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Strange Activity - Ep3 di 4
Strange Activity - Ep3 di 4
Strange Activity - Ep3 di 4
Ebook64 pages47 minutes

Strange Activity - Ep3 di 4

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About this ebook

“Strange Activity. Investigazioni, esorcismi e minchiate varie”. Questo è il biglietto da visita di Angelo Strano, svogliato investigatore dell’occulto dal carattere estroverso. Il suo lavoro consiste nell’occuparsi di casi anomali che nessuno riesce a risolvere, ed è proprio per un problema del genere che viene contattato da un noto boss mafioso catanese. L’uomo vuole che Angelo protegga Regina, la sua adorata figlia minacciata da una strana creatura. Malgrado le insistenze della sua assistente Vera, per Angelo accettare l’incarico è fuori discussione: lui non lavora per i mafiosi. Tutto cambia, però, non appena tocca accidentalmente Regina: la vede in fuga, assalita e uccisa da un mostro. Sì, perché Angelo riesce ad avere flash della morte imminente delle persone con cui viene in contatto. Una maledizione, più che un dono, perché il futuro non può essere cambiato. Ma arrendersi senza provare non è un’opzione.
LanguageItaliano
Release dateMay 2, 2016
ISBN9788898585410
Strange Activity - Ep3 di 4

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    Strange Activity - Ep3 di 4 - Fabrizio Cadili

    Strange Activity

    Regina

    Episodio 3

    Prologo

    Un’ovazione della folla e Meneghin si staccò dalla fascia destra con uno scatto degno di un centometrista. Alzò il braccio in direzione di Perera, il mediano di difesa, che lo vide e calciò il pallone con più forza che precisione. Meneghin fu costretto ad allargarsi, eppure riuscì comunque a bloccare la sfera con l’esterno sinistro. Poi, a testa bassa, prese a correre come un dannato.

    Su quel lato del campo la difesa avversaria era sguarnita, e Meneghin, palla al piede, arrivò fino al limite dell'area. Avrebbe potuto calciare, ma parve ricordarsi di non essere in buon tiratore, così scodellò verso la testa di Bonelli, il centravanti della sua squadra, che stava arrivando a rimorchio.

    Parabola perfetta.

    Difesa impreparata.

    Gol assicurato.

    Il pallone iniziò la discesa. Destinazione: la fronte di Bonelli. Un momento prima che questi colpisse, però, qualcosa si frappose. Anzi, qualcuno: Castaldo, il centrale difensivo avversario, aveva chissà come recuperato la posizione e, anticipato l’attaccante, riuscì a gettare la palla in corner.

    Nel suo giardino, davanti a un mega schermo da sessantacinque pollici, Bonaccorsi stritolò i braccioli della poltrona. Alle sue spalle i picciotti presero a borbottare.

    Assurdo. Inconcepibile.

    Era passato il quindicesimo del secondo tempo e la partita era ancora fissa sullo zero a zero. Certo, si trattava di un noioso match di Eccellenza che non meritava nulla di più di quel risultato. Peccato che Bonaccorsi avesse scommesso una bella cifretta sull’uno a zero per gli ospiti.

    Si sporse in avanti, le dita ancora artigliate al vimini, e assistette al calcio d’angolo. Il cross fu una vera merda: basso, con poca forza, tanto che bastò un difensore esterno a gettare la palla lontano.

    Qualcuno non ha ancora capito bene la situazione, pensò Bonaccorsi.

    Tornò a poggiare le spalle allo schienale, sollevò una mano e mosse indice e medio. Un istante dopo un picciotto gli si chinò accanto.

    «Portami u telefunu».

    Con uno scatto degno di Meneghin, il ragazzo si allontanò.

    Un momento più tardi Bonaccorsi sentì il peso del cellulare sul palmo ancora teso. Prese l’apparecchio, lo accese e fece partire una chiamata. Bastò uno squillo.

    «Prego, dottore?» rispose una voce agitata.

    «C’ha diri ca l’hana fari signari».

    Interruppe la telefonata e restituì il telefono al picciotto in attesa. Non si ribatteva a un suo ordine, ci si limitava ad agire di conseguenza. Se la partita fosse finita zero a zero, per lui sarebbero stati solo soldi sprecati; quelli in campo, invece, avrebbero perso molto di più, ed era il caso di ricordarglielo.

    Si rimise comodo ad aspettare il suo gol.

    Aveva appena accavallato le gambe quando avvertì una vibrazione proveniente dal taschino della giacca. Accigliato, Bonaccorsi prese il suo telefono personale. In pochi conoscevano il numero, e ognuno di loro avrebbe telefonato soltanto in caso di urgenza. Tuttavia venire contattato senza preavviso lo innervosiva comunque, soprattutto di fronte ai suoi uomini.

    Accettò la chiamata e rispose con un sussurro. «Aspetta».

    Si alzò e mosse qualche passo verso l’interno del giardino. Il labirinto di cespugli lo coprì.

    La villa in cui trascorreva gran parte dell’estate era abbastanza grande da avere angoli senza orecchie. C’erano cose che nemmeno i picciotti di famiglia dovevano sentire.

    «T’ava rittu no co cellulare» ringhiò al telefono.

    «C’è un problema» rispose una voce fredda.

    C’è sempre un problema. Possibile che in tutta Catania fosse l’unico capace di pisciare senza spruzzarsi sui piedi?

    «Chi fu?»

    «Dottore, ci dobbiamo vedere».

    Bonaccorsi stava per negarsi. Aveva altri impegni, e soprattutto incontrarsi in quel momento avrebbe potuto complicare un piano studiato fin nei minimi particolari.

    Però sapeva anche che se quella persona voleva vederlo, era meglio incontrarla e ascoltare i suoi dubbi. C’era poco da scherzare.

    Guardò l’orologio al polso. «Ora no. Stasira».

    Come risposta ottenne un leggero suono nasale, seguito dal click del termine di chiamata.

    Il boss rimise il cellulare nella tasca e tornò

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