La palestra della felicità
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La palestra della felicità - Valentina Diana
felicità
Premesse
Non succede niente. O quasi
di Renato Gabrielli
Che cosa succede, nei lavori teatrali di Valentina Diana? Niente o quasi, in apparenza, o meglio se si ragiona in termini convenzionali di azione e conflitto. Siamo alle prese con successioni di scene o quadri avari di indicazioni in didascalia, con labili connessioni di trama, nessuna costruzione di climax, battute attribuite a figure che mai ambiscono allo status di personaggio, a una compiutezza psicologica. Eppure si tratta di copioni pervasi da una tensione che cattura, sovente virando dal drammatico al comico attraverso scarti lievi e improvvisi. E non manca certo il conflitto. Solo che – come in tanta buona drammaturgia contemporanea – esso si sviluppa principalmente attraverso il linguaggio, all’interno del linguaggio. Questa poetessa e narratrice che conosce da dentro, per consolidata esperienza attorale, la grammatica del teatro mette in scena vere e proprie lotte senza quartiere tra istanze tra loro inconciliabili. Non avviene mai una mediazione o una sintesi in scontri verbali all’ultimo sangue che mirano all’annientamento non dell’altro, ma delle sue ragioni.
Esemplare, da questo punto di vista, il meccanismo di sopraffazione reciproca attraverso la parola tra Lui e Lei, figure che mutano ruolo a ogni nuova scena ne La palestra della felicità. Solo la morte, propria o dell’interlocutore, si ripropone ossessivamente come illusoria soluzione di duelli dialettici la cui premessa è una totale sordità emotiva. C’è un efficace tormentone comico legato all’uso di un oggetto smaccatamente fasullo, la pistola di plastica con cui i due attori si minacciano e poi simulano improbabili e reversibili omicidi e suicidi. Del resto la rottura della finzione, l’apertura al pubblico, la mescolanza di dramma e narrazione sono tratti ricorrenti nelle pièce dell’autrice, che non teme di avventurarsi in giochi metateatrali anche molto complessi, come nel recente Opera Nazionale Combattenti presenta: I giganti della montagna atto III. Ma, sotto una patina ludica e grottesca, la violenza che si evoca nella Palestra ci interroga e riguarda, sul serio; e nella penultima scena il Discorso di Vó connette il microcosmo privato degli scontri tra Lui e Lei a un macrocosmo governato da folli pulsioni belliche e di profitto. Il punto in comune tra la violenza giocosa del teatro e quella micidiale della guerra è l’insensatezza, messa tra parentesi dalle domande iniziali e finali di un Dio a corto di risposte.
L’ironia è un tratto distintivo e pervasivo nella scrittura di Valentina Diana. Non mi sembra però che tale ironia sia benedetta dal discutibile dono della leggerezza – così consolatorio, così di moda.
È talvolta pesante perché senza alternative, necessaria, ultimo argine del linguaggio contro il nulla e la morte. Il terrore dell’annientamento produce fughe nell’assurdo, soluzioni paradossali, architetture narrative scaramantiche. Nel monologo L’eternità dolcissima di Renato Cane, il protagonista, dopo un’esistenza di consapevole e rivendicata mediocrità, si lascia abbindolare dalle costose e improbabili promesse di vita eterna di un’agenzia di pompe funebri new age. Anche la protagonista della pièce Swan ambisce a una sorta d’immortalità, ma attraverso il corpo, affidandosi a un’avveniristica operazione