Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

Giovanni Paolo II: Alla Toscana
Giovanni Paolo II: Alla Toscana
Giovanni Paolo II: Alla Toscana
Ebook632 pages8 hours

Giovanni Paolo II: Alla Toscana

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Papa Giovanni Paolo II, San Giovanni Paolo II, ha visitato la Toscana per 9 volte: la prima nel 1980, a Siena, poi ci sono state Rosignano e Livorno, Prato, Fiesole e Firenze, Grosseto, Pisa e Cecina e Volterra e Lucca, Cortona e Arezzo, La Verna e Camaldoli. Karol Wojtyla nelle sue nove visite alla Toscana ha potuto toccare con mano la vocazione di questa terra alla pace e alla non violenza, dimostrando la sua grande sintonia con la sensibilità dei toscani sui temi della pace, dell’accoglienza, del lavoro e del dialogo interreligioso. Come scrive nella prefazione il Cardinale Silvano Piovanelli, che l’ha accompagnato in ben sette di queste visite, “Egli non ha nascosto la sua ammirazione per questa terra ‘conosciuta dappertutto come una delle grandi matrici di un umanesimo, che porta visibili le impronte della fede cristiana’. Nutro la fiducia che quanti leggeranno le parole che il Papa ha detto alla Toscana nelle sue nove visite pastorali, riproposte dal libro del giornalista Franco Mariani, possano essere ulteriormente stimolati a quella ‘misura alta della vita cristiana ordinaria’ alla quale Egli ha invitato le persone, le famiglie, le comunità cristiane”.
LanguageItaliano
Release dateMar 16, 2016
ISBN9788869821707
Giovanni Paolo II: Alla Toscana

Related to Giovanni Paolo II

Related ebooks

Religion & Spirituality For You

View More

Related articles

Reviews for Giovanni Paolo II

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    Giovanni Paolo II - Franco Mariani

    18/10/1986)

    PREFAZIONE

    CARDINALE SILVANO PIOVANELLI

    Sono profondamente grato al Giornalista Vaticanista Franco Mariani per l’iniziativa della pubblicazione, di tutti i discorsi di Papa Giovanni Paolo II durante le sue nove visite pastorali nella nostra regione. È un bel modo di ricordare il Papa Santo. Se sono davvero pochi i Papi Vescovi di Roma per un tempo così lungo, nessuno ha viaggiato quanto Lui per annunciare il Vangelo e incontrare gli uomini sulla loro strada.

    Nella sua prima lettera enciclica aveva sorprendentemente scritto: l’uomo è la prima e fondamentale via della Chiesa: l’uomo nella piena verità della sua esistenza, del suo essere personale ed insieme del suo essere comunitario e sociale, nell’ambito della propria famiglia, nell’ambito di società e contesti tanto diversi, nell’ambito della propria nazione, o popolo (e, forse, ancora solo del clan, o tribù), nell’ambito di tutta l’umanità, quest’uomo è la prima strada che la Chiesa deve percorrere nel compimento della sua missione (Redemptor Hominis, 14).

    Questa strada ha percorso Papa Giovanni Paolo II con un impegno così continuo e una intensità così forte da farne un caso unico nella storia. Nella Regione della nostra Toscana, il Pastore che presiede alla carità di tutte le Chiese è venuto nove volte. In quasi tutte le visite pastorali ho avuto la grazia di accompagnarLo ed esserGli vicino. Ho goduto di quello che ha detto e soprattutto sono stato edificato dalla sua testimonianza, fatta di attenzione alle persone e alle situazioni.

    In queste nove visite pastorali Egli non ha nascosto la sua ammirazione per questa terra "conosciuta dappertutto – come diceva ai Vescovi toscani in Visita ad Limina nel 1986 – come una delle grandi matrici di un umanesimo, che porta visibili le impronte della fede cristiana. Si conoscono i poeti, gli artisti, i pensatori, gli scienziati fioriti in questa serra d’Italia, e le opere che li ricordano non cessano di destare ammirazione, attirando sempre più folle di visitatori da ogni parte del mondo. Sono i prodotti di un fatto unico, reso possibile dalla stretta alleanza tra fede e cultura. È giusto dire che la civiltà e la cultura umana hanno raggiunto in Toscana vertici ineguagliabili e armonizzati con le più alte espressioni della bellezza e degli ideali dell’uomo, perché altrettanto alta e viva era la fede alla radice dell’ispirazione. Senza Firenze e la Toscana il mondo sarebbe stato diverso e oggi apparirebbe più povero".

    Sempre ha voluto onorare, di questo popolo, come diceva nel 1981, le tradizioni fondamentalmente sane, come testimoniano l’attaccamento alla famiglia, la dedizione al lavoro, il senso della giustizia, il rispetto degli altri nella convivenza civile, la solidarietà generosa verso il prossimo provato dal bisogno e dalla malattia. Senza dimenticare, anzi ponendo al primo posto, il luminoso patrimonio di santità, a cui la Toscana può guardare con legittima fierezza, che costituisce una eredità spirituale impegnativa, di cui le nuove generazioni cristiane debbono mostrarsi degne con la coerenza della loro condotta di vita.

    Indelebile nella mia memoria è il volo in elicottero dalla Verna a Camaldoli: ero felice al pensiero di poter scambiare qualche parola con il Papa durante il viaggio, ma il Papa sin dall’inizio s’immerse nella preghiera; così, mentre io e gli altri ci riempivamo gli occhi della bellezza di quei monti, il Papa parlava con Dio e contemplava la sua bellezza più grande. Egli ci diceva con la vita quello che avrebbe scritto alla fine del Giubileo: c’è bisogno di un cristianesimo che si distingua innanzitutto nell’arte della preghiera (NMI, 32).

    Nutro la fiducia – anzi, prego per questo lo Spirito Santo – che quanti leggeranno le parole che il Papa ha detto alla Toscana nelle sue nove visite pastorali, siano ulteriormente stimolati a quella misura alta della vita cristiana ordinaria alla quale, a conclusione del grande Giubileo del 2000, Egli ha invitato le persone, le famiglie, le comunità cristiane.

    + Silvano Card Piovanelli

    Arcivescovo Emerito di Firenze

    INTRODUZIONE

    Gli Americani ce lo insegnano: quando ci sono degli avvenimenti storici importanti ognuno di loro si ricorda cosa faceva e dove si trovava. Gli Italiani, e soprattutto noi Toscani, non abbiamo questa sensibilità storicoumana, anche se credo, se ci soffermiamo un attimo, che tutti ricordiamo dove eravamo quando nel 1978 le Brigate Rosse rapirono l’Onorevole Aldo Moro, oppure quando il 16 ottobre di quell’anno i Cardinali, riuniti in Conclave nella Cappella Sistina in Vaticano, elessero come Vescovo di Roma lo sconosciuto Cardinale Arcivescovo di Cracovia Karol Wojtyla: il primo Pontefice straniero, dopo quasi cinque secoli, a essere chiamato sulla Cattedra di Pietro.

    Personalmente ero assieme al Rettore del Seminario Minore di Firenze, Mons. Gualtiero Bassetti, oggi Cardinale Arcivescovo di Perugia, e ad alcuni giovani seminaristi, al Monastero fiorentino delle Suore di Clausura di via Santa Marta, per partecipare a una loro liturgia.

    Ricordo che tutti noi eravamo alla televisione a cercare il nostro Arcivescovo, il Cardinale Giovanni Benelli, tra i Porporati festanti che si sbilanciavano dalle finestre minori della Loggia della Patriarcale Basilica di San Pietro.

    Era quello il primo e significativo momento di un lungo, frenetico, intenso, storico Pontificato – durato oltre 26 anni; uno dei pontificati più lunghi dell’ultimo secolo appena trascorso, e il cui primato per ora resta ancora all’ultimo Papa Re, il Beato Pio IX, che durò ben 32 anni.

    Nessuno sa quante persone hanno incontrato Giovanni Paolo II nei 26 anni del suo pontificato: dovrebbero essere centinaia di milioni. 18 milioni sono i fedeli che hanno preso parte alle udienze generali del mercoledì, che salgono a 70 milioni con le cerimonie religiose pubbliche solo in Vaticano. Anche di milioni si parla nei 249 viaggi in Italia e all’estero, con folle spesso immense e mai ufficialmente quantificate. Nel corso dei suoi viaggi Giovanni Paolo II ha avuto circa 1500 incontri di vario genere. Solo in Messico, nel 1990, un viaggio dove non ci furono incontri oceanici, fonti ecclesiastiche sostennero che, negli otto giorni di permanenza, Wojtyla aveva incontrato oltre 20 milioni di persone. 104 i viaggi internazionali, con 130 paesi visitati in tutti i continenti. Oltre 700 le località visitate (comprese quelle dove è stato più volte) nelle quali ha pronunciato circa 3.300 discorsi. Oltre 1.160.000 km percorsi in viaggio, pari a 29 volte il giro del mondo. Quasi 150 i viaggi in Italia e circa 300 le località toccate. Quasi 500 i Santi proclamati in oltre 50 canonizzazioni, oltre 1.300 i Beati in più di 140 cerimonie. 200 i Cardinali creati, in 9 Concistori. 14 le Encicliche,13 le Esortazioni Apostoliche, 11 le Costituzioni Apostoliche, 44 le Lettere Apostoliche, 29 i Motu Proprio. Ben 5 i libri pubblicati. Oltre 300 le parrocchie romane visitate, oltre 150 i giorni trascorsi in ospedale nei 6 ricoveri e per le visite di controllo. Ha celebrato circa 1.500 battesimi e cresime, un centinaio di matrimoni, quasi 300 unzioni degli infermi. Moltissime le ordinazioni di vescovi e di sacerdoti. Una quarantina le visite ufficiali, circa 700 udienze o incontri con Capi di Stato, come pure oltre 200 udienze e incontri con Primi Ministri.

    Nella mia vita ho incontrato Giovanni Paolo II dieci volte, in varie occasioni, pubbliche e private, e sempre ho potuto constatare la sua cordialità, umanità e a volte anche il suo umorismo, come quando, assieme alla Vice Presidente della Regione Toscana, Marialina Marcucci, presentando il mio libro sui 264 Pontefici e la Trasmissione dell’Emittente Televisiva Regionale Tele 37 Toscana Giubileo 2000, (una coproduzione, su mio progetto, di Regione Toscana, Conferenza Episcopale Toscana, Comune di Firenze, Facoltà Teologica dell’Italia Centrale, Toscanaoggi, Tele 37), mi ebbe a dire sorridendo: Ma allora questo libro parla anche di me!.

    Interessandomi come vaticanista dei Papi che sono venuti in visita in varie occasioni in Toscana, non si può fare a meno di rimanere sempre colpiti, soprattutto con Giovanni Paolo II, dall’affetto e dalla particolare attenzione che ogni Successore dell’Apostolo Pietro ha sempre avuto per la Toscana e i Toscani. Tutte le visite di Giovanni Paolo II hanno sempre avuto un cerimoniale molto rituale, anche se a volte con ordine diverso: il Pontefice incontra sempre nella principale piazza l’Amministrazione Comunale, che gli rivolge il primo saluto ufficiale per mano del Sindaco e del Rappresentante del Governo Italiano; successivamente incontra il clero, poi i giovani, poi le monache di clausura, poi i malati, chiudendo la visita con la celebrazione della Messa nello stadio comunale o in un grande spazio verde, oltre a numerosi incontri privati in Episcopio: incontri fissi, con tutti i Vescovi della Regione, i membri del Comitato che hanno curato tutti gli aspetti logistici della visita, autorità civili e militari; a sorpresa, fermandosi per la strada, mettendo così in subbuglio il servizio d’ordine pontificio e italiano, oppure con particolari situazioni della società civile della città che visita, oppure visitando luoghi legati a particolari personaggi storici.

    Questo libro non vuole ripercorrere minuto per minuto le nove visite pastorali, ma vuole invece dare spazio alle parole del Santo Padre. Ecco perché non ho riportato i discorsi di saluto dei Vescovi, dei Sindaci, dei Ministri e dei Sottosegretari, dei Rappresentanti degli Operai, dei Giovani e di ogni altra persona che ha preso la parola davanti al Papa, bensì soltanto le parole di San Giovanni Paolo II. Tuttavia le parole hanno ragione di esistere se sono inserite in un contesto ben preciso, e per questo ogni visita è introdotta da una scheda che, in poche righe, mette in risalto l’aspetto più importante: la visita del Pastore al suo gregge.

    Concludo con una curiosità: Sua Ecc.za Mons. Ovidio Lari, toscano, nato a Peccioli, Diocesi di Volterra, nella sua veste di Vescovo di Aosta ha ospitato Papa Giovanni Paolo II nelle sue numerose vacanze estive nelle località montane di quella diocesi.

    Franco Mariani

    VISITE DI PONTEFICI A FIRENZE

    Sono stati 22 i Papi, escluso Papa Francesco la cui visita è prevista per novembre 2015, che hanno visitato la città di Firenze.

    Il primo Successore dell’Apostolo Pietro ad aver varcato le antiche mura fiorentine sembra sia stato Papa Gregorio IV (828–844).

    Il Papa successivo fu Benedetto IX (1032–1044; aprile–maggio 1045; 1047–1048) eletto per ben 3 volte Papa, in quanto deposto due volte, e proprio durante una sua cacciata da Roma si rifugiò a Firenze intorno al 1036.

    Papa San Leone IX (1049–54), giunse invece a Firenze nel luglio 1050. Si fermò nella città dopo il celebre incontro con Giovanni Gualberto a Passignano, recando al suo seguito alcuni luminari della Chiesa, quali l’Arcivescovo Alinardo di Lione e Adalberto di Metz.

    Poco tempo dopo, nel 1055, Firenze fu scelta come sede del Concilio indetto per il 4 giugno, giorno di Pentecoste, da Papa Vittore II (1054–1057). L’evento provocò l’arrivo in città di circa 120 vescovi e di tanti altri personaggi illustri, primo fra tutti l’Imperatore Enrico III. Lo stesso Pontefice fece poi ritorno a Firenze due anni più tardi, nel 1057, sempre all’inizio di giugno, rimanendovi circa un mese.

    Il suo successore, Papa Stefano IX (1057–1058), giunse a Firenze nel 1058, otto mesi dopo la sua elezione e, cosa particolare, morì a Firenze il 29 marzo 1058, tra le braccia del fratello Goffredo, che qui viveva, e di San Ugo di Cluny, monaco abate. Il suo corpo fu sepolto in Santa Reparata. La sua tomba è stata distrutta durante i lavori di ristrutturazione di Santa Reparata. I suoi resti furono ricomposti in un sepolcro provvisorio di cui non si conosce l’ubicazione. Si tramanda che sulla sua sepoltura siano avvenuti alcuni miracoli.

    A essere eletto Papa con il nome di Nicola II (1059–1061), fu il Vescovo di Firenze, il francese Gerardo, nominato a questo ufficio nel 1045. La sua prima visita alla sua ex diocesi avvenne nell’ottobre 1059 e vi rimase per tre mesi, fino al gennaio 1960. Vi ritornò per la seconda volta nell’estate 196. Anche lui non ebbe vita facile, visto che morì, pure lui, a Firenze il 27 luglio 1061, città che aveva eletto a sua seconda patria. Riportano le note dell’epoca: 1060. Niccola II è in Firenze, e consagra la Chiesa di Santa Felicita, restaurando anche il monastero, e introducendovi un collegio di nobili vergini. Niccola II muore in Firenze di state. Fu sepolto in Santa Reparata vicino alla tomba di San Zanobi.

    Per riavere il Vicario di Cristo in terra a Firenze bisogna aspettare l’estate 1067 con Papa Alessandro II (1061–1073).

    Dieci anni dopo fece ingresso in città Papa Gregorio VII (1073–1085) che vi rimase dal 28 giugno al 10 agosto 1077.

    Nel 1095 fu la volta del Beato Urbano II (1088–1099) che sostò a Firenze durante il suo viaggio verso la Francia.

    Nel 1107 soggiornò in città Papa Pasquale II (1099–1118).

    Dopo di lui a far ritorno in città fu Papa Gregorio IX (1227–1241) che il 27 dicembre 1237 consacrò la chiesa di Santa Trinità.

    Il 18 giugno 1273 la città ospitò Papa Gregorio X (1271–1276), come ci racconta Paolino Pieri, un cronista del tempo: In quest’anno venne Papa Gregorio decimo detto di sopra in Firenze, che andava oltre il Monte a Leone a fare il Concilio generale, et giunse in Firenze una Domenica a dì diciassette di giugno, et vennevi il Re Carlo, et lo ‘mperadore di Costantinopoli, et furo in trattato di far pace tra’ Guelfi et i Ghibellini di Firenze, et stettevi due mesi, et cinque. Et perciò che elli abitava in Casa dÈ Mozzi si predicò ivi, et raunossi la gente, che l’andato a udire, nel greto d’Arno, et fecesi il leggio in sul muro allato al Ponte a Rubaconte, et fondovvi la mattina in quel luogo una Chiesa a onore del Beato Gregorio, et ordinò che si facesse, et fecevi, certa Indulgenzia. In la Storia di Mecatti invece troviamo: 1273. Gregorio X passa di Firenze col Re Carlo e con Balduino Imperadore, discacciato da Constantinopoli, per andare a Lione a tenervi un Concilio per la recuperazione di Terra Santa. Il Papa abita nella Casa dÈ Mozzi, l’Imperadore nel Vescovado, e il Re Carlo nel Giardino dÈ Frescobaldi. Terminato il Concilio di Lione nel 1275, nel suo viaggio di ritorno il Pontefice passò di nuovo per Firenze, come testimoniano sempre le cronache del Pieri: In quest’anno era Firenze scomunicata per quello Gregorio Decimo, perciò che non era compiuta la pace tra’ Guelfi et i Ghibellini secondo la sentenza sua; et quello Papa tornando da detto Concilio, et volendo tornare a Roma, et non possendo passare Arno, ch’era grosso, si ricomunicò la terra tanto ch’elli entrò in Firenze et passando Arno su per lo Ponte di Rubaconte n’andò per san Niccolò; et incontanente che ne fu fuori de la Porta a San Niccolò, daccapo la iscomunicò et andonne infino ad Arezzo infermo, et ivi la sua vita per morte terminò, facendo iddio molte, e grandi maraviglie per lui.

    Nel 1413 la Signoria volle evitare l’ingresso in città di Papa Giovanni XXIII (1410–1419), considerato da molti un Antipapa, per una serie di motivi politico–diplomatici, e per questo gli fornì invece un alloggio poco lontano, a Sant’Antonio al Vescovo. Venne nondimeno osservato il protocollo cerimoniale, come appare da un ricordo di Bartolomeo del Corazza, vinattiere fiorentino: Memoria che a dì 15 di giugno 1413 ci furono novelle come il re Lancilao prese Roma e come papa Giovanni XXIII si fuggì di Roma e andonne a Montefiascone, poi a Siena: poi venne a Firenze, cioè a Sant’Antonio al Vescovo, drietoli e manzi tutta la corte; e giunse a Sant’Antonio a dì 21 di giugno: e in Firenze fu grande moltitudine di sua gente. A dì 22 di giugno la mattina del Corpo di Christo, i Signori l’andorono a visitare, e poi i Dieci della Balia e molti altri cittadini. Partissi il detto Papa a dì 8 di novembre e andonne verso Bologna.

    Bartolomeo Del Corazza ci racconta anche altri tre ingressi papali a Firenze: quello di Papa Martino V (1417–1431), il 26 febbraio 1418, che si soffermò quasi un anno e mezzo, ripartendo per Roma il 9 settembre 1420, a causa dello stato di anarchia in cui lo Stato Pontifìcio era entrato, e i due ingressi di Papa Eugenio IV (1431–1437), il 23 giugno 1434, a seguito della fuga forzata da Roma, rimanendovi per quasi due anni, e il 27 gennaio del 1439 per il famoso Concilio di Firenze. Fu lui, nel 1436, a consacrare la nuova Cattedrale di Firenze, Santa Maria del Fiore.

    Queste entrate solenni, insieme alla successiva visita di Papa Pio II nel 1459, riflettono puntuali corrispondenze cerimoniali con l’accoglienza tributata a Papa Leone X (1513–1521): rientra nella ritualità del benvenuto più solenne l’abbattimento della saracinesca della porta cittadina ricordato per esempio nel 1418; preannunziano disposizioni decorative che in forma amplificata si ripeteranno nel 1515, il palco fatto a piè le scale di Santa Maria del Fiore e il paramento allestito al suo interno, con gli arredi sacri delle cerimonie più importanti, insieme agli addobbi sontuosi destinati alla Sala del Papa.

    Per il primo ingresso di Eugenio IV, nel giugno 1434, Del Corazza registra tra l’altro il ripetersi del rito di appropriazione tipico dei possessi pontificali: fu stracciato lo stendardo della Parte, e tolto. Poi all’entrare del chiostro fu fatto il simile di quel che gli donorono gli Signori, ma pur l’ebbe i mazieri del Papa, come l’altro. Il cavallo del Papa l’ebbono i Signori.

    Giovanni Cambi nelle sue "Istorie " ci racconta invece la visita di Papa Pio II (1458–1464): "Addì 25 d’aprile 1459 entrò in Firenze Papa Pio molto honorevole, cholle procissioni, e altre cierimonie, chome agli altri Pontefici di sopra. Era portato in sur una barella quando entrò in Firenze, choperta di brochato, la quale portavano questi 4 Signori, cioè: Sig. Gismondo de’ Malatesti, Sig. di Rimino, Sig. di Faenza, Sig. di Prullì. E chon detta barella choperta d’oro lo portorono alla Sala del Papa, che fù chosa di superbia, e non di santità, e a detto luogo dove si posò era mirabilmente adorno d’arazerie, e feciesi le spese dacché entrò in Firenze sul nostro fino smontò, che si spese un tesoro; e aveva in chonpagnia sua 10 Cardinali, e da 60 Veschovi, e molti Prelati, chom’è chonsueto. Feciesi presenti al Papa, et a’ Chardinali, e a tutti è Signori richamente, et hogni tre di ripresentati di nuovo. Feciesi una magnia giostra in sulla piazza di S. Croce a que’ Signori tenporali, benché v’andò dimolti echlesiastichi".

    L’11 marzo 1513 il fiorentino Giovanni de’ Medici (1513–1521) fu eletto Papa prendendo il nome di Leone X, e tornò a Firenze, con tutti gli onori da parte dei fiorentini, il 30 novembre 1515.

    Papa Pio VI (1775–1799) si fermò a Firenze, prigioniero di Napoleone, nel 1798.

    Papa Pio VII (1800–1823) passò velocemente, nel suo viaggio verso Parigi, la sera del 4 novembre 1804, fermandosi per tre giorni alla Certosa del Galluzzo. Si fermò nuovamente a Firenze durante il suo viaggio di ritorno dalla Francia, nella primavera del 1814. Il 1° giugno celebrò la Messa nella Cattedrale fiorentina.

    L’ultimo Papa Re, Sovrano dello Stato Pontificio, a visitare la Toscana fu il Beato Papa Pio IX (1846–1878), nell’agosto 1857, dove, tra l’altro, pose la prima pietra della nuova facciata della Basilica di Santa Croce e consacrò, assieme ad altri vescovi, il nuovo Arcivescovo di Firenze, Mons. Giovacchino Limberti.

    Per riavere l’onore di un visita papale i fiorentini dovettero aspettare quasi 110 anni, con il Beato Papa Paolo VI (1963–1978) che volle visitare i fiorentini così duramente provati dall’alluvione del 4 novembre 1966, celebrando con loro la Messa di Natale di quello stesso anno. Questa fu la prima visita di un Papa a Firenze trasmessa in televisione in mondovisione.

    Infine Papa San Giovanni Paolo II (1978–2005) che visitò Firenze, fermandosi per due giorni, il 18 e 19 ottobre 1986, quando questa fu nominata Capitale Europea della Cultura.

    LA TEOLOGIA PASTORALE TOSCANA DI PAPA GIOVANNI PAOLO II

    "La vita, come le acque del fiume (riferendosi al fiume Arno NdA) che scorre qui sotto, è un continuo fluire, con fasi alterne di piena e di magra, di accelerazione vorticosa e di tranquillo scorrimento. Anche la storia della vostra città ha conosciuto fasi alterne, in cui a periodi di lotta e di difficoltà hanno fatto seguito fasi di prosperità e di pace. Resta tuttavia innegabile che nelle vicende liete e tristi del vostro passato la fisionomia cristiana delta città non si è mai alterata né offuscata".

    Sono giunto fra voi innanzitutto per testimoniare il Vangelo di Cristo Signore e per confermare i credenti, esortandoli a continuare ed a rafforzare il loro impegno cristiano nella società. In secondo luogo son venuto per incontrare, con sentimento di profonda stima, ogni uomo e sviluppare così quel rispettoso dialogo, che può favorire la comune esigenza di ‘un rapporto onesto, nei riguardi della verità, come condizione di autentica libertà’ (Lett. Enc. Redemptor hominis, 12). È il dialogo che si offre a tutti per una fruttuosa collaborazione a quel progresso sociale fondato sulla giustizia e sui principi etici prioritari, per i quali la persona non solo ha di più, ma può ‘essere di più’ (cfr. Cost. past. Gaudium et Spes, 36). Questo è l’intento del Papa nel visitare la nostra Regione.

    Giovanni Paolo II viene nove volte in Toscana, una regione politicamente di colore rosso, e lui stesso ne è conscio: Vi sono anche oggi ambienti prevenuti che guardano alla Chiesa come ad una realtà estranea, se non addirittura ostile, che non ha da dir loro nulla di utile e di costruttivo. Il primo impegno della comunità cristiana, in questi casi, è di smentire simili pregiudizi, operando in atteggiamento di sincera partecipazione ai problemi e alle istanze di questi fratelli. Solo la recuperata fiducia a livello umano consentirà di aprire un dialogo che potrà poi spingersi oltre, fino ai problemi della fede e della salvezza. (….) Anche oggi il cristiano deve guardarsi dalla tentazione di chiudersi nel piccolo gruppo di coloro che la pensano come lui, per aprirsi al riconoscimento degli elementi validi che pure gli altri possiedono e, prendendo spunto da questi, annunciare loro la piena verità di Cristo Salvatore.

    Viene in terra di Toscana per ricordarci che i nostri antenati hanno capito che solo in un clima di libertà la persona può esprimere il meglio di se stessa e contribuire al comune benessere, alla fioritura delle arti e delle scienze, alla promozione di quell’insieme di valori in cui consiste la vera civiltà. Certo, la libertà ha pure i suoi rischi e le sue patologie, dalle quali occorre guardarsi, come ammoniva l’apostolo Pietro. Confido che la lunga esperienza a cui potete riferirvi vi aiuti nella ricerca degli opportuni rimedi con cui tempestivamente contrastare eventuali deformazioni ed abusi che potessero insidiare la legittima fruizione di un bene tanto essenziale. La pace si costruisce dal basso, partendo dai rapporti interpersonali. È inutile pensare a grandi prospettive di pace, se non siamo in pace col nostro vicino, con i nostri familiari, con i nostri compagni di lavoro. Ognuno di noi, quindi, da questo punto di vista, ha una precisa responsabilità nella costruzione della pace, anche ai massimi livelli nazionali ed internazionali.

    Giovanni Paolo II inizia il suo lungo discorso con la Toscana partendo e concludendolo da Siena, prendendo come spunto la missione svolta dalla grande senese Santa Caterina, che pone da subito al centro del suo lungo pontificato, ma che pone come esempio anche a noi, toscani di questo secolo, cattolici e non, per l’impegno civile che ci deve contraddistinguere: La Vergine senese, come altri santi prima e dopo di Lei, ebbe vivo sentimento dell’italianità, come particolare percezione di quella responsabilità affidata dalla Provvidenza ad un popolo, unito dalla fede, dalla lingua, dalle vicende tristi e liete, insieme vissute e sofferte fin dai giorni in cui l’Italia, caduto il grande impero, iniziò il suo umile e faticoso cammino verso l’unità e l’indipendenza. Corrispondere a quella responsabilità significa, secondo Caterina, ravvivare primariamente il fuoco interiore della fede e della dedizione a Cristo ed al suo Vangelo; significa propagare a tutta la penisola tale ardore spirituale per la verità e la giustizia, consolidando unioni profonde e durature più forti di ogni discordia. (…) Caterina infatti amò l’Italia e spese senza risparmio le proprie energie per far fronte ai tanti mali che la travagliavano: fu infermiera presso il capezzale degli appestati; fu dispensatrice di aiuti per gli indigenti; fu suscitatrice di iniziative di carità per i bisognosi di ogni genere; soprattutto fu ambasciatrice di pace fra i singoli, le famiglie, gli Stati. È questo un lato caratteristico della missione della Santa: ella seppe far risuonare efficacemente la parola della pace là dove infieriva la febbre della discordia. E discordie non mancavano davvero nella società sconvolta di quei tempi. Odi e risse costituivano il pane quotidiano dei superbi gruppi gentilizi, trasformati in consorterie d’armi e di eccidi. Sospetti, tensioni e guerre scoppiavano di frequente tra i vari Stati, nei quali era allora divisa la penisola. Urgeva l’opera mediatrice di una persona che fosse sicuramente al di sopra delle parti e tuttavia sufficientemente vicina al cuore di ciascuno da potervi far breccia, suscitandovi l’ascolto ed il consenso. Caterina si assunse tale compito. Forte solo del nome di Cristo, sorretta da un amore ardente per i fratelli, la fragile fanciulla affrontò le opposte fazioni. Con sulle labbra l’invocazione ‘Pace, pace, pace’ si interpose tra i Governi delle varie città, intervenne presso i singoli cittadini, richiamò tutti al senso delle loro responsabilità di uomini e di cristiani. Con accorati accenti, e soprattutto con la forza irresistibile della grazia, impetrata mediante l’offerta di sé a Dio nella preghiera e nelle lacrime, Caterina ottenne conversioni e riconciliazioni, che hanno del miracoloso.

    Karol Wojtyla viene in una regione che vive – forse più di altre regioni d’Italia – dell’eredita del proprio passato: L’incontro mi permette anche di manifestare il mio apprezzamento per lo sforzo che non vi stancate di compiere per mantenere la vostra Città all’altezza delle antiche virtù dei vostri antenati, i quali seppero assicurare ad essa gloriose tradizioni civili, sociali e culturali. Mi fa piacere constatare che, nonostante le difficoltà di vario genere, avete saputo dare vita ed incremento a numerose imprese industriali, che offrono possibilità di impiego e sicurezza economica a numerosi lavoratori. (…) Il passato sia garanzia, incitamento e scuola del futuro, per l’eliminazione degli aspetti negativi tuttora sussistenti, per lo sviluppo della persona umana in ogni direzione, per il rispetto della vita nascente o al tramonto, per l’assicurazione di un lavoro degno alle nuove generazioni. (…) Con la mirabile varietà delle sue realizzazioni artistiche e intellettuali: da Giotto a Masaccio, a Leonardo, a Donatello, al Ghiberti e a tutti gli altri grandi dell’arte e della letteratura, a partire da Dante, che con la sua Divina Commedia doveva consacrare il volgare in un’opera di poesia senza pari e fare del fiorentino la lingua nazionale, la Toscana non ha mai cessato di affascinare intere generazioni. Tale cultura, non essendo limitata alle sole espressioni artistiche, ha fatto da fermento in tutti i campi del sapere, aprendo la via alla scienza moderna con Galileo Galilei, il quale, al di là delle note difficoltà nella interpretazione della Bibbia, tenne sempre ben ferma la premessa che la scienza e la fede, se autenticamente intese, non possono mai essere in contrasto o in contraddizione, perché provengono da un medesimo Autore, che è Dio stesso. (…) Custodite con fierezza le riserve geniali e spirituali che sono state depositate nelle vostre coscienze. La vostra tradizione culturale non deve essere solo, come del resto non è, puro e semplice oggetto di contemplazione e di orgoglio, ma sorgente viva di ispirazione e di impegno; stimolo ad una ricerca sincera dei valori universali, che essa racchiude ed illustra; studio e sforzo per rivivere ed emulare la grandezza spirituale di un tempo e per bandire da voi ogni forma di criticismo sterile e di materialismo opaco.

    Se il Rinascimento fu una delle epoche più luminose della storia, quell’esperienza singolare non può rimanere senza un messaggio anche per voi. Oltre all’invito a saper apprezzare e coltivare i nobili valori dello spirito, incarnati nelle lettere e nelle arti, essa vi richiama alla necessità di una continua rinascita spirituale e morale, secondo la celebre espressione di San Paolo agli abitanti di Efeso: ‘Rinnovatevi nello spirito della vostra mente’ (Ef 4,23). Vi esorta a ritrovare le energie interiori dello spirito, che la tradizione cristiana ha inserito nel vostro tessuto culturale e sociale, e ad acquistare sempre più chiaramente la coscienza che voi siete chiamati a irradiare nel mondo quei valori immortali così luminosamente proclamati dai vostri Santi, e dai vostri Grandi, che dai mausolei della Chiesa di Santa Croce in Firenze non cessano di stimolare gli animi ‘a egregie cosÈ (U. Foscolo, Carme dei Sepolcri, v. 151).

    Anche se rivolta principalmente a Firenze, ma sicuramente estesa a tutta la Toscana, Giovanni Paolo II ci ricorda che le nostre città sono città incomparabili e che per ricchezza d’arte e di storia, il tuo passato glorioso ti onora e ti obbliga. Sii sempre all’altezza delle tue tradizioni, per non deludere quanti ti ammirano nella generazione di oggi, per non defraudare del tuo insostituibile apporto gli uomini e le donne della generazione di domani. Il Papa usa una parola forte e schietta: defraudare. La Toscana, in tutte le sue componenti sociali, e ogni singolo toscano, ha un compito a cui non può rinunciare, pena il deludere l’umanità intera.

    Ma la Toscana è anche terra di lavoratori, di operai, dove il Papa viene per festeggiare più volte la festa del loro Patrono, San Giuseppe, il 19 marzo. Lui, che prima di diventare sacerdote è stato operaio in una fabbrica in Polonia, come ricorda lui stesso durante la visita a Rosignano Solvay, nella fabbrica italiana che fa parte del gruppo per cui lavorò durante gli anni bui della seconda guerra mondiale: Penso che quella circostanza così dolorosa fu nello stesso tempo una circostanza provvidenziale, perché nel contatto che io ho avuto, ho potuto scoprire l’importanza, il valore e l’esperienza del lavoro manuale, del lavoro fisico (…) ha dato una dimensione alla mia vita e questa dimensione è tutt’ora presente. (…) Considero una grazia del Signore l’essere stato operaio, perché questo mi ha dato la possibilità di conoscere da vicino l’uomo del lavoro, del lavoro industriale, ma anche di ogni altro tipo di lavoro. Ho potuto conoscere la concreta realtà della sua vita: un’esistenza impregnata di profonda umanità, anche se non immune da debolezze, una vita semplice, dura, difficile, degna di ogni rispetto. Quando lasciai la fabbrica per seguire la mia vocazione al sacerdozio, ho portato con me l’esperienza insostituibile di quel mondo e la profonda carica di umana amicizia e di vibrante solidarietà dei miei compagni di lavoro, conservandole nel mio spirito come una cosa preziosa. (…) Desidero affermare fin dall’inizio di questo nostro incontro che il lavoro è, in prima analisi, una vocazione per l’uomo, un segno qualificante della sua natura di essere razionale, dotato di intelletto e di volontà, creato ad immagine di Dio e abilitato a dominare le innumerevoli energie della creazione. (…) Per questo voglio qui ribadire che ‘il primo fondamento del valore del lavoro è l’uomo stesso, il suo soggetto. A ciò si collega subito una conclusione molto importante di natura etica: per quanto sia una verità che l’uomo è chiamato ed è destinato al lavoro, però prima di tutto il lavoro è per l’uomo e non l’uomo per il lavoro; in ultima analisi lo scopo del lavoro, di qualunque lavoro eseguito dall’uomo – fosse pure il lavoro più ‘di servizio’, più monotono nella scala del comune modo di valutazione, addirittura più emarginante – rimane sempre l’uomo stesso’ (Enc. Laborem Exercens, n. 6). La priorità dell’uomo è il cardine attorno al quale deve muoversi l’intera organizzazione del lavoro. Grande cosa è il lavoro. Ma l’uomo è incomparabilmente più grande. L’uomo è sacro. E questa sacralità richiede di essere riconosciuta e professata in ogni circostanza, anche nell’ipotesi che il singolo soggetto se ne sia reso indegno. La sacralità umana è inviolabile e irrinunciabile.

    Karol Wojtyla viene da operaio per incontrare gli operai e i datori di lavoro, e per ribadire loro che l’uomo stesso, che presta la propria opera immerso nell’ingranaggio lavorativo, è chiamato a valorizzare la propria dignità. Non poche circostanze sembrano coalizzarsi in una tenace cospirazione. Ritmi pesanti, metodi e obiettivi di una produzione chiamata a far fronte alla concorrenza, vari aspetti della meccanizzazione finiscono a volte per sottomettere l’uomo al lavoro. Il lavoratore si vede talora così assorbito dalla macchina da esserne profondamente condizionato. Ha l’impressione di vivere per lavorare, non di lavorare per vivere. Mi è stato chiesto come ci si debba porre di fronte a tale realtà. Il problema coinvolge aspetti diversi, che riguardano la persona del lavoratore, la sua famiglia, le condizioni stesse nelle quali egli svolge il suo lavoro. Ma ritengo di poter dare una risposta di fondo. La desumo da una enunciazione molto significativa, che il Concilio Vaticano II ha fatto propria: ’L’uomo vale più per quello che è che per quello che ha’ (Gaudium et Spes, n. 35). È una massima di somma sapienza. Ognuno deve costantemente cercare in se stesso la verità del proprio essere. Scoprire nell’intimo ciò che è in rapporto a ciò a cui tende. Riconoscere lealmente i propri limiti e cercare di superarli fin dove è possibile. Individuare le risorse e farle fruttificare. Quanto più cresce la vera consapevolezza di quello che siamo, tanto più acquista valore il senso dei nostri diritti armonizzato con il senso dei nostri doveri. Essere uomo nell’ampiezza di dimensioni che questo impegno comporta, è il criterio in base al quale occorre giudicare tanto l’agire quanto l’avere. È, in altri termini, il punto di riferimento verso cui devono convergere le attività racchiuse in tutto l’arco dell’esistenza. È il segreto per ottenere che nessun aspetto torni a danno dell’altro, ma che tutti si integrino vicendevolmente; che gli obblighi – per esempio – inerenti alla vita di fabbrica tornino a incremento della maturazione personale, della vita familiare e del contributo da dare alla comunità. E viceversa.

    Ma viene anche per dire con forza ai Governanti che il diritto al lavoro è un diritto di tutti gli uomini e di tutte le donne, specialmente dei giovani, e che questo diritto, quando non è possibile esercitarlo, crea situazioni che ledono la dignità della persona: Sì, il non poter disporre di un lavoro, particolarmente quando si guarda al domani e tutte le risorse intellettuali e fisiche reclamano costituzionalmente di potersi esercitare, è una prova veramente drammatica. L’inattività forzata è una situazione iniqua. È una immobilità che tende a paralizzare perfino la speranza. Sogni e ideali rischiano di annientarsi in una morsa avvilente. Il giovane si vede privato della possibilità di formarsi una famiglia. C’è ormai una storia di crisi e di devastazioni psicologiche e morali, che reclama severe riflessioni. Io ripeto con forza che la disoccupazione ‘è in ogni caso un male e, quando assume certe dimensioni, può diventare una vera calamità sociale’ (Laborem Exercens, n. 18). La disoccupazione è ‘una piaga’ (Ibidem, n. 8). La piaga si forma in organismi deboli o malati. Quando una società viene a trovarsi alle prese con tale fenomeno è obbligata ad interrogarsi sul proprio stato di salute. Occorre allora ricorrere ad accurate verifiche, esaminando ognuna delle articolazioni sociali per valutarne vitalità e rapporti nel quadro economico globale. Sociologia ed economia hanno certo molto da dire in materia, sulla scia delle imponenti trasformazioni tecnologiche, che condizionano il lavoro moderno. Ma, anche qui, l’uomo è il primo elemento da considerare. L’uomo, il cui apporto è e sarà sempre necessario sulla strada del progresso. Nessun meccanismo, per quanto perfezionato, può sostituire l’intelligenza umana. Ponendo l’accento sul valore uomo, diventa subito chiaro che non a lui possono essere addossati con disinvoltura i maggiori costi dell’automazione. La moderna organizzazione del lavoro va invece studiata e messa in atto attraverso piani organici che salvaguardino scrupolosamente il diritto dell’uomo al lavoro, in base a questo criterio, applicato con buona volontà e lungimiranza, possono essere riassorbite le piaghe della disoccupazione.

    Non viene per i padroni, come potrebbero pensare gli operai, anzi viene per loro: Certamente io non vengo qui per l’interesse dei vostri padroni, della direzione. Per fare ciò non si verrebbe nel giorno di S. Giuseppe. Perché il giorno di San Giuseppe è il giorno dei lavoratori. Vengo, invece, per l’accostamento con il mondo del lavoro. Un accostamento di tipo pastorale, perché questa è la mia vocazione, non altra. Non è professionale, non è industriale, ma è pastorale. Nella dimensione della vocazione pastorale si trovano i diversi campi e le diverse dimensioni della vita umana e quindi anche la vita industriale, anche la vita dei lavoratori. La Chiesa è anche umana e cristiana. Nell’ambito dei lavoratori poi ci sono anche i credenti che vedono nella visita del Vescovo di Roma, del Papa, la visita del loro Pastore. Questo è il vero scopo della mia visita oggi tra voi. Qualcuno di voi ha anche posto il quesito di come trovare la felicità nel lavoro. È un problema importante perché non si è solamente lavoratori, si è, soprattutto, uomini e l’uomo cerca la felicità. Questo è il suo desiderio naturale. La cerca, altresì, come lavoratore. La cerca nel lavoro e vuol trovare pertanto soddisfazione nel lavoro. Il lavoro deve dare all’uomo una soddisfazione specifica. Se questa soddisfazione non c’è, allora si vede il lavoro come un peso. Si dà soddisfazione a l’uomo se si permette all’uomo di svilupparsi, di progredire umanamente. Allora il lavoro diventa veramente un benefìcio per l’uomo, diciamo la benedizione della sua vita: non una condanna ma una benedizione. E lancia un appello allarmante: La dimensione mondiale dei problemi del lavoro preme con un’urgenza non più trascurabile.

    Giovanni Paolo II affronta anche il problema legato alla migrazione per trovare un posto di lavoro: Molti di voi sono immigrati da altre regioni, e qui hanno trovato, con l’ospitale accoglienza, la possibilità di integrarsi liberamente nel tessuto civico e nell’ambiente di lavoro. È un dato di fatto che merita di essere messo in risalto. Un segno della tendenza che il lavoro va manifestando sempre più anche a livello mondiale, la tendenza cioè a scavalcare ogni frontiera. (…) Nell’ambito del proprio Paese, ai lavoratori spetta di svolgere un’azione di stimolo dell’opinione pubblica. Questa, a sua volta, nelle società ordinate democraticamente, può contribuire a far sì che le politiche migratorie siano concepite, non su pregiudizi del più vario stampo, ma sulla base del diritto dell’uomo a cercare ovunque le fonti del sostentamento proprio e della sua famiglia, nella visione del bene comune della famiglia umana, che postula il superamento degli squilibri tra le nazioni.

    In Toscana inoltre il Papa denuncia il lavoro nero e il sangue versato dai lavoratori: Non meno serio è il problema della sottoccupazione o del cosìddetto ‘lavoro nero’, che colpisce soprattutto le fasce sociali deboli e meno protette, i giovani in cerca di primo impiego, le donne, gli immigrati e, talora, persino i bambini. Questa realtà di sfruttamento del lavoro umano non può lasciarci indifferenti. Un altro dato preoccupante è sostituito dai problemi della sicurezza sul lavoro che la razionalizzazione tecnologica, spesso dominata dalla ricerca del puro profitto, non ha saputo ancora eliminare: tante, troppe sono le vittime di incidenti sul lavoro! Il sangue che viene versato nei cantieri e nelle fabbriche deve impegnare tutti a trovare gli opportuni rimedi, perché tali luttuosi eventi non si ripetano più.

    Ed ecco che allora il Papa stesso si chiede che cosa emerge da tutte queste considerazioni: "emerge che c’è nella vita una decisiva scala di valori. Esaltiamo il lavoro. È giusto. Esaltiamo l’uomo nel suo rapporto col lavoro.

    È ancora più giusto. Ma l’uomo ha bisogno di qualcosa che lo superi. Ha bisogno del pane quotidiano, eppure non vive di solo pane. L’uomo cerca sempre qualche cosa di più, stimolato dagli impulsi del suo mondo interiore. Innumerevoli sono le ricchezze nascoste nelle zone intime del suo cuore: il senso della bontà, della bellezza, della generosità. La nostalgia e la speranza. Il fascino del mistero. Il sentimento etico e morale. L’apertura alla giustizia, alla libertà, alla solidarietà. L’uomo diventa, per così dire, tanto più uomo quanto più riesce a superare se stesso, scavalcando i confini della materia. Ed ecco l’orizzonte dei grandi valori trascendenti, che vanno oltre l’esperienza sensibile e formano il ‘mondo soprannaturale’. Il mio discorso ritorna così al nucleo religioso, al ‘Vangelo del lavoro’. È stato detto da un vostro rappresentante che il distacco tra la Chiesa e il mondo del lavoro va sempre più attenuandosi. Sono molto lieto di tale constatazione, e spero che su questa strada si faranno ulteriori progressi. Il motivo di fondo è che la Chiesa, nell’affiancarsi al lavoratore e nel propugnarne la dignità senza distinzioni di razze, di credo, di nazionalità, di condizione sociale, agisce in virtù della missione conferitale da Cristo. Nella maturazione del laicato cattolico, che è un frutto del Concilio, si va diffondendo la spiritualità del lavoro. È una spiritualità che occorre approfondire nella ricerca dei modi più idonei a valorizzare il fermento cristiano, così da trasformare l’individuo e portare nell’ambiente lavorativo l’amore, la fraternità, la pace di Cristo".

    Nell’incontrare gli operai il Papa incontra anche i Consigli di Fabbrica, coloro che sono o dovrebbero essere la loro voce, e si rivolge a loro come se fossero dei Consigli Parrocchiali, perché in fondo il loro compito è lo stesso: "Mi domando, visitando il Consiglio di Fabbrica, se il modello dei Consigli pastorali nelle parrocchie non è appunto un Consiglio di Fabbrica. Se è così, probabilmente, c’è un’affinità perché sia qui che là si tratta di una comunità, di come salvaguardare il bene di questa o quella comunità, come attingere le sue finalità. Naturalmente la fabbrica ha una sua caratteristica diversa da quella della parrocchia. Ma sia qui che là esistono due comunità. Si tratta del bene comune di quella comunità e si tratta delle finalità che sono proprie a una certa comunità. (…) Che cos’è il Consiglio? Il nome Consiglio indica una comunità, soprattutto una funzione, un’attività: dare consiglio. Voi siete qui per dare consigli ed io vi auguro di dare buoni consigli. Buoni consigli per

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1