Storie da strani mondi
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Storie da strani mondi - Paola Panaccione
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L’OSPITE
La tavola imbandita scintillava di un magico fulgore.
Le luci abbassate, uno splendido candelabro a sette bracci piantato nel centro, e la sua morbida luce tremolante. Un sottofondo barocco di fughe, una tappezzeria da fare invidia al Ritz e improbabili effluvi di non accertata provenienza, sprigionati da piccoli bracieri nascosti qua e là nella grande sala. Gli incensi ardevano e si contorcevano nell’aria come serpenti fumosi, in una misteriosa danza suadente. L’ospite si fermò, sbalordito, dinanzi alla grande tavola. Erano appena le otto.
«Mai visto nulla di simile! È sublime, se mi è concesso esprimere una tale, ah, mistica opinione.»
«Sono contento che sia di vostro gradimento...» rispose un’altra voce, quella di un uomo sulla cinquantina, in piedi dalla parte opposta del tavolo.
«Oh, sì! Mi rammenta certi pranzi nei palazzi principeschi di Vienna o nei castelli scozzesi di Stirling...»
«Andiamo!» lo rimbrottò il padrone di casa con una lieve sfumatura sarcastica. «Tutta questa ostentazione è fuori luogo.»
«Sì, lo è» ammise l’ospite, con occhi brillanti nella penombra. «Del resto, me lo posso permettere.»
Si accomodarono a tavola, travolti dai profumi invitanti che aleggiavano intorno a loro. L’ospite indugiò sulle portate principali, ma il padrone di casa gli fece intendere che il meglio doveva ancora venire.
«Et voilà!» esclamò senza preavviso. «Pâte de foie gras al tartufo bianco, profumato all’Armagnac. Fatto da me, ovviamente. Accompagnato da un morbido e dolce Sauternes...»
«Petti d’anatra in salsa di mele cotogne e fichi!»
Servì un vino alsaziano, un bianco abboccato che l’ospite gradì molto.
«E poi tartellette, canapè e bignè mignon farciti al salmone affumicato, caviale, insalata di mare... e champagne!»
«Davvero notevole» disse tra un boccone e l’altro. «Hai intenzione di farmi scoppiare, per caso?»
«Il pensiero non mi ha sfiorato la mente!» ribatté l’uomo raffinato. «Io sono stato uno chef di una certa fama, se ben ricordate... se proprio devo lasciare questo mondo, voglio farlo in grande stile!»
«Per questo mi sei sempre piaciuto...» mormorò l’ospite. «E ti confesso che da una parte mi dispiace che le cose siano andate così. Del resto la scelta è stata tua, e non si può tornare indietro.»
«Lo so» rispose il padrone di casa con un sospiro strascicato. «Ora godiamoci la cena.»
Dopo aver divorato l’antipasto, si fermarono a riprendere fiato e a sorseggiare un po’ di vino fresco. L’ospite non fece neanche in tempo ad aprire bocca che la zuppa di cipolle in crosta di formaggio gratinato era già sotto il suo naso, sprigionando odori e profumi che lo ubriacarono di desiderio.
Non se lo fece dire due volte e affondò il cucchiaio nella crosta, incontrando il formaggio fuso e il sapore pieno e corposo della zuppa.
Ed ecco, il suono secco di un tappo che viene estirpato da una costosissima bottiglia di Bordeaux Superiéur, e subito all’attacco della selvaggina che adornava la tavola. Il gusto forte della carne tenera che si scioglieva in bocca, la salsa vellutata che scivolava giù nella gola arsa e il vino rosso sanguigno che placava l’animo inquieto, e ogni istinto distruttivo si sopì in un lampo. E poi, il gallo al vino, con i funghi carnosi e i lardelli, un’estasi di piacere. Il padrone stappò un Borgogna e la cena proseguì. Poche parole, solo odori, sapori e sensazioni, e la bellezza superiore e inimitabile di un piatto succulento servito caldo e fumante, o freddo e ben amalgamato, nel trionfo artistico del gusto e della raffinatezza.
L’ospite trangugiò un intero calice di vino e schioccò le labbra, deliziato e anche un po’ accaldato. Il padrone di casa lo osservava biecamente, attraverso gli svolazzi e le guarnizioni della selvaggina... attraverso i cristalli lucidati e le pentole lucenti che costellavano la tavola. Sorseggiò anch’egli del vino, ma con moderazione. Aveva mangiato tutto, come il suo ospite, con meno foga, più pensosamente. Non pareva che condividesse appieno quel momento conviviale che l’altro, invece, si gustava con genuina intensità.
«E ora... fagiano al melograno.»
Dopo un tempo che sembrò lunghissimo, l’ospite si accasciò su una sedia dall’alto schienale e si accese un sigaro.
«Erano secoli che non mangiavo così...»
Il padrone di casa tornò poco dopo con un carrello, dal quale sollevò un enorme vassoio d’argento ricolmo di prelibatezze.
«Potreste, gentilmente, pensare voi al vino?»
L’ospite per poco non cadde dalla sedia, tale fu la sua sorpresa.
«Non capisco...»
«Il pesce, mio caro amico. Dimenticate il pesce. Non voglio lasciare nulla d’intentato, stasera.»
«Va bene, va bene... che vino dovrei stappare?»
L’altro rimase a fissarlo con aria contemplativa, per poi commentare: «Secoli e secoli di esperienza non sono serviti a molto, a quanto pare! Ecco, prendete quel bianco. Occorre un bianco leggermente fruttato, per le cozze alla provenzale.»
L’ospite rispose alla sua sgradita osservazione: «Io l’esperienza me la sono procurata assaggiando, mangiando e sorseggiando! Cucinare io? Perché avrei dovuto? C’è sempre qualcuno pronto a spalancare la sua porta, per servirmi e riverirmi esattamente come stai facendo tu, stasera. Perché dovrei disturbarmi a cucinare, o a imparare cose che altri fanno per me? Io prendo solo il meglio... ammiro la tua arte, la tua perizia, il tuo impareggiabile gusto... eppure in questo caso, tutto ciò è al mio servizio.»
«Ma durante i vostri innumerevoli viaggi, non avete mai sentito il desiderio di imparare, conoscere... capire il perché delle cose?»
«Capire perché con le cozze alla provenzale è preferibile un bianco secco leggermente fruttato a uno dolce o rosato, non è lo scopo della mia vita. Non mi interessa minimamente. Che gli uomini scelgano pure ciò