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Bianco Limbo
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Bianco Limbo

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La storia di Alvaro Impastato, cugino di Peppino, e quella di Andrea, viaggiano in parallelo. Dopo numerose vicissitudini Alvaro, metà palermitano e metà romano, giunge ad una nuova consapevolezza di sé e del mondo tramite un percorso politico e morale. Anche Andrea, plasmato da una vita rocambolesca, arriva ad una meta inattesa. Un bildungsroman contemporaneo che intreccia la storia italiana, avvolto da un aura di mistero che segue i personaggi dal caldo sole della Sicilia al rigido gelo di Canada e Svezia.
LanguageItaliano
PublisherEdizioni Alef
Release dateJul 3, 2014
ISBN9788890983467
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    Bianco Limbo - Sonia Ugolini

    Blanco

    AVVISO IMPORTANTE

    AVVISO IMPORTANTE

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    L'Autore e l'Editore declinano ogni responsabilità da danni a cose o persone che possono derivare dall'applicazione

    di quanto descritto in questo libro, dei quali il Lettore se ne assume piena responsabilità. Quanto descritto non sostituisce trattamento sanitario, medico o psicologico.

    © Edizioni Alef ltd 2014 - Tutti i Diritti Riservati Vietata la duplicazione del presente e-book in qualsiasi formato www.edizionialef.it

    PRIMA PARTE

    PRIMA PARTE

    Alvaro Impastato

    I

    Viola.

    Il cielo, la cucina, la camicia dell’uomo, la luce riflessa sui muri, il vicolo, il vestito dell’ultima puttana della notte, ogni cosa sbavava il colore viola.

    10 febbraio 1960, ore 5,30. Mercati generali di via Ostiense a Roma.

    Alvaro, scaricatore, insieme a un senzatetto, soprannominato Turbante, per via del copricapo, si scaldavano attorno a un fuoco acceso dentro una cofana con quattro pezzi di legno.

    Faceva molto freddo un po’ per l’ora e un po’ perché la stagione era stata brutta. Oltre ai due uomini che trotterellavano per scaldarsi non si vedeva anima viva.

    Un velo di tramontana tagliava i visi, gli uomini coperti alla meno peggio chiacchieravano per distrarsi.

    Alvaro aveva meno di trent’anni, padre di quattro figli, abitava in un modesto appartamento in un vicolo di Testaccio. La moglie Rosa faceva la donna delle pulizie presso alcune famiglie al quartiere Piramide. Lui si barcamenava in lavoretti saltuari, un’esistenza semplice e difficile ai margini dell’indigenza. Turbante, uno dei tanti barboni senza una precisa identità, lavorava saltuariamente come tuttofare presso il mercato.

    Ancora non era giorno completo, Alvaro guardava a scatti l’orologio, il camion con le verdure era in ritardo.

    Da un mucchio di cassette vuote accatastate disordinatamente alle spalle dei due uomini, si levò il verso di una gatta in calore, o quello che sembrava essere. Alvaro s’immobilizzò per prestare attenzione a quel lamento, dopo un attimo stava per proseguire quando il lamento si fece più forte, lui conosceva bene il vagito di un neonato, poiché il suo ultimo figlio aveva soltanto due mesi.

    -Turbanteee!!! Cori qui c’è un regazzino cori!!!-

    Gli ci vollero dieci minuti buoni a rovistare tra tutte quelle cassette ammucchiate, man mano che toglievano, scansavano, il pianto si faceva più chiaro. Alla fine in fondo al mucchio incastrato tra altre casse lo vide. Da un ammasso di stracci sporchi spuntava un visetto violaceo, la bocca spalancata, gli occhi serrati, era avvolto in una copertina gialla di fustagno, consumata e sbiadita.

    Il viola si era fatto carne.

    L'uomo non si perse d'animo, raggiunto il neonato lo prese con cautela, era gelato, tremava ma dall'energia con cui piangeva capì che non stava morendo. Era anche sporco, puzzava di rigurgito di latte, ed era un maschio.

    -È in ipotermia dobbiamo subito scaldarlo, Alvaro togliti la giacca e il maglione mettilo a contatto con la tua pelle calda e poi rimettiti la giacca, svelto!!!-

    Alvaro obbedì senza fare domande, era stupito e terrorizzato. I due uomini corsero verso l’uscita del mercato. Non avendo un'auto si precipitarono sulla strada cercando soccorso. Fu un taxi a notarli in mezzo alla carreggiata che gesticolavano, si fermò incuriosito, afferrò immediatamente la situazione, caricò entrambi in macchina. Alvaro e Turbante misero il bambino tra i loro corpi, abbracciati come due amanti clandestini.

    - Cori tassinaro! Portace all’ospedale più vicino- Alvaro balbettava in preda al panico. Turbante era più lucido, controllava il battito cardiaco del neonato premendo due dita sul piccolo collo.

    - A turbà ma che sei un dottore?-

    - No ma una volta lavoravo in un ospedale come infermiere.-

    - allora che dici questo more?-

    Turbante scosse la testa.

    Era stato un infermiere professionista presso l’ospedale Gemelli, lavorava in sala operatoria, ma oltre al suo lavoro gli piaceva anche bere. Una volta che aveva esagerato più del solito, mentre era in sala operatoria aveva commesso un errore con il dosaggio di un farmaco e il paziente era morto.

    C’era stata un’indagine, ma ancor prima che le autorità facessero luce sull’accaduto, lui aveva confessato e si era dimesso.

    Annebbiato dai sensi di colpa e dall’alcool, aveva perso tutto, soprattutto la stima della famiglia e in poco tempo si era ritrovato sulla strada, solo e alcolista.

    Con i pochi soldi che riusciva a racimolare si comprava il vino, possibilmente secco e rosso, mangiava poco e niente, dormiva tra i rifiuti del mercato, non si lavava da anni e il suo odore lo precedeva di parecchi metri. Nonostante tutto Turbante era stato accettato dalla comunità del mercato e ritenuto un personaggio pittoresco di cui fidarsi.

    Il Tassista in pochi minuti raggiunse l'ospedale che gli sembrava più adatto al caso, il Bambino Gesù. Arrivati al pronto soccorso Turbante e il tassista si guardarono, gli occhi sgranati neri come il lucido delle scarpe, sotto lo strato di sporco e l’espressione preoccupata s’intravedeva un volto ancora da ragazzo, il tassista gli fece un gesto con la testa, Turbante lasciò il bambino ad Alvaro e sparì.

    Alvaro entrò urlando nel pronto soccorso, le persone in attesa si addossarono lungo le pareti della sala per farlo passare.

    Gli venne incontro un medico con lo stetoscopio appeso al collo e le maniche del camice arrotolate, afferrò il bambino con entrambe le braccia, mentre Alvaro cercava di spiegare la situazione.

    Medico e bambino scomparvero dietro la porta dell’accettazione, un infermiere accompagnò Alvaro in sala d’attesa, lo fece sedere, promettendogli che sarebbe andato tutto bene.

    Le persone che prima lo avevano fatto passare gli si strinsero attorno, qualcuno rimediò anche un bicchiere d’acqua, un altro una coperta, tutti volevano sapere come e dove l’aveva trovato.

    Alvaro rispondeva a tutti, parlava con gli occhi fissi sulla porta da dove era scomparso il neonato. La gente commentava tra di loro, parole di biasimo verso chi l’aveva abbandonato, alcuni lodavano Alvaro che l’aveva salvato da una morte atroce, facevano ipotesi su il ritrovamento della madre.

    Poi di colpo tutti si zittirono. Apparve un medico che chiamò Alvaro in disparte, disparte si fa per dire, perché la gente lo accerchiò per sentire.

    Il bambino stava bene, era stato allattato prima di essere stato abbandonato, si spiegava il rigurgito, era stato fortunato a quella temperatura sarebbe bastato trovarlo un'ora più tardi per condannarlo a morte.

    I carabinieri, chiamati da un infermiere e sopraggiunti subito dopo l’ingresso di Alvaro al pronto soccorso, gli chiesero di seguirli per stendere un verbale .

    Alvaro si sedette di fronte al maresciallo dei carabinieri.

    -Devo stendere un verbale, se la sente le farò alcune domande a cui dovrà rispondere nel modo più preciso che le sia possibile, ha capito?

    Alvaro fece si con il capo un paio di volte.

    -Esposito!! Un cappuccino caldo e un cornetto nel mio ufficio per favore.-

    Il maresciallo aspettò qualche minuto, osservava l’uomo che aveva di fronte, gli occhi assenti, la postura innaturale, un uomo smarrito come la creatura che aveva trovato.

    Arrivò Esposito con il cappuccino e il cornetto. Alvaro prese la tazza con entrambe le mani, tremava, il liquido caldo gli imbrattò le dita, sembrava non sentirlo, trangugiava dalla tazza come se avesse attinto a una linfa vitale.

    - Alvaro Impastato, nato a Cinici, Cinici non sta in Sicilia?-

    - Mio padre veniva da li, ha sposato mia madre che lavorava nel suo paese, ma quando avevo sei anni lui è morto e mia madre è ritornata a vivere a Roma con me e mio fratello maggiore. Io in Sicilia non ci sono più stato, mi piacerebbe ma ci vogliono troppi soldi marescià!-

    - Mi sembrava dal dialetto che non avesse nulla a che fare con la Sicilia.-

    Alvaro raccontò di quella mattina cercando di non tralasciare nessun particolare. Parla parla, improvvisamente si sentì stanchissimo, avrebbe voluto soltanto ritornare a casa stendersi sul letto e chiudere gli occhi.

    Il maresciallo salutò Alvaro, lo guardò allontanarsi un po’ curvo, gli venne da pensare se mai avesse rivisto quell’uomo.

    Erano le otto del mattino, Roma si era svegliata completamente, pullulava di gente che andava a lavorare, Alvaro si diresse alla fermata dell’autobus.

    Era una bella giornata d’inverno, in cielo non c’era una nuvola un sole tenue ma splendente stava per riscaldare l’aria, allora perché delle gocce di acqua cadevano sulle scarpe di Alvaro?

    Alvaro si guardava intorno ma da dove veniva sta acqua?

    La gente passava e lo guardava, chissà perché quell’uomo grande e grosso piangeva come una fontana alla fermata dell’autobus?

    -Le ho detto che non è possibile! Lei qui non può stare, deve andarsene!-

    L’infermiera Ines del reparto neonatale del Bambino Gesù, fissava con occhi ostili quell’uomo dall’aria dimessa, che insisteva per vedere il neonato trovato il giorno prima in una cassetta della frutta.

    -So io quello che gli ha salvato la vita!! Manco me potete di come sta! Sarò pure un poveraccio però quel ragazzino potrebbe esse mi fio e voglio sapè e vedè come sta!!!!-

    Uscì un medico da una stanza, riconobbe Alvaro nell’uomo che il giorno prima correva trafelato con un neonato sotto la giacca.

    -Infermiera per favore ci scusi un attimo.-

    L’infermiera Ines disapprovò con lo sguardo il dottore mentre gli girava le spalle rigida.

    - Signor Alvaro come sta?-

    - Me sentirei mejo se potessi sapè come sta il ragazzino.-

    - Il bambino sta bene lo teniamo soltanto in osservazione per qualche giorno.-

    - E poi dove va a finire sta creatura?-

    - Non si preoccupi ci penseranno i servizi sociali.-

    - Vordì che andrà all’orfanatrofio finché non ce sarà qualcuno che lo adotterà?-

    - più o meno, ma le assicuro che è in buone mani.-

    - sarà, ma sta creatura non c’ha nessuno…c’ha solo a me che l’ho trovato. Me sento come uno de famiglia, un padre come pe i figli mia.-

    Il dottor Rosselli, si guardò intorno con aria circospetta, mise una mano sulle spalle di Alvaro e sussurrò:

    -Venga con me, ma solo un attimo.-

    Lo portò di fronte a una vetrata, al di la c’erano due file di lettini con dei neonati avvolti in copertine rosa o celesti a secondo del sesso, una targhetta appesa alle barre con il nome e il peso.

    Alla fine di ogni fila c’erano due incubatrici, una con un prematuro, l’altra con neonato normale ma senza targhetta.

    - È quello nell’incubatrice di destra.-

    - Lo so, lo riconosco mica so cieco! Dottò perché non gli date un nome ..uno qualunque, pare brutto in mezzo a tutti sti ragazzini cor nome e cognome, manco fosse un cane! –

    - Certo ci abbiamo già pensato, per ora lo chiameremo Andrea.-

    - Bello dottò me piace.-!

    - Ha pochi minuti, vado un attimo in quella stanza, poi esce con me intesi?

    - Va be dottò.-

    Alvaro guardò quel corpicino avvolto nella coperta celeste, le manine strette a pugno, dormiva con l’espressione inconsapevole.

    - A ragazzì ma avrò fatto bene a salvarti? Ma che sarà della vita tua?..ma che sto a dì!?....io sono un poveraccio altrimenti te prendevo io a casa mia con i figli miei saresti cresciuto come un altro figlio …-

    - È ora di andare! Avanti esca, ora è più tranquillo ? Ha visto? Il bambino sta benissimo.

    - Grazie dottò, arrivederci.-

    - Arrivederci ma non qui, mi raccomando non si faccia più vedere, quella di oggi è stata un’eccezione .-

    Il dottor Rosselli guardava quell’uomo allontanarsi nel corridoio, troppo magro, le spalle curve i capelli radi, i pantaloni sbiaditi la giacca grande, lo guardava e qualcosa gli disse che non sarebbe stata l’ultima.

    In strada Alvaro respirò profondamente, un senso di smarrimento lo pervase, per un attimo sembrava non sapere dove andare.

    Era una giornata fredda ma piena di sole, il Gianicolo mostrava tutto il suo splendore, mentre una figura triste e vuota si stagliava nel bagliore di quel paesaggio.

    Alvaro non era bravo a mantenere le promesse, ma lo era a rendersi

    invisibile, e a intrufolarsi dove non avrebbe dovuto.Carabinieri e Polizia indagarono sul posto del ritrovamento, le ricerche si protrassero per settimane invano, della madre del piccolo non si trovarono tracce. All’ospedale al bambino fu dato il nome di Andrea, come aveva preannunciato ad Alvaro il dottor Rosselli.

    La notizia suscitò scalpore, piovvero le domande di adozione.

    Il bambino dovette rimanere per mesi in ospedale, poiché i medici si accorsero che era affetto da una malformazione ai polmoni, risolvibile soltanto chirurgicamente.

    Alvaro non si era certo perso d’animo, appena poteva si intrufolava nell’ospedale, anche soltanto per un momento cercava di vedere Andrea. Con la complicità di un’infermiera, e non soltanto, poiché si era creato, tra il personale del reparto, un tacito consenso, tutti fingevano di non vedere. Alla notizia dell’operazione del bambino, Alvaro era uscito allo scoperto.

    - A dottò ma se mai visto che uno viene operato e fuori non c’è nessuno che chiede notizie? Ma sta creatura non c’ha diritto….

    - Alvaro! Non crede di aver approfittato abbastanza della pazienza mia e di tutto il personale? Ma insomma si rende conto che se lo viene a scoprire il primario..

    - Che na creatura malata ha qualcuno che si preoccupa? Di cosa ha paura dottò della sua carriera o de sto poveraccio che può andà in galera? –

    Disarmato il dottor Rosselli si lasciò cadere su una sedia, guardò Alvaro, gli venne in mente che non sapeva neanche quanti anni avesse, dall’aspetto trascurato poteva averne non più di trenta, praticamente suo coetaneo.

    -Senta Alvaro posso farle una domanda?-

    Alvaro alzando gli occhi al cielo ..

    - Dica.-

    - Ma quanti anni ha?-

    - Me credevo chissà che me volesse chiede! 26, perché?-

    - 26?? E ha già 4 figli? Ma si è sposato bambino!-

    - me so sposato a 20 anni perché lei era incinta, dottò mica so andato tanto a scuola come lei!-

    - e come vi mantenevate tu e tua moglie?-

    - Io lavoravo come meccanico da quando avevo 14 anni nell’officina di mio zio, ero bravo coi motori e guadagnavo pure bene, Rosa, mia moglie faceva qualche ora a settimana di pulizie nelle famiglie del quartiere, stavamo bene. poi due anni fa mi zio è morto, ha avuto un infarto a 46 anni, e l’officina è stata

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