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Vuoto infernale
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Vuoto infernale

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About this ebook

Leonardo sale in cima a un grattacielo per farla finita ma, mentre cambia idea, cade comunque. Si risveglia in uno strano luogo che assomiglia a un inferno, dove viene costretto a consegnare l'anima della persona più cara che ha, Anabel, la quale viene subito presa in pegno e relegata in un luogo chiamato "Fossa".

Nell'esplorare questi luoghi apparentemente eterni, entrambi attraverseranno le loro debolezze e parte del loro passato, alla ricerca dell'altro e del motivo per cui esiste questo luogo di dolore. Una potente, cruda e visionaria riflessione sull'amore, il perdono e i limiti della mente umana.
LanguageItaliano
Release dateMar 2, 2016
ISBN9788892561076
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    Vuoto infernale - Severino Cirillo

    Farm

    Leonardo

    Sotto di me ci sono ottantacinque piani di vuoto. Il vento quassù è forte e di solito non si vede nulla a causa dell’inquinamento ma stranamente, oggi, il cielo è limpido. Vedo minuscole automobili, a milioni, correre sotto di me e insieme a loro un sacco di formiche senza cervello. Sono salito qui anche se mi avevano detto che la sicurezza non me l’avrebbe permesso, ma siamo in Cina e niente funziona come dovrebbe. In un altro Paese qualcuno mi avrebbe fermato e io non sarei qui a uccidermi, ora... sempre che ci riesca. Il fiume Huangpu scorre, putrido, in una meravigliosa curva che separa le due città... pensare che il centro avrebbe dovuto essere da questa parte, e invece è di là. Ma quanta differenza ha fatto, alla fine?

    Benvenuti allo spettacolo della vita e della morte! A separarle solo pochi centimetri... di libero arbitrio!

    Recito ad alta voce questa pantomima per cercare di tranquillizzarmi. La verità è che non ho più troppo coraggio per farlo e poi ho sempre sofferto di vertigini. Da qui la città sembra pure bella…

    Cosa farà il nostro eroe? Farà il passo o non lo farà? Mostrerà al mondo come ci si butta dalla Shanghai Tower, o semplicemente rimetterà la coda tra le gambe come sempre e tornerà in quel buco di culo dove abita?

    È un momento strano: sto finalmente per morire, ma non so se lo farò. È bastato cambiare prospettiva per un attimo e anche tutto il mondo è cambiato… che strano. Che senso ha tutto questo? Sono a seicento metri da terra e il disegno del lavoro dell’uomo è bello, da qui. Credo che non mi butterò, alla fine.

    Subito, una folata di vento mi spinge oltre il cornicione.

    L’accelerazione è pazzesca: questa proprio non me l’aspettavo. Si spegne la luce molto prima dell’atterraggio.

    Mi sveglio all’inferno. Dante aveva quasi ragione! L’inferno c’è: non è esattamente quello che descriveva lui, ma capisco di essere qui perché, che io ci creda o no, c’è un cartello stradale simile a quelli che abbiamo sulla Terra con scritto INFERNO. Ovviamente in italiano, ma credo che sia perché sono italiano anch’io e alla fine io lo leggo così. Sono in piedi sull’orlo di un burrone. Che l’inferno semplicemente mi costringa a ripetere per sempre l’ultimo gesto che non avevo il diritto di compiere? Una folata di vento rovente mi colpisce… ma non è questo che succede, non cado. La vista è impressionante: oltre il burrone, vedo un fiume rosso e calmo scorrere in una curva simile a quella del fiume Huangpu, sul confine tra Puxi e Pudong e tante, tantissime formiche muoversi laggiù a una distanza folle. Imbarcazioni di forme inusuali solcano quelle strane acque e un cielo nero riposa sopra tutto questo. Non siamo sottoterra, ma l’inferno per ora assomiglia almeno in parte a quello a cui ci hanno abituati.

    Benvenuto all’inferno, ragazzo! mi dice un signore non molto distinto. Baffoni, cappello da cowboy e vestiti impolverati mi ricordano un personaggio del vecchio West.

    Buon…giorno? Siamo davvero all’inferno qui?

    Che domande fai? Sei mai stato in un luogo diverso? mi chiede, divertito. Giusta osservazione: forse chi viene qui, non ha mai voluto essere altrove. Quasi tutti facciamo scelte con le nostre abitudini.

    Okay. Chi è lei? gli chiedo.

    "Dammi del tu, idiota! Perché ti sei buttato? Noi apprezziamo la compagnia, ma preferiremmo che la gente non venisse qui. Non si vive molto bene, come puoi immaginare."

    Mentre mi parla, noto tutto intorno il terreno roccioso e arido, nero come lava asciutta, e il cielo altrettanto nero. La poca luce che arriva a noi, se così la possiamo definire, sembra più l’aura del luogo. Non c’è sole e non c’è lava, come si potrebbe pensare.

    Mi sono buttato… sono caduto!

    Ehi, raccontala a qualche altro coglione questa stronzata.

    Ma davvero sono caduto! gli dico, indignato.

    E che cazzo ci facevi in cima alla Shanghai Tower? Non è nemmeno aperta al pubblico!

    Mi arrendo.

    Non lo so... È che tutte le difficoltà sono sempre così grandi... e non ce l’ho più fatta.

    Ti sorprenderai di quanto è semplice la vita qui, allora. E non preoccuparti: la tua scelta avrà un prezzo salato che dovrai pagare.

    Che tipo di prezzo? gli chiedo, ovviamente preoccupato.

    Perché dovrei rovinarti la sorpresa? mi domanda, sempre divertito. Poi continua:

    Andiamo, sta per arrivare una delle tempeste. Non vorrai essere qui quando arriva.

    Dove andiamo? 

    Per ora pensiamo a trovare un riparo, mi dice. Noto che non mi ha ancora detto chi è, ma mi strattona e mi salva dal contatto con una specie di proiettile che penetra nella terra, o quello che è.

    Corriamo in mezzo a una pioggia di minuscoli proiettili che provengono da tutte le direzioni. Uno di quelli mi colpisce sul tendine d’Achille e il dolore è devastante. Cado immediatamente a terra. Il cowboy mi trascina via e io mi graffio il petto contro il terreno roccioso, ma non posso più camminare. A lui non sembra importare, mentre un altro proiettile mi colpisce nel costato. Non c’è sangue, ma il dolore è vivo come nemmeno in vita.

    "Dobbiamo trovare riparo, prima che ci... ti faccia troppo male", mi dice, mentre io non riesco a parlare e vengo continuamente trascinato ed escoriato dalla sua forza sovrumana, sentendo questi colpi sfrecciare in ogni direzione ed essendone l’unico colpito. Il dolore è terribile e immediato. Ci nascondiamo all’interno di una specie di grotta che migliora leggermente la situazione.

    Vieni qui, fammi vedere, mi dice.

    L’uomo dà un’occhiata alle mie due ferite e mi comunica:

    L’hai scampata. Potrebbe essere un buon segno.

    Cos’era? gli domando, immerso in questa tempesta di dolore senza sangue.

    La tua festa di benvenuto, amico mio! mi risponde ridendo, ora che siamo quasi al sicuro.

    Che festa di merda! Ti dispiacerebbe darmi qualche dettaglio in più? chiedo, mentre sento il bruciore scemare leggermente e la mia carne riformarsi molto, molto piano attorno alla ferita.

    Chi arriva qui, deve capire subito con chi ha a che fare. Qui non possiedi il tuo corpo: tutto appartiene all’inferno. Lui decide chi punire e come. E indovina: punisce tutti e male. Questo è solo l’inizio. Ma ci sono vie per migliorarsi un po’ il soggiorno.

    Sorride, leggermente malinconico, e si piega uno dei baffoni.

    Come ti chiami, ragazzo?

    Mi chiamo Leonardo, gli rispondo, chiedendomi se c’è un motivo per mantenere i nomi terrestri in un luogo come questo.

    Io mi chiamo William. Credevo lo sapessi... ma tu puoi chiamarmi come ti pare, a tuo rischio e pericolo.

    Perché mi hai trovato proprio tu? chiedo io, desideroso di informazioni.

    Vorrei dirti che è per caso, ma in realtà non lo è. Sei ora provvisto della peggiore delle guide possibili, mi risponde.

    Cosa fai, sei il mio Virgilio?

    E chi cazzo è? mi chiede, stranito.

    Virgilio è la guida di Dante nell’Inferno.

    Non ho idea di cosa tu stia parlando, ma tanto dimenticherai tutto molto presto. Ci sono cose più importanti qui, mi avvisa, mentre i proiettili colpiscono in ogni direzione e alcuni riescono a penetrare all’interno del nostro rifugio.

    Tipo? chiedo.

    Non è il momento di sapere tutto.

    Dopo aver aspettato un tempo indefinito all’interno di quella piccola grotta secca e buia, i proiettili smettono di sfrecciare intorno a noi e c’è un attimo di pausa.

    Dobbiamo andare, mi dice William.

    Dove andiamo? gli domando io, tastandomi i graffi sul petto che piano piano stanno rigenerando quella che sembra pelle.

    Dobbiamo passare da Caronte.

    "Quel Caronte?" gli chiedo io, in un certo qual modo estasiato, pronto a conoscere una celebrità.

    Ce ne sono altri? mi domanda il cowboy di rimando.

    Ah, non lo so, sei tu che vivi qui!

    Vivere mi sembra una parola grossa, puntualizza lui.

    Usciamo dalla grotta e il paesaggio simil-lunare si staglia di fronte a noi: a suo modo è affascinante.

    Come se ci fosse un vero orizzonte, enormi spianate rocciose e aride raggiungono tutti i punti visibili dall’occhio umano (se così posso chiamarlo) e l’aura di luce che illumina tutto rende l’ambiente un po’ diverso da come me lo immaginavo. Comincio a dimenticarmi di venire da un altro mondo.

    Camminare non è faticoso, ma le rocce sono appuntite e tagliano costantemente le suole delle nostre scarpe, mentre attraversiamo questo ambiente asciutto e desolato.

    Sento un rumore alla mia destra, una specie di sibilo sottile, provenire da molto vicino a me.

    Cos’è questo suono? chiedo al mio nuovo compagno.

    Preoccupati solo di guardare me, adesso. Ti assicuro che non lo vuoi scoprire... non così presto, mi dice, serio e preoccupato.

    Io però non resisto e mi volto verso il suono: una minuscola luce purpurea spunta dal terreno nero e oscilla piano e armonicamente da destra a sinistra. Rimango ipnotizzato dalla bellezza di quel movimento e mi perdo, guardandolo. Sento:

    NO! Spost… ma è già troppo tardi.

    Uno scatto improvviso, come lo scoccare di una freccia da una balestra, e la luce mi penetra nel petto accompagnata a un dolore lancinante, diverso da qualsiasi cosa abbia mai provato quando avevo ancora un corpo fatto di carne vera.

    Cerca di tossire, più forte che puoi! FALLO SUBITO! mi urla William, ma io non riesco a fare nulla, perché il dolore mi ha colto alla sprovvista.

    Sento qualcosa che mastica al mio interno, lentamente. Non so esattamente cosa stia masticando, ma mi metto a tossire.

    Più forte! DAI!

    Vedo William di fronte a me, preoccupato per quello che sta succedendo; lo vedo tirar fuori da una tasca nei pantaloni una specie di pinza arrugginita e infilarla nel buco che ho nel petto. È dolorosissimo, ma rimango per tutto il tempo perfettamente cosciente.

    Continuo a tossire, mentre lui armeggia con quella strana e lunga pinza all’interno del mio petto. Dopo pochi secondi, con uno sforzo tremendo, lo vedo cadere a terra, trattenendo una specie di verme che si contorce attorno all’arnese.

    Sono senza fiato e il dolore è atroce, mi sento come se qualcosa stesse ancora masticandomi all’interno e vedo William alzarsi e gettare lontano quell’essere sconosciuto, con un movimento perfetto.

    Appena riprendo un po’ di forze, gli chiedo:

    Cos’era quella cosa?

    Ti avevo detto di guardare me, coglione! mi risponde con rabbia. Poi continua:

    Non ci sono problemi più grandi di altri, qui. Tutto è fatto per far male e torturare, ma se vuoi avere una strada quaggiù, devi evitare quel sibilo come se fosse un’altra morte.

    Cosa vuol dire? gli chiedo, confuso.

    Quello schifo ti avrebbe masticato il cuore, come fa con tutti quelli che ci cadono. A quasi nessuno il cuore serve: quello non si rigenera più e, finché c’è, attira un sacco di attenzioni.

    Non capisco, gli dico.

    Capirai. Adesso dobbiamo muoverci, Caronte abita qui vicino.

    Camminiamo ancora e ancora, e il luogo sembra completamente deserto, nonostante la sensazione di essere sempre osservati da ogni direzione. Dopo una distanza indefinita, scorgiamo una parete di roccia lavorata finemente, come se qualcuno avesse voluto costruire una città sotterranea. Tante colonne sono intagliate direttamente nella montagna, mi ricordano un po’ le facciate degli edifici di Petra, in Giordania. Entriamo, nel silenzio più totale.

    Dal buio, compare un enorme volto. Per enorme, intendo gigantesco: un viso di almeno tre metri per tre, spunta nel centro del vuoto nero di questa stanza e ci mostra le sue rughe. Un volto vecchissimo, come la Terra e forse di più, ci parla da questo buio senza suoni.

    Ciao William.

    Caronte…

    Chi mi hai portato oggi? chiede l’enorme e strano volto, con una voce pacifica.

    Eccoti Leonardo: è caduto da una torre e ora chiede il permesso di entrare.

    Il permesso sarà accordato, ma a una condizione, risponde questo enorme Caronte.

    Qual è la condizione, nostro traghettatore? domanda il cowboy con pretenziosa pomposità.

    Devo prendere chi è più caro a questo ragazzo, risponde subito l’entità.

    Cosa significa? chiedo io, spaventato.

    William sbarra gli occhi, probabilmente sapendo cosa sta per arrivare.

    NON OSARE MAI PARLARE AL COSPETTO DEL MIO VOLTO!

    La voce di Caronte risuona come un tuono dentro la grotta e io mi zittisco immediatamente, umiliato.

    Perdonalo, Caronte, è appena arrivato e non sa ancora nulla, prova a difendermi William.

    Parli di perdono all’inferno, William? chiede in tono solenne l’enorme bocca con denti neri e fetidi che abbiamo a pochi metri da noi.

    Sai cosa intendo, risponde lui.

    Chi è la persona più cara che hai, nel mondo che hai lasciato, caro ragazzo?

    D’improvviso la voce si fa suadente e il viso cambia diverse forme, forse per sembrare più rassicurante.

    Non so rispondere a questa domanda, signore, spiego io, cercando di prendere tempo.

    William mi si avvicina e mi sussurra all’orecchio:

    Devi dirlo. Se non accedi all’inferno, non cambierai comunque il destino di quella persona, ma in compenso sarai condannato a essere solo spettatore dell’eterna tortura, senza poter agire... fidati di me.

    E perché dovrei? sussurro io, sconvolto per tutto quello che sta succedendo. Non posso condannare la persona che amavo di più a questo destino: non è mia responsabilità.

    Non era tua responsabilità nemmeno privare queste persone della tua presenza, mi risponde tranquillo Caronte, leggendomi letteralmente nella mente.

    Vedi, ragazzo: c’è una ragione per tutto, e un prezzo, continua l’enorme volto.

    Non potendo parlare, non emetto alcun suono.

    Adesso, dimmi: chi è la persona più cara che hai sulla Terra?

    Non ho bisogno di pensare alla risposta: non sono i miei genitori, le uniche persone che potrebbero contendersi questa posizione sono piuttosto due amici. Ma solo se non esistesse lei.

    Cosa posso darti in cambio? chiedo, come ultima risorsa.

    Stai davvero proponendomi uno scambio? mi chiede Caronte, divertito, alzando uno degli enormi sopraccigli.

    Non voglio che tu la prenda a causa mia, chino la testa, impotente.

    Troppo tardi… dimmi chi è. Io lo so già, ma se me lo dici, il prezzo potrebbe essere minore… potrebbe.

    Sono a un bivio: avrei dovuto pensare prima di salire su quella torre. Perché mi sono lasciato cadere? Perché non ho sistemato la mia vita quando ancora potevo? Adesso rischio di trascinare la donna che ho amato di più in questo luogo desolato e doloroso… come se non ne avessimo avuto abbastanza, quando eravamo a casa.

    Decido che non posso farlo: non glielo dirò.

    Caronte… mi rifiuto.

    Benissimo. Ti nego l’accesso all’inferno e, in pegno, prendo comunque l’anima di quella ragazza, per consegnarla all’eterna oscurità. Ti sarà impedita qualsiasi iniziativa per avvicinare, contattare o salvare la sua anima che comunque rimarrebbe nelle nostre mani. Ti ringrazio per la tua scelta... per noi è un banchetto!

    E, pochi secondi dopo, la faccia soddisfatta svanisce nel buio della grotta.

    Guardo William e il suo volto è duro e inespressivo, ma la sua energia è rabbiosa: cova rancore, ho sbagliato qualcosa. Ma non ho voglia di parlare. Ho paura di quello che succederà, ho paura per lei. A un certo punto il cowboy, togliendosi il cappello, mi dice:

    Andiamo.

    Anabel

    Che giornata, oggi! dico alla mia collega che parla pochissimo l’inglese, ma che cerca di essere carina e gentile ogni volta che può. Sistemo le mie carte sulla scrivania e, piano, me ne vado. Non mi piace questo lavoro, ho sbagliato a scegliere e adesso ne pago le conseguenze. Ad ogni modo il contratto non è lungo, per cui si tratta di resistere solo un altro po’. Il casino pazzesco di questo quartiere periferico mi colpisce in faccia ogni volta che esco dall’ufficio: la Cina è uno zoo e succede di tutto, ovunque.

    Prendo la metro, affollatissima come ogni giorno, e aspetto le poche fermate che mi portano a casa, appoggiata all’ascella di un cinese addormentato in piedi. Fortunatamente, la mia corsa finisce e scendo dal treno per poi camminare verso casa. Quando apro la porta d’ingresso, vedo un disastro: tutto è sottosopra e non so se c’è ancora qualcuno qui, perché qualcuno dev’essere stato. Non faccio nemmeno in tempo a voltarmi per andarmene, che dalla cucina - appena a fianco della porta d’entrata - esce qualcuno che mi infila un coltello nel collo. Provo a dire qualcosa, ma la mia voce è finita qui e, improvvisamente, la vista mi si oscura.

    Mi sveglio in una piccola stanza fatta di roccia nera.

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