo 2 - I bizzarri percorsi della vita

    Capitolo 3 - Cambiamenti

    Capitolo 4 - Ritorno alle origini

    Capitolo 5 - Una sconosciuta (oppure aliena) tra noi

    Capitolo 6 - Quando l’amore bussa di nuovo alla tua porta

    Capitolo 7 - In amor vince sempre chi fugge?

    Capitolo 8 - Finalmente l’amore

    Capitolo 9 - In due è più bello

    Capitolo 10 - La mia nuova vita con Marco

    Capitolo 11 - Paris mon amour…

    Capitolo 12 - Piccoli contrattempi

    Capitolo 13 - Evviva la libertà

    Capitolo 14 - Vacanze d’inverno

    Capitolo 15 - Casa dolce casa…oppure no?

    Capitolo 16 - Un epilogo imprevedibile

    Ultimo

    Maria Nadia Stefano - 

    Lʼimportanza del fattore C

    romanzo

    Maria Nadia Stefano

    L'importanza del fattore C

    Musicaos Editore, 2015

    ISBN 9788899315

    L'importanza del fattore C

    L’importanza del fattore C è la storia tragicomica di Anna, una giovane donna alle prese con i problemi dei nostri giorni, tra cui la precarietà e le attenzioni moleste da parte di uomini senza scrupoli che si fanno scudo della loro posizione di potere per chiedere favori sessuali in cambio di un posto di lavoro, la quale, grazie alla sua caparbietà e all’appoggio di un gruppo di amiche squinternate che le stanno vicino nei momenti più bui, riuscirà a raggiungere i suoi obiettivi e a realizzare le sue aspirazioni.

    Anna, novella Bridget Jones di estrazione proletaria che coltiva il sogno - che parrebbe quasi irrealizzabile - di un lavoro dignitoso, di una casa e di una famiglia ha una sorella, Alice, bella e ‘un po’ stronza’, che fa la modella e il cui destino è legato a doppio filo a un fidanzato ricco e alla di lui famiglia. Due vite che fin dall’inizio procedono sui binari paralleli condizionate inesorabilmente dal fattore C che Alice possiede e Anna no.

    Ed ecco il punto: il fantomatico fattore C, da cui, secondo nonna Gina, dipende la felicità di ciascuno di noi e che Anna scoprirà solo in ultimo che non ha proprio niente a che fare con le teorie strampalate della simpaticissima e vivacissima nonnina.

    Dopo aver collezionato una serie di brutte avventure lavorative e di drammi personali e soprattutto innumerevoli storie fallimentari con uomini egoisti e inaffidabili che l’hanno fatta molto soffrire, Anna troverà la forza per mutare il suo destino e finalmente riuscirà a imbattersi nell’uomo della sua vita.

    Se cerchi una mano nel momento del bisogno, la trovi alla fine del tuo braccio, dice Confucio. Una dura lezione che Anna dovrà, suo malgrado, imparare per sopravvivere in un mondo dove primeggiano i furbi, i raccomandati e i figli di… e quelle che l’amica Doriana chiama le ‘pantegane’, ovvero quelle disposte a ‘aprire le gambe’ per ottenere favori e una carriera lavorativa di tutto rispetto.

    L’importanza del fattore C è un esempio spassoso di quanto anche in tempi di crisi – una crisi che in questo momento pare proprio non debba avere mai fine - essere positivi sia necessario per andare avanti e che non bisogna arenarsi ne arrendersi di fronte alle difficoltà per quanto queste ultime possano sembrare insormontabili. In modo scanzonato e facendoci allo stesso tempo riflettere, L’importanza del fattore C ci lascia infine con un messaggio importante: non dobbiamo mai rinunciare ai nostri sogni.

    L'autrice: Maria Nadia Stefano

    Maria Nadia Stefàno Classe ’69, è giornalista e traduttrice. Nel 1992 ha vinto il premio giornalistico Gino Tornese - amore per il teatro. Ha collaborato con diverse testate giornalistiche tra cui la rivista nazionale La Protezione Civile Italiana, edita da Edizioni Nazionali di Milano, di cui è stata corrispondente e direttore per la Puglia. Ha al suo attivo numerose collaborazioni come addetto stampa, la più recente con il centro di cultura Raffaele Protopapa. Dal 2006 collabora come traduttrice e valutatore di inediti con la casa editrice Besa di Nardò. Dal 2012 collabora come redattore presso la Iservice srl di Montecatini Terme. 

    È stata premiata come finalista nella sezione racconti dei seguenti premi nazionali: [2009] - XII° Premio Nazionale "Domenico Rea – ed. Ibiskos-Ulivieri - Empoli - [2010] – Menzione speciale - Premio Nazionale Sembrava fosse amore...invece - Enrico Folci Editore - Roma - [2010] - Premio Nazionale "Emozioni in bianco e nero - ed. Del Poggio – Poggio Imperiale (Fg) [2010] - 7° classificata - Premio Nazionale Superbia non avrei mai immaginato che.. - Enrico Folci Editore – Roma [2011] – Premio Nazionale Scrittura e Immagine – ed. Amande - Casier (Tv)

    In copertina Small world di Sanja Gjenero, rgbstock.com

    L'importanza del fattore C

    Qualsiasi riferimento a fatti o persone reali è puramente casuale

    A Marisa, Stella e zia Graziella

    "I destini dell’uomo sono come i fiumi,

    alcuni scorrono veloci,

    senza incertezze, lungo facili percorsi.

    Altri passano attraverso mille difficoltà,

    ma arrivano ugualmente al mare..."

    Romano Battaglia

    Premessa

    Non ho mai creduto neanche per un momento che a questo mondo potesse esistere la felicità.

    Almeno non nel MIO mondo, non nella MIA vita.

    Bene che vada - pensavo - potrò essere contenta, al massimo serena, ma MAI del tutto felice.

    Di fatto alla mia felicità è sempre mancato un tassello: il lavoro perfetto, la condizione economica perfetta, la famiglia perfetta, la casa perfetta, il partner perfetto...

    L’apoteosi dell’imperfezione, insomma, non come somma di mancanze, ma come quadro perfetto in cui un dettaglio microscopico basta a offuscare la perfezione.

    Da piccina non ho mai creduto nemmeno a Babbo Natale, in verità. Sarà perché a me i regali li portava la Fiat e che li vedevo in anteprima sul catalogo che ci arrivava a casa a mezzo posta e soprattutto perché - guarda caso - erano sempre diversi da quelli che io desideravo.

    La Barbie Principessa è rimasta per me un sogno irraggiungibile: una volta raggiunta l’età giusta, ho ricevuto in regalo una cucina! Accidenti!

    E poi c’era LEI, la mio ostinata incredulità, la profonda e radicata disistima verso me stessa, la cronica sfiducia nelle MIE capacità, il mio caro pessimismo e l’assoluta certezza di essere sempre e comunque destinata a restare fuori dai giochi, a godere in disparte della felicità altrui, a stare a guardare come in un film in 3D le esistenze luminose degli altri, o per meglio dire, ciò che di esse gli altri lasciavano trasparire…

    E invece, a un certo punto, ho dovuto ricredermi.

    Perché c’è una felicità che nessuno mai, in nessun caso, può toglierti ed è la felicità di esistere, di sentirti parte di una pluralità di esseri viventi unici e senza eguali, una piccolissima, ma insostituibile ruota di quellʼingranaggio meraviglioso e in continuo movimento chiamato universo. Una felicità che dipende direttamente da NOI a prescindere da ciò che ci accade intorno, qualcosa che ha a che fare con ciò che realmente siamo e non con l’opprimente involucro dell’apparenza.

    La felicità è un percorso, non una destinazione - ha detto una volta Madre Teresa di Calcutta. Adesso ci credo anch’io.

    Il vento le schiaffeggiava il viso che fissava assorto un punto indefinito al di là della parete finestra spalancata al quinto piano di un grattacielo sollevandole nel contempo il leggero vestitino di cotone a fiori che le copriva il ventre rotondo e gonfio. Lei non ci badò. Quel giorno faceva caldo, tanto caldo e in testa aveva di nuovo quel fastidioso ronzio che di tanto in tanto continuava a fare capolino.

    Un po’ d’aria fresca non può farmi male - pensò.

    Neanche il tempo di elaborare quel pensiero e le sue gambe presero a muoversi in direzione di quel varco da cui provenivano i rumori e gli odori del traffico sottostante. Camminava lentamente, un passo dopo l’altro con la stessa attenzione di una modella che cammina in bilico sui tacchi a spillo sulla passerella.

    Non c’è nessuna fretta - pensò.

    BIIIP! BIIIP!

    Lei sobbalzò. Si fermò giusto un istante nel quale i ricordi di una vita le attraversarono la mente.

    Maledetti clacson - pensò.

    Si passò una mano sugli occhi per scacciare quei pensieri.

    Big Ben ha detto stop, è ora di voltare pagina una volta per tutte - si disse tra sé e sé.

    Si fermò proprio là davanti, tirò un profondo respiro e fece per affacciarsi. Le gambe le tremarono.

    Si bloccò a pochi millimetri dal parapetto.

    Stavolta nessuno mi fermerà - si disse.

    Adesso era proprio lì davanti. Una ventata improvvisa la raggiunse e le scompigliò i capelli.

    Si fece coraggio e si sporse per vedere cosa c’era come usava fare da bambina.

    Curiosity killed the cat direbbe qualcuno da queste parti - rise tra sé.

    La strada pullulava di puntini che zigzagavano da tutte le parti simili a insetti impazziti che corrono di qua e di là quando il formichiere attacca il termitaio.

    Un brivido la percorse da capo a piedi come una scossa elettrica.

    Accidenti - pensò - devo sbrigarmi.

    Sentì l’aria penetrare nei pori della pelle e espandersi attraverso il derma, i muscoli, i tendini e le ossa. Sentì il respiro sfuggire al suo controllo. Sentì il battito del cuore accelerare sempre più e martellarle in petto come un forsennato...

    ANNA!

    La porta della stanza era aperta adesso. Due occhi studiavano con apprensione i suoi movimenti.

    ANNA!

    Una voce maschile rimbombò nello spazio circostante.

    Lei non si mosse. Non riusciva a sentire. Era come in trance.

    Un grido squarciò l’aria.

    Lei si riscosse. Fece un passo indietro. Si voltò lentamente, lo guardò, si toccò il ventre e sorrise.

    PARTE I - Un tonfo nel passato prossimo

    Capitolo 1 - L’inafferrabile fattore C

    Nonna Gina lo dice sempre Devi avere fortuna anche a nascere cane, un’indubbia allusione a Pallina, il nostro simpaticissimo e viziatissimo yorkshire instancabile dispensatore di coccole per tutta la nostra famiglia. Col tempo ho scoperto che nella sua filosofia spicciola da donna del sud nonna Gina aveva ragione: il fattore C, quella parte del corpo volgarmente detta culo, termine con cui normalmente identifichiamo anche la dea bendata, è davvero determinante nella vita di qualsiasi essere umano che popoli questo pianeta. È quel misterioso coefficiente che influenza l’esistenza di ogni uomo e donna e che segna fin da subito il confine tra chi nella vita avrà le migliori opportunità - a prescindere dalle capacità e dal talento personale - e chi, al contrario, dovrà per tutta la vita arrabattarsi in mezzo a mille difficoltà, accontentandosi di arrivare sempre secondo, dopo qualcun altro che invece ha amicizie importanti e una famiglia potente alle spalle, particolare che per qualche strana ragione finisce puntualmente per rendere appetibile agli occhi di qualsiasi datore di lavoro chi si propone per un posto di lavoro.

    Chi ha il fattore C è destinato a frequentare gli ambienti e le persone giuste, può studiare nelle università più prestigiose e lavorare subito senza affrontare l’odioso spettro della disoccupazione.

    Di questi esseri baciati dalla fortuna per diritto di nascita ne ho conosciuti parecchi. Di loro soltanto in pochi hanno conquistato la mia stima, quanto agli altri ho avuto modo di constatare che si dividono sostanzialmente in due specie protette: gli inetti e i palloni gonfiati.

    I primi sono esseri inutili, di cui il sommo Dante direbbe: non ragioniam di lor, ma guarda e passa.

    Allampanati o, di contro, strabordanti e informi, passo incerto e, non di rado, strascicato e claudicante, occhialini da scolaretto o, al contrario, a fondo di bottiglia, sguardo perso nel vuoto combinano un look improbabile che sfida le più elementari regole della moda all’abitudine di fare discorsi banali e ripetitivi. Non di rado sono figli unici di un uomo brillante che gode della stima e del rispetto dell’intera comunità e di una madre altrettanto in gamba che ha supplito alle assenze del compagno, tenendo in ostaggio il proprio rampollo nella villa di famiglia e sobbarcandolo di attenzioni invasive che col tempo ne hanno inibito qualsiasi forma di iniziativa compreso l’ingrato compito di sbucciare la frutta.

    Che ci siano o no in ufficio, non cambia proprio nulla: il loro contributo umano e professionale rasenta lo zero. I boss, però, li trattano con i guanti di velluto e li venerano al pari di dei scesi in terra. E, chissà come mai, a loro toccano promozioni e incentivi.

    Peccato che non siano in grado di fare niente di concreto, neanche di mettere assieme due parole di senso compiuto, che siano sgradevoli alla vista quanto noiosi e petulanti e che vivano tutta la loro inutile e inconcludente vita all’ombra del loro augusto capo famiglia, al quale debbono tutto compresa una laurea comprata da qualche parte come il pesce al mercato, un lavoro superiore alle loro capacità e persino una fidanzata blasonata scelta con accuratezza in mezzo alle tante conoscenze di mamma e papà.

    Quando si dice la fortuna…

    Se i primi tutto sommato sono esseri innocui, i secondi sono mine vaganti disseminate a caso sulla faccia della terra.

    Fisico palestrato, abiti firmati e capelli ingelatinati, sono l’anima delle feste vip, di cui sono gli animatori e gli organizzatori. A volte, quando se ne ricordano, vanno a lavorare. Un regalo quest’ultimo della premiata ditta mamma&papà nei confronti del quale nutrono un sotterraneo disprezzo, ragion per cui tendono a fare a scarica barile con qualche collega volenteroso che si sobbarca il peso delle pratiche inevase oppure si fanno esonerare dai loro compiti in maniera subdola tanto, si sa, che nessuno oserà mai sbatterli fuori da lì col rischio di subire dolorose squalifiche professionali. E, proprio in ragione del fatto che non hanno sudato le proverbiali sette camicie per ottenere ciò che hanno, sono quelli che si lamentano di più. E, mentre i loro colleghi si danno da fare per portare avanti la baracca, loro si godono la vita e una casa acquistata in contanti dai genitori alla faccia della meritocrazia!

    Ultimo, ma non meno importante coefficiente di successo, è nascere nel luogo giusto che non è necessariamente quello in cui ci toccherà vivere, visto che, nel mio caso, sono passata da una grande metropoli del nord a una cittadina del sud.

    Un ulteriore elemento di sfiga?

    BAH

    Vuoi mettere mi ha detto una volta la mia amica Giulia le opportunità che puoi avere al nord rispetto a quelle che ci sono al sud?

    E, in effetti, Giulia lavora in una multinazionale a Lugano anche se vive a Milano, guadagna bene, si è perfettamente integrata nell’ambiente milanese e sembra essere perfettamente soddisfatta di sé e della propria vita.

    Peccato, però, che ogni giorno torni a casa a mezzanotte, che la sua vita sociale sia pressoché inesistente e che nel suo loft in centro non vada mai a trovarla nessuno - in casa non c’è mai! - e persino la sua micetta, Regina, soffra di sindrome di abbandono, tanto che il suo appartamento è diventato un campo di battaglia e la stoffa dei divani e delle tende siano completamente rovinati!

    Povera Giulia! Pensava di aver trovato la felicità e invece ha trovato una pseudo-vita da single incallita che non riesce a tenersi uno straccio di fidanzato, visto che, considerata la vita che fa, non ha mai tempo per gustarsi le gioie e i dolori della vita di coppia!

    A proposito, non mi sono ancora presentata. Mi chiamo Anna come la madre della Madonna, la donna forte e determinata che non sarò mai, quella che confida nel proprio destino, quella sicura di sé che non si abbatte di fronte alle avversità, quella che combatte contro i mulini a vento e riesce ad averne la meglio, quella che fa le scelte giuste al momento giusto, quella che cade sempre in piedi e che ottiene sempre ciò che desidera, costi quel che costi, quella che non si volta mai indietro a guardare le rovine e i cadaveri che si è lasciata alle spalle, quella che va avanti ostinatamente per la sua strada come un carro armato, schiacciando senza pietà chiunque enti di ostacolarla…

    Una vera guerriera Ninja, una vincente insomma, cosa che certamente non sono io e che, in verità, non ho mai preteso di essere.

    Ho 38 anni e sono una precaria. Non sono sposata. Non ho figli. Odio il mio compleanno e le feste comandate.

    In casa ci viviamo in quattro. Mio padre, Mario, operaio, è uno di quelli che ti rimprovera, se compri un paio di scarpe che, secondo lui, non ti servono, che controlla in continuazione quanti soldi si spendono in casa, che si lamenta di tutto e di tutti, che mette su un teatrino quando c’è bisogno di fare dei lavori in casa salvo poi vantarsi con gli altri delle migliorie che lui avrebbe apportato. Per lui spendere dei soldi per sé, per un piccolo sfizio, è semplicemente inconcepibile.

    Vittima principale di questo modus operandi, è mia madre, Livia, insegnante di sostegno in perenne attesa di entrare in ruolo, che ha elaborato un metodo tutto suo per sopportare lo stress di un marito petulante e pessimista: non ascoltarlo e fare a modo suo cercando di non farci mancare niente anche a costo di sacrifici personali e di negarsi il piacere di un abito nuovo. Apprezzo i suoi sforzi, ma io non voglio una vita così: non voglio tra i piedi qualcuno che mi chieda conto di quanto guadagno e di che cosa ne faccio dei miei soldi.

    Poi c’è Alice, la mia sorella minore.

    Due enormi occhi azzurri che illuminano un volto da madonnina imbronciata che incanta chiunque ne incroci lo sguardo e una lieve propensione alla svagatezza e alla stravaganza, il che ne non fa che accrescerne il fascino da incantatrice di serpenti. La sua bellezza e intelligenza l’hanno sempre posta al di sopra di tutti noi e per lei mio padre non ha mai badato a spese.

    Alice è sempre stata la cocca di papà.

    Non poteva che essere così. Da quando lei è nata occupa un posto speciale nel suo cuore. Per una bambina di cinque anni per la quale il papà è ancora un eroe che uccide i draghi, è stata una cosa un po’ dura da digerire, ma ho dovuto farci il callo. Del resto è sempre stato così: nessuno è mai riuscito a resistere ad Alice, nessuno è mai riuscito a dirle di no, meno che mai mio padre anche se non lo ammetterà mai.

    Contrariamente a me, lei è l’estroversa della famiglia, possiede la rara dote di essere sempre allegra e piena di vita ed è sempre prodiga di affettuosità.

    Io invece sono quella allergica ai baci, sono poco incline a dare confidenza a chi non conosco, sono ‘chiusa’ come i miei sono soliti dire quando si riferiscono a me.

    Insomma lei è il sole, io la luna. Lei la bionda, io la bruna: lunghi capelli lisci e sottili che incorniciano un ovale dove brillano due occhi scuri e seri che si posano con finta noncuranza sull’interlocutore che non si accorge di essere sottoposto ai raggi X per un rapido esame che ben pochi riescono a passare.

    Per lei è stato tutto facile: fare amicizia e scegliere la scuola giusta, andare a studiare a Milano e ritrovarsi catapultata nel mondo dei vip e di quelli che contano e una carriera tutta in discesa.

    Ovviamente, non è tutto farina del suo sacco: oltre all’appoggio incondizionato dei miei genitori, Alice ha avuto la fortuna di incontrare Pierandrea, il suo fidanzato, rampollo di una nota famiglia di imprenditori che l’ha subito presa sotto le sue ali.

    Del resto, per i belli è tutto più semplice. A cominciare dalle attenzioni degli adulti. Lei non ha mai dovuto fare niente per ottenerle. Le bastava semplicemente esistere. In qualità di sorella maggiore ho, però, sviluppato un forte senso di responsabilità, laddove lei è stata sempre superficiale, egoista e con uno spiccato senso dell’opportunismo.

    Avrei voluto imparare a suonare il piano - ma, ahimè, era troppo caro - e mi è toccato accontentarmi di un corso di danza classica che si teneva a scuola nel pomeriggio, disciplina per la quale non sono mai stata portata.

    La principessina, invece, non ha dovuto fare altro che spalancare i suoi occhioni blu e aprire bocca per ottenere tutto ciò che voleva.

    Papino! Monica mi ha detto che stanno organizzando un corso di portamento. Le mie compagne di scuola si sono già iscritte. Posso iscrivermi anch’io?

    Papi, ho saputo che stanno facendo un corso di dizione. Posso farlo anch’io?

    Ovviamente, lui ha sempre detto di si. Poco importa che quei corsi siano costati un occhio della testa e che lei se ne sia stancata solo dopo pochi mesi.

    Eh, già, proprio una bella lezione di vita!

    Grazie a lei, ho capito che essere un po’ stronza, in fondo, paga. Fin da piccola, Alice ha capito perfettamente come manipolare il prossimo per ottenere ciò che vuole senza fare troppi sforzi, al contrario della sottoscritta che si è sempre dannata l’anima per farsi apprezzare anche nel mondo del lavoro. E fin dal primo anno di università, Alice ha cominciato a lavorare come modella. E a guadagnare soldi, molti soldi.

    C’est la vie!

    Si vede che lei il fattore C ce l’ha assieme alla fortuna di aver incontrato Pierandrea.

    Pierandrea chi?

    Pierandrea Guidi, figlio di Giorgio Guidi, imprenditore nel campo della moda. Un ragazzone allampanato, biondo con la faccia da bravo ragazzo e due occhi di ghiaccio dai quali non traspariva mai nulla, né un pensiero né un’emozione.

    MAI, neanche una volta.

    Fin dal principio, non l’ho sopportato. C’è sempre stato qualcosa di irritante e insincero nel suo modo di trattare i miei e me, in particolare.

    Di contro, i miei genitori sono letteralmente caduti ai suoi piedi, pronti a farsi calpestare dal buon partito, soprassedendo sul fatto che nessun discendente di primo grado di un ignorante arricchito e di una donna rozza che si ostina a dimostrare al mondo intero il suo aperto quanto ingiustificato disprezzo per chi non apparteneva all’elite e per gli immigrati, non può e non deve permettersi di mancare di rispetto ai genitori della sua ragazza e alla di lei sorella.

    I miei oscuri presentimenti si sono rivelati esatti, la sera in cui mi sono recata assieme ad Alice nella villa di famiglia di Pierandrea in occasione di un party in piscina.

    Quel giorno indossavo un paio di leggings neri attillati e un’ampia maglia bianca stretta leggermente sui fianchi con un leggero scollo a V sul retro.

    Alice era avvolta in uno dei suoi magnifici mini-abiti di grido che faceva risaltare ancora di più le sue belle forme da diciassettenne. Sua maestà, il principe Pierandrea, ci ha accolte sulla soglia della sua reggia con un informale Salve ragazze!, un sorriso smagliante diretto alla sua principessa che pendeva dalle sue reali labbra e uno ammiccante diretto a me.

    L’ho ricambiato con uno sguardo torvo. Ho tirato un sospiro di sollievo, quando sono stati letteralmente risucchiati dalla schiera vociante dei suoi amici.

    Ehi tu, Juve! Dove stai andando? mi ha apostrofato un tipo corpulento che indossava una maglietta nera firmata D&G che gli tirava sui fianchi e che dava ampio spago alle maniglie dell’amore che facevano bella mostra di sé, grazie a un paio di jeans aderenti in tinta di almeno una taglia più piccoli.

    Non gli ho risposto. L’ho lasciato lì, a bordo piscina, che gesticolava vivamente per attirare la mia attenzione. Ho tirato dritto.

    Che gran maleducato! Ma chi si credeva di essere???

    Mi sono accomodata su una sdraio a distanza di sicurezza dalla folla ululante che si dimenava a suon di musica a bordo piscina e dai professionisti dello spruzzo e ho preso ad accarezzare

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