Gioia di mamma
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Già pubblicato con Chichili Editore, stesso titolo e stessa descrizione.
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Gioia di mamma - Lei e Vandelli
GIOIA DI MAMMA
PROLOGO
«Non so che fare. Il cuore mi esplode per la paura e ho anche picchiato la testa contro il muro, pur di smettere di pensare. Ho bevuto del veleno, poi l’ho vomitato ficcandomi due dita in fondo alla gola, trattenuta dalla speranza di poter fare qualcosa per la mia bambina. Sono stremata ma brucio come per una fiamma che mi consuma dal di dentro: stamattina ho perso i sensi e capisco che l’ho fatto per dare ristoro alla mente. Lo spirito si è staccato dal corpo e mi sono guardata come morta, mentre giacevo inanimata. La mia bambina, la mia bambina, la mia bambina… La cercano ormai da due settimane, da quando sono riuscita a convincerli che non era un gioco, ma era già trascorsa un giornata e io sapevo da subito cos’era successo. Se l’è presa il bosco, se l’è presa un mostro, ma io non gliela lascio. Non voglio che qualcuno degli uomini del paese in giro con le lampade a carburo me la riporti come un sacco di stracci, non voglio sapere che è stata in un freddo buco senza luce, non voglio sapere che l’ultima immagine dentro i suoi occhi l’ha riempita di terrore. Non vogliono che io la cerchi, ma si allontana ogni attimo di più… Aspetto che l’uomo fuori dalla porta mi creda addormentata: me lo hanno lasciato di guardia, dopo che il dottore mi ha dato da bere un infuso di valeriana. Non volevo ingannarlo: o forse sì, non ci avevo pensato. Mentre le mie labbra toccavano la tazza, lui era stato distratto da qualcosa e si era avvicinato alla finestra per guardare quello che succedeva, e io ho rovesciato tutto nel lavello. Devo uscire, devo trovare Marta».
«Hanno trovato Marta. La mia bambina. Hanno detto che è morta da poco, giusto un paio di giorni, a sentire Guglielmo che ne capisce. Diciassette giorni, ed è morta da poco. Non è vero. Lei è morta dopo un minuto che non era più con me. Ho pensato a Franco lontano, in collegio dai preti: ho pensato a lui, perché qualcuno mi ha detto che mi dovevo far forza per l’altro mio figlio. Ma non ho sentito niente: il dolore ha riempito tutto e non è rimasto spazio per altro. Non hanno permesso che la tenessi con me. Li ho supplicati, credo. Mi hanno tirato su da terra dove stavo in ginocchio e il dottore questa volta ha fatto saltar fuori una siringa, e allora mi sono guardata le mani, piene di ciocche di capelli: ho smesso di far la matta perché non volevo farmi intontire. L’ho aspettata tanto, Marta. Hanno detto che è morta, ma che almeno è tornata a casa».
«Ho sempre tenuto dei diari, fin da piccola. Quando la mia signora madre non aveva ancora sancito che sua figlia si era trasformata in una reietta, puttana e sfornabastardi, me ne regalava spesso di bellissimi, quelli dalle copertine di pelle sottile e morbida. Mi sarebbe piaciuto far altrettanto con la