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Ricchezza, povertà ma è l'amore che ...
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Ricchezza, povertà ma è l'amore che ...

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Storia di un amore, alquanto verosimile e certamente accaduta e solita ad accadere nella realtà, che si svolge nel contesto dell’appartenenza di due giovani a due contrastanti classi sociali.
Livia e Matteo frequentano lo stesso corso di Università. Lei è figlia di un operaio, attivo nelle lotte sindacali. Lui appartiene ad una famiglia di particolare agiatezza e di un certo ascendente nel mondo politico e della finanza.
I genitori abitano in una sontuosa villa e dispongono di numerosa servitù. Il padre di Matteo è un noto finanziere, titolare di interessi in numerose grandi industrie.
Il giovane non si sente però attratto dal modo di pensare e di agire del padre, ma si sente portato verso una concezione di vita libera da pregiudizi, vincoli economici, in contrasto quindi con quella dei genitori.
Il giovane scopre, in Livia, un mondo sconosciuto in cui intuisce che le sue idee di amore genuino, sincero, libero da convenzioni cui si sente estraneo, troveranno riparo dalla soffocante atmosfera dell’ambiente famigliare.
Matteo, dal momento in cui conosce Livia e gradualmente se ne innamora, perde la timidezza che l’ascendente dei genitori aveva impresso nel suo animo e prende il coraggio di iniziare, specialmente col padre, un rapporto conflittuale che riesce a portare avanti sempre più con maggior vigore.
Il libro descrive realisticamente l’ambiente famigliare, la sua sfarzosità, le abitudini in uso da una classe, che a volte si ritiene persino eletta.
Il padre finanziere e la madre nobile donna, hanno in animo di far accasare Matteo con la figlia di un altro potente esponente del mondo finanziario, ma trovano nel figlio una tale avversità da farli desistere dal loro programma.
Il libro si addentra nel descrivere, anche sotto il profilo psicologico, più di un episodio in cui il figlio, ormai deciso a costruirsi una nuova vita con Livia, tiene testa ai voleri del padre e trova sempre più conforto nel suo rapporto di vero amore con la figlia di un proletario.
La storia si conclude nel contesto di aspre lotte sindacali, che hanno protagonista sia il finanziere, quale amministratore di un grosso complesso industriale ed il padre di Livia, delegato sindacale della stessa industria, che nei disordini provocati dalla decisione da parte della società di portare all’estero l’attività, evita coscientemente che il padre di Matteo, aggredito dai manifestanti, venga a subire una dura, meritata, ma non lecita, perché violenta, lezione.
L’autore ha descritto tutte le suddette vicende senza orientamenti estremistici, ma con efficace e serio approfondimento, che ha reso realistico il loro accadere.
LanguageItaliano
PublisherEdizioni Alef
Release dateOct 24, 2014
ISBN9788890983450
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    Ricchezza, povertà ma è l'amore che ... - Vincenzo Turba

    Farm

    Prefazione

    AVVISO IMPORTANTE

    Il presente e-book è dotato di un sistema che permette il riconoscimento in caso di duplicazione.

    Tutti i diritti sono riservati a norma di legge: è vietata la riproduzione anche parziale di questo libro senza l’autorizzazione scritta dell'Autore e dell'Editore.

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    Il Lettore si assume completa responsabilità della messa in pratica di quanto descritto nel testo, compresa la forma di esercizio.

    L'Autore e l'Editore declinano ogni responsabilità da danni a cose o persone che possono derivare dall'applicazione di quanto descritto in questo libro, dei quali il Lettore se ne assume piena responsabilità. Quanto descritto non sostituisce trattamento sanitario, medico o psicologico.

    © Edizioni Alef ltd 2014 - Tutti i Diritti Riservati Vietata la duplicazione del presente e-book in qualsiasi formato www.edizionialef.it

    Livia e Matteo

    Era uscita sola, quel giorno dall'Università, una giovane con la preoccupazione in volto.

    Era successo che durante la lezione alla quale stava assistendo, le poche righe che aveva letto, dopo aver aperto la busta consegnatele poco prima da un segretario dell’amministrazione, l’avevano sconvolta.

    In un primo momento se l’era messa in tasca, quella busta, senza aprirla e poi una compagna l’aveva presa per un braccio ed aveva cominciato a dirle un fiume di parole.

    Controvoglia, aveva dovuto ascoltare quello che le veniva raccontato: un vivace resoconto di certi incontri che richiamavano più il desiderio di essere corteggiate, che quello di frequentare le prestigiose lezioni del Preside, noto accademico, dimostrato da due comuni amiche.

    Della busta non se ne era più ricordata. Verso la fine della lezione, però, se l’era vista sbucare dalla tasca.

    Sarà una delle solite modifiche degli orari delle lezioni---pensò.

    Ma era ben altro quello che diceva la lettera: se non si fosse messa in regola con i pagamenti delle tasse, saldando il consistente scoperto, non avrebbe potuto essere ammessa alla prossima sessione di esami.

    A leggere quelle quattro righe, la giovane sobbalzò e non si seppe trattenere: mise nella borsa i libri, che aveva appoggiato sul banco, si alzò e senza guardarsi attorno, uscì dall’aula quasi di corsa.

    Livia, così si chiamava quella giovane, ne aveva tante di ragioni, perché quella comunicazione la sconvolgesse.

    Si era preparata col massimo impegno a quegli esami ed ora non avrebbe potuto sostenerli. E allora? Con quale spirito avrebbe frequentato il nuovo anno, l’ultimo poi? In un’eterna preoccupazione, col sentirsi sotto la spada di Damocle di non essere in grado di pagare sia gli arretrati, che le prossime rate delle tasse.

    Ben difficilmente avrebbe potuto mettersi in regola: il padre aveva perso il lavoro, a causa di una delle ricorrenti crisi dell’industria e la modesta indennità, che gli veniva corrisposta, era appena sufficiente per fare la spesa giornaliera.

    Le speranze in un futuro che, sin da piccola, se l’era prima sognato, poi desiderato, dopo la licenza liceale conseguita a pieni voti, erano divenute un fermo proposito, quasi una ragion di vita, sarebbero inesorabilmente sfumate.

    Quel futuro l’aveva sempre nei propri pensieri: di rendersi indipendente dal padre ed anche d’affacciarsi alla vita con una professione, con un posto di responsabilità che le procurassero considerazione, soddisfazioni e di poter rendere l’esistenza meno ingrata al genitore, che svolgeva un’attività che gli spremeva le energie materiali, con una paga molto avara.

    Lei ed il padre vivevano soli. La mamma era morta ed aveva lasciato solo un buon ricordo, per la sua bontà. Una grande bontà, accompagnata da un animo non comune, resistente alle tante difficoltà e disgrazie, che si erano abbattute su quella famigliola.

    Ostacoli difficili da superare e sofferenze di ogni genere. Il padre di Livia era sempre stato molto attivo nel sindacato e la fabbrica lo teneva d’occhio.

    Aveva dovuto sempre accontentarsi del minimo di paga previsto dal contratto. I suoi compagni, che davano meno filo da torcere alla direzione, godevano invece di un trattamento più sopportabile: qualche permesso retribuito, qualche premio di produzione.

    Il Tasca, così si chiamava l’uomo, sopportava quella specie di calvario solo perché aveva in sé un ideale di progresso sociale. Un ideale che non solo lo sosteneva quando la sorte sembrava perseguitarlo, ma non lo faceva mai darsi per vinto, anzi lo rendeva sempre pronto a riprendere la lotta, anche quando il sindacato di cui era parte attiva, subiva qualche sconfitta.

    Era nota la sua appartenenza ad un partito di sinistra, che l’orientava a non rendersi succube di qualsiasi situazione, ma di reagire e di lottare.

    Per queste sue doti, che evidentemente i datori di lavoro consideravano pecche, in pochi anni aveva subito ben tre licenziamenti.

    L’uomo si era però sentito egualmente in dovere di incoraggiare la figlia negli studi: Livia aveva fatto una collezione del massimo dei voti, nelle elementari, nelle medie, nel liceo. Andava incoraggiata.

    La spesa per farle frequentare l’Università non era poca cosa, ma si era deciso a sostenerla costasse anche il più duro dei sacrifici.

    Le rinunce, specialmente da quando era morta la moglie, che alla fine del mese portava sempre a casa il frutto del suo lavoro, alle volte anche umile, erano quindi all'ordine del giorno.

    Ora però la perdita del lavoro gli avrebbe procurato un vero e proprio incubo: il non poter guardare al futuro della figlia.

    Livia si era proprio presa una tegola in testa, leggendo quelle quattro aride parole contenute nella lettera e si era sentita annullata, defraudata delle sue speranze.

    Camminava alla svelta, tesa, pallida, incurante della borsa lasciata aperta, del cappotto nemmeno allacciato e non sapeva nemmeno quale direzione prendere. Tornare a casa? Da qualche amica con cui confidarsi?

    A casa in questo stato e con queste notizie? Debbo farmi forza e mettermi un poco in sesto, prima: non è giusto che faccia pesare su mio padre i mie problemi.

    Confidarsi con un’amica? No: le disgrazie devo affrontarle da sola. Sono io l’interessata.

    Con questa tempesta di pensieri, che avevano del tutto assorbita la sua attenzione, non si era accorta che un compagno, dello stesso suo corso, l’aveva raggiunta e le camminava a fianco, anche lui a buon passo.

    Era Matteo, un giovane dalla faccia ancora da ragazzo, che in aula le si sedeva sovente vicino, ma non la disturbava mai, attento forse ancora più di lei alle parole del Professore.

    Più di una volta, però, finita la lezione, aveva cercato di intrattenersi con lei al di fuori dell’Università, per parlare anche di qualcosa di estraneo alla studio, ma la sua timidezza e la premura di andare al più presto a casa, che la compagna dimostrava con quella andatura veloce, che sempre aveva, glielo avevano impedito.

    Non aveva tutti i torti, Matteo, se gli piaceva proprio tanto quella ragazza.

    Livia aveva poco più di vent'anni, ma aveva già l’aspetto di donna pensosa e nel medesimo tempo molto dolce.

    Il sorriso si vedeva di frequente sulla sua bocca: un sorriso bonario e gentile, che denotava un animo temprato da buoni pensieri ed anche determinato ad affrontare la vita con serenità, ma anche con severità.

    Matteo non ne era cosciente, ma le assomigliava e forse per questa affinità si sentiva attratto da quella creatura.

    Anche lui si era incamminato sulla retta via sin da piccolo e non l’aveva mai abbandonata.

    Diversamente da tanti compagni, godeva di più per i piaceri che gli procurava l’affrontare con interesse lo studio che per quelli che avrebbe trovato, se li avesse cercati, nel divertimento spensierato ed alle volte troppo disinvolto e vanesio, molto diffuso in quei tempi, tra i giovani della sua età.

    Aveva quindi certe esigenze ed anche una spiccata sensibilità al buon gusto.

    Livia, infatti, per uno spirito come il suo, era davvero una creatura adorabile.

    Il suo corpo, il suo volto ed il modo di muoversi richiamavano, alla mente di chi non si accontentava della insulsaggine di certe bellezze femminili, accompagnate di solito da modeste doti spirituali, il concetto astratto, ma individuabile ed appassionabile, dagli spiriti fini, dell’armonia.

    La giovane non aveva mai prestato attenzione a Matteo: gli era sembrato timido, impacciato, che non sapesse quello che voleva.

    E non era nel torto: quel giovane sempre seduto vicino a lei, in aula, sembrava proprio un essere scialbo, senza vivacità intellettuale, che si accontentava di assistere puntualmente e diligentemente alle lezioni, sperando così di assolvere il proprio dovere di studente.

    I risultati della sua frequenza all'Università erano conseguentemente scarsi: nella maggior parte degli esami aveva infatti conseguito solo il minimo voto necessario per non doverli ripetere.

    Lui stesso era conscio della causa di quello stato d’animo, ma intuiva che un giorno o l’altro avrebbe reagito.

    I genitori del giovane, piuttosto anziani, vantavano una rispettabile ricchezza e non si preoccupavano dell’avvenire dell’unico figlio. Matteo avrebbe potuto fare a meno di una professione od anche di venire a far parte della dirigenza di qualche industria, in cui avevano degli interessi di un certo rilievo.

    Anzi, era proprio quello che desideravano: Matteo avrebbe potuto così rimanere in famiglia, dedicarsi alla cura

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