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L'ultimo Papa
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L'ultimo Papa

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L’ULTIMO PAPA

SINOSSI

Immaginiamo l’Italia e il mondo senza la chiesa cattolica.

Lo stato Vaticano senza un Papa e senza la sua curia.

Cosa accadrebbe se in poche settimane fossero rinnegati principi secolari e duemila anni di cristianesimo si sciogliessero come neve al sole?

Il giovane Pietro Romano, figlio di un sediario pontificio, vive con la famiglia dentro le mura vaticane. Fin dalla nascita si è nutrito di cattolicesimo e ha un sogno: diventare Papa.

Insieme all’amico Gianni, suo coetaneo, studiano in seminario e sperano di cambiare dall’interno la chiesa cattolica.

A loro si aggiunge presto un terzo amico, Sebastian, un ragazzo nero, americano e povero. Sebastian è spregiudicato e pragmatico ed è venuto in Italia per diventare prete. Il suo intento è di insinuarsi, senza scrupoli, nelle acque torbide di un certo clero cattolico e ottenerne benefici.

L’elezione di papa Luciani nel 1978 dà loro forza ed entusiasmo per il futuro della chiesa ma il suo assassinio, dopo appena 33 giorni di pontificato, segna il crollo delle loro speranze.

Pietro, ormai ventenne, perde la fede, Gianni è amareggiato ma spera ancora di rinnovare la chiesa. Sebastian non si è mai fatto illusioni.

E' dopo quell'evento luttuoso che Pietro propone ai suoi amici un patto segreto: restare all'interno della chiesa, raggiungere i vertici e prendere il potere.

Gianni e Sebastian, se pur con motivazioni diverse, accettano il patto.

Un prete tailandese di nome Narong, agente dell'intelligence vaticana, scopre la congiura ma invece di smascherarla, si impone come alleato. E' deciso a consumare la sua personale vendetta contro la chiesa cattolica a causa dei torti subiti dalla sua famiglia per mano di un missionario.

Passano gli anni e i quattro amici hanno fatto carriera. Pietro Romano è Cardinale, Segretario di Stato e camerlengo. Sebastian è cardinale e Governatore della città del Vaticano. Narong è ufficialmente Vicario della città del Vaticano ma, ufficiosamente, capo dei servizi segreti del piccolo stato. Gianni, invece, osteggiato per le sue idee progressiste è rimasto Parroco.

Il loro patto è sempre saldo e segreto e i quattro attendono solo l'occasione propizia per passare all'azione. La morte, solo apparentemente naturale, del pontefice in carica, li trova pronti a mettere in atto la loro congiura con conseguenze impensabili, fino alla proclamazione dell’ultimo e spregiudicato dogma.
LanguageItaliano
PublisherAlbert Danton
Release dateMar 31, 2016
ISBN9788892586475
L'ultimo Papa

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    L'ultimo Papa - Albert Danton

    21

    Cap. 1

    CAP. 1

    Appartamento del Cardinale Camerlengo.

    Palazzo dei Canonici.

    Città del Vaticano.

    Oggi.

    Vere Papa mortuus est… Vere Papa mortuus est.

    Il cardinale Pietro Romano, Segretario di Stato e Camerlengo di Santa Romana Chiesa, incredulo, ripeté a bassa voce quella frase rituale. Rimase seduto sul suo letto e cercò di mettere ordine fra i mille pensieri che affollavano la sua mente ancora intorpidita dal sonno.

    Era stato svegliato, pochi minuti prima, da padre Simon, il suo segretario.

    Il giovane prete aveva bussato alla porta, prima con delicatezza e poi, non ottenendo risposta, aveva insistito con maggiore forza. Finalmente, sicuro di aver catturato l’attenzione del suo Cardinale, gli aveva comunicato la ferale notizia con la voce rotta e il respiro affannato, come se avesse corso.

    Il Santo Padre è morto… il Papa è morto… mi ha appena telefonato il suo segretario padre Jorge… vuole subito parlare con lei.

    Padre Simon era sconvolto e, per accertarsi che il Camerlengo avesse compreso, a voce più alta, aveva ripetuto:

    Il Papa… il Papa è morto!

    Il cardinale Pietro Romano aveva sentito molto bene le parole del suo segretario ma era rimasto in silenzio, sotto shock. Ancora con gli occhi chiusi, a fatica, aveva tirato giù le gambe dal letto e, nel tentativo di accendere la luce del lume sul comodino, aveva fatto cadere un libro che stava leggendo in quei giorni. Era un romanzo, ormai datato, il cui titolo era Il Conclave.

    Alla luce del messaggio appena ricevuto la lettura di quel romanzo, gli era parsa profetica ma aveva abbandonato subito quel pensiero. La superstizione non gli apparteneva e poi, di certo, il prossimo Conclave, avrebbe avuto un esito molto diverso da quello descritto nel romanzo.

    Eminenza, mi ha sentito?

    Padre Simon era molto agitato.

    Sì, Simon, ho sentito. Calmati!

    Pietro Romano, esasperato, aveva aperto gli occhi a fatica. Erano appena le sei del mattino e il tenue chiarore dell’alba, insieme alla notizia ricevuta, davano alla camera un aspetto spettrale.

    Vere Papa mortuus est.

    Continuò a ripetersi quelle parole, si stropicciò gli occhi ancora una volta e si alzò in fretta. Si avvolse alla vita il camicione che avrebbe dovuto indossare durante la notte ma che aveva lasciato ai piedi del letto, andò alla porta e la aprì di scatto.

    Padre Simon teneva una mano sullo stipite. Quando la porta si spalancò, gli venne a mancare l’appoggio e rischiò di cadere malamente. Recuperò in fretta l’equilibrio, diventò rosso per l’imbarazzo e con aria mesta, guardandosi i piedi, intrecciò le dite delle mani in attesa di ordini.

    Il Cardinale si meravigliò ancora una volta della goffaggine del suo segretario e di come questa si accentuasse nei momenti critici.

    All’apparenza, padre Simon, poteva sembrare un giovane prete come tanti ma, di fatto, mancava di un corretto coordinamento degli arti e si muoveva sempre in modo goffo, rischiando spesso di incespicare nel lungo abito talare. Tutto questo, unito al suo italiano parlato con forte accento francese e aggravato da un rotacismo molto accentuato, provocava nei suoi interlocutori malcelati sorrisi anche in situazioni affatto divertenti.

    Fu così anche in quel caso. Pietro Romano represse un sorriso, assunse un atteggiamento consono alla situazione luttuosa e, con un certo sforzo, si calò nelle vesti che il suo ruolo di Cardinale Camerlengo, gli imponeva.

    Con un tono di voce basso e pacato comunicò i suoi ordini con autorevolezza.

    Corri subito al Palazzo Apostolico. Entra nella camera del Papa e chiuditi la porta alle spalle. A parte padre Jorge e il medico personale del Santo Padre, non fare entrare o uscire nessuno. Fai in modo che non usino i telefoni e che la notizia rimanga riservata. Io arriverò prima possibile.

    … Eminenza… Lei conosce meglio di me il segretario del Papa, piagnucolò padre Simon, vorrà dare ordini a tutti e avrà sicuramente da ridire… e poi mi ha detto che ha bisogno di vederla e parlarle subito!

    Simon!

    Sì, Eminenza… rassegnato, chinò ancora una volta il capo.

    Sono il Camerlengo e, con la morte del Papa, sono l’unica autorità all’interno del Vaticano. Almeno fino a quando non si riunirà il Collegio Cardinalizio. Tu, da questo momento, mi rappresenti. Quindi, tira fuori gli attributi, zittisci quel petulante di Padre Jorge e fai come ti ho detto!

    Padre Simon, intimidito dal tono autoritario del Cardinale, non ebbe il coraggio di replicare. Si girò per allontanarsi ubbidiente, ingobbito, come se gli ordini ricevuti fossero un pesante fardello da portare sulle spalle.

    Il Camerlengo lo fermò:

    Aspetta. Quando avrai la situazione sotto controllo, chiamami al cellulare…

    … e Padre jorge?

    Il giovane prete trovò il coraggio di dirlo ancora una volta.

    Ah, padre Jorge… sì, digli che sarò da lui prima possibile.

    Padre Simon si allontanò, quasi correndo, alzando di poco la sua lunga veste per non rischiare di calpestarla e rovinare in terra lungo il corridoio.

    Il Cardinale Pietro Romano richiuse la porta e si lasciò cadere sul letto. La sua bocca, come guidata da volontà propria, cominciò a ripetere a voce alta:

    Il Papa è morto! Il Papa è veramente morto!

    Quando udì la sua voce pronunciare quelle parole, ritornò in sé e si impose il silenzio.

    Andò alla finestra e l’aprì. Il chiarore invase decisamente la camera togliendole l’aria spettrale e dando alle cose contorni precisi. L’aria fresca del mattino lo colpì sul viso e sul torace nudo. Ma era estate e quella leggera brezza non gli dispiacque.

    Guardò alla sua sinistra Roma oltre le mura di cinta della città del Vaticano e, di fronte e sotto di lui, la silenziosa piazza Santa Marta con i suoi alberi rigogliosi. Poi alzò di poco la testa e, più lontano, in fondo, fermò lo sguardo sulla chiesa di S. Stefano degli Abissini.

    Ogni angolo, ogni singolo metro della Città del Vaticano gli ricordava fatti, persone e eventi, dolorosi o esilaranti. Ogni pietra del piccolo stato gli ricordava trionfi o vergogne, non solo sue ma anche di coloro che avevano condizionato la storia degli ultimi cinquanta anni della chiesa cattolica. Alzò gli occhi verso la sua destra e la grande cupola della Basilica di San Pietro sembrò incombere su di lui, gravandolo del peso di tutte le scelte e di tutte le promesse.

    Il Papa era morto e, dopo una attesa lunga trent’anni, era arrivato il momento di assumersi le proprie responsabilità e di passare all’azione. Per un attimo pensò che sarebbe stato facile e bello lasciar perdere e continuare in pace la sua vita. Scacciò con rabbia quel pensiero. L’occasione era imperdibile e l’alternativa era attendere ancora lunghi anni prima che quell’opportunità si ripresentasse ancora una volta. Se avesse esitato sapeva che avrebbe dovuto aspettare, pazientemente, la fine di un altro pontificato con il rischio di vanificare decenni di attesa.

    Sì, non aveva dubbi. Il momento era quello giusto e avrebbe dovuto concentrare tutte le sue forze e la sua intelligenza nella realizzazione del suo progetto. L’esito non era scontato, i pericoli erano tanti ed era certo che una sconfitta sarebbe stata devastante.

    Tanti anni prima aveva predisposto un piano che ad altri sarebbe sembrato folle e irrealizzabile ma che a lui era apparso semplice e chiaro. Lo aveva studiato nei minimi particolari. Era un progetto di lungo respiro che avrebbe richiesto anni di attesa, pazienza e sacrificio. Per di più non avrebbe potuto essere realizzato da una sola persona e Pietro Romano si era visto costretto, suo malgrado, a coinvolgere altri. Aveva messo a parte di quell’idea i suoi amici più intimi. Si fidava ciecamente di loro e, non senza difficoltà, li aveva convinti a diventare suoi alleati e complici.

    Aveva stretto con loro un patto. Un patto segretissimo e ambizioso.

    Era iniziata così una lunga e difficile attesa che aveva comportato un sacrificio enorme: non essere più se stesso se non in segreto. Di fronte al mondo e alla curia romana aveva dovuto fingere di essere un uomo diverso, un Pietro Romano che non era affatto.

    La notizia appena ricevuta poneva fine a tutto ciò. La morte prematura e inaspettata del Papa non lasciava spazio a tentennamenti. Bisognava agire subito e con determinazione e nel giro di qualche settimana, se tutto fosse andato secondo i suoi piani, avrebbe potuto smettere quella farsa durata ormai troppi anni e tornare ad essere il vero se stesso.

    Il camerlengo raddrizzò le spalle abbandonando quei pensieri che lo spaventavano. Entrò in bagno, fece scivolare in terra il camicione che gli copriva i fianchi e sospirando, lasciò che l’acqua fredda della doccia gli strappasse un fremito.

    Aveva appena cinquantacinque anni e per di più ne dimostrava molti di meno. Era alto e magro. Portava i capelli e la barba cortissimi intorno ad un naso importante e a due occhi chiari e allegri. Il suo unico cruccio era un poco di pancia che però riusciva a nascondere bene sotto l’abito talare.

    Aveva passato la sua vita dentro il Vaticano. Aveva fatto una splendida carriera e solo poco tempo prima il Papa lo aveva nominato Segretario di Stato e, subito dopo, Camerlengo. Era anche membro di rilievo di diverse Congregazioni e Dicasteri della curia romana ed era uno fra i prelati con maggior potere all’interno dello stato.

    Adesso con la morte del papa si realizzavano le condizioni che aveva atteso per una vita, condizioni per le quali aveva sofferto, penato e mentito.

    Con la morte del Papa quasi tutte le cariche all’interno della curia romana venivano azzerate e lui stesso, da quel momento, non era più Segretario di Stato. Restava, però, Camerlengo e in quanto tale era il prelato che aveva più potere all’interno della chiesa per tutto il periodo della Sede Vacante e fino all’elezione del nuovo Pontefice.

    Finì di fare la doccia e cominciò ad asciugarsi. Si avvolse il telo da bagno intorno ai fianchi e rientrò in camera. Tornò alla finestra e al di là delle mura Vaticane vide Roma che cominciava a mettersi in movimento. Gli piaceva vedere dalle finestre del suo appartamento, oltre alla quiete Piazza Santa Marta, anche un poco della vita romana, così vicina eppure così diversa dal quel piccolo mondo all’interno del quale era cresciuto ed aveva vissuto.

    Quando era stato fatto Cardinale, alcuni anni prima, gli avevano offerto di trasferirsi in un appartamento più consono al suo rango. Aveva rifiutato ed era rimasto nel palazzo dei canonici, nello stesso appartamento che era stato di suo Zio Andrea, il cardinale Andrea Romano.

    Poi, divenuto Segretario di stato, gli era stato quasi imposto di trasferirsi nel palazzo Apostolico, nell’appartamento riservato ai cardinali che ricoprono quella carica. Anche in quel caso aveva rifiutato con forza ed era rimasto nella casa che occupava da tanti anni e alla quale era molto affezionato.

    Aveva però ottenuto che, oltre al suo piccolo appartamento, gli venisse assegnato anche quello limitrofo. Nell’appartamento a fianco, aveva sistemato la sua Famiglia, composta dal segretario e da due suore; la cucina e una sala di ricevimento. Aveva tenuto per se i suoi vecchi locali, ricavandone una grande camera da letto, un enorme bagno e uno studio privato. In un angolo dello studio aveva sistemato la piccola cappella che era obbligatoria per le abitazioni dei cardinali.

    Ricordare il passato gli portò alla mente lo zio Andrea, Cardinale, e il padre, Totò, sediario pontificio. Erano le due figure che avevano contribuito maggiormente alla sua formazione. Gli avevano insegnato tutto quello che di grandioso e di bello c’era da sapere sul Vaticano, ma lo avevano anche istruito sulle bassezze, sui segreti e sui misteri che avvolgevano la città e la sua curia.

    Che maestri erano stati per lui!

    Pietro Romano aveva imparato molto dalla storia personale e dalle vicissitudini dello zio. Quando questi era morto, la sua mancanza si era fatta sentire e il vuoto che aveva lasciato non era stato colmabile. Aveva perso il suo consigliere e il suo supporto. Aveva perso il suo maestro.

    Ricordava spesso le lunghe ore passate a casa dello zio, quella casa dove ora lui abitava. Ricordava le risposte esaurienti che lo zio dava alle sue continue domande.

    L’organizzazione della curia romana, le gerarchie, le lotte di potere, le invidie e le vendette erano diventate per il giovane Pietro il pane quotidiano. Grazie agli insegnamenti dello zio aveva imparato ad essere scivoloso e sfuggente come un’anguilla e astuto come un serpente. La sua brillante carriera era la prova di quanto avesse messo a frutto gli insegnamenti ricevuti.

    Il padre, Totò, era molto vecchio. Insieme alla madre, continuava ad abitare l’appartamento in piazzetta S. Egidio che era stata la casa della sua infanzia e della sua giovinezza. I suoi genitori erano molto orgogliosi del loro unico figlio e speravano, prima di morire, di vedergli realizzare quello che era stato, fin da piccolo, il suo sogno: diventare Papa.

    Dal padre e dalla madre, Pietro aveva ricevuto i primi insegnamenti su Dio, sulla religione e sulla fede. Era stato naturale, per lui, decidere di voler seguire le orme dello zio e la carriera ecclesiastica.

    Il padre di Pietro, Totò Romano, sediario pontificio, per ottemperare ai suoi compiti all’interno del vaticano, frequentava assiduamente il palazzo Apostolico e l’appartamento privato del pontefice. Non era raro che Pietro lo seguisse durante il suo lavoro e, approfittando di ogni sua distrazione, si allontanasse alla scoperta del Palazzo e delle sue mille stanze. Era per questa ragione che ne conosceva a menadito ogni anfratto, ogni scala, ogni possibile nascondiglio.

    Il Cardinale Pietro Romano era ancora alla finestra, perso nei suoi pensieri, quando sentì il suo cellulare squillare. Ritornò alla realtà e ai doveri che lo attendevano. Il Papa era morto. Lui era il Camerlengo e tutti si aspettavano che fosse all’altezza del ruolo che ricopriva.

    Rispose.

    Eminenza, disse padre Simon in modo concitato, sono riuscito a far capire al segretario del Papa che non poteva fare altre telefonate, ma prima che arrivassi credo abbia già informato qualcuno… continua a insistere che vuole parlare con lei urgentemente. Anche il dottore la sta aspettando. Sono tutti agitati…

    Bene, Simon, tranquillo, hai fatto un buon lavoro. Resta lì e non fare entrare nessuno. Se hai qualche difficoltà chiamami. Tranquillizza tutti e dì loro che sto arrivando.

    Chiuse la comunicazione e sul piccolo scrittoio della sua camera vide il vassoio con il caffè fumante. Evidentemente, pensò, lo scroscio dell’acqua della doccia non gli aveva permesso di sentire suor Lucia che entrava in camera.

    Da quel momento avrebbe dovuto cominciare a porre più attenzione alla sua sicurezza personale. Ancora non correva reali pericoli, ma, se il suo sogno si fosse realizzato, i nemici sarebbero spuntati fuori come funghi e sarebbero stati senza scrupoli.

    Sorseggiò il caffè, si sedette sulla poltroncina dello scrittoio e strinse il viso fra le mani. Mise a fuoco le cose da fare nell’immediatezza di quella situazione e senza indugiare ulteriormente decise che era il momento di passare all’azione e di avvisare i suoi amici e complici.

    CAP. 2

    CAP. 2

    Appartamento del Sediario Pontificio.

    Piazzetta Sant’Egidio.

    Città del Vaticano.

    1968.

    Pietro Romano si affacciò alla finestra della sua cameretta e guardò Roma oltre le mura Vaticane.

    Aveva nove anni, era estate, la scuola era finita da tempo e dentro la città del Vaticano, dove viveva con la famiglia fin da quando era nato, non aveva amici. Era questo il motivo della noia e dell’insofferenza di quella mattina.

    Era un ragazzino socievole ma trovare ragazzi della sua età in Vaticano non era una fra le cose più semplici. Era stufo di giocare da solo e per quanto amasse leggere non poteva passare tutto il giorno in compagnia di un libro. Invidiava i suoi compagni di scuola che avevano più opportunità di ritrovarsi e si rammaricava che il destino gli avesse riservato quella strana particolarità: essere cittadino dello stato più piccolo del mondo. Ne avrebbe fatto volentieri a meno, anche se, doveva ammettere con se stesso, che vivere in Vaticano lo metteva spesso al centro dell’attenzione dei suoi compagni di scuola e della maestra.

    Pietro, comunque, si consolava all’idea che finite le scuole elementari, i suoi genitori lo avrebbero iscritto al Preseminiario S.Pio X, dentro le mura, e avrebbe potuto frequentare la scuola media.

    Il padre di Pietro, Totò Romano, faceva parte di quella ristretta cerchia di persone che si occupano degli appartamenti del Papa, della cura delle sale, della regolamentazione degli accessi e dello svolgimento delle funzioni, specialmente quelle a carattere diplomatico.

    Vengono chiamati Sediari Pontifici e sono diretti dal Decano di Sala dell’Anticamera Pontificia, una volta chiamato Magister Palafrenarie.

    La Curia aveva dato a Totò Romano un appartamento dove vivere insieme alla famiglia. Era al quarto piano di una palazzina che ospita fra l’altro gli uffici della Elemosineria Vaticana. Dalle finestre sul retro si poteva vedere Roma oltre le mura che costeggiano la via di Porta Angelica mentre le finestre sul davanti si affacciavano sulla tranquilla piazzetta di Sant’Egidio.

    Pietro uscì dalla sua camera correndo, mimando un pilota di formula uno e accompagnando i gesti con i relativi suoni assordanti. Dopo pochi passi arrivò in cucina dove la madre Lina stava preparando il pranzo.

    Pietro, non urlare in quel modo! Lo redarguì.

    Lui non le diede retta e continuò a girare intorno al tavolo della cucina come un invasato.

    La madre comprendeva il disagio di Pietro e tendeva a giustificare certi suoi eccessi ma in quel momento era accaldata, impegnata con il forno, e anche un poco nervosa. Non avrebbe potuto tollerare oltre quel frastuono e pur di levarselo di torno gli disse:

    Tuo padre è appena uscito. Se fai una corsa lo raggiungi. Sta andando al Palazzo Apostolico. Vai con lui e fatti portare nella stanza del Papa… così potrai far morire di invidia i tuoi compagni di scuola!

    Pietro non se lo fece ripetere due volte e continuando a imitare un pilota di formula uno prese la porta, si precipitò per le scale, uscì in piazzetta Sant’Egidio, imboccò via del Pellegrino e raggiunse suo padre all’altezza del Torrione Niccolò V prima che entrasse nel Palazzo Apostolico.

    Papà…

    Totò Romano si voltò e sorrise al figlio che correva verso di lui con le mani avanti come a stringere un volante e mimando le curve di un circuito.

    Che fai qui?

    La mamma mi ha detto di raggiungerti, e di farmi portare nella stanza del Papa.

    Non so se posso, gli rispose con la faccia molto seria, può darsi che il Santo Padre stia riposando!

    Papà, non prendermi in giro! Il Papa non è in Vaticano ma in vacanza a Castel Gandolfo.

    È vero. Ma ci saranno le guardie svizzere a controllare e non ci faranno passare. Lo disse sorridendo.

    A te non possono fermarti! Prese il padre per mano e cominciò a trascinarlo.

    Era da tanto tempo che Totò Romano aveva parlato al figlio di questa visita e decise che era arrivato il momento di mantenere la promessa fatta.

    Pietro era emozionatissimo. Visitò la cucina, la sala delle udienze private, la camera da letto e il bagno del Papa. Quando entrarono nello studio, si ritrovò davanti alla più famosa finestra del mondo, quella dalla quale il Pontefice benedice i fedeli raccolti in Piazza San Pietro. Come rapito si avvicinò e posando la mano su quel davanzale, si rivolse al padre:

    Papà, da grande voglio fare il Papa.

    La reazione di Totò Romano fu immediata. Corrugò la fronte in segno di rimprovero, portò l’indice della mano destra alle labbra, e lo trascinò via rapidamente.

    Al secondo piano del palazzo Apostolico, residenza ufficiale del Pontefice, incontrarono il Decano di Sala dell’Anticamera Pontificia, il capo dei Sediari.

    Pietro aveva sempre avuto un timore reverenziale verso quell’uomo anche se, di fatto, si trattava di una persona normale che viveva con la sua famiglia nella stessa loro palazzina, in piazzetta Sant’Egidio.

    Come sta il nostro ometto? Chiese il Decano.

    Pietro, senza rispondere, abbassò la testa intimidito e si avvicinò ancora di più al padre. Imbarazzato lo tirò per una manica e parlò sottovoce:

    Posso andare a casa?

    Certo, ma prima saluta il Decano.

    Pietro obbedì e subito dopo sgusciò via. La voglia di raccontare quell’esperienza alla madre gli bruciava dentro. Già si immaginava, alla riapertura della scuola, come avrebbe fatto morire d’invidia i suoi compagni. Avrebbe raccontato alla maestra che aveva visto il letto del Papa e toccato la finestra dalla quale si affacciava per benedire i fedeli.

    Pensa a come sarà contento tuo zio Andrea, gli disse sua madre, dovrebbe venire oggi pomeriggio a trovarci.

    Certo che glielo dirò, Pietro era molto eccitato, e dirò anche a lui che da grande voglio fare il Papa.

    Prima di te, potrebbe essere lui a diventarlo, è già Arcivescovo ed è molto ascoltato in vaticano.

    Va bene, mamma, concluse pragmaticamente Pietro, prima lui, io sono ancora troppo piccolo, ma poi, quando divento grande, vado io al suo posto.

    La signora Romano sorrise e fece una carezza al figlio.

    A parte gli scherzi, pensò, il fratello di Totò, Monsignore Andrea Romano, Arcivescovo Titolare e Nunzio Apostolico aveva ottime possibilità di diventare Papa o, comunque, di continuare la brillante carriera all’interno della curia Vaticana, fino a raggiungerne i vertici.

    Bastarono poche ore per ridurre in macerie quella prospettiva.

    Pietro stava guardando la televisione insieme al padre quando il campanello di casa dette un trillo.

    Vai ad aprire, deve essere tuo zio.

    Pietro si lanciò verso la porta, l’aprì e, come gli accadeva sempre quando lo vedeva, si illuminò in viso. Amava suo zio e questi stravedeva per lui, ma non quel giorno.

    Il ragazzo vide subito che c’era qualche cosa che non andava. L’Arcivescovo Andrea Romano aveva la faccia scura e sembrava ingobbito e meno possente del solito.

    Il giovane Pietro non seppe resistere alla voglia di raccontargli la sua esperienza di poche ore prima e come sempre gli saltò addosso coprendolo di baci e cominciò a parlare freneticamente.

    Lo zio lo mise subito in terra e gli chiese:

    Dov’è tuo padre?

    Stavamo guardando la televisione…

    Il prelato si diresse verso la sala e Pietro continuando a raccontargli la grande esperienza della mattina, si attaccò all’abito talare tirando la fascia color rosso porpora che gli avvolgeva la vita scendendogli sulla gamba sinistra.

    Lascia stare la sottana! Lo redarguì lo zio e poi aggiunse, vai in cucina da tua madre. Io devo parlare con tuo padre di cose importanti.

    Pietro rimase sconcertato da quel comportamento inusuale ma obbedì. La curiosità, però, ebbe il sopravvento e fece in modo di ascoltare la conversazione per capire cosa stava succedendo.

    Sono rovinato! Disse L’arcivescovo entrando nella sala dove il fratello Totò era seduto davanti alla televisione.

    Totò Romano spense l’apparecchio e guardò con espressione interrogativa il fratello. Questi si accasciò su una poltrona facendola scricchiolare sotto il suo peso, si tirò su un po’ di sottana e si strinse la testa fra le mani:

    Il Santo Padre ha proprio deciso di saltare il fosso.

    Che vuol dire?

    "Ha definitivamente deciso di cancellare tutte le aspettative che, il concilio Vaticano II e il nostro Papa Giovanni XXIII, avevano suscitato. L’anno scorso ha emanato l’enciclica Sacerdotalis Caelibatus con la quale ha riconfermato quanto espresso dal concilio di Trento circa l’obbligo del celibato dei sacerdoti, dopo avere sottratto il dibattito alla quarta sezione del concilio."

    Questa è storia vecchia, disse Totò Romano, ma adesso che è successo di nuovo?

    "Adesso, nonostante la commissione sulla contraccezione, istituita da Giovanni XXIII e ampliata dallo stesso Paolo VI, abbia dato esito favorevole alla cosidetta pillola cattolica, verrà completamente disattesa da una nuova enciclica… entro pochi giorni emanerà l’enciclica Humanae Vitae che riconfermerà il divieto già espresso dalla Casti Connubii di Pio XI."

    E i risultati della commissione? Ti sei battuto come un leone al suo interno affinché prevalesse l’apertura e il rinnovamento…

    Niente di niente. Tutto fumo negli occhi. La commissione l’aveva voluta Giovanni XXIII non lui. Ha aspettato fino alla fine sperando che prevalessero i conservatori e quando ha visto invece che la commissione si sarebbe espressa favorevolmente alla contraccezione, ha deciso di fare a modo suo.

    Dovrebbero chiamarlo Paolo Mesto e non Paolo VI. Lascerà tutti scontenti: i tradizionalisti non gradiscono la nuova liturgia e minacciano divisioni a causa delle piccole novità del concilio. Al contrario i progressisti resteranno inascoltati e disillusi da queste nuove encicliche e il popolo si allontanerà sempre più dalla sua chiesa.

    E non è tutto, fratello… nel mio piccolo, posso dire addio alla mia carriera e ai miei sogni di gloria. Mi sono esposto troppo in commissione e ora diventerò il capro espiatorio.

    Pietro ascoltò la conversazione e non capì tutto.

    Quello che però seppe per certo fu che difficilmente suo zio, l’Arcivescovo Andrea Romano, sarebbe diventato Papa.

    Seppe anche che la strada per realizzare il suo sogno, alla luce di quell’esperienza, sarebbe stata irta di difficoltà.

    CAP. 3

    CAP. 3

    Appartamento del Cardinale Camerlengo.

    Palazzo dei canonici.

    Città del Vaticano.

    Oggi.

    Il Cardinale Camerlengo Pietro Romano finì di sorseggiare il caffè.

    Il Papa è morto, pensò, cominciamo a lavorare.

    Compose sul suo cellulare il numero di telefono del suo amico Monsignor Gianni Bortoli parroco della chiesa di S.Anna.

    Pochi squilli furono sufficienti al Monsignore per raggiungere il telefono e controllare chi lo stesse cercando:

    Dimmi!

    È morto.

    Una frazione di secondo e la reazione fu solo un grugnito.

    Poi seguì una domanda:

    Come?

    Non lo so ancora… ma presumo di vecchiaia come tutti.

    Era in piena forma!

    Non vuol dire, lo sai bene… un infarto può venire in qualunque momento.

    Già. Monsignor Bortoli fu molto laconico e decise che non era il caso di approfondire quel discorso al telefono.

    Se sei già in piedi, continuò il Camerlengo, per favore, vai lì e prendi in mano le redini della situazione. Padre Simon è già sul posto e dovrebbe controllare che la notizia rimanga riservata per un po’, ma sai bene che non ha i… non li ha, se capisci cosa intendo.

    Conosco il problema. Vado subito ma non mi lasciare solo a lungo. Non ho la tua autorità e se si presenta qualche papabile non saprei come fare a tenerlo fuori.

    Sei il primo che chiamo. Avviso chi di dovere e… sarò lì entro mezz’ora.

    Pietro Romano chiuse la comunicazione e sorrise. Era solo per merito suo se Gianni Bortoli era diventato Monsignore ed era rimasto in vaticano invece che essere dimenticato in qualche chiesetta di campagna. Tanto tempo prima Pietro Romano aveva parlato con suo zio Andrea, diventato da poco Cardinale, e gli aveva chiesto di intercedere presso il Santo Padre ottenendo che all’amico fosse affidata la parrocchia dello Stato della Città del Vaticano.

    Il Cardinale Andrea Romano parlando con il Papa aveva detto:

    Santità, alla luce delle idee troppo progressiste di padre Bortoli, consiglio di tenerlo qui in Vaticano in modo da poterlo controllare. Non sappiamo che danni potrebbe fare se lasciato da solo e allo sbando.

    Il Papa aveva accettato il consiglio.

    Con l’esperienza che gli veniva dall’essere stato Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, aveva convenuto che i sovversivi era meglio guardarli a vista aspettando la loro abiura. La cosa migliore sarebbe stata il rogo ma, avendo la chiesa dovuto rinunciare ai metodi della Santa Inquisizione, bisognava pazientare.

    Il cardinale Camerlengo Pietro Romano e Monsignor Gianni Bortoli, si conoscevano da quasi quaranta anni, erano diversissimi e non solo fisicamente.

    Gianni Bortoli era tarchiato, ma non si poteva dire che fosse grasso, almeno non quel grasso delle persone flaccide. Era piuttosto un tipo robusto, nato in alta montagna, sempre sotto la neve. Il freddo e il lavoro di braccia lo avevano forgiato e si era abituato, nei primi anni della sua vita, agli stenti, ai soprusi del suo ‘prete padrone’ e alla vita di chiesa.

    Era fuggito poi dalla miseria e dalla violenza ma non aveva rinunciato alla fede, se non altro per dimostrare al mondo che c’erano preti e preti. Non aveva mai fatto mistero delle sue idee progressiste all’interno della Chiesa Cattolica e, a motivo di ciò, non solo non aveva fatto la carriera che avrebbe meritato ma era anche stato avversato in tutti i modi. L’unica cosa che poteva vantare era di essere molto bene introdotto in quella sparuta frangia di prelati, in via di estinzione, che, all’interno della Curia Romana, continuavano a tenere alta la bandiera del rinnovamento nello spirito del Concilio Vaticano II.

    Le liti fra il progressista Monsignor Bortoli e il Cardinale Pietro Romano, tradizionalista e conservatore anche se ‘illuminato’, erano proverbiali e non mancavano di suscitare continui pettegolezzi all’interno della curia. I due non perdevano occasione, in pubblico e solo in pubblico, di sottolineare le loro diversità affinché fosse chiaro a tutti quanto largo fosse il dissenso fra di loro.

    Erano andati avanti per decenni. Lite dopo lite come pubblici attori nel grande palcoscenico del Vaticano, ma uniti da un segreto irrinunciabile.

    Ora era arrivato il momento.

    Pietro aggrottò la fronte pensieroso, e non ebbe dubbi che ne era valsa la pena.

    Compose un altro numero e attese pazientemente che squillasse a lungo. Sapeva che il Cardinale Sebastian Freeport, un altro dei suoi amici di lunga data, aveva il sonno profondo. Conosceva quanto poco fosse interessato a tutti quegli accadimenti che non lo

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