Scritture aliene albo 7: a cura di Vito Introna
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Scritture aliene albo 7 - Francesca Panzacchi
SCRITTURE ALIENE
ALBO 7
eds
Scritture aliene
albo 7
autori vari
a cura di Vito INTRONA
Tutti i diritti sono riservati
OGNI RIFERIMENTO DESCRITTO A COSE, LUOGHI PERSONE
SONO DA RITENERSI DEL TUTTO CASUALI
Vasi Comunicanti
Marco Alfaroli
Maurice si svegliò alle 7:00, come tutte le mattine. Consumò una fugace colazione, si vestì in fretta e si precipitò al lavoro. In ritardo, raggiunse la metropolitana di corsa e, per salire, si fece strada con qualche gomitata in mezzo ai tanti pendolari. Parigi era bellissima, soprattutto al mattino, ma lui l’aveva vista così tante volte che non ci faceva più caso. Naturalmente sul treno non trovò posto a sedere e se anche l’avesse trovato, alla prossima fermata avrebbe dovuto cederlo a qualcuno più anziano di lui, ne era sicuro. Se ne stette tranquillo in piedi, stipato in mezzo agli sconosciuti compagni di viaggio, reggendosi a una maniglia.
Fuori dai finestrini il muro della galleria scorreva velocissimo e pensò a quanto fosse monotona la sua vita: al mattino in ufficio per un lavoro che non gli piaceva e la sera il ritorno al suo piccolissimo appartamento, praticamente un monolocale... anzi, una tana! Sì, non poteva che chiamare così la sua dimora: la tana di un animale solitario, senza amici e senza famiglia!
Provò a scorrere lo sguardo sulle facce che gli stavano intorno. Un ragazzo che ascoltava la musica con le cuffie collegate all’iPod si accorse di lui e, stizzito, gli ringhiò un brusco Che vuoi?
accompagnato dal gesto del dito medio. Maurice non lo considerò più di tanto e continuò a scorrere. Si fermò su una biondina seduta alla sua sinistra, era una bella ragazza eppure in lui non suscitava alcun desiderio... come al solito.
Arrivò alla sua fermata e, chiedendo permesso a questo e a quella, dopo tre o quattro Scusate
riuscì a scendere. Prese le scale mobili e si diresse all’altra fermata. Lì si raggruppò insieme ad altri in attesa della prossima corsa.
Fu in quel momento che il muro attirò la sua attenzione. Dapprima distolse lo sguardo, credette di avere problemi alla vista... ci mancavano solo quelli. Poi tornò a guardare, fissando un punto preciso. Pareva che il muro in quel punto… fosse liquido! Sì, una cosa pazzesca! Era folle anche solo pensarlo, eppure vedeva la parete ondeggiare, come fosse acqua. Titubante allungò la mano. Toccò. Fu come tastare il mare e intorno al punto di contatto si formarono piccole onde che si allontanavano in cerchi consecutivi.
Indietreggiò spaventato. Si volse verso una signora anziana, la più vicina tra i passeggeri in attesa.
«Signora...»
«Sì, giovanotto?»
«Ha... ha visto il muro?»
«Certo che l’ho visto. Era lì anche ieri.»
«È... è liquido.»
La signora guardò la parete nel punto indicato da Maurice. «Giovanotto, questo è un normalissimo muro» disse scrutandolo dritto negli occhi e aggiunse: «che ti sei fumato ieri notte? Dì la verità. Voi giovani siete tutti drogati, per forza poi vedete diavolerie in giro! Io vi manderei a lavorare! Altro che storie!»
«Signora, sto andando al lavoro e le assicuro che non mi drogo...» abbandonò l’idea di convincerla e chiese agli altri che si erano avvicinati incuriositi: «Il muro... vi sembra normale?»
«Il muro è normale, sei tu che devi farti vedere da un dottore!» disse qualcuno, e qualcun altro infierì: «Sì, ma devi trovarne uno bravo, perché hai dei grossi problemi, amico.»
Maurice capì che doveva uscirne alla svelta e troncò la conversazione: «Va bene, scusatemi, mi passerà, scusate ancora...» si allontanò un poco e quelli parlarono sottovoce tra loro, gli lanciarono occhiate furtive e partì qualche risatina di scherno. Provvidenzialmente arrivò il treno e salirono tutti, soprattutto e per fortuna nessuno scese, così quando ripartì Maurice restò solo col suo muro liquido.
Trascorsero alcuni secondi che sembrarono giorni. Provò la tentazione di attraversare quel muro ma temette l’ignoto, chissà dove sarebbe andato a finire se ci avesse provato? Magari nell’oceano, circondato da squali assassini, oppure il muro sarebbe tornato solido all’improvviso uccidendolo all’istante. Ci pensò su, guardò in giro e si rese conto che un’occasione del genere non si sarebbe ripetuta. Era difficile che a una fermata della metropolitana non ci fosse nessuno come in quel momento. Sbattere la faccia contro la realtà in preda alla pazzia o morire incastrati in un incubo, erano passi da fare in solitudine.
Si decise, chiuse gli occhi e avanzò. Sentì l’acqua in faccia, l’avvolgeva e gli inzuppava i vestiti. Un altro passo e fu dentro, completamente immerso.
Emerse dall’altra parte, mosse ancora un passo e sentì qualcosa di solido sotto i piedi. Aprì gli occhi. Stranamente si trovò asciutto, controllò i vestiti, si accarezzò le guance... dell’acqua che gli era parso di avere addosso non c’era traccia.
Il panorama che si trovò davanti fu un’immensa distesa piatta di qualcosa che sembrava metallo, sormontato dal cielo cupo e nuvoloso. Dove diavolo si era andato a cacciare? Che posto assurdo era mai quello? Si voltò. Alle sue spalle c’era una parete liscia, dello stesso materiale di cui era composto il terreno; alzò lo sguardo e la seguì fino al cielo, la vide scomparire dentro i nuvoloni neri. Quella era la parete da cui era emerso e al di là doveva esserci la metropolitana. O forse no.
Si avventurò sulla distesa metallica e con la coda dell’occhio, mentre camminava, sorvegliò la parete, infatti gli era parso che si fosse mossa, ma non ne era sicuro, forse si era trattato di un effetto ottico.
Non contò i passi e non si rese conto della distanza raggiunta, ma si convinse che doveva per forza trovarsi su un altro mondo, lontano e sperduto in chissà quale galassia.
La luce che illuminava la distesa arrivava da un sole velato. Era strano, sembrava avere le stesse dimensioni del sole terrestre. Una coincidenza. Esplorò con lo sguardo il resto del cielo e scoprì una luna far capolino in mezzo alle nubi. Divenne visibile. Maurice trasalì. Era lei! Riconobbe le inconfondibili ombre dei crateri e fu sicuro che quella fosse la sua Luna, la luna della Terra.
Ma allora, se quella era la Terra, che ne era stato di Parigi? Quale tremenda catastrofe si era consumata nell’attimo in cui lui aveva attraversato il muro? No, era tutto troppo illogico! Si massaggiò la testa che sembrava scoppiargli, cercò di riflettere. Quella non poteva essere la sua Terra, era un’altra Terra. Un mondo da incubo dal quale bisognava fuggire al più presto.
Non ebbe il tempo di pensare ancora. Udì un sibilo acuto provenire all’alto e dalle nuvole spuntarono alcune creature volanti o almeno così sembravano all’inizio. Erano enormi e argentee... forse metalliche. Calarono in picchiata su di lui disposte in formazione. Non stette troppo a guardarle e se la dette a gambe in direzione della parete, sperando di trovare un anfratto utile a mettersi in salvo. Per quel poco che vide, comunque, capì che le creature mostravano solo ali, prive di testa e zampe. Qualcosa gli fece pensare che fossero maledettamente pesanti.
Mentre correva vide davanti a sé la parete che si deformava piegandosi in avanti e coprendo minacciosa il cielo, gli parve che in qualche modo fosse viva. Corse più forte che poté e appena la prima