Nella terra dei sogni proibiti: romanzo
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Nella terra dei sogni proibiti - Antonio Il Grande
Nella terra dei sogni proibiti
romanzo
Antonio Il Grande
Published by Meligrana Editore
Copyright Meligrana Editore, 2016
Copyright Antonio Il Grande, 2016
Tutti i diritti riservati
ISBN: 9788868151850
Copertina © rielaborazione fotografica
Marco Crestani
Meligrana Editore
Via della Vittoria, 14 – 89861, Tropea (VV)
Tel. (+ 39) 0963 600007 – (+ 39) 338 6157041
www.meligranaeditore.com
info@meligranaeditore.com
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INDICE
Frontespizio
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Licenza d’uso
Antonio Il Grande
Copertina
Dedica
Nella terra dei sogni proibiti
Prologo
Parte Prima
Parte Seconda
Epilogo
Ringraziamenti
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Licenza d’uso
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Grazie per il rispetto al duro lavoro di quest’autore.
Antonio Il Grande
Antonio Il Grande nasce a Tropea nel 1997. Nel 2011 si iscrive al locale Liceo Classico Pasquale Galluppi
, a cui affianca gli studi di pianoforte presso il Conservatorio F. Torrefranca
di Vibo Valentia. Collabora con diverse testate giornalistiche locali cartacee e online. Nell'aprile del 2015 vince una borsa di studio che lo porta a frequentare il corso di autore musicale con il maestro Mogol presso il Centro Euopeo Tuscolano. Nella terra dei sogni proibiti è il suo primo romanzo.
Contattalo:
a.ntonio.97@live.it
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Alla mia famiglia,
che mi ha sempre sostenuto
con infinita dolcezza.
A Erika,
che mi ha permesso di conoscere
la bellezza dell’amore.
«Papà, come definiresti l’amore?» chiese il giovane Leonardo, curioso.
«Beh... Ecco... Amore è incontrarsi in un sogno e ignorare il risveglio. È realizzare di aver trovato il polo opposto del tuo cuore e di non poter sfuggire alla sua irrefrenabile attrazione.»
Prologo
Campania, giovedì, 4 giugno 1998
«Uno, due, tre...» La conta era iniziata. I cinque ragazzini cominciarono a correre il più veloce possibile, osservando con attenzione l’ambiente circostante, ansiosi di trovare un posto sicuro in cui nascondersi. Da quando alcuni vicini si erano lamentati per il disturbo che provocavano, avevano cambiato posto, spostandosi in un luogo più appartato, nelle campagne del signor Castillo.
Non conoscendo ancora bene quel luogo, pensarono di allontanarsi maggiormente dalla tana, per guadagnare più tempo da dedicare alla ricerca del nascondiglio. I minuti passavano e Rocco era sicuramente sulle loro tracce già da un pezzo.
Carlo, affannato e stanco, si voltò: fu allora che comprese che i suoi compagni si erano già ben nascosti. Temendo di essere visto, fece un ultimo sforzo; proseguì per un altro tratto, alternando la corsa alla camminata veloce attraverso una salita cosparsa di ghiaia. Il battito del cuore si faceva sentire e, proprio nel momento in cui le speranze di trovare un nascondiglio sicuro stavano scomparendo, ecco che scorse, fra i tanti uliveti, un vecchio casolare.
Suo padre gli aveva insegnato che: «È proprio nel momento in cui credi di essere perduto che il mondo ti dà l’occasione di dimostrare quanto vali e l’unico modo per farlo è mantenere la speranza.» E lui non era un tipo che si perdeva d’animo facilmente.
Preso dalla foga e dalla meraviglia, raggiunse l’entrata. L’intero casolare era disabitato e urticanti piante lo circondavano interamente. Qua e là, insetti di ogni tipo si muovevano liberamente, mentre al rumore dei passi del ragazzo qualche gatto randagio si affrettava a raggiungere l’uscita. Vecchie tavole erano abbandonate sui lati delle pareti e le poche finestre erano oramai andate.
Un odore sgradevole sembrava provenire da una stanza secondaria. Assicuratosi di essere al sicuro, dando un’occhiata fuori, si apprestò ad esplorarne l’interno. Così, dalla sala principale giunse ad un’altra dalle dimensioni minori dove lo accolsero carcasse di piccoli animali. Carlo assunse un’espressione di disgusto e pensò che quel posto non avesse niente di interessante.
Era un casolare a due piani di medie dimensioni, sgombro di ogni arredamento; in tutte le stanze solo qualche vecchio candelabro arrugginito suggeriva che in passato lì avesse abitato qualcuno.
Gettò qualche sguardo qua e là, questa volta prestando maggiore attenzione. Le piante rampicanti, che ormai avevano ricoperto quasi tutte le pareti interne, in un punto non sembravano aggrapparsi alla parete, dando l’impressione di uno spazio vuoto dietro. Carlo allora si avvicinò e allontanò con la mano la pianta. Questa copriva un piccolo passaggio che doveva portare ad un ulteriore vano della casa. La curiosità lo assalì, ma il timore di assistere ad uno scenario simile a quello di pochi istanti prima lo bloccò. Il lezzo era insopportabile. Troppa, tuttavia, fu la curiosità; così si abbassò ed entrò.
Il contrasto fra la luminosa stanza e quel piccolo corridoio così buio era inquietante: più procedeva, maggiore diveniva la carenza di luce. Infine giunse in una piccola stanza, colma di cianfrusaglie, leggermente illuminata da una finestra posta stavolta nel soffitto. Legni, ferri, carte e vari oggetti vecchi erano sparsi ovunque; il pavimento, a differenza di quello delle due camere precedenti, era invece in buone condizioni.
Carlo, anche se la luminosità non era ottimale, osservò ogni singolo oggetto, nella speranza di trovare qualcosa di utile o prezioso. Muovendosi con passo attento si accorse che in uno spazio preciso il suolo, al calpestio, produceva un suono diverso rispetto al resto del pavimento. Accovacciatosi a terra, fece spazio fra gli oggetti e scovò così quella che poteva essere la botola che conduceva ad una stanza inferiore, la cantina probabilmente.
Uno spesso strato di polvere la ricopriva. Istintivamente, il giovane si avvicinò con la testa, chiuse gli occhi e soffiò per quanto gli fosse possibile. L’aria emessa dai minuti polmoni del ragazzino si trasformò in una grossa nube di polvere che ricoprì ben presto l’intero spazio della stanza. Carlo non riuscì ad evitarne l’esalazione, che inevitabilmente lo portò a tossire sempre più forte. Gli occhi non rimasero esenti da un fastidioso bruciore.
Quando il nugolo si dissolse nell’aria, pronto a tutto, provò a sollevare la botola, infilando le esili dita nel margine che gli permetteva una maggiore capacità prensile, ma non ci riuscì. Il lungo tempo trascorso doveva averne compromesso l’apertura. Il ragazzino si alzò e provò di nuovo, questa volta aiutandosi con le gambe. Un sottile suono venne subito accompagnato da un secondo più cupo e fragoroso. La botola si aprì, lasciando intravedere un vano sottostante.
Carlo si accovacciò di nuovo, cercando di apprenderne la profondità, ma la fievole luce proveniente dalla finestra del soffitto non era sufficiente. Dunque, cominciò a cercare, fra tutti gli oggetti sparsi per la stanza, qualsiasi cosa potesse fungere, potenzialmente, da fonte di luce. Mentre frugava in quell’assoluto disordine, si chiedeva di chi fossero tutti quegli oggetti e da quanto tempo fossero lì abbandonati. I secondi passavano e allo scorrere di ogni attimo l’atmosfera si faceva più inquietante: il tramonto stava per terminare e di lì a mezz’ora l’oscurità sarebbe calata nella campagna.
Dopo qualche minuto di ricerca, in un angolo, intravide un pacco di fiammiferi e, subito vicino, una vecchia lampada ad olio, usata probabilmente proprio da chi era solito scendere in quella buia cantina.
Subito prese il pacco e lo aprì; erano rimasti una decina di fiammiferi, ma la carta abrasiva era andata perduta. Il ragazzino ne prese uno, lo strinse forte tra il pollice e l’indice e lo strofinò violentemente alla parete. Il rumore del legnetto spezzato deluse le sue fiduciose aspettative. Provò con un altro fiammifero, questa volta impegnandosi a non premere con troppa forza. Non funzionò, probabilmente l’umidità aveva compromesso lo zolfo.
Dopo vari tentativi, tutti falliti, quando oramai la speranza di fare fuoco era quasi terminata, essendo rimasti nel pacco solo tre fiammiferi, si avvicinò ad una parete più ruvida e con un tocco leggero riuscì ad ottenere una fievole fiamma. Velocemente prese gli altri due fiammiferi e qualche vecchia carta, formando una fiamma più forte; con questa accese la lampada ad olio il cui combustibile era evidentemente ancora buono.
Così raggiunse la botola. La luce gli fece notare che una piccola scala di ferro, poggiata su uno dei quattro lati dell’apertura, portava al vano sottostante, abbastanza grande. Aiutandosi con una sola mano, riuscì così a raggiungere quella cantina. Appena si voltò, sentì il cuore gonfiarsi dallo stupore. In cuor suo lottavano timore e curiosità. Si avvicinò a dei grossi tavoli con cautela, pesando con cura ogni passo. Si accorse di avere scoperto qualcosa di importante e misterioso, qualcosa forse di troppo grande per lui.
Doveva essere un luogo il cui ultimo accesso risaliva di certo a diversi decenni addietro. I banconi erano consumati dal tempo e ricoperti di polvere. Poco più in là riuscì a intravedere un armadietto, che raggiunse per primo. Al suo interno Carlo riuscì a contare almeno un centinaio di libri, che dai titoli sembravano affrontare argomenti molto specifici come chimica, fisica, biologia e medicina. Ne rimase affascinato, ma chiuse l’armadietto con l’intento di tornare lì un altro giorno e portare via tutto.
Continuò la perlustrazione di quella buia stanzetta e, nell’illuminare la parete a cui erano poggiati i banconi, si accorse che questi erano cosparsi di strani oggetti che dovevano servire allo studio pratico di qualcosa. Proprio sul bordo del tavolone un vecchio libro, ricoperto di polvere, era ancora aperto a pagina 73
. Portò la lampada proprio accanto al manoscritto e ne lesse il titolo: Studio delle piante del sud Italia e dei loro benefici naturali. Carlo era eccitato e impaziente. Eccitato per l’inattesa e straordinaria scoperta di quel posto; impaziente perché avrebbe preferito portare tutto via con sé proprio in quell’istante. Scrutò le ultime parti della stanza, prima di andare via, e proprio allora si accorse che dietro la scaletta di ferro c’era qualcosa avvolto in delle tovaglie sporche.