La trama colorata del cielo. L'incontro con il destino non avviene mai per caso
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La trama colorata del cielo. L'incontro con il destino non avviene mai per caso - Gabriella Meleleo
Beckett
Antoinette e la lettera nascosta
Antoinette si trovava in quel momento in Rue de Rennes, nel suo minuscolo appartamento in affitto, quasi in centro città. Il monolocale era talmente piccolo che, se il divano-letto era aperto, doveva scavalcarlo per poter andare al bagno e, per recarsi nell’angolo dedicato alla cucina, doveva chiuderlo, altrimenti non avrebbe avuto lo spazio sufficiente per inserire le gambe.
Ma c’era tutto, per lei, in quell’angolo di paradiso: la cucinotta piccola e decorosa, il bagno modesto, che lei aveva reso accogliente con tendine a fiori, asciugamani e tappetino in tinta; il divanetto a due posti, dove dormiva quando tornava stanca alla sera dal lavoro, per poche ore, solo per poche ore.
Si era chiusa alle spalle la porta d’ingresso. M.me Louet, la custode del palazzo, era venuta a consegnarle le sue prime bollette da pagare.
Doveva lavorare di sera in un pub a Montmartre, per poter proseguire i suoi studi. Quell’ultimo anno di università al quale era faticosamente giunta, poichè il suo desiderio più grande era di essere indipendente.
Anni di sacrifici, di solitudine, paure e coraggio e mille altre esperienze, messe in moto dopo la fuga dal suo paese, da una famiglia che voleva venderla ad un uomo molto più anziano di lei. La vendita, così, avrebbe fruttato i soldi necessari per mantenere gli svaghi dei tre figli maschi. L’unica ragione di quel triste baratto, tale era la mentalità della quale la sua famiglia era ancora intrisa, a qualche decennio dal nuovo secolo. Invece Antoinette, unica femmina, non avrebbe mai prodotto nulla di economicamente utile, proprio perchè femmina.
Antoinette a 24 anni era davvero bella, ma lei si riteneva brutta. Trovava la sua pelle troppo scura, mentre invece era ambrata e lucida come un frutto esotico. I suoi occhi troppo grandi, quando erano profondi e dolci. Le sue gambe minute, sebbene, a forza di salire a piedi verso la collina, lì dove lavorava, le avesse trasformate in due gambe invidiabili, snelle e sode.
Lei, però, non era soddisfatta di sé e non si piaceva. I suoi familiari erano riusciti a convincerla di essere inutile al mondo intero. Invece lei sentiva che dentro, in qualche parte nascosta del suo piccolo mondo interiore, in un segreto del suo cuore, anche lei avrebbe avuto qualcosa da dire e da dare al mondo.
Con fatica si affannava per sopravvivere in modo decoroso, in quella gigantesca città, senza cadere in assurde quanto inutili tentazioni, che, sapeva, l’avrebbero condotta all’annullamento della sua stessa anima. Senza possibilità di salvarsi né di diventare quello che ogni tanto, la sera, distesa sul suo divano, intravedeva come in un sogno.
Quando Antoinette rientrava dal lavoro la città dormiva già da un po’.
Lei voleva farcela, e quell’ultimo anno di studio, sapeva, l’avrebbe portata certamente più lontano di un lavoro da cameriera in un pub, forse…
Sapeva bene di non poter contare su alcun aiuto, di dovercela fare da sola.
La Madre Superiora del Convento, alcuni anni prima, le aveva detto a chiare lettere:
Antoinette il nostro compito finisce qui. Col diploma ti abbiamo dato l’istruzione che i tuoi benefattori ci chiesero di riservarti quando ti portarono qui, anni or sono
.
Noi tutte
, continuava fredda e distante come era sempre stata la donna: Ebbene, cara ragazza, noi tutte abbiamo fatto con te un ottimo lavoro. Ora sei cresciuta. Abbiamo ancora del denaro per aiutarti nei tuoi studi universitari, visto che insisti a voler continuare gli studi. Ma dovrai lavorare, lassù a Parigi, perché i nostri fondi sono oramai ridotti. Non potremo, ahimè, aiutarti ancora per molto
, concluse in un sospiro tanto lungo quanto falso la Superiora.
Non era abitudine di Antoinette origliare dietro le porte, ma un pomeriggio di qualche mese prima stava passando nel corridoio del primo piano, davanti alla porta socchiusa dello studio della Madre Superiora, quando le giunse all’orecchio il suo nome. Si fermò ad ascoltare:
Ma Madre…
Antoinette riconobbe la voce implorante di Suor Alphonsine: La ragazza è piena di talento e di buona volontà. Negli studi fin’ora è stata un’eccellenza. Soprattutto nelle materie scientifiche, come biologia e chimica. Perché non volete che continui i suoi studi all’Università? Sarebbe di sicuro un talento sprecato!
.
La Madre Superiora rispose: Perché per una come lei è già un bene che possegga il diploma. Quanto a lei, Suor Alphonsine, si assuma le sue responsabilità. Se solo mi avesse ascoltato, a quest’ora Antoinette farebbe la sarta. Se lei le avesse insegnato il mestiere! Inoltre, se non si fosse ostinata con i suoi studi, le sue letture, le sue farfalle e quant’altro, avremmo fatto prendere i voti a quella ragazza. Invece no. Lei non era contenta Suor Alphonsine. Ne voleva fare una studiosa e c’è riuscita!
, disse, quasi urlando, la Superiora contro la suorina. Non è che non abbia fatto bene, per carità. Il Signore mi perdoni se ho alzato la voce
, riprese la Madre abbassando il tono e con fare amichevole, ma adesso la ragazza vuole continuare negli studi e noi non possiamo più aiutarla. Di questo se ne rende conto, vero, Suor Alphonsine?
.
A quella domanda la suora, cercando la calma tra le sue corde vocali, chiese: Ma i coniugi Baker non hanno lasciato disposizione che il loro denaro fosse utilizzato fino al completamento degli studi della ragazza?
.
La Superiora, in tono secco e sprezzante, di rimando, rispose:
Suor Alphonsine, lei si occupi della parte educativa di Antoinette, per quanto riguarda la parte amministrativa lasci fare a me, che mi occupo di queste incombenze!
.
Comunque noi
, proseguì la Superiora, con i fondi dei Baker, possiamo darle una mano ancora per qualche anno, poi la ragazza dovrà sbrogliarsi da sé. I Baker non vengono più qui, in Provenza, da un po’. Lui è molto malato, poveretto e la moglie non se la sente di lasciarlo solo in America. Probabilmente scarseggiano anche i soldi a loro disposizione. Noi questo non possiamo saperlo, Suor Alphonsine.
Diede come spiegazione la Superiora, quasi cercando una scusa a quelle rimostranze che la suora aveva opposto.
Sicuramente ad insistere
pensò tra sé la suora giovane, non ne caverei un ragno dal buco
.
Udito casualmente quel discorso, qualche tempo dopo Antoinette prese la decisione definitiva di lasciare il Convento.
È giunto il momento che io vada per conto mio. La Madre Superiora pensa di diritto di aver fatto tutto lei, invece solo Suor Alphonsine mi ha amata davvero. Beh, no…
– pensava Antoinette, … forse anche Suor Luise e Suor Annette. Sì, insomma, tutte mi hanno voluto bene, ma lei proprio no. Altezzosa, sempre superba, mai un gesto di dolcezza
, pensava tra sé la ragazza mentre la Madre Superiora firmava dei fogli, seduta alla minuscola scrivania di legno scuro che pareva non la riuscisse a contenere, tanto era possente quella donna.
Deve essere una legge di compensazione forse! – pensò ancora Antoinette –
le persone di potere spesso sono inversamente proporzionali alla scrivania sulla quale lavorano. Come la Madre Superiora, anche il Giudice Monsieur Prière, piccolo di statura, possiede una scrivania immensa, dove scompare tra i fogli" osservava ancora Antoinette, mentre la Madre Superiora firmava carte, una dietro l’altra, ogni tanto chiedendo alla Suora, sua segretaria, qualche chiarimento qua e là.
E poi i cognomi – pensava ancora tra sé Antoinette –
alcuni cognomi sembrano quasi legati alla storia del personaggio cui appartengono. Certi cognomi, qui in Occidente, sono proprio strani. Il Giudice Prière, non poteva avere cognome più azzeccato!".
Immersa nei suoi pensieri giovanili Antoinette si accorse in ritardo che la Madre Superiora aveva firmato tutti i documenti ed ora la stava osservando, in attesa di una risposta.
Allora Antoinette, cosa pensi di fare?
chiese la Suora.
Mi perdoni Madre, non stavo ascoltando!
si scusò la ragazza.
Lo so!
– rispose secca la donna – "Me ne sono accorta! Ti ho chiesto se vuoi che pensiamo noi alla tua iscrizione alla Paris Descartes. Chiederò a Monsignor Lubrain, il nostro Arcivescovo, di cercarti un piccolo appartamento in città, se possibile vicino all’Università. Se non sarà possibile… e beh, pazienza, vorrà dire che prenderai il metrò. Ma ricorda – aggiunse la Madre Superiora, determinata a chiudere il discorso una volta per tutte – ti daremo i soldi sufficienti per pagare ancora 12 mesi di affitto, poi dovrai cominciare a provvedere da sola, al tuo sostentamento. Dovrai trovarti un lavoro! Io più di questo non posso proprio fare
.
Non era ben chiaro ad Antoinette se la Madre Superiora fosse più in collera o più risentita nei suoi confronti. Quest’ultima aveva coltivato la segreta speranza che la bambina mostrasse una particolare predisposizione ai voti. Invece Antoinette manifestò, fin da subito, il desiderio di studiare le materie scientifiche.
Questo e forse altri motivi resero intransigente la donna, quando si trattò di decidere circa il futuro della ragazza.
Antoinette era ben consapevole di non avere alle spalle più una famiglia, come invece avevano molte delle sue compagne di studi o colleghe di lavoro.
Era sola. Ma aveva affrontato un viaggio, nascosta nel bagagliaio dell’auto di quei due coniugi americani, i quali l’avevano aiutata, dopo essersi resi conto di persona che, in quell’angolo di mondo, nascere donna rappresentava, già di per sè, una sconfitta. Lei non aveva ormai più molte paure. Quelle dolorose le aveva affrontate tutte, pensava lei: Ora dovrò solo andare avanti
mormorava.
Rientrava a casa stanca, talvolta con gli occhi gonfi di pianto, perché il padrone del locale era un burbero che urlava sempre: la sgridava per stupidaggini, sfogando su di lei le frustrazioni di un uomo che stava invecchiando male e in solitudine.
Le sue amiche le dicevano che lui urlava così perché forse gli piaceva, anche se Antoinette di questo aveva paura. Faceva sempre in modo di non rimanere mai per ultima con lui, al momento della chiusura del locale. Andava sempre via con qualche altra ragazza.
Antoinette si precipitava, di ritorno dal lavoro, di corsa fino in fondo alla via, all’incrocio con Rue de Rennes dove alloggiava. Poi, una volta a casa, doccia veloce e qualche risorsa per studiare ancora un po’, prima di crollare sfinita sul malcapitato libro di turno e col bicchiere di the, ormai freddo, tra le mani.
Una sera d’inverno, avvolta nel suo cappottino beige, arrivò al pub e sentì uno strano silenzio intorno a sé, un qualcosa come di sinistro, che non sapeva spiegare. Forse, pensava lei, un temporale in arrivo. In realtà oltre la porta del locale era in atto una vera e propria tempesta.
La polizia, all’interno, stava rilevando le misure. Il corpo del titolare giaceva a terra, in un mare di sangue, la gola recisa e il ventre insanguinato.
Le sue colleghe, schiacciate contro un muro, strette a confortarsi l’un l’altra per quella visione così orrenda.
Lei, fermando la sua corsa sull’uscio del pub, guardò in faccia un poliziotto: il suo sguardo parlò in sua vece. Tra i suoi pensieri gli chiese se il padrone fosse ancora vivo, quindi se il suo lavoro fosse ancora salvo, se lei avesse ancora una speranza di guadagnare i soldi necessari per pagarsi l’affitto, mille parole in quegli occhi che chiedevano una risposta.
Il cenno di rassegnazione del poliziotto rispose a tutte le domande che in tre secondi frullarono, come un vortice, nella sua testa. Fu un dialogo di sguardi.
Cos’è accaduto?
domandò trafelata Antoinette a Giselle, la collega con la quale aveva più confidenza che con le altre ragazze.
Lo ha trovato così la signora delle pulizie, quella Marie che, come sai, non saluta mai e non si capisce se l’abbia col mondo intero!
affermò Giselle.
Antoinette aveva saputo da alcune ragazze che il titolare frequentava tipi un po’ loschi. Ogni tanto ne bazzicava qualcuno nel locale, ma lui, appena li vedeva