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Il caffe' degli afflitti
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Il caffe' degli afflitti
Ebook80 pages1 hour

Il caffe' degli afflitti

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Un vecchio e modesto caffè della periferia di una grande città, annovera tra gli abituali clienti individui in cerca di un luogo ove confidarsi affari di ogni genere,anche di cuore. Il romanzo segue da vicino quello che alcuni clienti si raccontano , specialmente le confidenze di eventi drammatici ed anche quelli di carattere sociale,ideale. Alla fine il caffè deve chiudere perché chi vuole incontrarsi con l’amante o chi vuol progettare sporchi affari, con l’avanzar del tempo, può farlo anche se bisogno di rintanarsi in un caffè fuori dalla portata di occhi indiscreti.
LanguageItaliano
PublisherEdizioni Alef
Release dateJul 8, 2015
ISBN9788190983686
Il caffe' degli afflitti

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    Il caffe' degli afflitti - Vincenzo Turba

    9788190983686

    ​Il caffè degli afflitti

    Non solo afflitti. Ma pure individui che covavano un profondo rancore in corpo, frequentavano quel vecchio caffé della periferia, che occupava l’intero piano terra di una decadente, quasi fatiscente palazzina. Sopra il caffé vi era un solo piano, in cui riposavano e dormivano i proprietari.

    Riposavano in una delle due stanze in cui potevano assopirsi o dormicchiare quando la stanchezza si impadroniva di loro, robusti in tutto fuorché nello spirito, opaco e soventemente in preda al torpore, provocato da un alcoolismo che li aveva resi schiavi sin dalla gioventù. Ed ora, sia l’uomo che la convivente, passavano la sessantina. Nell’altra, grande ed ultima stanza del piano, Oreste e Rosa, così si chiamavano i due osti, potevano godersi un sonno di cinque o sei ore al massimo. L’esercizio abbassava infatti la serranda alle due di notte e la rialzava alle sei quando gli operai della vicina fornace si facevano vivi per consumare la prima colazione, annaffiata da abbondante birra.

    Oreste e Rosa non avevano ricavato una cucina nel loro piano, perchè usufruivano di quella dell’esercizio. Qualche cliente, a volte, in un giorno di festa o quando desiderava estraniarsi per qualche ora dall’affanno provocato dalla vita cittadina o da problemi, per lo più famigliari, che l’opprimevano, raggiungeva quell’eccentrico locale e chiedeva di poter consumare un sobrio pasto. Molto sobrio, invero, perchè gli osti si prestavano al massimo a preparare un piatto del tutto semplice e che non richiedesse quell’arte culinaria di cui non disponevano. E così Oreste e Rosa si preparavano pure loro senza alcuna pretesa, sia il pranzo che la cena, nella cucina del piano terra. Quel caffé, quell’esercizio, aveva un certo movimento di clientela, nonostante la spiccata modestia del suo arredamento e della sua attrezzatura. I motivi erano più d’uno. L’estrema periferia cittadina, in cui si trovava il caffé, denunciava l’inizio di una certa depressione accentuantesi verso la brulla pianura, che circondava quell’importante centro abitato e di conseguenza ospitava, in diversi mesi dell’anno, specie la notte, una nebbia piuttosto fitta: per questo motivo chiunque avesse interesse di far perdere le proprie tracce da eventuali concittadini curiosi, non poteva trovare un luogo più adatto.

    Un benpensante, che desiderasse dedicare qualche ora a qualche intimo incontro extra coniugale, per esempio, non avrebbe dovuto far altro che uscire di casa, inforcare l’auto, prelevare poi l’amante all’inizio di quella periferia e raggiungere poi, in buona compagnia quell’ospitale caffé avvolto dalla nebbia. Senza correre il rischio di avere a carico testimoni di sorta.

    Ma le coppie in incognito costituivano solo una piccola parte della clientela di quel rifugio.

    Quell’inosservato esercizio era anche la meta di qualche losco individuo che doveva incontrarsi con un compare per mettere a punto un piano più o meno criminale: avente per oggetto, per lo più, un’impresa ladresca o la spartizione di un bottino o, circostanza abbastanza frequente, lo scambio di denaro con dosi di stupefacenti. Meno frequente l’ingresso in quel locale, di qualche prostituta amica della padrona, signora Rosa, cui veniva concesso l’uso professionale della stanza del piano di sopra, adibita al riposo, raggiunta poi dal cliente nella massima discrezione e riservatezza. Questo andazzo dell’esercizio fu in voga, però, fino a quando sia le coppie clandestine, che i balordi e le prostitute riuscirono, grazie al mutare dei tempi, ad avere cittadinanza e libero abboccamento alla luce del sole ed a poter agire liberamente in qualsiasi esercizio, bar, caffé, pizzeria, pasticceria, anche di stimata reputazione.

    Ed allora la clientela mutò radicalmente e divenne abituale rifugio di esseri senza bussola, di sofferenti per un pesante fardello gravante sulla loro coscienza, di individui bisognevoli di scrutare nel profondo del loro animo per cercar di liberarsi dalla persecuzione di ossessioni le più strane, di bizzarri pensatori alla ricerca di principi metafisici schiudenti la via all’infinito ed all’eterno e di tante altre menti balzane, anche di quelle in preda ad un odio ormai radicato nel cuore.

    Il locale che poteva accogliere quella singolare clientela, di esseri più o meno angosciati, se non addirittura disperati, era veramente adatto allo scopo. Sei tavoli di ridotte dimensione, tondi, erano disposti su tre lati: il quarto e precisamente quello verso la strada e quindi provvisto di due finestre era stato lasciato libero in quanto gli esigenti frequentatori richiedevano la massima riservatezza, l’impossibilità di essere osservati da chiunque transitasse in quella via, quasi sempre deserta. Al centro del locale si trovava uno scaffale con ripiano su cui si trovavano in bella mostra alcune bottiglie di liquore. I tre cassetti di quel mobile di ridotte dimensioni erano colmi di biancheria: tovaglie, tovaglioli ed asciugami richiesti alle volte, ma in tempi addietro, dalle prostitute che si trattenevano nella stanza del piano superiore.

    Nel complesso il locale, nel suo arredamento, ridotto al minimo, convenzionale e striminzito, era del tutto anonimo: pure le pareti erano nude, prive di qualsiasi ornamento, quadri od altro. E questa caratteristica era apprezzata dai suoi habitués: e cioè da chi era solito sbizzarrirsi nel dedicare la propria capacità intellettiva ai più profondi pensieri, sovente vaganti nell’immaginario, da chi si adoperava per confidare ad un compagno o compagna di sventura i tormenti di un animo dolente o, peggio ancora, da chi aveva l’ardire di imbastire, con la collaborazione di un sedicente ideologo, un sedizioso programma di totale rottura con l’ordine regnante in quell’epoca, da chi meditava una crudele vendetta contro un determinato avversario o l’intera società. Tutti questi personaggi pretendevano di non essere distratti da qualsiasi richiamo alla realtà od anche solo dalla più banale figura decorativa delle pareti. Le loro menti lavoravano proficuamente solo quando i loro occhi avevano davanti una parete monocolore, specie se bianca ed un soffitto d’una sola tinta, specie se scura. In questi casi il loro spirito si trovava nelle migliori condizioni per poter esternare tutta la propria potenzialità

    Cospiratori, amanti,

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