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Erre come pioggia
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Erre come pioggia

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About this ebook

Verona. Riccardo è un fioraio che ama la pioggia. La sua vita scorre tra i doveri di negoziante e il poco tempo libero speso nel retrobottega a dipingere. Nel suo negozio incontrerà Fulvia, che acquisterà un'orchidea, e tra i due nascerà un'amicizia intensa e complessa, come i loro animi. Riccardo conoscerà Stella e tra loro nascerà un sentimento puro e unico. Con il suo inseparabile taccuino, il ragazzo dai ricci neri vivrà quindi un'avventura per lui inedita e movimentata, alla ricerca di una cura per l'orchidea. Conoscerà un botanico folle, un collezionista cinese e un'artigiana che vive isolata dal mondo; questi personaggi bizzarri offriranno a Riccardo alcuni stimoli per riflettere su se stesso, piu che fornirgli dei validi aiuti per curare l'orchidea malata. Tuttavia, Riccardo riuscirà nel suo intento, ma una scoperta inattesa lo porterà a mettere in discussione le sue certezze, in un finale denso d'emozioni che il lettore più attento saprà interpretare come l'inizio di una nuova narrazione e non il suo epilogo.
LanguageItaliano
Release dateMar 10, 2016
ISBN9788898980840
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    Erre come pioggia - Spilgher

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    Collana Sentieri

    Erre come pioggia

    di Spilgher

    Proprietà letteraria riservata

    ©2016 Edizioni DrawUp

    Latina, Italia

    Progetto editoriale: Edizioni DrawUp

    Direttore editoriale: Alessandro Vizzino

    Grafica di copertina: AGV per Edizioni DrawUp

    I diritti di riproduzione e traduzione sono riservati.

    Nessuna parte di questo eBook può essere utilizzata, riprodotta o diffusa, con qualsiasi mezzo, senza alcuna autorizzazione scritta.

    I nomi delle persone e le vicende narrate non hanno alcun riferimento con la realtà.

    ISBN 978-88-98980-84-0

    GUIDA ALL’UTILIZZO DEI QR CODES

    I QR Code, posti all’inizio dei capitoli, sono un particolare tipo di codice a barre a matrice.

    Chiunque abbia di un dispositivo capace di leggere questo tipo di codici, può ascoltare la musica specifica legata al testo: tutti i video sono creati dall’autore, come anche le musiche che sono composte ed eseguite dallo stesso.

    Sarà quindi molto coinvolgente immergersi nella lettura con il relativo sottofondo musicale.

    Oggi, quasi tutti i modelli di cellulare dotati di fotocamera sono in grado di leggere i Qr-code. Per informazioni e supporto, visitare la pagina www.spilgher.it nella sezione QR-code.

    Chi non possiede un dispositivo in grado di leggere i Qr-code può visitare il sito www.spilgher.it nell’apposita sezione Video, dove sono elencati tutti i link per ascoltare i brani.

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    SPECCHIO

    È dalla distesa inquieta e profonda, dal mare ricco, esteso nell’animo, che evaporano le miriadi di goccioline che formeranno le nubi dell’essere; e queste nubi, in crescita incessante e mutevole, del loro grigiore solitario non possono accontentarsi, sorvolando il terreno e in esso specchiandosi.

    Una parola, una soltanto, abbastanza fredda e penetrante, romperà il morbido equilibrio: l’acqua che ne seguirà, unendosi alla terra che l’ha desiderata a lungo, sarà soltanto un dettaglio.

    Perché ciò che accadde, per me che sono un piccolo abitante di questo immenso bosco, non si può raccontare in altro modo che con i dettagli della pioggia: e le creature che sono passate di qui, attirate da un fungo dipinto da una mano sapiente, hanno ascoltato con attenzione il racconto di un Bardo Saltatore, che vi sta parlando ora, e che vi ha delicatamente invitato a sedere sull’erba.

    Per me, che sono abituato a cantare di notte, non sarà difficile raccontare anche a voi, come ho fatto con chi vi ha preceduto, quello che accadde tra una nube e il rosso terreno che la desiderava.

    Del fulmineo gioco di forze che si percepiva nell’aria.

    Dell’incanto che l’acqua sprigionava nell’animo intenso di chi, con essa, ha stretto un legame profondo.

    Di una profondità protesa verso l’alto.

    Seguitemi.

    CAPITOLO 1 - SEME

    Quando la terra e la pioggia si incontrarono e un fertile pensiero venne seminato.

    Guarda cosa hanno fatto. Quante pietre. Quanti portoni e quanti balconi in ferro battuto. Quanto lavoro si è aggiunto negli anni, nei secoli, per edificare questa città.

    Verona è una lastra di marmo rosso che fa da matrice ad un grosso fossile di ammonite: l’anfiteatro non è molto lontano, forse venticinque minuti di cammino dal negozio.

    Riccardo ha la chiave pronta in mano. Una nervosa corsetta sotto la pioggia lascia alle sue spalle l’auto parcheggiata al solito posto: l’ombrello dondola tra la sua guancia e la spalla. Il giovane non trova mai il tempo per cambiare quella dannata serratura che ogni mattina toglie tempo e mani al suo quotidiano fare.

    Il nostro amico dagli occhi neri e dai ricci folti e mossi vive circondato da piccole cose da sistemare, sommerso e adagiato, come un sasso tra le foglie secche.

    I suoi occhi sono due dei sette punti della coccinella. Sono come l’ossidiana, nera, lucente e tagliente, come il tremendo sorriso di chi ha una piccola tasca nel cuore dove riporre e custodire le sue piccole, nere, immense ricchezze.

    Ecco, una spinta energica sincrona al giro di chiave e la porta si apre, il negozio respira; il sonaglino sul vetro della porta canta oggi per la prima volta.

    Dentro c’è un freddo inatteso: ieri ha di nuovo dimenticato di controllare che il climatizzatore fosse spento, prima di uscire. Si accende da solo, troppo spesso, ma non c’è una spiegazione che ricorri al paranormale per svelare il mistero: il telecomando è sepolto da qualche parte, forse tra la catasta di libri e riviste dietro al bancone.

    Non è molto tempo che il suo negozio di piante e fiori dona al quartiere la sua verde e vivace linfa, e sebbene l’economia sia rallentata da svariati fattori complessi che Riccardo si rifiuta di analizzare, questa linfa scorre timidamente tra le fibre della città.

    Con uno slancio d’entusiasmo e di follia, due anni prima, nel bel mezzo del cammin della sua vita, si è lasciato convincere dall’istinto e ha aperto il suo cassetto prima che i suoi sogni prendessero la muffa. Il suo desiderio più grande lo realizzò quel giorno dei primi d’agosto, quando finalmente aprì per la prima volta la porta del suo spazio verde in zona Porta Vescovo. Quando la chiave girava senza intoppi e la porta si apriva con una sola mano.

    Il nostro amico con i ricci mossi entra, si ricompone.

    Lì fuori, sulla strada, nelle case e nelle auto, la gente impreca, si lamenta e manifesta la propria insofferenza con frasi già dette sulla pioggia.

    Questa fastidiosa, questa inopportuna e bagnaticcia intrusa, che cola fredda sul collo, che sporca l’auto, che bagna i vestiti, che non si limita ad arrivare e andarsene, ma esordisce incupendo il cielo con le sue nubi prima di palesarsi insolente, come una diva del cinema che pretende un tappeto rosso e spiegato al suolo per la sua pomposa passerella. Quando nessuno l’ha invitata.

    Riccardo ama la pioggia, per una manciata di buoni motivi. Ma oggi è diverso, ne avrebbe fatto volentieri a meno. E l’ombrello sorride compiaciuto: forse il suo padrone sta diventando come le altre persone e lo utilizzerà più spesso.

    La città è sveglia da diverse ore e Riccardo sistema il suo angolo verde come ogni mattina, prendendosi cura delle sue amiche variopinte come un’ape operaia, visitandole una per una, spostandosi da una pianta all’altra in punta di piedi.

    Il bagno è nel retro, con la luce sempre accesa. Riempire un annaffiatoio e dar da bere alle piante è una parte del suo lavoro che ama, e oggi, con la pioggia che annaffia il mondo, ha del paradossale. Il negozio è molto piccolo e Riccardo attiva l’impianto di gocciolatoi automatici soltanto nei rari periodi in cui il negozio resta chiuso per più di un giorno. Guarda fuori, attraverso la porta di vetro, e sul suo volto compare il caratteristico sorriso laterale che tradisce un suo pensiero bizzarro o una riflessione ironica: l’angolo destro della sua bocca che accenna un sorriso.

    È stato Lucio a fargli notare la smorfia che compare a volte in maniera repente, quasi fulminea, altre volte lentamente, in attesa che il fattore scatenante abbandoni la mente e il viso si distenda nei suoi lineamenti originali. Originale amicizia, la loro. Si conoscono da anni, sedici forse; il servizio militare può far nascere delle amicizie profonde.

    Lucio, detto Lumaca. Non è affatto una persona lenta, e non sembra essere particolarmente ghiotto di lattuga. Il nomignolo nasce dalla singolare iperidrosi che, stringendogli la mano, si avverte con umida sorpresa.

    Lucio è ormai abituato al suo nomignolo, sebbene in passato non ne sia stato molto entusiasta. Avere le mani costantemente umide e sudate non è di certo una simpatica virtù, e l’autoironia sembra essere l’unica cura valida.

    Riccardo annaffia e pensa. Il suo sorriso laterale resta piantato come un chiodino sul tronco dei suoi pensieri diramanti.

    E immagina che sarebbe bello se la stanza fosse senza pareti, come in quella vecchia canzone, e vedere la pioggia entrare e fare il secolare lavoro al posto suo. Ma in fondo ama annaffiare, prendersi cura delle sue piante partendo dall’elemento primario per eccellenza. Tuttavia deve ancora imparare a versare l’acqua da un recipiente all’altro senza disperdere nemmeno una goccia.

    L’acqua è finita, il chiodino invisibile che tiene fissato il suo sorriso laterale svanisce, e il nostro ricciolo nero torna nel retro per prendere altra acqua.

    E dei guizzi minuscoli si rincorrono sul pavimento. Eccone un’altra, ormai le saluta. Perché pestarle? Sono così simpatiche, sveglie, laboriose: sembra che nel suo negozio ci sia una nutrita popolazione di lepisme, i nevrotici e lucenti pesciolini d’argento, proverbiali mangiatori di carta che talvolta corrono sul pavimento del retro.

    Riccardo le considera parte della famiglia. Ne vede a volte di piccolissime, nate forse la notte stessa, e il suo animo sensibile non può che rallegrarsene.

    Suono di sonaglino. Ovvio. La porta si sta aprendo.

    Riccardo torna in negozio, la pioggia scende con intensità crescente, lo si capisce dalla cadenza dei goccioloni e dai tuoni sempre più frequenti.

    Il corriere entra innervosito, il suo k-way arancione sembra non bastargli come difesa da questa insopportabile e inutile acqua fredda.

    Il pacchetto giallo tutto tatuato è sul bancone: una firma, una frase sulla pioggia, un sorriso laterale, e il corriere esce stringendo con le mani il cappuccio di plastica impermeabile.

    In fondo, siamo a marzo. In fondo sono solo quattro giorni che piove. Ma qui fuori si vedono solo figure lontane e scure, con il loro ombrello, come dei grossi funghi che fuggono dall’umidità.

    Eppure è una bella giornata.

    Perché il pacco che Riccardo aspettava da giorni è finalmente arrivato. Devono essere di certo i pennelli nuovi, ordinati da un sito internet: il ragazzo non ha nemmeno controllato il nome del mittente stampato sul cartoncino giallo che avvolge il pacchetto, perché non aspetta altro. Lavorare in proprio gli porta via quasi tutto il tempo solare, e ormai è abituato a fare acquisti online. Pennelli nuovi, perché i suoi pennelli vecchi erano rimasti incollati alla tavolozza, intrisi di colore a olio ormai seccato. Santo ragazzo.

    Sbadato e disordinato. Un’altra delle sue dimenticanze, o forse semplicemente il risultato di svariate attività gestite con leggerezza, accavallandosi e confondendo l’ordine delle priorità.

    Dipingere è il suo rifugio nascosto nel retro del piccolo negozio verde: questa volta l’attenzione dei suoi occhi neri è presa con forza da un dipinto che era già ben nitidamente definito nel suo immaginario, ma lentamente e con poca costanza cresciuto sulla tela, un tratto alla volta, alla luce di una lampadina appesa al muro.

    Senza portalampada.

    Riccardo posa il pacchetto giallo nel retro, tra la valigetta dei colori e le pile di vasi di plastica. Polvere. Disordine.

    Non getterà via i vecchi pennelli pietrificati, potrebbero servire.

    Quel dipinto è fermo da due settimane, forse a metà, se consideriamo quanto bianco è rimasto da coprire. E Riccardo promette ogni giorno, al mattino, di fare progressi e realizzare quella che per lui è diventata una sfida intensa, immensa.

    La sera chiude il negozio e sistema ogni pianta al suo posto e, dopo una saggia verifica per assicurarsi che non ci siano climatizzatori accesi, chiude a chiave la porta, spegne la luce e si dedica alla pittura, nel retrobottega, con la musica in sottofondo. La playlist è sempre la stessa. Per ogni dipinto che ha realizzato ha creato una colonna sonora specifica, scegliendo brani di ogni genere, dalla classica al jazz, come se l’arte e la creatività avessero bisogno di un motore per procedere in avanti. La musica, la sua musa.

    Ma il più delle volte è stanco e cinico, due fattori che sono di poco aiuto per l’arte. E così procrastina fino al giorno seguente il quotidiano e serale appuntamento con il pennello e il buon proposito.

    È saturo di creatività, il giovane dal riccio mosso. Carico, come una nube molto scura. Bassa.

    Perché, nel suo manifestarsi, la creatività scende dal suo vasto mondo interiore alle sue mani, ai suoi pennelli: proprio come la pioggia che sul vetro della porta d’ingresso, creando un gioco di gocce e di luce, dipinge in trasparenza l’esterno come un quadro impressionista.

    La sua natura è raffinata, delicata. La sua personalità è di certo inusuale, naif. Antistorica. Inadeguata al tempo, al conformismo più diffuso come anche all’anticonformismo scontato.

    Il suo sguardo è imbarazzante, difficile da sostenere, intenso e persistente. Come se tentasse di scassinare le porte dell’anima, per leggere i segreti delle persone con cui instaura un dialogo, fissandole dritte negli occhi.

    Certo, non è sempre stato così, e forse la sua sicumera è il primo frutto di una lenta catarsi: ha uno scopo, nella sua vita, così crede.

    La fotografia di suo padre sul bancone, tra due composizioni di fiori secchi non in vendita, non conosce la polvere.

    Ci sono cose che nascono soltanto dopo la morte di altre. O che rinascono dalla morte delle stesse.

    I semi, ad esempio. Si dice che un seme, per poter nascere, debba prima morire, debba prima diventare un sassolino. Ha bisogno di essere prima seppellito. O come accade per alcune specie di pino, le cui pigne si aprono soltanto dopo essere passate dolorosamente attraverso il fuoco di un incendio.

    Riccardo sa che il realizzarsi del suo sogno è dovuto in parte all’eredità lasciatagli dal padre, ma il sogno di aprire un negozio di piante e fiori era solo una delle sue tante ambizioni.

    Bene. L’acqua è una delle poche cose infinite che prima o poi finisce. Fuori ha lentamente smesso di piovere, e l’annaffiatoio di plastica verde è vuoto.

    Il ragazzo ha portato con sé questa mattina tutti i migliori propositi per vivere un’altra giornata da commerciante in un periodo poco movimentato e rallentato dal maltempo.

    «Il ficus!»

    A casa, illuminato a stento da una finestra con le persiane socchiuse, la sua prima pianta non ha ancora avuto la sua acqua.

    L’unica pianta che Riccardo possiede in casa è un ficus, il suo beniamino: nei giorni di pioggia, quando non soffia troppo vento, Riccardo porta la pianta in terrazza per lasciarla dissetare.

    È un’operazione tecnicamente inutile, ma il ragazzo dal ricciolo mosso dal vento dispettoso ama circondare il suo quotidiano di queste amenità: talvolta porta il suo beniamino con sé, in negozio, per non lasciarlo solo in casa.

    E nel suo negozio, quando piove, Riccardo non allestisce le fioriere all’esterno; non ha ancora fatto installare una tenda parapioggia, promettendosi ogni anno che il successivo sarebbe stato quello giusto per l’acquisto di una copertura carina e pratica per avere, anche nei giorni umidi e piovosi, l’allegra festa di fiori e piante che ogni mattina sistema fuori della porta.

    Le sue piante hanno bevuto, eccetto una nel retro; l’echino-cactus che non annaffia quasi mai, a cui oggi ha deciso di rendere la vita più umida. Nel retro, il ragazzo sfida le spine con l’acqua.

    La terra nel vasetto si bagna lentamente, dissetandosi; qualche goccia rimane impigliata tra le spine, mentre la brocca ingiallita si svuota come ogni volta, nei tempi noti.

    Una clessidra ad acqua che dura dieci secondi.

    Il retro del negozio è una festa del disordine, dove ogni cosa è invitata, nessuna esclusa. Riccardo urta con un fianco il tavolino di legno che ingombra lo stanzino, vicino agli scaffali e al cavalletto con la tela; il bicchiere colmo per metà di acqua intorpidita dalla tempera di un suo dipinto, un altro elemento d’arredo del suo atelier del disordine, casca a terra frantumandosi proprio mentre la porta d’ingresso si apre.

    Sonaglino. Passi.

    Ma nell’imprecare al suono del vetro rotto, non ha sentito la porta aprirsi.

    Il giovane ricciolo continua a urtare il tavolino, mentre con frenesia recupera i pezzi di vetro più grandi, lasciando che la scopa e la paletta facciano poi il lavoro sporco.

    Ogni volta è la stessa storia. E per quanto lui questa volta sia stato più prudente, la conseguenza della sua testardaggine nel voler raccogliere con le mani i vetri rotti, punisce l’indice destro con un taglio.

    I cerotti sono come al solito finiti, o persi da qualche parte.

    Un pezzetto di carta assorbente. Due giri di nastro isolante nero.

    Nel negozio, una donna curiosa osserva le piante mentre aspetta che qualcuno esca dal retro per servirla.

    Minuti rumorosi: nel negozio la donna sente provenire dal retro il suono di vetri raccolti, rubinetti aperti e poi chiusi.

    Nel retro, Riccardo viene sorpreso da una voce femminile.

    «C’è qualcuno?»

    Gli occhi neri si alzano di scatto, fissando il nulla piastrellato.

    Riccardo si precipita.

    «Buongiorno, signora, eccomi. Stavo annaffiando.»

    Quel secondo in più, che nello scambio di un dialogo può significare imbarazzo o sospetto.

    «Salve! Buongiorno non direi proprio... ma per fortuna ha smesso di piovere.» Sorrisi.

    «Mi dica pure.»

    «Sì. Questa estate ho visto un fiore che mi ha incuriosito molto.

    Un amico, un fotografo, è tornato da un viaggio e ha fotografato un fiore. Una foto in bianco e nero, e non vorrei sbagliarmi, ma a me sembra un’orchidea. Vorrei sapere se lei ne ha una uguale. Ecco, vede...»

    La donna cerca nella sua borsa qualcosa.

    Il nostro amico la osserva con interesse. È bella. Curata.

    Potrebbe avere più di quarant’anni, portati bene. I suoi capelli sono di un colore ramato e lucente. Sembra che quando si ha fretta di trovare qualcosa in una borsa, gli oggetti che vi nuotano dentro, al buio, aumentino di dimensione. E di numero.

    La donna posa la borsa sul bancone.

    «Mi scusi.»

    «Prego, prego. Faccia pure.»

    Il ragazzo sposta di qualche centimetro il boccale con le penne e la pila di cataloghi, dando un simbolico spazio in più alla cliente che libera la borsa dagli oggetti più ingombranti, posandoli sul bancone, tra i nastri e le forbici cigolanti, tra libri e cataloghi: posa con frenetica e distratta noncuranza un mazzo di chiavi con un vistoso portachiavi a forma di arancia, il portamonete e alcune fotocopie ripiegate in quattro.

    Sospiro. Le spalle nel cappottino nero di flanella si distendono.

    La donna trova finalmente il suo smartphone.

    Riccardo alza il sopracciglio.

    La donna rossa non vorrà mica metterlo in attesa usando il telefono proprio ora? Riccardo, che odia il telefono, osserva con ansia la donna dal volto illuminato e dalle dita rapide che da troppi secondi danzano sullo schermo.

    Non è un ragazzo insofferente. Ha molta pazienza, per questo pare essere un buon commerciante. Ma detesta il telefono, il suo spezzettare i dialoghi e le attività.

    «Eccoci, ci siamo, un attimo solo...» e mostra un’immagine al ragazzo, portando lo schermo dello smartphone in abbagliante primo piano.»

    Un fiore in bianco e nero, simile a una farfalla.

    «Ecco, vede, ho scattato una foto della foto che le dicevo.»

    Scatti di scatti.

    «Oh, sì. Beh, l’immagine è ritoccata, ma si tratta di un’orchidea piuttosto comune, una Phalaenopsis. »

    «Sì, infatti sapevo che fosse un’orchidea. Ma l’immagine non è ritoccata. Ho fotografato io, con lo smartphone, direttamente sulla stampa originale. Quando ho visto la foto non ho pensato alla sua qualità, alla bravura del fotografo, al piacevole gioco di sfumature della profondità di campo. Ho visto un fiore che non sembra essere vero. Questo amico mi ha raccontato una storia toccante legata a questo fiore, e l’ha paragonato a me. Vorrei acquistarne uno identico.»

    «È un fiore molto comune. Ne ho diversi. Deve il suo nome alla somiglianza che ha con una farfalla.»

    «Interessante. Le piante, mi confermerà, sono tutte diverse, come le persone. Quindi, per favore, l’osservi meglio e veda se ne ha una molto simile.»

    Riccardo ispessisce lo sguardo, avvicinando il naso allo smartphone della rossa signora.

    «Questa Phalaenopsis, però, non è bianca.»

    «Certo, è grigia. È una foto in bianco e nero.»

    «Appunto. Potrebbe essere rossa o... Lei di che colore la sta cercando?»

    «La vorrei identica a questa della foto, possibilmente...»

    «Ce ne sono di tutti i colori. Le più comuni sono bianche, o rosse, oppure screziate. Ma nella foto, dalla quale possiamo soltanto percepire le gradazioni di grigio, i petali sembrano di un colore uniforme.»

    «Difficile capire ora di che colore si tratta.»

    «Potrebbe trattarsi della singolare varietà blu.»

    «Un’orchidea blu?»

    «Di orchidee azzurre ce ne sono diverse specie. Ma la Phalaenopsis blu non esiste, o meglio, quelle che esistono sono colorate artificialmente.»

    «Questo fiore e la storia che il mio amico mi ha raccontato mi hanno conquistata subito. Ha presente quando si scopre qualcosa che ha un che di simbolico, di rappresentativo, nel quale ci si può identificare?»

    «Credo di sì.»

    La mente del ragazzo percorre al volo il regno animale, vegetale, minerale e spirituale alla velocità della luce, soffermandosi su alcune figure che sente proprie. Animali strani. Pietre lucenti dal nome buffo.

    «Sì, credo di capire il senso di ciò che mi dice. Ho cominciato a dipingere un olio qualche mese fa, raffigurante una nube imponente sul mare... credo di essere simile alla pioggia.»

    «Ah, ma lei dipinge?» Sguardo che si alza repentino dallo smartphone per incontrare gli occhi neri. Capelli rossi portati al lato della spalla con un fiero e vistoso movimento della testa.

    Sorriso. Sorrisi.

    «Sì, sì. Quando ho un po’ di tempo, in pratica quasi mai, dipingo, ma quel quadro di cui le parlo è incompleto. Credo di averlo da qualche parte nel retro, insieme ad altre tele.»

    «Come mai è incompleto?»

    «Non saprei. Forse a metà dell’opera mi sono reso conto che era diventato troppo complicato e difficile per me.»

    Riccardo non è di certo fiero di raccontare i suoi incompiuti.

    Tuttavia è molto vanitoso, parlando della sua passione per la pittura e dei suoi svariati cimenti con le persone che trova affascinanti e interessanti. Donne, soprattutto.

    Poi la domanda improvvisa, che la donna rossa come una nube al tramonto punta con acume sul ghiaccio, rompe il gelo che separa l’ io dall’ altro.

    «Ma se lei fosse una pianta, che pianta sarebbe?»

    «Non sono una pianta, purtroppo. Ma, nella mia natura piovosa, potrei essere un salice.»

    «L’albero piangente.»

    «Così dicono. Ma sotto il suo ombrello trovano riparo le anime più intense e, sebbene qualcuno l’abbia chiamato piangente, esso è di certo l’albero più allegro e felice di tutto il giardino. Tutti gli alberi hanno moltitudini di foglie. Ma il salice, per sua natura e conformazione, ama raccontare le sue foglie una per una, unite da corde sottili e resistenti che legano l’animo di chi ascolta la poesia delle sue fronde.»

    Impressionata. La poetica di questo ragazzo è improvvisa, estemporanea. Forse imbarazzante e fuori contesto.

    «Come si chiama, se posso?»

    «Mi chiamo Riccardo. E lei?»

    La donna accenna un sorriso. Prova simpatia per gli uomini con la erre francese.

    «Hai un bel nome al quale rispondi se vieni chiamato, e ti volti; ma qual è il nome della tua essenza profonda?»

    Riccardo è sorpreso. Questo è il genere di domande alle quali ama rispondere, forse questa donna ha un animo nel quale valga la pena specchiarsi. Pensa alla erre, pensa alla pioggia, pensa ai suoi racconti scritti nelle ore piccole e buie, al personaggio che popola il suo mondo interiore, e non fa in tempo a rispondere Rainy, perché il loro dialogo viene interrotto.

    Sonaglino. Porta che si apre.

    Una coppia di turisti entra con garbo e irrompe nel silenzio che accompagna quel dialogo crescente come la luna.

    La distensione che accarezza l’apertura reciproca del ragazzo dai ricci e della donna dai capelli ramati, come una corolla, adesso vira con naturalezza verso il posato e il formale. Percettibili dettagli.

    «Comunque, se vuole, ho proprio un paio di Phalaenopsis bianche. Venga...»

    Riccardo si avvicina alla donna e le fa notare due vasi di porcellana tondeggiante, carinissimi, indicandoli con l’anulare e nascondendo l’indice ferito. Agli occhi della rossa ed elegante signora, tutte le altre piante intorno ai due vasi bianchi e le moltitudini di foglie e fiori di ogni forma sembrano un’unica e sfocata cornice che circonda le due orchidee: i suoi occhi marroni come le castagne sorridono, glassati da un pensiero dolce e illuminati dal verde. Riccardo ha entrambe le mani ai fianchi in attesa del verde verdetto.

    La coppia di turisti si avvicina cercando di catturare l’attenzione del ricciolo ipnotizzato.

    «Salve. Senta, stiamo cercando dei bulbi di zafferano.»

    Riccardo continua a fissare le orchidee, poi concede il suo sguardo alla coppia sospesa sul punto interrogativo.

    «Uhm, no. Non ne ho. Finiti tutti. Mi dispiace. Arrivederci.»

    I ragazzi escono. Ma i bulbi erano conservati da qualche parte nel negozio. Se un commerciante liquida in fretta un cliente, ci deve essere una pioggia di buoni motivi.

    Soli di nuovo.

    Riccardo torna a fissare le orchidee, fermo, vicino alla donna matura, come un riccio sotto un albero di mele in attesa che la più matura cada.

    E il clima torna disteso e privato, per qualche sconosciuta regola etologica.

    «Sa cosa le dico? Ne vorrei una. Anche se quella nella foto non è certamente bianca.»

    «Quale sceglie?»

    «Me ne dia una. Faccia lei. Per me sono bellissime entrambe.»

    Fa davvero freddo, per essere marzo. Nel parlare, Fulvia dona con il suo respiro delle effimere e leggerissime nubi che svaniscono in un soffio.

    «Ok. Le prenderò questa a sinistra. Le somiglia di più.»

    Sorrisi.

    Il ragazzo si attiva con movimenti rapidi e sicuri e prepara la pianta per la sua uscita definitiva dal limbo verde dove è cresciuta.

    Ogni qual volta conclude una vendita, durante la fase di confezionamento, il ricciolo nero fantastica sul destino futuro della pianta. Il mazzo di fiori sarà servito allo scopo per cui è stato preparato? La pianta sarà annaffiata e curata? Il bulbo avrà tutti i parametri a suo favore, umidità, temperatura, concimazione? Ma questa volta Riccardo non pensa al futuro anteriore della sua orchidea bianca; ha la serena convinzione che la sua nuova proprietaria sarà di certo una degna e attenta custode.

    Questa volta ha in mente altri interrogativi che si avvolgono e si accavallano come il nastro di organza viola che sta legando intorno al foglio trasparente che avvolge il vaso.

    Chi è questa donna? Come si chiama? Che lavoro fa? La rivedrà, forse? Le forbici cigolano sempre di più. Dovrà oliarle...

    La pianta è pronta. Bianco, verde e viola.

    «Comunque, mi chiamo Fulvia. Piacere. E dammi del tu.»

    Mano fredda, leggerissima.

    «Piacere mio. Mi chiamo Riccardo.»

    «Sì, lo so. Me lo hai detto prima.»

    «Oh, sì, vero.» Mano dietro la nuca, grattando via l’imbarazzo.

    Sguardo fisso e sorridente. Vorrebbe entrare attraverso quelle finestre castane e leggere con disinvoltura tutti i libri che vi si troverebbero aperti.

    «Sembri diverso dall’altra gente che lavora in questa strada.»

    «Grazie per avermelo detto. Non lo so, ma pare sia così.»

    «Parli anche in maniera diversa. Sei fortunato, lavori in un bel posto. Amo le piante e...»

    «...ami le piante. È bello sentirlo dire, in genere le persone dicono che le piante piacciono. E io amo chi ama la natura. La mia non è una semplice ammirazione per tutto ciò che è bello e piacevole. Sostanzialmente il mio è amore per le cose normali.

    Infatti amo il freddo, la pioggia, al pari del sole e del mare.»

    «Beh, se ami la pioggia, allora oggi ti sarai gasato!»

    Risate.

    «L’inverno appena trascorso è stato molto proficuo per me. Ho dipinto una decina di tele.»

    «Sei rimasto chiuso in casa a dipingere, al calduccio?»

    «No, no. Ero qui. Dipingo nel retro. Quando chiudo il negozio spengo le luci e, se il motore della mia creatività è acceso, posso sedermi e iniziare a dipingere.»

    «Sono sempre affascinata dalle persone che creano. Anche a me piace creare oggetti. Qualche anno fa realizzavo delle sculture di legno. Poi amo scrivere. E soprattutto adoro creare in cucina. Sono una donna intensa, difficile da spiegare...»

    «Non c’è bisogno di spiegare. Quindi anche io sono un uomo intenso.»

    «Sai, perdona la confidenza, ma ho come la sensazione di conoscerti da tempo.»

    «Non credo tu mi conosca. Non sono nato qui. Abito in questa città da quattro anni circa. Ma ti dirò... ho la stessa sensazione, come se ti conoscessi già.»

    «Probabilmente perché sono brava a mettere a proprio agio le persone, è il mio lavoro da tempo. Ma è difficile che io resti colpita da qualcuno.»

    «Voglio farti un regalo. Spero non sia preso come qualcosa di ruffiano.»

    «Ma sì, arruffiànati...»

    La donna sembra molto colta, e il suo lessico è impreziosito da neologismi e termini gergali. Dicono che il segreto della ricetta per ottenere l’antica e preziosa porcellana cinese risieda nella presenza di lievi impurità nascoste tra gli ingredienti.

    Riccardo svanisce nel retro buio con un sorriso buffo, dipinto in volto con l’acquerello; ha la fierezza che traspare sul volto del bambino quando corre a prendere un piccolo lavoro che ha preparato per la sua nuova amica.

    «Ecco, prendilo.» Sorriso.

    Un sasso piuttosto piatto, bianco, della dimensione di un palmo di mano, dipinto con elementare tecnica di pointillisme. Tanti minuscoli puntini di colore, che portano agli occhi la figura di un cipresso. Non è banale, perché i puntini sono di tre soli colori, i fondamentali, che nella loro intensità variabile conferiscono le diverse tonalità ai vari elementi del disegno.

    «Ma, l’hai fatto tu?»

    «Certo che l’ho fatto io. Avevo questa pietra vicino al telefono, qui in negozio. L’ho fatto con i pennarelli.

    «Non ho parole.»

    «Non servono.»

    Occhi bassi. Sorriso. Occhi alti.

    «Mi piace dipingere. Lo faccio da quando ero bambino. Non so spiegare cosa mi succede quando comincio a farlo. A volte basta un momento di noia e una pietra diventa la mia tela. Poi sono ossessionato dai sassi lisci, ne colleziono a centinaia. Sto anche pensando di partecipare a un concorso organizzato da un’importante galleria, qui in città, che esporrà dipinti di artisti emergenti in una mostra.»

    «La galleria Viglietti, forse?»

    «Esatto!»

    «Intanto, in bocca al lupo per il concorso.»

    «Crepi, povero!» Ha sempre provato molta compassione per il povero lupo.

    «Poi posso dirti con una certa pertinenza che hai del talento. Un mio caro e intimo amico è critico d’arte.»

    Emozione. Quella che pervade ogni nervo, che colora l’animo di speranza mista a stupore per una scoperta piacevole e inaspettata.

    Leggerissimo senso di colpa: si sente felice perché ha conosciuto un’anima intensa, forse quella che si aspetta da una vita, oppure è più felice per aver trovato una sorta di aggancio, di trampolino, di spinta verso la visibilità nel vastissimo, intricatissimo, spietato mondo dell’arte?

    «Si è fatto tardi. Devo proprio andare.»

    «Ok, capisco.» Sorriso laterale.

    «È stato bello chiacchierare un po’. E poi questo regalino che mi hai dato ha già un posto che l’aspetta, a casa mia.»

    «Sono contento che tu abbia trovato il fiore che cercavi.»

    Le parole dette tra i due sono come pioggia, che annaffia i semi dei loro pensieri, ammorbiditi, pronti a germinare durante la giornata che seguirà.

    Fulvia esce, salutandolo con un arrivederci dalla tonalità acuta e una modulazione allegra. Vivace. E Riccardo resta immobile, con sorriso laterale, fissando a terra il riflesso che il sole, appena tornato in vantaggio sulle nuvole, regala passando attraverso il vetro bagnato della porta.

    E non si accorge nemmeno che gli bruciano le pupille, nel fissare il sole riflesso dall’acqua di una pozzanghera che oggi c’è e domani sarà già evaporata.

    Nel silenzio, la mente parla a voce alta e Riccardo la zittisce tornando in sé. Scendendo in sé.

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