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Alla ricerca di un perché
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Alla ricerca di un perché

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Viaggiare in Venezuela a volte può riservare piacevoli sorprese come quella di una presenza magica che ti costringe a rivivere la tua vita contemporaneamente a quella di una partner occasionale destinata a diventare qualcosa in più di un semplice incontro.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateApr 7, 2016
ISBN9788893326636
Alla ricerca di un perché

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    Alla ricerca di un perché - Mauro Cadura

              (Jovanotti)

    I

    La canoa a motore stava lentamente risalendo il Rio Carrao attraversando alcune rapide che mettevano a dura prova l’abilità del barcaiolo che doveva evitare che l’acqua bassa in prossimità dei sassi della rapida rompesse l’elica togliendo definitivamente propulsione all’imbarcazione lasciandoci alla deriva nel fiume.

    Erano le cinque del mattino, ora del Venezuela, e l’oscurità della notte stava poco a poco cedendo al giorno il suo dominio.

    Il viaggio verso Santo Angel, la cascata più alta del mondo, era appena iniziato e sarebbe durato circa sei ore, di cui quattro di navigazione sul fiume.

    Alla mia sinistra si intravedevano i tepui le cui cime piatte denotavano le forti erosioni che avevano subito nel corso dei millenni a causa delle piogge e dei venti.

    Iniziava così il mio primo viaggio all’interno della foresta amazzonica che avevo conosciuto solo attraverso i vari documentari trasmessi in TV che me la mostravano affascinante e misteriosa.

    Con il passare dei minuti la scenografia offerta dai tepui diventava sempre più nitida mano a mano che la luce aumentava di intensità e l’aurora, raggiungendo la sua massima intensità, avvolgeva il paesaggio con una luce viola affascinante e coinvolgente.

    Fu in quel momento che incominciai ad avvertire vicino a me una presenza, non ben definita, che, anche se mi voltavo a destra e a sinistra, non era visibile, eppure c’era, l’avvertivo distintamente captavo l’energia che trasmetteva.

    Il viaggio non ebbe intoppi e risalimmo il fiume fino alla confluenza tra il Rio Chorun che si immetteva nel Rio Carrao.

    Senza scossoni di sorta, iniziamo a risalire il nuovo fiume e dopo qualche minuto il paesaggio cambiò radicalmente, l’acqua scorreva in una lunghissima gola ai cui lati vi erano montagne a picco sull’acqua.

    Sembrava che avessimo cambiato pianeta, completamente diverso dalla natura che avevo finora conosciuto, una natura più selvaggia ed affascinante.

    Mentre guardavo questi paesaggi, mi resi conto che sentivo ancora la presenza di prima, la cosa mi turbava e mi chiesi più volte cosa fosse senza avere risposta.

    Cercai di ignorarla dando la colpa alla forte suggestione che questa nuova esperienza mi dava facendomi pensare di essere entrato in un nuovo mondo assolutamente diverso da quello che conoscevo.

    Dalle montagne, di tanto in tanto sgorgavano delle cascatelle d’acqua che si perdevano nel vuoto vaporizzando immancabilmente.

    Dopo due ore di viaggio, il barcaiolo approdò ad una spiaggetta che il fiume non aveva inghiottito, era piccola con la sabbia rosa colorata dall’acqua che nel punto di calma si presentava rosso sangue, come se sgorgasse da una ferita appena fatta nella natura amazzonica.

    Il colore rosso dell’acqua era dovuto al tannino che il fiume stesso raccoglieva lungo il suo percorso attraverso questa immensa foresta che ancora oggi non è del tutto esplorata.

    Dalla spiaggia guardai l’acqua rossa e per un attimo intravidi alle mie spalle, riflessa nell’acqua una figura umana vestita di bianco.

    Mi voltai, ma dietro di me non c’era nessuno, eppure captavo qualcosa, qualcuno o qualcosa che mi seguiva ovunque stessi andando.

    Ripartimmo e continuammo la risalita verso il punto ove avremmo lasciato la canoa per continuare a piedi.

    Arrivati al punto prestabilito, il barcaiolo ormeggiò la canoa ad un paletto infisso nella sabbia e ci concesse dieci minuti di riposo prima di iniziare la salita verso Salto Angel.

    Ci accomodammo, sotto una tettoia mentre senza preavviso e senza alcun segnale, incominciò a diluviare con la pioggia, di una densità enorme, che, colpendo le foglie delle piante, faceva un rumore intenso ma allo stesso tempo musicale ed intrigante.

    Così come era arrivata, la pioggia se ne andò altrettanto rapidamente lasciando il posto al sole e ad un meraviglioso cielo blu.

    Mi resi conto di non avvertire più la sensazione di quella strana presenza che mi aveva turbato durante il viaggio in barca e nella spiaggetta dall’acqua rossa, mi convinsi che era stata solo una sensazione dovuta probabilmente alla magia del luogo ma qualcosa nell’aria mi stava dicendo che non era così.

    Dopo esserci dissetati e aver fatto scorta di acqua, incominciammo la camminata.

    Il primo pezzo era molto facile, quasi pianeggiante anche se con diversi ostacoli da superare, ma erano di poco conto come piccoli ruscelli, rami e talvolta qualche tronco.

    Dopo circa una mezz’ora il sentiero che stavamo percorrendo si fece più difficile, incominciò a salire e camminare diventava sempre più faticoso anche perché il clima era veramente torrido, molto caldo e con un tasso di umidità elevatissimo, si sarebbe sudato a stare fermi, figuriamoci mentre ci si arrampicava verso la meta.

    Ero madido di sudore e facevo anche fatica a respirare, ma ormai ero in ballo e dovevo ballare se volevo vedere una delle meraviglie che questo mondo ci offre.

    Alcuni passaggi erano veramente difficili per gente non allenata come me, occorreva superarli utilizzando anche le mani per aiutarsi nella salita.

    Dopo circa un’ora, quel poco di cielo che si poteva vedere attraverso le foglie delle piante che, essendo vicinissime l’una all’altra, avevano le chiome che si toccavano coprendo quasi totalmente la visuale, divenne plumbeo e mi sembrò di essere tornato nella notte fonda.

    Iniziò un nuovo diluvio, ma l’acqua stranamente toccava il suolo fermata dalle fronde delle piante che le permettevano di toccare il suolo solo gocciolando, di conseguenza il terreno non si bagnò totalmente rimanendo asciutto e percorribile.

    Dopo pochi minuti, la pioggia cessò rapidamente e sparì ogni rumore che aveva provocato, lasciando lo spazio ai suoni della foresta che, indistinti, raggiungevano le mie orecchie come se la foresta stessa mi stesse parlando sovrapponendo le varie voci rendendone impossibile la comprensione.

    La pioggia ritornò due volte nel corso della salita e per due volte sparì in poco tempo; purtroppo non dava alcun sollievo anzi peggiorava ogni volta la situazione climatica che divenne quasi intollerabile per gente come me assolutamente abituata ad un clima meno severo.

    Capii a mie spese che cosa era una foresta pluviale e quanto fosse climaticamente inospitale, pensai per la prima volta anche agli eventuali animali che avrei potuto incontrare ed al pensiero dei serpenti velenosi rabbrividii nonostante il caldo.

    La fatica si faceva sentire e a me, quasi sessantenne e fumatore, dette l’impressione che mi avrebbe stroncato e che sarei morto in quel posto selvaggio.

    Ma per fortuna non fu così, dopo un’ultima arrampicata utilizzando mani e piedi, il sentiero si fece quasi pianeggiante ed incominciai a sentire in distanza il rumore dell’acqua che precipitava nel vuoto.

    Sapevo che Salto Angel ha poca portata d’acqua, ma è l’altezza da cui precipita, circa mille metri, che ne fa una cosa unica al mondo e quindi non mi meravigliai del poco rumore che diffondeva.

    Dopo pochi passi la foresta si aprì e lasciò vedere la cascata che era veramente meravigliosa.

    L’acqua sembrava cadere dal cielo perché in quel momento la sommità del tepui era coperta da una nuvola grigia nascondendola alla vista.

    Cadendo l’acqua si polverizzava disintegrandosi in milioni di goccioline che, quando raggiungevano il suolo, creavano un laghetto da cui aveva inizio un ruscello il quale, dopo qualche chilometro, si sarebbe immesso nel fiume che avevamo risalito dopo aver raccolto l’acqua di altre innumerevoli cascate molto più basse, ma altrettanto affascinanti, che da dove mi trovavo potevo guardare affascinato.

    Mi sedetti su una roccia ad ammirare il paesaggio mentre i miei occasionali compagni di viaggio scesero il sentiero verso la base della cascata per bagnarsi nell’acqua fresca.

    Non li seguii perché ero veramente stanco e non mi sentivo di scendere lungo il sentiero molto ripido per poi doverlo risalire con molta fatica e con dispendio di energie che preferivo conservare per il ritorno.

    Guardando ancora la cascata riuscii a vederne la sommità poiché la nuvola che avvolgeva la cima del tepui si dissolse lasciandomi gustare il grande spettacolo che la natura sa dare nella sua incredibile immensità.

    Stavo ammirando un fiumiciattolo che cadeva nel vuoto e si disintegrava nella caduta di quasi un chilometro in verticale, per poi riformarsi una volta che le goccioline d’acqua si riaggregavano al suolo e riprendere il suo cammino verso valle contento di aver superato quell’ostacolo immenso.

    Quel luogo era veramente magico e magnetico.

    Qualche anima buona aveva montato un’amaca tra due alberi, mi sentivo veramente stanco e assonnato data la levataccia del mattino e per me fu una manna, mi ci coricai, e anche da lì potevo vedere bene la cascata e assaporarne il fascino.

    Avvertii nuovamente la presenza, era vicina a me, ne avvertivo l’energia che emanava, improvvisamente le palpebre divennero di piombo, chiusi gli occhi mentre una voce dolcissima entrò nella mia mente dicendo rilassati, dormi e sogna, ne hai bisogno.

    Mi addormentai profondamente abbandonandomi al dondolio dell’amaca.

    II

    Sognai di avere in mano un libro e, mentre ero seduto su una poltrona davanti ad un camino incominciavo a leggerlo.

    "Nel quartiere ove abitavo c’era una montagnola che divideva due quartieri, uno dei quali posto in alto e l’altro posto inferiormente al primo.

    Abitavo in quello in basso dove i miei avevano in affitto un appartamento al secondo piano di un edificio.

    Quella montagnola era teatro di scontri tra i ragazzini dei due quartieri che, divisi in bande, cercavano di appropriarsi del territorio che era talmente vasto, da poter ospitare tutti senza venire a contatto l’uno con l’altro o litigare, però si sa che dominare fa parte dell’istinto umano.

    Durante il periodo estivo gli scontri erano molto frequenti e per lo più si limitavano a sassaiole con lo scopo di colpire il nemico.

    Qualche bambino aveva la peggio e veniva colpito dai sassi nemici e quando tornava a casa sanguinante, i genitori non se la prendevano con gli altri bambini, ma con il loro figlio che, dopo averlo medicato, veniva regolarmente sculacciato e punito con il divieto di uscire per qualche tempo.

    A me quelle sassaiole non piacevano, non sono mai stato un violento, e quindi cercavo di farmi gli affari miei, giocando con gli altri bambini solo quando era in vigore l’armistizio e tutti si leccavano le ferite o facevano i conti con i propri genitori.

    Avevo un’amichetta, di cui sfortunatamente non ricordo il nome, che aveva otto anni come me e con la quale giocavo tutta l’estate.

    Ricordo solo che era una bimba grassottella e molto simpatica e che stavo molto bene con lei.

    I nostri giochi erano poveri, si giocava con uno scatolone immaginando che fosse una casa, o con le biglie colorate che costavano pochi soldi. Ma le ore passavano spensierate fino a quando i nostri genitori ci richiamavano in casa per il pranzo o la cena.

    Dopo il pranzo, ancora in strada con lei e con gli amici e amichette che volevano giocare con noi; dopo cena a letto presto.

    I giochi che facevamo sono scomparsi, ma forse erano molto più divertenti e più sani di quelli di oggi che si fanno davanti ad uno schermo con una play station, o con un cellulare connesso a Internet.

    Era meraviglioso costruire un aquilone e farlo volare quando c’era vento godendone le evoluzioni fino a quando non si sbagliava qualcosa nel guidarlo e si schiantava al suolo; oppure scavare un buco nel terreno e cercare, dopo aver sparpagliato le biglie colorate nel terreno stesso, con il solo aiuto del pollice e l’indice che fungevano da molla, di mandare una biglia nella buca e conquistare il punto.

    Altri bellissimi giochi ormai persi erano ruba bandiera, mosca cieca, uno due tre stella e tanti altri che ci tenevano impegnati ore ed ore con gli amici quando l’amnistia della guerra per il possesso della montagnola teneva.

    Quando gli altri erano al fronte la mia amichetta ed io ce ne stavamo da soli giocando, leggendo fumetti o semplicemente ridendo per qualsiasi stupidaggine oppure ci appartavamo dietro un cespuglio di un piccolo giardino pubblico del quartiere che diventava il nostro regno.

    Un giorno mi propose di giocare a marito e moglie, era precoce la bimba, dovevo fare finta di uscire per andare al lavoro mentre lei preparava da mangiare utilizzando dei sassi come fornelli, piatti e tutto ciò che era necessario.

    Mentre lei apparecchiava la finta cucina che per noi era vera, me ne stavo in disparte dove non potevo vedere ciò che lei faceva nascosta dal verde della siepe.

    Ad un segnale prestabilito, picchiava due sassi, facevo finta di tornare dal lavoro, mi sedevo per terra vicino alla grossa pietra che fungeva da tavolo di fronte a lei e simulavamo di mangiare apprezzando il cibo immaginario con dei mugolii di piacere.

    Una volta, finita la pantomima del pranzo mi disse:

    - Adesso dobbiamo fare all’amore!

    - Fare all’amore che cosa vuol dire?

    Glielo chiesi perché in effetti era una cosa che non avevo mai sentito ed ero completamente all’oscuro di cosa potesse essere.

    - È un gioco che fanno le mamme con i papà e deve essere molto bello perché ne parlano frequentemente e mio papà lo chiede spesso a mia mamma

    - Ma non so come si gioca!

    - Fai quello che ti dico e lo facciamo, togliti i calzoncini e le mutandine ed io faccio lo stesso

    Così facendo si tolse la gonnellina e le mutandine invitandomi a fare ciò che aveva detto.

    Feci come lei e rimasi con il pistolino al vento, lei si accucciò e fece la pipì sul terreno davanti a me, quando ebbe terminato mi disse

    - Adesso falla dove l’ho fatta io.

    Obbedii e urinai sulla sua pipì.

    - Ecco abbiamo fatto all’amore come i grandi ma deve restare un segreto, non dobbiamo dirlo a nessuno.

    Così dicendo si rivestì ed io feci lo stesso, mi prese la mano e ce ne andammo verso le rispettive case.

    Per qualche tempo credetti di aver fatto all’amore veramente fino a quando non scoprii che non era vero e ci rimasi male: ci eravamo andati solamente molto vicino.

    Per anni mi chiesi, e me lo chiedo tuttora, dove avesse imparato e cosa avesse visto o sentito per proporre quel gioco. Probabilmente qualche amichetta un pochino più grande le doveva aver spiegato qualcosa in modo distorto e la sua fantasia aveva fatto il resto.

    Molti bambini spiano i propri genitori e captano frasi e rumori ma, non sapendo bene di cosa si tratti, si abbandonano alla fantasia che per loro diventa realtà.

    Le dissi che non mi era piaciuto e ci rimase male perché pensava di fare qualcosa di proibito, di conseguenza non lo facemmo più, ma restammo comunque amici.

    Alla sera, specialmente di inverno e fino all’avvento della televisione, seduto in braccio a mio padre e mentre mia madre rassettava la cucina, ascoltavamo qualche programma radiofonico.

    Mi piaceva molto farlo, forse più che altro perché avevo modo di stare con mio padre, che lavorando tutto il giorno, usciva al mattino presto e rientrava attorno alle sei di sera.

    Ricordo l’odore del tabacco che aveva addosso, fumava, non molto, ma fumava e le cose che mi spiegava e che mi insegnava mi affascinavano sempre.

    Andai in prima elementare che già sapevo scrivere e fare alcune semplici operazioni aritmetiche cosa che stupì non poco la mia maestra.

    Il rapporto con i miei genitori, specialmente con mio padre, e sempre stato bellissimo e mi sono sempre sentito amato."

    Nel sogno chiusi il libro e guardai la copertina per leggerne il titolo che era: COME ERO.

    In quel momento una mano mi tocco la spalla svegliandomi dicendo:

    - Señor, tenemos que ir!

    Mi svegliai abbandonando il sogno e dopo qualche momento necessario per tornare alla realtà, incominciai il ritorno verso la civiltà.

    III

    La discesa fu molto più agevole perché mi ero riposato ed arrivai prima degli altri al campo base sedendomi sotto la tettoia ad aspettare i miei compagni di avventura.

    Mentre li aspettavo ripensai al sogno che era rimasto ben impresso nella mia memoria e al titolo del libro.

    Mi ricordai che l’episodio che avevo letto in sogno nel libro mi era realmente accaduto e che lo avevo completamente dimenticato.

    Ero contento di averlo rivissuto e sperai fortemente di poter continuare a leggere quelle pagine ove capii che era scritta la storia della mia vita.

    Avvertii ancora la presenza ed udii nella mia mente ancora la sua bellissima voce che diceva: succederà!.

    Fui pervaso da un forte turbamento ed incominciai a pensare che stavo per impazzire, sentivo delle voci come i pazzi furiosi.

    Ma la voce mi tranquillizzò:

    - Non stai impazzendo, sei solo stato prescelto"

    - Da chi sarei stato prescelto?

    - Non posso dirtelo, a suo tempo capirai!

    Per fortuna arrivarono i miei compagni di avventura e si sedettero accanto a me commentando ciò che avevano visto, raccontandosi le sensazioni provate durante l’esperienza vissuta. Anche loro erano visibilmente stanchi e provati anche se erano molto più giovani di me. La cosa mi consolò.

    Mangiammo un ottimo pollo arrosto con patate, cucinato alla griglia da una signora di fattezze indie in quanto bassa, leggermente in carne e con i capelli neri raccolti sulla nuca ed il viso tondo e grassottello.

    La guida ci spiegò che dentro la foresta, a pochi metri da noi, affacciato sul fiume c’era un villaggio, dove vivevano alcune famiglie. Erano loro che per guadagnare qualche soldo si preoccupavano di ristorare i turisti come me al termine delle escursioni.

    Bevemmo acqua minerale che non era assolutamente calda, come uno avrebbe potuto pensare visto il posto dove ci trovavamo lontani dalla civiltà, ma fresca e piacevole come se fosse stata appena tolta dal frigo.

    Mi resi conto che conservavano le bottiglie legate l’una all’altra dentro l’acqua del fiume che le manteneva fresche e piacevoli da bere.

    Avrei desiderato una buona birra ma non era prevista e quindi dovetti tenermi la voglia fino a sera nel residence ove alloggiavo che era piuttosto spartano dove però avevano un’ottima birra venezuelana di marca Polar,

    Il viaggio di ritorno, come sempre, fu meno entusiasmante, la luce era cambiata ed il paesaggio che ci accolse al mattino era diventato quasi lugubre ed angosciante.

    Di tanto in tanto, sulla riva del fiume si incontravano piccoli villaggi indios, con l’immancabile canoa legata ai pali infissi nella sabbia e tanti bambini fermi sulla riva che ci guardavano salutandoci con le braccia e sorridenti.

    Vedendoli mi chiedevo come potessero vivere in quei posti selvaggi, senza medici, senza medicine e senza le basilari norme igieniche necessarie alla sopravvivenza.

    Mi chiedevo anche come facessero ad avere una donna che non fosse loro consanguinea in quanto in villaggi così piccoli non vi è possibilità di avere nuove persone che ne entrino a far parte. Quindi dedussi che come in altre parti dell’America Latina, l’incesto fosse ancora all’ordine del giorno e che era necessario per la riproduzione.

    Mi spiegarono successivamente al mio rientro alla normalità, che le mie deduzioni erano esatte.

    L’incesto in quei villaggi era assolutamente obbligatorio ed autorizzato dalla legge perché se non lo si fosse più praticato, quelle tribù indie si sarebbero estinte in pochissimi anni.

    Pertanto avvenivano accoppiamenti tra padre e figlia, tra madre e figlio, tra fratelli e sorelle, tra cugini di primo grado, per garantire la riproduzione.

    Stranamente, forse perché l’incesto era praticato da secoli, non vi erano casi di subnormalità nei bambini, che nascevano sani e vispi come i nostri avuti con relazioni non consanguinee.

    La vita comunque era breve, raramente una persona superava i quaranta anni e spesso quando contraeva una malattia che da noi viene curata con gli antibiotici e medicine varie, lo sciamano del villaggio usava le erbe amazzoniche per curare, ma spesso senza risultati positivi e quindi il paziente moriva.

    Il viaggio di ritorno sembrò molto più lungo e noioso, ma quando arrivammo nei pressi della laguna di Canaima, la guida ci fece scendere e raccogliendoci a terra in gruppo, eravamo circa una decina di persone, ci propose un extra che non potetti rifiutare.

    Chi voleva, pagando naturalmente una piccola cifra, avrebbe potuto attraversare da dietro, tra l’acqua e la roccia su un piccolo sentiero e tenendosi per una fune, la cascata più grande che il Rio Carrao formava immettendo le proprie acque nella laguna di Canaima.

    Questa cascata veniva chiamata Salto del Sapo, la cascata del rospo.

    Il Ro Carrao per immettersi nella laguna doveva superare un dirupo di circa una trentina di metri e di conseguenza formava varie cascate, una vicina all’altra a cui gli indigeni avevano dato vari nomi, la più grande delle quali era stata battezzata appunto cascata del rospo, in spagnolo Salto del Sapo.

    È una cascata con un’enorme quantità d’acqua di un colore che varia dal rosso al giallo, e che nella sua caduta emette un rumore fragoroso con delle tonalità basse e cupe come ad avvertire le persone e gli animali che era pericolosa e di starne alla lontana.

    L’avevo vista dalla laguna ed era enorme, non come altre cascate tipo quelle del Niagara, ma

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