Le origini di Aranel
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Book preview
Le origini di Aranel - Giada Nicodemi
MALEDIZIONE?
INFANZIA PERDUTA
Premessa
Sono un’assassina, si ripeteva mentre correva, e inciampava nella terra battuta. Le lacrime le sgorgarono come fiumi dagli occhi color ametista: non era riuscita a mantenere il segreto, ormai tutti sapevano.
Sua madre le aveva detto di stare in casa, che non sarebbe successo niente di grave, ma l’aveva vista uscire trascinata dai soldati della casata reale.
La piccola Aranel era vicino il sottoscala avvinghiata al fratello maggiore, era lei quella che i soldati volevano, lei era quella impura.
Sicuramente sua madre sarebbe rientrata abbracciando i due… ma non fu così.
Aranel sentiva che qualcosa sarebbe andato storto, così spinta da una forza più grande di lei si precipitò fuori. E fu in quel momento che la vide riversa a terra, in una pozza di sangue, la piccina gridò accasciandosi sulla madre ormai morta.
Fu allora che accadde tutto: si staccò da quel corpo inanimato, freddo, congelato. Fece alcuni passi verso i soldati e si infilò nelle loro menti, creando in esse scenari sanguinosi. Essi urlavano e si contorcevano, la bambina sapeva che se non avesse lasciato la presa delle menti dei soldati, sarebbero morti in preda alla follia, lo sapeva doveva allontanarsi dal quelle menti, ma non voleva. Li vide cadere a terra uno ad uno, li vide in preda alle convulsioni. Un dolore lancinante le trapassò la testa, ritornò in sé… e in quel momento vide per davvero cosa la sua mente aveva fatto.
Il fratello la fissava da sotto la piccola veranda, un tuono squarciò il cielo facendo sobbalzare la tremante bambina… Il mondo intorno a lei aveva iniziato a vorticare, vedeva le facce dei soldati rese folli dalle sue illusioni, la bambina si tappò le orecchie stringendo gli occhi e fuggì.
Sono un’assassina ripeteva ancora mentre scivolava, incespicava, cadeva e si rialzava
Avrebbe dovuto fermarsi prima, sua madre di certo non avrebbe voluto la morte di quei soldati, era colpa sua se la madre era morta, era colpa sua perché era una mezz’elfo, era una creatura creata da sangue umano e sangue elfico… persone come lei venivano messe al rogo, bruciate senza alcuna pietà, ecco perché la madre le tingeva sempre i capelli di verde e con un incantesimo le occultava il colore degli occhi.
Ma ora, sotto la pioggia i suoi capelli erano tornati al suo colore naturale, come gli occhi.
- Aranel! Per l’elfo, fermati! - gridò una voce
Lei si arrestò all’istante, si voltò.
Il fratello la stava raggiungendo con una certa fatica: avrebbe riconosciuto fra mille quei capelli verdi, che svolazzavano.
Il ragazzo le si avvicinò guardandola con quegli occhi dorati che incutevano terrore:
- Sei impazzita ad andartene via così, e per giunta senza protezione? Tieni- la rimproverò il fratello allungandole un mantello logoro - Mettilo! – le ordinò.
La bambina non fece storie e si infilò il mantello tirando su il cappuccio a nascondere i capelli e la faccia.
Il fratello la prese per un braccio e la trascinò verso casa, ma lei impuntò i piedi e iniziò a gridare.
- Stai zitta per l’elfo, vuoi che ci scoprano? – le gridò il fratello
Lei gli si buttò al collo e cominciò a piangere, piangere come non aveva mai fatto prima.
- Sono un’assassina, Brein un’assassina, li ho uccisi, non ho saputo fermarmi, sono un mostro, ho tradito la mamma… Io non volevo Brein! – piagnucolò lei tra un singhiozzo e l’altro.
Brein la prese in braccio e le baciò una guancia umida: la sorella, pensò Brein, non pesava un grammo, era leggera e magra, di una bellezza stupefacente, lei era una mezz’elfo ma l’amava come se fosse una sorella di razza pura.
La bambina si era finalmente assopita, e Brein prese la strada che li avrebbe condotti a casa.
ARANEL
bosco centrale
La stavano braccando e questo Aranel lo sapeva bene.
Poteva sentire il respiro corto dei soldati che la tallonavano, anche se la pioggia rendeva difficile udire dove si trovassero di preciso.
Il terreno era una fanghiglia informe, scivolosa e putrida, Aranel si sentiva goffa come non le era mai capitato prima, non poteva correre in quelle condizioni, e già camminare le risultava difficile, ma non poteva farsi scoprire, né tanto meno farsi prendere.
L’enorme falce che portava assicurata dietro la schiena si fece improvvisamente pesante, come se al suo posto avessero legato un macigno, gli stivali di cuoio scrivolavano sulla terra ormai diventata fango. Non poteva andare avanti così ancora a lungo: era stremata e la profonda ferita alla spalla non faceva altro che sanguinare, il dolore era insopportabile. Non avrebbe