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Sindrome
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About this ebook

Cosa distingue la dedizione dall'ossessione?
Mentre indaga sull'omicidio di due pregiudicati collegati a un noto trafficante di droga londinese, resosi protagonista di una spettacolare evasione dal cellulare che lo stava riportando al penitenziario di Coldingley dopo un'udienza in tribunale, la squadra scientifica di Scotland Yard diretta dal detective Eric Shaw si ritrova coinvolta nel caso di un'infermiera che accusa una madre di essere responsabile di una serie di violenti episodi febbrili che hanno colpito suo figlio Jimmy, di soli dieci anni. Quest'ultima si accanirebbe sul proprio bambino, peggiorandone le condizioni di salute, per attirare su di sé l'attenzione e la compassione del personale sanitario.
Eric ne viene a conoscenza casualmente, poiché la pediatra che ha in cura il piccolo paziente, Catherine Foulger, è una sua vecchia fiamma, che il detective ha ripreso a frequentare di recente nella speranza di rimettere ordine nella propria vita dopo aver scoperto l'identità del serial killer denominato 'morte nera'.
Ma la sua ex-compagna Adele Pennington, criminologa del Laboratorio di Scienze Forensi, non ha affatto accettato di buongrado questa nuova relazione.

L'atteso seguito del bestseller internazionale "Il mentore".

“Un crime thriller dai risvolti psicologici, che porta il lettore a immedesimarsi nel dilemma di cui è vittima il suo protagonista.” - La Nuova Sardegna

Questo romanzo è il secondo libro della trilogia del detective Eric Shaw. Per una sua completa comprensione è necessaria la lettura del volume precedente della serie: "Il mentore".
Il libro finale è "Oltre il limite".

La trilogia del detective Eric Shaw

Ambientata nella Londra odierna tra il 2014 e il 2017, la trilogia del detective Eric Shaw ha come protagonista un caposquadra della sezione scientifica di Scotland Yard, che si trova ad affrontare un periodo cruciale della propria vita. L’eccessiva dedizione al lavoro ha causato il fallimento del suo matrimonio e l’ha trasformato in un poliziotto pronto a infrangere più di una regola pur di soddisfare la sua ossessione di assicurare i criminali alla giustizia. Il suo già precario equilibrio viene minato da una criminologa della sua squadra, molto più giovane di lui, Adele Pennington, per cui prova dei sentimenti che lui stesso considera inappropriati vista la differenza d’età, e da una serie di delitti sui quali indaga insieme alla figlioccia Miriam Leroux, detective della Omicidi. Essi mostrano delle somiglianze con un caso irrisolto del 1994, nell’ambito del quale lo stesso Eric aveva tratto in salvo da una scena del crimine una bambina di sette anni, unica testimone del massacro della propria famiglia.

I libri inclusi della trilogia sono:
1) “Il mentore”;
2) “Sindrome”;
3) “Oltre il limite”.

LanguageItaliano
Release dateMay 21, 2016
ISBN9781311518453
Sindrome
Author

Rita Carla Francesca Monticelli

Note: please scroll down for the English version.Nata a Carbonia nel 1974, Rita Carla Francesca Monticelli vive a Cagliari dal 1993, dove lavora come scrittrice, oltre che traduttrice letteraria e tecnico-scientifica. Laureata in Scienze Biologiche nel 1998, in passato ha ricoperto il ruolo di ricercatrice, tutor e assistente della docente di Ecologia presso il Dipartimento di Biologia Animale ed Ecologia dell’Università degli Studi di Cagliari.Da bambina ha scoperto la fantascienza e da allora è cresciuta con ET, Darth Vader, i replicanti, i Visitors, Johnny 5, Marty McFly, Terminator e tutti gli altri. Il suo interesse per la scienza si è sviluppato di pari passo, portandola, da una parte, a diventare biologa e, dall’altra, a seguire con curiosità l’esplorazione spaziale, in particolare quella del pianeta rosso.Ma soprattutto ama da sempre inventare storie, basate su questi interessi, e ha scoperto che scriverle è il modo più semplice per renderle reali.Tra il 2012 e il 2013 ha pubblicato la serie di fantascienza “Deserto rosso”, composta di quattro libri disponibili sia separatamente che sotto forma di raccolta. Quest’ultimo volume è stato un bestseller Amazon e Kobo in Italia, raggiungendo anche la posizione n. 1 nel Kindle Store nel novembre 2014, ed è tuttora uno dei libri di fantascienza più venduti in formato ebook.Grazie alla pubblicazione della serie, nel 2014 è stata indicata da Wired Magazine come una dei dieci migliori autori indipendenti italiani e ciò le è valso la partecipazione come relatrice al XXVII Salone Internazionale del Libro di Torino e alla Frankfurter Buchmesse 2014.“Deserto rosso” è anche la prima parte di un ciclo di opere di fantascienza denominato Aurora, che comprende inoltre “L’isola di Gaia” (2014), “Ophir. Codice vivente” (2016) e “Sirius. In caduta libera” (2018).“Nave stellare Aurora” è l’ultimo volume di questo ciclo ed è il suo quindicesimo libro.Oltre a quelli del ciclo dell’Aurora, nel 2015 ha pubblicato un altro romanzo di fantascienza, intitolato “Per caso”.La sua produzione include anche quattro thriller, vale a dire “Affinità d’intenti” (2015) e la trilogia del detective Eric Shaw: “Il mentore” (2014), che nella sua prima versione inglese edita da AmazonCrossing è stato nel 2015 al primo posto della classifica del Kindle Store negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Australia, raggiungendo oltre 170.000 lettori in tutto il mondo, “Sindrome” (2016) e “Oltre il limite” (2017).Una nuova versione di “The Mentor” e il resto della trilogia in inglese saranno pubblicati tra il 2022 e il 2023.Dal 2016 è docente del “Laboratorio di self-publishing nei sistemi multimediali”, nell’ambito del corso di laurea triennale in Scienze della Comunicazione e del corso di laurea magistrale in Scienze e Tecniche della Comunicazione presso l’Università degli Studi dell’Insubria (Varese). Da questo laboratorio è tratto il suo saggio “Self-publishing lab. Il mestiere dell’autoeditore” (2020).Oltre che al Salone e alla Buchmesse, è stata chiamata a intervenire in qualità di autoeditrice, divulgatrice scientifica nel campo dell’esplorazione spaziale e autrice di fantascienza hard in eventi quali COM:UNI:CARE (2013) all’Università degli Studi di Salerno, Sassari Comics & Games (2015), Festival Professione Giornalista (2016) a Bologna, la fiera della media e piccola editoria Più Libri Più Liberi (2016) a Roma, Scienza & Fantascienza (2014, 2016, 2018, 2019 e 2020) all’Università degli Studi dell’Insubria (Varese) e Voci e Suoni di Altri Mondi (2018) nella sede di ALTEC a Torino.I suoi libri sono stati recensiti o segnalati da testate nazionali quali Wired Italia, Tom’s Hardware Italia, La Repubblica, Tiscali News e Global Science (rivista dell’Agenzia Spaziale Italiana).Appassionata dell’universo di Star Wars, in particolare della trilogia classica, è conosciuta nel web italiano con il nickname Anakina e di tanto in tanto presta la sua voce e la sua penna al podcast e blog FantascientifiCast. È inoltre una rappresentante italiana dell’associazione internazionale Mars Initiative e un membro dell’International Thriller Writers Organization.ENGLISH VERSIONRita Carla Francesca Monticelli is an Italian science fiction and thriller author.She has lived in Cagliari (Sardinia, Italy) since 1993, earning a degree in biology and working as independent author, scientific and literary translator, educator and science communicator. In the past she also worked as researcher, tutor and professor’s assistant in the field of ecology at “Dipartimento di Biologia Animale ed Ecologia” of the University of Cagliari.As a cinema addict, she started by writing screenplays and fan fictions inspired by the movies.She has written original fiction since 2009.Between 2012-2013 she wrote and published a hard science fiction series set on Mars and titled “Deserto rosso”.The whole “Deserto rosso” series, which includes four books, was also published as omnibus in December 2013 (ebook and paperback) and hit No. 1 on the Italian Kindle Store in November 2014.“Deserto rosso” was published in English, with the title “Red Desert”, between 2014 and 2015.The first book in the series is “Red Desert - Point of No Return”; the second is “Red Desert - People of Mars”; the third is “Red Desert - Invisible Enemy”; and the final book is “Red Desert - Back Home”.She also authored three crime thrillers in the Detective Eric Shaw trilogy - “Il mentore” (2014), “Sindrome” (2016), and “Oltre il limite” (2017) -, an action thriller titled “Affinità d’intenti” (2015), five more science fiction novels - “L’isola di Gaia” (2014), “Per caso” (2015), “Ophir. Codice vivente” (2016), “Sirius. In caduta libera” (2018), and “Nave stellare Aurora” (2020) - and a non-fiction book titled “Self-publishing lab. Il mestiere dell’autoeditore” (2020).“Il mentore” was first published in English by AmazonCrossing with the title “The Mentor” in 2015. A new edition will be published on 30 November 2022. The other two books in the trilogy, “Syndrome” and “Beyond the Limit”, are expected in 2023.“Affinità d’intenti” was published in English with the title “Kindred Intentions” in 2016.All her books have been Amazon bestsellers in Italy so far. “The Mentor” was an Amazon bestseller in USA, UK, Australia, and Canada in 2015-2016.She is also a podcaster at FantascientifiCast, an Italian podcast about science fiction, a member of Mars Initiative and of the International Thriller Writers Organization.She is often a guest both in Italy and abroad during book fairs, including Salone Internazionale del Libro di Torino (Turin Book Fair), Frankfurter Buchmesse (Frankfurt Book Fair) and Più Libri Più Liberi (Rome Book Fair), local publishing events, university conventions as well as classes (University of Insubria), where she gives speeches or conducts workshops about self-publishing and genre fiction writing.As a science fiction and Star Wars fan, she is known in the Italian online community by her nickname, Anakina.

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    ottimo thriller poliziesco, storia ricca di eventi e intrecciati tra di loro. Il secondo libro è più ricco di eventi del primo, anche se il mentore è bello pure. Leggerò l'ultimo della trilogia. Ma consiglio di leggerli tutti dal primo.

Book preview

Sindrome - Rita Carla Francesca Monticelli

Nota dell’autrice: nonostante abbia riportato in questo libro alcune informazioni reali sull’organizzazione delle forze di polizia nella città di Londra, mi sono comunque presa numerose licenze sia sulla tipologia professionale degli impiegati che sulla logistica e sulle procedure usate dai Forensic Services (sezione scientifica del Metropolitan Police Service, vale a dire della polizia londinese con sede a New Scotland Yard) e dai Murder Investigation Team (Team Investigativi della Omicidi) per poterle meglio adattare alla trama della storia.

All’interno del libro sono inoltre citati numerosi luoghi reali, usati a scopo fittizio, mentre altri sono completamente inventati. In particolare non esiste alcun Ospedale St Nicholas a Londra né, che io sappia, alcuna catena di pub denominata Murphy’s Den.

Questo romanzo è il secondo della trilogia del detective Eric Shaw.

Il primo libro è "Il mentore".

1

13 giugno 2016

Quando avvertì l’impatto sulla fiancata del cellulare, il prigioniero era immerso nei propri pensieri. Con lo sguardo fisso sui polsi ammanettati, dove la luce fredda del retro del furgone faceva ondeggiare i riflessi dell’acciaio, stava ricordando quanto avvenuto durante l’udienza in tribunale.

Il suo avvocato era convinto che non sarebbero riusciti a dimostrare il suo coinvolgimento in quell’omicidio. Il fatto che ne avesse confessato uno simile, in assenza di alcuna prova fisica conclusiva a supporto dell’accusa che lo collocasse sulla scena al momento del crimine, non sarebbe stato sufficiente a farlo considerare colpevole oltre ogni ragionevole dubbio.

Lui, però, non si sentiva altrettanto ottimista. Non era la seconda condanna a preoccuparlo. C’era sempre la possibilità di ricorrere in appello e comunque, con gli anni che aveva da scontare, nell’immediato non avrebbe fatto molta differenza. Il vero problema era che avrebbe perso i piccoli privilegi ottenuti patteggiando quella precedente, tra cui quello di essere detenuto nella prigione di Coldingley, dove non si stava poi tanto male. Non era un carcere di massima sicurezza, tanto per cominciare. Inoltre gli avevano assegnato una cella singola e gli altri ospiti erano abbastanza tranquilli.

Si era voltato per un istante e i suoi occhi erano corsi all’altra persona che veniva trasportata con lui: Aiden Murphy. Questi era ritenuto il capo di un grosso traffico di droga che coinvolgeva ogni angolo della Gran Bretagna, ma erano riusciti a metterlo dentro solo per detenzione illegale di stupefacenti in quantità dieci volte superiore a quella destinata all’uso personale. Non era nulla in confronto alla roba di vario tipo che riusciva a far arrivare dal Medio Oriente, dal Sud America o da chissà dove.

Al prigioniero i drogati facevano schifo e lo stesso valeva per chi li sfruttava, ma oltre quel piccolo neo Murphy sembrava un tipo a posto. Educato, rispettoso. All’interno del carcere poteva contare su uno stuolo di persone che erano al suo servizio, ma tale asservirsi avveniva in maniera spontanea, senza forzature e soprusi. Possedere quel tipo di potere sugli altri era qualcosa da non prendere sotto gamba e meritava la giusta considerazione, indipendentemente dal modo in cui quel potere fosse stato acquisito.

La mente del prigioniero si era poi spostata su un’altra persona di potere, sebbene di diversa natura, quella a causa della quale lui stesso era finito in galera e che adesso, non paga, cercava di affossarlo. Aveva rivisto l’occhiata di sfida con cui l’aveva affrontato, quando si era presentata al banco dei testimoni.

Forse stavolta le cose sarebbero andate diversamente. Il suo alibi era debole, certo. D’altronde era stato un suo amico di vecchia data a fornirglielo e come tale veniva considerato un teste non proprio attendibilissimo. Ma era incensurato, la sua fedina penale era immacolata. Era quello il motivo per cui gli aveva chiesto di dire che si trovava con lui nell’arco di tempo in cui si presumeva che fosse avvenuto l’omicidio. Peter non aveva potuto dirgli di no. Forse non l’aveva fatto per amicizia, forse era stata solo paura di ripercussioni, anche se lui si trovava in carcere.

Con un po’ di fortuna avrebbe potuto evitare quella condanna. Rimaneva, però, il fatto che lui era colpevole di quel crimine, come pure di altri, e il modo in cui le cose erano andate la volta precedente aveva minato nel profondo la sicurezza che aveva sempre avuto nei propri metodi. Si era considerato preciso, metodico, intoccabile, eppure adesso era su un furgone di ritorno da Londra verso un ridente paesino chiamato Woking, dove avrebbe passato i prossimi quindici anni, se tutto fosse andato bene, dietro le sbarre.

Stava ancora figurando se stesso tra le quattro mura della propria cella, quando aveva avvertito una violenta spinta laterale.

Il suo collo quasi schioccò, mentre la testa si piegava. Le braccia, tenute insieme dalla corta catena, si sollevarono, solo che in realtà si stavano abbassando. Il furgone stava capottando, mentre il suo corpo era tenuto saldo al sedile grazie alla cintura di sicurezza.

Quando tutto si fermò, si ritrovò a guardare il mondo all’ingiù. Rivolse gli occhi alle proprie mani che gli penzolavano oltre il capo. La fioca luce interna si era spenta. Quella che proveniva dall’abitacolo di guida, separato da una griglia a maglie strette, non gli permetteva di vedere con chiarezza.

Nel silenzio assoluto filtrava dall’esterno l’insistente ronzio delle api. Nessuna voce, nessun lamento. Oltre a Murphy, con lui c’era un agente sul retro e altri due si trovavano sui sedili anteriori. Tutti svenuti? Morti? Aprì la bocca per urlare, ma la gola gli si strozzò e ne uscì appena un soffio.

Un colpo di pistola e le api si zittirono.

Il prigioniero sussultò e il suo busto scivolò un poco verso il basso, nonostante la stretta della cintura. I suoi occhi iniziavano a collaborare, l’ambiente intorno a lui si stava facendo più luminoso. O forse era ferito, sotto shock e stava per svenire?

Un secondo sparo lo fece scattare di nuovo.

La sua mente prese a lavorare. A farsi delle domande e a cercare delle risposte. Non era stato un incidente. Qualcuno stava assaltando il cellulare.

Osservò le proprie mani. Mosse le dita. Rispondevano ai suoi comandi. Le gambe? Le cercò con lo sguardo. Erano all’ombra del sedile di fronte al suo. Nel concentrarsi su di esse si accorse che poggiavano con le ginocchia contro una sorta di corrimano che era fissato al retro dello schienale.

All’esterno altri spari si susseguirono. All’interno udì invece uno sfrigolio, mentre un odore sgradevole si stava diffondendo nell’aria. Gasolio.

Il prigioniero tossì, mentre nella sua mente si formava l’immagine del carburante che entrava in contatto con le fiamme di un incendio. Non era benzina, sapeva che non era facile che prendesse fuoco, ma non voleva scoprire di persona fino a che punto.

Doveva uscire di lì.

Contrasse i muscoli delle braccia per riportarle verso il busto e prese a seguire la fascia della cintura di sicurezza fino alla fibbia. Con frenesia cercava il tasto per farla sganciare. Mentre lo premeva, il timore che si fosse bloccato venne subito sostituito dalla consapevolezza che sarebbe caduto con la testa verso il basso, senza poter vedere dove sarebbe finito. Ma il mezzo secondo di preoccupazione venne spazzato via dal suo urtare con la parte alta della schiena su qualcosa di morbido.

Un gemito soffocato seguì quell’impatto, ma non l’aveva emesso lui. Poi, nel completare la caduta, una caviglia sbatté contro un ostacolo solido e stavolta fu lui a gemere.

Cercando di ignorare il dolore, il prigioniero provò ad avanzare a quattro zampe, per quanto possibile, avendone due legate. Si tolse da ciò che aveva attutito il suo tuffo e, nel farlo, riconobbe le fattezze di uno degli agenti. A giudicare dal verso che aveva emesso quando gli era finito sopra, doveva essere ancora vivo, ma non reagiva. Pareva svenuto. Ciò, di certo, non migliorava la sua situazione. Un odore di plastica bruciata saturava l’aria e l’unica via d’uscita davanti a lui era sbarrata.

Un rumore lo fece voltare verso l’abitacolo di guida. Uno sportello si era aperto, lasciando entrare più luce. Il braccio del guidatore lo spingeva. Il prigioniero stava per chiedere aiuto, quando udì due spari ravvicinati. Vide cadere il braccio, ma lo sportello completò la propria corsa.

Una testa si affacciò. Murphy, sei tutto intero?

Murphy.

Il prigioniero si volse nella direzione opposta. Se non ricordava male, l’altro carcerato sedeva nell’ultimo sedile della fila destra, mentre lui era stato sistemato nel secondo di quella di sinistra, quasi agli antipodi, per impedire la comunicazione o anche soltanto che entrassero in contatto. A tale scopo, erano stati fatti salire e scendere in tempi diversi. Le loro rispettive udienze erano state fissate per la stessa ora, ma quella di Murphy era durata più del previsto e quindi lui aveva dovuto attenderlo per mezz’ora nel veicolo che quella mattinata di sole aveva reso un forno.

Sì, cazzo, tirami fuori di qui udì una voce rauca rispondere. Questa grossa scatola presto diventerà un rogo. Sento puzza di bruciato.

Uno stridio si sovrappose alle sue parole, facendo contrarre le mascelle del prigioniero. Poi un lampo di luce inondò il retro del furgone. Uno sportello si era aperto. Lui si abbassò d’istinto. Non sapeva chi fossero quei tipi, tranne che dovevano essere scagnozzi di Murphy, ma li aveva visti fare fuori i due agenti nell’abitacolo e, considerando il numero di spari all’esterno e il fatto che adesso lo stessero liberando, doveva desumere che avessero ucciso anche quelli della scorta.

Si appiattì a terra, che poi altro non era che il soffitto del cellulare, e sperò che lo credessero morto. Sospettava che non avrebbero gradito un testimone.

Ci fu uno sbattere e sfregare di metallo, accompagnato da lamentele e imprecazioni.

La gola gli pizzicava. Si costringeva a tenere la bocca chiusa per evitare di tossire ancora. Serrava gli occhi. Ancora qualche minuto e si sarebbero allontanati di lì. E lui sarebbe potuto sgattaiolare fuori.

Forza! urlò un’altra voce.

Risollevò le palpebre. Due uomini stavano uscendo dal retro del furgone. Uno zoppicava e si teneva all’altro. Un terzo faceva cenno col braccio di fare in fretta, poi, quando lo raggiunsero, si mise dal lato opposto di Murphy.

Ora erano a pochi metri dal veicolo e si stavano allontanando tra gli alberi, ma, se si fossero girati, l’avrebbero visto.

Dategli fuoco ordinò Murphy. Mi darà un po’ di tempo per sparire, mentre cercano di staccare i cadaveri abbrustoliti dalle pareti per identificarli.

Doveva agire adesso, uscire subito.

Premé con le mani per sollevarsi, ma in quel momento qualcosa gli calpestò il piede. Trattenne un urlo, mentre con la vista offuscata dalle lacrime osservava l’agente su cui prima era caduto superarlo. Questi teneva la pistola con entrambe le mani.

In un istante calcolò i possibili scenari.

Nella migliore delle ipotesi il poliziotto avrebbe colpito uno dei tre là fuori, ma poi gli altri due l’avrebbero freddato. Cosa ci avrebbe guadagnato lui in tutto quel casino? Nulla. Si sarebbero anzi affrettati a incendiare il furgone per non lasciare ulteriori tracce. Comunque fosse andata, quell’imbecille li avrebbe attirati su di lui, riducendo le sue possibilità di darsela a gambe.

Nel suo avanzare cauto, l’agente sfiorò qualcosa che attirò l’attenzione del prigioniero. Uno dei corrimano posti sul retro dei sedili, che probabilmente venivano usati per fissarvi le manette dei detenuti considerati pericolosi, era in parte uscito dalla sua sede.

Si mise piano sulle ginocchia e poi sui piedi. Allungò le braccia per afferrarlo. Le dita di entrambe le mani strinsero l’acciaio e presero a tirare. Non si muoveva, così lui tirò più forte. Infine l’oggetto cedé e lui venne proiettato all’indietro. Si aggrappò allo schienale del sedile che pendeva dall’alto, evitando così di cadere e fare rumore.

Col fiato corto, occhieggiò l’agente, che adesso aveva raggiunto l’uscita del furgone.

Il prigioniero si mosse in silenzio come un gatto, dietro di lui. Fermarlo non sarebbe stato sufficiente.

L’agente saltò fuori, puntando l’arma. Mani in alto!

Che coglione. Stava proprio cercando di farsi ammazzare senza portarsene dietro neppure uno.

Lo scagnozzo che stava alla sinistra di Murphy fu il primo a voltarsi. Una lieve perplessità gli attraversò il viso, mentre la mano raggiungeva la pistola infilata nella cintola.

Il prigioniero saltò fuori a sua volta e, brandendo il tubo di metallo a mo’ di mazza, lo fece oscillare con un movimento fluido. E colpì in pieno una tempia del poliziotto.

Partì uno sparo, mentre l’uomo cadeva a terra, senza che però la pallottola andasse a segno. L’altro scagnozzo si voltò, seguito a fatica da Murphy.

Non era ancora arrivato il momento di fermarsi.

Il prigioniero cambiò l’impugnatura sul tubo, indirizzandolo verso il basso, e si avvicinò all’agente svenuto. Questi indossava un giubbotto antiproiettile, per cui non vi erano molte parti vitali del suo corpo su cui poter agire.

Fece un altro passo per portarsi vicino alla testa. Si sforzava di non alzare lo sguardo verso i propri spettatori. Erano lì in attesa della sua prossima mossa, da cui sarebbe dipesa la decisione di ucciderlo o meno.

Strinse i denti e sollevò il tubo, poi lo abbassò con tutta la forza di cui disponeva e lo piantò nel collo della propria vittima.

Questa ebbe un sussulto, agitò le braccia, ma un fiotto di sangue prese a uscire in maniera ritmica dal punto d’ingresso a ogni battito del suo cuore. Il corpo era percorso da spasmi violenti, mentre una chiazza rossa si espandeva, macchiava la vegetazione strisciante del sottobosco e veniva assorbita dal terreno.

Gli zampilli si ridussero di intensità, finché la fuoriuscita divenne un gocciolio e l’ultima contrazione si estinse, trasformando il poliziotto in cadavere.

Il prigioniero ansimava ancora, quando trovò la forza di sollevare la testa.

Il primo scagnozzo gli teneva la pistola puntata contro, ma Murphy aveva un braccio disteso nella sua direzione. Gli diede un colpetto sul petto e quello lo guardò, poi abbassò piano l’arma.

Il trafficante di droga sorrise. Pare che io debba ringraziarti. Mosse il capo per indicare il morto. Avrebbe potuto uccidere uno di noi. Fece spallucce. Persino me.

Non doveva rispondere. Una sola parola sbagliata e sarebbe stata l’ultima. Trasse un profondo respiro, mentre con una rapida occhiata valutava la situazione.

Alla sua destra, separata da cespugli appiattiti, vi era la strada dove stavano viaggiando poco prima. Era occupata da un camion di medie dimensioni, con la parte anteriore ammaccata. Quella posteriore puntava verso una stradina privata laterale da cui era presumibilmente sbucato a tutta velocità, di certo non per caso, al momento del passaggio del cellulare.

Avrebbe voluto voltarsi a guardare il furgone per ricostruire di preciso la dinamica. Comunque, da quello che poteva capire, era stato colpito in pieno e spinto verso la corsia destra. Si era piegato di lato poco prima di raggiungere la cunetta e, a causa del dislivello, si era ribaltato, schiacciando i cespugli che costeggiavano la strada e spezzando il tronco di due piccoli alberi.

C’era un altro veicolo fermo, messo di traverso: l’auto della scorta. Gli sportelli erano aperti e i due agenti erano riversi sull’asfalto, immobili. Era stato uno scontro due contro due. Gli uomini di Murphy avevano avuto un gran fegato a tentare da soli quell’assalto, oppure erano dotati di un notevole grado di incoscienza mista a stupidità che per qualche fortuito motivo aveva giocato a loro favore.

Dal suo punto di vista non riusciva a individuare altri mezzi. I pochi che potevano aver assistito all’assalto forse si erano allontanati e stavano già chiedendo aiuto, dopo essersi portati a distanza di sicurezza. La sparatoria che aveva udito pochi minuti prima avrebbe scoraggiato qualsiasi curioso.

Non sapeva dove si trovasse esattamente, poiché le finestre del cellulare erano oscurate e quindi non conosceva neanche lui il percorso, comunque a giudicare dalla durata del viaggio dovevano essere già nel territorio di Woking, forse non nel villaggio di Bisley, dove si trovava la prigione, ma in uno di quelli confinanti.

Restava da capire se quello sarebbe stato il luogo della sua morte.

Affrontò lo sguardo sicuro di Murphy, poi sollevò le braccia per mostrargli le manette.

L’altro, che invece non le indossava più, fece un cenno con la mano destra allo scagnozzo posto sullo stesso lato. L’uomo estrasse qualcosa dalla tasca e la lanciò nella direzione del prigioniero.

Questi lo afferrò al volo e solo dopo si accorse che si trattava della chiave. Un senso di sollievo si diffuse in tutto il suo corpo. Grazie mormorò, annuendo verso gli altri tre.

Con buona probabilità, quello non sarebbe stato il giorno della sua morte.

Due settimane dopo. Lunedì.

Stia lontano da Jimmy! urlò la donna, puntando il coltello contro la dottoressa Catherine Foulger.

Mary, la prego… La pediatra teneva le mani protese in avanti. Non deve reagire in questo modo. So che è preoccupata per suo figlio, ma le assicuro che qui al St Nicholas è tenuto costantemente sotto controllo. Inoltre si sta rimettendo. Fra qualche giorno potrà portalo a casa. Fece un cenno verso il bambino che dal proprio letto con occhi smarriti assisteva alla discussione. Accanto a lui un’infermiera controllava la velocità d’infusione della flebo. Ha visto come ha mangiato con appetito? Catherine abbozzò un sorriso.

A poca distanza dalla porta della camera, Adele osservava quella scena bizzarra tenendo le spalle contro il muro, accanto a un carrellino su cui erano impilate delle coperte. La lampada al neon fissata sul soffitto sopra di lei era guasta. Solo un angolo brillava di una tenue luce arancione. Ogni tanto il resto del tubo lampeggiava, ma poi si rispegneva.

Nella stanza la madre scoppiò a piangere e abbassò il braccio.

Adele sospirò. Quel coltello non era un’arma particolarmente pericolosa, ma usato nella maniera giusta poteva fare del male.

Tenendo il vassoio della cena del bambino, l’infermiera raggiunse la donna e glielo mise davanti, un chiaro invito a posarvi sopra quell’arma improvvisata.

Quella si guardò la mano con un’espressione di stupore sul volto, come se si fosse già dimenticata di aver minacciato un medico in preda a una crisi isterica. La sollevò piano e con uno sbuffo di rassegnazione depose la posata sul vassoio. Poi si sfregò il viso per asciugarsi le lacrime, che continuavano a scorrere copiose sulle sue guance.

Perché non va a casa? Catherine fece un passo indietro per far passare l’infermiera. Jimmy ha bisogno di riposare. Annuì, come per rendere più convincenti le proprie parole. E anche lei…

L’infermiera raggiunse il letto di un altro bambino, che giocava con un tablet, tenendo nelle orecchie un paio di auricolari. Non sembrava essersi accorto di quanto era appena accaduto. O non gliene importava. La donna si dedicò a raccogliere anche i resti della sua cena. Il piatto vuoto e il bicchiere erano accatastati in posizione precaria sopra una pila di fumetti. Cercò di prenderli con la mano libera, ma nel farlo la forchetta scivolò e finì sul pavimento.

Se Adele fosse rimasta lì, quando l’infermiera fosse uscita, quest’ultima l’avrebbe vista, ma lei non riusciva a togliere gli occhi dalla dottoressa, che adesso si era accostata alla madre del bambino e le aveva posato una mano sulla spalla. Quel gesto consolatorio non pareva sortire un grande effetto, poiché l’altra continuava a singhiozzare. Stava parlando, ma a un tono così basso che all’esterno giungeva appena un borbottio.

Se ha difficoltà a riposare, posso prescriverle qualcosa. La voce di Catherine, invece, era squillante, sicura. Il suo portamento emanava professionalità e fermezza, ma nell’osservarla Adele aveva spesso visto in lei degli sprazzi di dolcezza che le avevano ricordato sua nonna.

Scosse la testa a quello strano paragone che aumentava il suo fastidio. Più cercava di reperire nuove informazioni su di lei, più ne veniva fuori l’immagine di una brava persona, e più la stessa Adele si accaniva a scavare. Attanagliata da un senso di impotenza, aveva preso a pedinarla, prima con cautela, ma poi col passare del tempo era diventata più spregiudicata. La dottoressa non la conosceva. Se anche l’avesse vista una volta o due, non sarebbe stato un problema. In ogni caso quei pedinamenti non avevano portato a nulla, finora. L’inusuale scena cui aveva appena assistito le aveva, però, procurato una strana sensazione, come di opportunità.

La porta si aprì del tutto e l’infermiera mise piede nel corridoio. In quel momento il tubo del neon lampeggiò e rimase acceso, attirando il suo sguardo. Ma quello si fermò su Adele e la donna trasalì, emettendo un sonoro gemito e facendo rovesciare il contenuto di uno dei vassoi.

La dottoressa e la madre del bambino si voltarono verso l’origine di quel trambusto. Adele incontrò lo sguardo prima dell’una e poi dell’altra.

Avvertì una leggera vibrazione sul fianco. Abbassando gli occhi, si voltò dall’altra parte e si mise a camminare a passo svelto, mentre tirava fuori il cellulare dalla tasca.

Aveva già superato una porta e raggiunto le scale, quando aprì il messaggio che le era appena arrivato. Proveniva dal numero generico del dipartimento e conteneva soltanto un indirizzo, quello della scena di un crimine.

Mancavano ancora tre ore alla fine del suo turno e non poteva sottrarsi a quella chiamata. Per oggi la sua piccola indagine personale era finita. Aveva comunque bisogno di tempo per elaborare una nuova strategia, poiché quella in atto non stava dando i risultati sperati.

Forse avrebbe dovuto tentare un approccio più diretto.

Con le pareti immacolate e senza mobili a dare il senso della proporzione, l’appartamento sembrava molto più piccolo di quanto probabilmente non fosse. Nel metterci piede, Adele non poté fare a meno di fermarsi a osservarlo e immaginarne le potenzialità. Il piccolo ingresso conduceva a una stanza la cui parete destra, interrotta da due grandi finestre, lasciava entrare la poca luce di quel sole serale estivo che riusciva a superare la barriera delle nuvole. L’ambiente recava i segni di una recente ristrutturazione. Della carta era rimasta attaccata agli infissi, un irregolare strato di polvere copriva il pavimento, alcune scatole erano abbandonate in un angolo.

Ehi, ciao! Jane Hall era comparsa sulla porta sul lato apposto della stanza, con la macchina fotografica in mano. Sorrideva. Le fece cenno di avvicinarsi. La scena è da questa parte… Si interruppe, rimanendo con la bocca socchiusa. E tu che ci fai qui?

Per un attimo Adele credé che si stesse rivolgendo a lei, anche se non ne comprendeva il motivo, visto che la vicecaposquadra conosceva bene i suoi turni. Poi si sentì sfiorare la spalla e un uomo le passò davanti, con passo frettoloso.

Ah, non fate caso a me! George Jankowski, il detective che dirigeva un’altra delle squadre della sezione scientifica della Polizia Metropolitana, rivolse il suo solito sorriso di circostanza prima a Adele e poi alla Hall, verso cui si stava incamminando. Sono qui solo per restituire un turno a Eric. Mi limiterò a darvi una mano con i rilievi. Sollevò la mano sinistra, mentre con l’altra trasportava il proprio kit. Ma il caso è tutto vostro. Superò la Hall ed entrò nella stanza, da cui si sollevò subito un coro di saluti, tanto stupiti quanto l’espressione che la stessa Jane stava rivolgendo a Adele.

Quest’ultima si strinse nelle spalle. Ne sapeva quanto lei. Il caso è tutto vostro sussurrò, scimmiottando la voce di Jankowski e storcendo gli occhi nel contempo, a imitazione del suo leggero strabismo.

Un grugnito scappò dalla bocca di Jane, mentre col dorso della mano inguantata davanti al viso cercava invano di trattenere una risata. Sei proprio perfida!

Oh, posso essere molto peggio di così. Le si avvicinò, indirizzandole un sorriso cospiratorio. Te lo assicuro.

Non aveva proprio idea di quanto fosse vero.

Il significato di quel pensiero passò subito in secondo piano come superò la donna e vide il cadavere al centro della seconda stanza.

Si trattava di un uomo, riverso a terra, prono. Il sudiciume che ne rivestiva gli abiti, la pelle, persino i capelli strideva con il candore di quel locale. Richard Dawson, il medico legale, era inginocchiato accanto alla testa. Piegato in avanti, era intento a osservare un’evidente ferita alla base del cranio, mentre posava una mano sul retro del collo. In fondo alla stanza la detective Miriam Leroux stava parlottando con il sergente Mills, mentre Jankowski, che stava indossando un paio di guanti in lattice, volgeva uno sguardo curioso nella loro direzione.

Si sarebbe limitato a dar loro una mano con i rilievi. Già, come no? Stava ficcanasando. E ultimamente, visto che lui ed Eric di tanto in tanto si scambiavano i turni, lo stava facendo un po’ troppo spesso.

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