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Il giorno era ieri
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Il giorno era ieri

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Roma, novembre 2011. Il governo Berlusconi è costretto a dimettersi a causa delle proteste interne e delle pressioni internazionali. In una conferenza stampa, la Lega Nord annuncia l’uscita dalla maggioranza parlamentare e dichiara che non sosterrà il nascente governo Monti. Il paese è vicino al tracollo. Durante l’incontro con i giornalisti, due individui armati fanno irruzione nella sala stampa di Montecitorio e uccidono Umberto Bossi e Roberto Calderoli.

Da quel momento, i terroristi colpiscono, uno dopo l’altro, i più influenti politici italiani e il paese precipita nella violenza. Il gruppo non rivendica e non lascia tracce. Attraverso internet riesce anzi a infiltrarsi indisturbato nei server delle istituzioni.

Qual è l’orientamento politico dei terroristi? Come scelgono le loro vittime? Qual è l’obiettivo ultimo delle loro azioni? Perché la violenza culmina, in un’insospettabile mattina d’estate, con qualcosa che somiglia alla ghigliottina della Rivoluzione Francese?

Chiamato a dare una risposta a queste domande è il commissario di polizia Candido De Carolis, il migliore analista della questura centrale di Roma, mentre i Servizi Segreti lo seguono giorno e notte, per arrivare ai terroristi prima che li catturi lui.
LanguageItaliano
Release dateApr 27, 2016
ISBN9786050426380
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    Il giorno era ieri - Venceslav Soroczynski

    Roma, novembre 2011. Il governo Berlusconi è costretto a dimettersi a causa delle proteste interne e delle pressioni internazionali. In una conferenza stampa, la Lega Nord annuncia l’uscita dalla maggioranza parlamentare e dichiara che non sosterrà il nascente governo Monti. Il paese è vicino al tracollo. Durante l’incontro con i giornalisti, due individui armati fanno irruzione nella sala stampa di Montecitorio e uccidono Umberto Bossi e Roberto Calderoli.

    Da quel momento, i terroristi colpiscono, uno dopo l’altro, i più influenti politici italiani e il paese precipita nella violenza. Il gruppo non rivendica e non lascia tracce. Attraverso internet riesce anzi a infiltrarsi indisturbato nei server delle istituzioni.

    Qual è l’orientamento politico dei terroristi? Come scelgono le loro vittime? Qual è l’obiettivo ultimo delle loro azioni? Perché la violenza culmina, in un’insospettabile mattina d’estate, con qualcosa che somiglia alla ghigliottina della Rivoluzione Francese?

    Chiamato a dare una risposta a queste domande è il commissario di polizia Candido De Carolis, il migliore analista della questura centrale di Roma, mentre i Servizi Segreti lo seguono giorno e notte, per arrivare ai terroristi prima che li catturi lui.

    Venceslav Soroczynski

    Il giorno era ieri

    Il giorno era ieri

    © Venceslav Soroczynski, 2016

    www.facebook.com/venceslav.soroczynski

    Ho cercato qualcuno che mi scrivesse una prefazione. Quelli che ci stavano erano tutti dentro, o ai domiciliari. Dopo aver letto il primo capitolo, anche loro hanno rifiutato. Perciò me la scrivo da solo.

    La violenza è contro i miei metodi, le mie inclinazioni, la mia natura. Ecco perché non credo che quella immaginata in questo romanzo sia la strada giusta per cambiare le cose. Ce ne sono molte altre, forse più lunghe, certamente più noiose, ma infinitamente più sagge.

    A chi decide di leggere questo libro, raccomando quindi di mettersi bene in testa che è stato solo un sogno, necessario a scrivere un’opera di fantasia. Ma qualcuno doveva sognarlo e allora l’ho fatto io, prima che altri lo facessero sul serio.

    PARTE PRIMA

    La storia è apologia di strage.

    CARMELO BENE, Opere, 2002

    1.

    Il terrore cominciò il giorno della conferenza stampa della Lega Nord. Umberto Bossi avrebbe dichiarato che non aveva più niente a che fare con Berlusconi. Nessun appoggio al governo Monti, niente alleanze alle elezioni.

    Bossi scese dall’auto blu con due persone. All’ingresso della sala stampa di Montecitorio, c’erano sette giornalisti. Due erano seduti e cinque in piedi. Quelli seduti masticavano: il primo un tramezzino con salsa rosa e gamberetti; l’altro una brioche alla marmellata. Sapevano che non si mangiava in Parlamento, ma non facevano niente per nascondersi.

    Dei cinque che erano in piedi, uno s’impratichiva sulle funzioni della sua nuova macchina fotografica da uno stipendio e mezzo. Un altro non aveva portato né videocamera, né registratore; toccava in continuazione un pacchetto di Camel Light che teneva in tasca. Un altro ancora era al telefono. Gli ultimi due raccontavano barzellette.

    Quando Bossi arrivò, vide la stampa e rallentò. I giornalisti lo guardarono, ma non si mossero. Lui e Calderoli si scambiarono un’occhiata ed entrarono. Si sedettero e aspettarono che gli inservienti portassero le bottiglie d’acqua e accendessero i microfoni. Non arrivò nessuno.

    Bossi si muoveva lentamente. Allungò la mano e cercò il pulsante del microfono, ma le sue dita andarono a vuoto per tre volte. Lo trovò Calderoli. Diede due colpi e sentì il rimbombo negli altoparlanti. Si voltò verso Umberto, che guardava fisso la parete di fronte.

    Calderoli si alzò e andò alla porta. Mise fuori la testa e disse ad alta voce un generico: Siamo pronti, come se non si rivolgesse ai giornalisti.

    Quelli lo guardarono, poi si guardarono fra loro. A qualcuno scappò un risolino. Non si trattava di quelli che raccontavano barzellette.

    Il cronista dalla mano in tasca disse: Vado fuori a fumare.

    Vengo con te, disse l’inviata di Raidue. Anzi offrimene una, che ho perso il pacchetto nella metro.

    Le sopracciglia di Calderoli si avvicinarono.

    Rientrò da solo in sala stampa e disse: Umberto, cominciamo.

    Ma come cominciamo... dove sono i giornalisti?

    Non ci sono, disse Calderoli sottovoce.

    E quelli che erano fuori? chiese Bossi, coprendo il microfono con una mano. Ho visto la figa di Raidue!

    Sì, ma... stava uscendo.

    Calderoli fece un cenno al ragazzo che li aveva accompagnati e disse: Vai a vedere se è accesa.

    Il giovane si alzò e si avvicinò a un treppiedi fissato al pavimento nel centro della sala. La spia rossa della videocamera era spenta; l’obiettivo era coperto da un tappo nero. Il ragazzo fece segno di no con la testa. Calderoli alzò le sopracciglia al cielo e gli fece segno di tornare a sedersi.

    Bossi si raschiò la gola e cominciò: Bene, iniziamo questa conferenza stampa, che sarà breve anche perché... rh... non è previsto il dibattito con i giornalisti.

    Calderoli cominciò a sfogarsi sul nodo della cravatta.

    Siamo qui con l’amico Calderoli per affermare con forza che... rh... la Lega non sosterrà il governo Monti e che, da oggi, scioglie ulinate... rh... unilateralmente il gruppo parlamentare del Pdl.

    In quel momento, entrarono i giornalisti. Sembravano studenti di terza media il lunedì. Si sedettero con la schiena storta e cominciarono ad accendere gli strumenti. Le operazioni durarono meno di un minuto, ma sembrò una legislatura.

    Bossi dovette fermarsi e aspettare che fossero tutti pronti. I due che erano andati fuori a fumare rientrarono per ultimi, quando aveva già ripreso a parlare. Sotto il piano del tavolo, Calderoli stringeva i pugni e distendeva le dita, un esercizio che ordinano certi medici.

    Questo perché la Lega, come movimento... rh... del popolo padano, fatto di persone comuni, lontane dalla politica e dai suoi giochi, non può condividere le linee imposte al Pdl da Berlusconi, specialmente sulla... rh... giustizia e nei rapporti col governo Monti.

    Si udì del trambusto nel corridoio antistante la sala. Dei passi affrettati e una sedia che si rovescia su un tappeto. Calderoli pensò che, finalmente, stava arrivando la stampa che si aspettava. Toccò il braccio a Umberto, perché si fermasse. E Umberto si fermò.

    Entrarono due uomini, vestiti con completo scuro su camicia bianca e papillon. Le scarpe nere e lucide. Si avvicinarono al tavolo. Il primo estrasse dalla tasca esterna destra della giacca una piccola videocamera digitale e iniziò a filmare i due parlamentari.

    Calderoli coprì il microfono con una mano e disse: Voi chi siete!

    Il secondo tirò fuori dalla giacca una Peters Stahl calibro 45 e gli sparò al petto. Calderoli cadde all’indietro con tutta la sedia.

    L’arma era silenziata e non fece granché rumore, ma tutti i giornalisti si gettarono per terra. Quello con la macchina fotografica nuova la protesse piegandosi in avanti, come in aereo mentre si precipita.

    In quel momento, l’unica guardia del corpo presente nella stanza si alzò e mise mano alla fondina. Ma l’uomo con la videocamera fu più veloce: estrasse un revolver Smith & Wesson calibro 357 Magnum e glielo puntò alla testa. Gli si avvicinò appoggiandogli alla fronte la volata della canna e gli fece il segno del silenzio. Senza che gli fosse stato chiesto, la guardia del corpo alzò le mani e venne subito disarmata.

    Bossi aprì la bocca e fece per parlare, ma gli uscì solo un verso roco. Mentre si alzava, un proiettile gli si accomodò nel cranio, dopo essere entrato sopra l’arcata dell’occhio destro e aver fatto uno virgola cinque giri all’interno della circonferenza cranica. Umberto andò giù e restò su un fianco, con la tempia destra poggiata per terra e la cravatta verde che gli copriva metà del volto.

    Il primo uomo rimise nella giacca il revolver e fece un cenno all’altro. Quello sollevò di qualche centimetro la pistola e annuì in silenzio. Poi raccolse i bossoli che aveva esploso e se li mise in tasca.

    Il tragitto fra la sala stampa e il marciapiedi durò meno di trenta secondi. Nessuno li fermò, qualcuno li salutò. Loro risposero con un’alzata di testa. Uscirono in strada e si allontanarono verso via della Missione.

    La cronista di Sky fu la prima a rialzare la testa. Saltò in piedi, raccolse la borsa e il cellulare con cui stava registrando e li inseguì. Quando uscì dal grande portone su piazza Montecitorio, i due uomini erano spariti.

    A tredici secondi dall’ultimo sparo, entrarono nella sala stampa le altre tre guardie del corpo. Fecero il giro della scrivania e trovarono Bossi e Calderoli per terra. Dopo altri otto secondi, arrivarono i commessi di Montecitorio. Misero la testa nella stanza e chiesero ai giornalisti di abbassare i toni, perché nella sala adiacente c’era un’altra conferenza stampa.

    Ma quali toni! fece l’inviato di Raiuno. Qui c’è stata una strage...

    2.

    Sedici minuti dopo, il commissario Candido De Carolis veniva convocato nell’ufficio di Antonio Manganelli. Non succedeva mai.

    Trovò la porta chiusa e aspettò fuori. Sentiva dei passi all’interno e le parole Sì, certo, subito, faremo il possibile. Poi la cornetta che veniva riattaccata. Dall’altro capo, doveva esserci almeno il Ministro dell’Interno. Era arrivato durante una lavata di testa.

    Buongiorno, disse De Carolis quando la segretaria lo fece entrare.

    Lei lo sa cosa è successo, commissario? chiese Manganelli senza salutare.

    No.

    Hanno tentato di uccidere Bossi. Umberto Bossi.

    Ah, e... in che modo possiamo dare una mano?

    "Non scherzi con me, commissario, non scherzi con me oggi."

    Ma si è salvato, no?

    Si è salvato per modo di dire. È in coma, al policlinico. Ma Calderoli è morto.

    Non tutto il male viene per nuocere...

    Manganelli guardò negli occhi il commissario e inspirò profondamente. Ricordò una delle ultime cose che il suo predecessore gli aveva detto nel passaggio di consegne. Alla questura centrale c’è un tale De Carolis, uno strano, fuma il toscano e fa lo spiritoso, ma non mandarlo ai commissariati periferici, tienitelo: è il migliore che abbiamo mai avuto. L’importante è che non lo fai mai parlare da solo con i giornalisti. E che lo fai tenere d’occhio da qualcuno fidato.

    De Carolis, al di là di come lei la pensi, qualche minuto fa si è consumato uno dei fatti più gravi della storia della Repubblica Italiana.

    Lo dicevo io, che la Repubblica Italiana è nata lunedì scorso.

    Senta De Carolis, io non solo la trasferisco, ma la mando a Lampedusa. Con i piedi in acqua, a identificare i Tunisini. È chiaro?

    Molto, disse il commissario, e capì che margine per le battute non ce n’era più.

    Bene, il suo compito è restringermi a due, massimo tre gruppi i possibili autori. Entro domani mattina alle dieci. Adesso vada a parlare con i testimoni. Non porti nessuno qui in questura, non voglio cinquanta cronisti alla porta.

    De Carolis uscì in strada e si accese il toscano Originale.

    Fuori lo aspettava Duccio De Donna, il suo assistente.

    Andiamo Duccio, si va in Parlamento. Apri i finestrini, che devo fumare.

    3.

    I sette giornalisti, i due commessi parlamentari e le quattro guardie del corpo erano stati trattenuti dalla polizia in una stanza adiacente alla sala stampa. I cronisti si lamentavano, o minacciavano denunce per sequestro di persona, ma non quello con la macchina fotografica nuova, che era quasi riuscito a capire come fare il bilanciamento del bianco in modalità manuale.

    Gli uomini li facciamo per ultimi, disse De Carolis al poliziotto. Portami prima le signore.

    Il commissario e l’inviata di Sky entrarono in una stanza più piccola e senza finestre. Le pareti erano bianche e precarie come quelle dove si appendono i quadri alle mostre. Duccio li seguì e accese il registratore.

    Buongiorno signora, sono il commissario De Carolis, della Polizia di Stato.

    Un momento! Sono una giornalista iscritta all’ordine e mi state impedendo di fare il mio lavoro.

    E lei vorrebbe impedirmi di fare il mio, signora?

    Si rende conto dell’importanza della notizia?

    Sì, hanno perfino chiamato la polizia...

    La prego, mi interroghi per ultima. Devo mandare il servizio alla rete, se no mi licenziano.

    Signora, lei è stata testimone di un omicidio e deve rilasciare una deposizione. Per cortesia, spenga microfoni, cellulari, videocamere e ogni altro strumento di registrazione.

    Ma questo è assurdo, registrare è il mio lavoro!

    De Carolis poggiò i gomiti sul tavolo: Signora, se andiamo avanti così, l’ultimo dei suoi colleghi verrà interrogato all’ora di cena. E, sicuramente, quello lo licenziano.

    La ragazza raccontò quello che aveva visto: due uomini che entravano nella stanza, filmavano i leghisti e poi sparavano. Lei che li aveva seguiti inutilmente fino al portone.

    Li ha ripresi?

    Certo!

    Bene, deve consegnarci il filmato. Li aveva mai visti prima d’ora?

    No.

    Dove si trovava la scorta di Bossi?

    Non lo so, io guardavo Bossi, non la sua scorta. Comunque, a un certo punto, tre persone che sembravano guardie del corpo si sono alzate e sono uscite dalla sala.

    Prima o dopo gli spari?

    Prima.

    Come fa a dire che erano guardie del corpo?

    Il filo dell’auricolare gli usciva dal colletto e gli entrava nell’orecchio.

    Secondo lei, perché hanno lasciato la sala?

    Non lo so, ma uno di loro camminava con una mano all’orecchio e diceva qualcosa del tipo tre, cinque e sei stiamo uscendo. Due resta. Ma, dei numeri, non sono sicura.

    "Perché

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