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Ribelle per amore: Don Gnocchi nella Resistenza
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Ribelle per amore: Don Gnocchi nella Resistenza

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Per la prima volta abbiamo un libro che affronta di petto e senza pregiudiziali la questione del ruolo giocato dal beato don Gnocchi durante gli anni della Resistenza. Un periodo storico dell’Italia per molti versi eroico, ma anche controverso. Anni nei quali le migliori intelligenze del Paese e i cuori più generosi hanno posto le premesse, pagando anche con la vita, per una migliore Italia, quella che ha ispirato una delle più moderne Carte costituzionali dell’Occidente. Tra questi certamente i resistenti cattolici, che hanno speso la loro vita per restituire libertà, dignità e senso dello Stato ai cittadini oppressi e umiliati da una feroce dittatura. Basterebbe solamente ricordare i partigiani “bianchi” della rete OSCAR, l'organizzazione Visconti di Modrone, le Fiamme Verdi e i carabinieri fedeli al governo legittimo, tra i quali si è spesa l’attività resistenziale di don Carlo Gnocchi, “ribelle per amore”, e che gli è costata l’arresto e il carcere a San Vittore da parte delle SS germaniche. Il suo fu un antifascismo non dichiarato e non esibito, ma vissuto come ambito di testimonianza in nome dell’umanesimo evangelico e della fede cristiana. Un antifascismo vissuto come direzione spirituale e scevro da ogni ideologia, nato dall’idea di vivere un sacerdozio non separato, attento alle vicende sociali e istituzionali del suo popolo compartecipandole. Questo prezioso libro rende giustizia di molti contraddittori giudizi, espressi spesso senza adeguata conoscenza, su questo delicato ma importante periodo della vita di don Carlo Gnocchi, che invece ha fatto da premessa alla creazione dell’Opera di carità che oggi porta il suo nome.
LanguageItaliano
Release dateMay 13, 2016
ISBN9788897264736
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    Ribelle per amore - Daniele Corbetta

    Colophon

    Tutti i diritti riservati

    Copyright ©2015 Oltre edizioni

    ISBN 9788897264552

    Titolo originale dell’opera:

    *Ribelle per amore*

    di Daniele Corbetta

    Collana *passato prossimo

    diretta da Edoardo Bressan

    Prima edizione novembre 2015

    SCARICA L’ARCHIVIO FOTOGRAFICO

    Prefazione

    Un ribelle per amore

    Per la prima volta abbiamo un libro che affronta di petto e senza pregiudiziali la questione del ruolo giocato dal beato don Carlo Gnocchi durante gli anni della Resistenza. Un periodo storico dell’Italia per molti versi eroico, ma anche controverso. Anni nei quali le migliori intelligenze del Paese e i cuori più generosi hanno posto le premesse, pagando anche con la vita, per una migliore Italia, quella che ha ispirato una delle più moderne Carte costituzionali dell’Occidente e creato uno Stato sociale che ha fatto per decenni scuola alle nazioni più avanzate. Le celebrazioni della Resistenza hanno per lo più messo in primo piano gli aspetti militari della lotta di liberazione nazionale dimenticando i retroterra culturali e sociali che hanno consentito la guerra partigiana. Hanno esaltato le epiche gesta dell’epopea resistenziale, ma hanno lasciato in ombra i gesti quotidiani, le reti di solidarietà diffusa e le acquisizioni culturali che hanno permesso al Paese di liberarsi dal giogo nazifascista. Non poche volte hanno anche messo in contrapposizione partigiani di ispirazione social-comunista a quelli di altra ispirazione ideale, che non hanno pagato un minore contributo di sangue, di energie e di tempo. Tra questi secondi certamente i resistenti cattolici, che hanno speso la loro vita per restituire libertà, dignità e senso dello Stato ai cittadini oppressi e umiliati da una feroce dittatura. Proprio perché non imprigionati in rigidi confini ideologici sono stati capaci di prefigurare e realizzare, in collaborazione con tutti gli altri e a supporto dei poteri legittimi, un nuovo Paese. Basterebbe solamente ricordare i partigiani bianchi della rete OSCAR, l’organizzazione Visconti di Modrone, le Fiamme Verdi e i carabinieri fedeli al governo legittimo, tra i quali si è spesa l’attività resistenziale di don Carlo Gnocchi, ribelle per amore, e che gli è costata l’arresto e il carcere a San Vittore. Come sempre è accaduto a don Gnocchi sia durante la sua partecipazione alla guerra sia nell’inventare la colossale impresa di solidarietà per onorare il debito contratto con i suoi alpini agonizzanti, anche il suo ingresso nella Resistenza non è stato programmato a tavolino, ma una scelta maturata gradualmente, come occasione temporanea di una concreta applicazione del fare del bene a ogni persona e più ancora, a motivo del Dio Incarnato, al prossimo più fragile, ferito e denudato dal dolore, nella logica del buon samaritano.

    Infatti, prima si preoccupò di mettere in salvo gli ebrei perseguitati dalle leggi razziali del 1938 e i soldati allo sbando dopo l’8 settembre, poi i prigionieri alleati, fuggiti dai campi di lavoro dopo l’armistizio, e ancora i carabinieri che non aderirono alla Repubblica Sociale Italiana e i perseguitati politici facendoli transitare in Svizzera per i valichi di montagna precedentemente conosciuti. Per approdare infine alla rete di intelligence costituita per passare informazioni preziose agli Alleati che stavano risalendo la Penisola e per consentire i contatti tra le organizzazioni partigiane operanti in alta Italia con gli esuli antifascisti in Svizzera, nonché per far pervenire i messaggi dell’arcivescovo di Milano al Vaticano via Lugano. Poi andò lui stesso in esilio in Svizzera, con il preciso intento di preparare i fuoriusciti della futura classe dirigente in vista della rinascita dell’Italia. Ne sono testimonianza gli stupendi articoli sui diversi organi di stampa di quel periodo riguardanti i problemi di ricostruzione civile e morale della Nazione dopo il disastro della guerra e confluiti nella pubblicazione di Restaurazione della persona umana del 1946, sintesi delle sue più profonde convinzioni e cattedra del suo insegnamento. Il suo fu un antifascismo non dichiarato e non esibito, ma vissuto come ambito di testimonianza in nome dell’umanesimo evangelico e della fede cristiana. Un antifascismo vissuto come direzione spirituale, scevro da ogni ideologia. Per un po’ di tempo si è pensato a un don Gnocchi contraddittorio e incongruente, passato dal sostegno al regime fascista e da volontario di guerra alla lotta partigiana. Se consideriamo attentamente la sua vita scopriamo invece che c’è un filo rosso che lega tutti i passaggi esistenziali e storici della sua vicenda umana: l’idea di vivere un sacerdozio non separato, attento alle vicende sociali e istituzionali del suo popolo compartecipandole. Lo confessa egli stesso esplicitamente in un passo di Cristo con gli Alpini: "La vita ordinaria del sacerdote può nascondere l’ambigua e difficile tentazione di segregarsi dalla massa, nell’intento di elevarsi, può creare lentamente diaframmi opachi tra lui e il popolo, e stabilire alla fine, negli spiriti meno vigili e meno vasti, uno stato di «splendido isolamento»".

    Lo testimonia con questa ferma e appassionata difesa rivolta al vescovo di Lugano Angelo Jelmini a proposito delle accuse di alcuni fuoriusciti italiani circa le sue presunte simpatie fasciste:

    "Premesso che non si può e non si deve, in buona fede, ritenere «politica» l’azione strettamente religiosa di un sacerdote in seno alle organizzazioni giovanili di Stato (alle quali doveva necessariamente appartenere tutta la gioventù italiana in regime fascista) più di quanto si possa chiamare militare l’assistenza religiosa del cappellano militare ai soldati, o... «criminale» l’azione sacerdotale del prete nelle carceri, io, non solo non intendo nascondere, davanti a chicchessia, la mia attività «quindicennale» nelle organizzazioni giovanili del Partito, Opera Balilla e Milizia Universitaria, ma ne sono fiero e riconoscente al Signore come uno dei campi più fecondi di apostolato che la Provvidenza mi abbia offerto nei miei anni di sacerdozio.

    Che poi io abbia saputo e potuto mantenermi nella non facile zona di azione esclusivamente religiosa, in seno a organizzazioni di colore politico, credo di poterne intuire da qualche fatto:

    •  Sono entrato nelle organizzazioni del regime per esplicito comando di sua eminenza il cardinale Tosi di Milano, ed ebbi lode diretta e incoraggiamento augusto, a tale lavoro, da S.S. Pio XI.

    •  Non accettai mai la tessera del partito fascista, che pure avrebbe avuto una anzianità per molti ambita e che era indispensabile per un cappellano della Milizia.

    •  Allo scoppio della guerra, chiesi volontariamente di essere arruolato nel Regio Esercito e non nella Milizia (dal cui capo ebbi una grossa «grana», e presso il quale avrei avuto il grado di cappellano capo invece che di tenente cappellano).

    •  Rientrando dalla Campagna di Grecia e nell’intento di trovare un modo per dichiarare il mio disgusto per quanto vi avevo visto perpetrato dal Partito ai danni dei soldati, rifiutai pubblicamente il «Contributo della lana» raccolto dal Partito per i soldati combattenti. Tale gesto mi procurò la degradazione militare per ordine del segretario del Partito, Serena, e l’assegnazione alla commissione di confino. Solo alte influenze politiche (eccellenza Galbiati) e religiose (Segreteria di Stato) poterono evitarmi il colpo e consentirmi di partire per il fronte russo".

    E per quanto riguarda il suo arruolamento da volontario tra gli alpini per le campagne di guerra di Albania e Russia, scrivendo al cardinale Schuster esplicita le motivazioni di questa sua scelta con estrema chiarezza: "Mi creda eminenza. Dopo cinque anni di assistenza spirituale al Gonzaga, in mezzo alla classe dei ricchi e dei borghesi, sento il bisogno urgente di un contatto più diretto col popolo, di una vita più sana e più vera, di un apostolato più concreto e conclusivo: e questo bisogno è diventato, in questi mesi di travaglio spirituale di fronte alla guerra, irresistibile e imperioso come una voce del Signore. Vostra eminenza sa che a questo passo non mi muovono ragioni passeggere o comunque umane, né tanto meno entusiasmi od esaltazioni politiche e patriottiche; ma solo l’insistenza di una voce interiore, che oserei chiamare vocazione, qualora vi accedesse l’approvazione di vostra eminenza. Sento che io non devo farmi assente in quest’ora tragica, là dove più acuta maturerà la crisi spirituale della guerra, per la fecondità a venire del mio ministero e per l’uso sempre più generoso della mia vita al servizio del Signore".

    Finita la guerra, "la sua vita prorogata solo per la carità troverà feconda espressione con la fondazione della sua portentosa Opera, prima in favore degli orfani di guerra, poi dei mutilatini e dei mulattini, e ancora dei poliomielitici. Infine anche a servizio di tutti coloro che sono afflitti da qualsiasi forma di disabilità congenita o acquisita, con gradualità e con sempre maggior coinvolgimento, come gli era capitato durante il corso della sua vita. La sintesi di questo filo rosso che illumina il senso della sua intera esistenza e che fa chiarezza sulle sue apparenti contraddizioni la esplicita lui stesso in un colloquio con monsignor Aldo Del Monte, suo compagno nella tragica ritirata di Russia: Avrei potuto mille, e mille, e mille volte morire con loro (in Russia). Ma con quale conseguenza? Non avrei fatto nient’altro che aiutare la morte a sconfiggere la vita, mentre, dentro di me, ad alta voce, gridava: «…ut vitam habeant, et abundantius habeant» (Perché abbiano la vita e l’abbiano in sovrabbondanza). Nel mio intimo, su quell’altare di apocalittica immolazione, lo Spirito mi consacrò a dedicarmi alla vita, ad ogni briciola di vita, ad ogni forma di vita, sia sul piano naturale sia sul piano soprannaturale".

    In sintesi: è lo svolgimento dell’esistenza con la sua quotidiana pedagogia la chiave interpretativa corretta per comprendere l’esistenza straordinaria e, in qualche modo spericolata, di questo nuovo beato, che ha lasciato agli amis una grande Opera di carità e un bagaglio di insegnamenti capaci di illuminare anche il futuro. Sono perciò grato all’autore di questo prezioso libro, che colma un vuoto nel profilo di una figura poliedrica, per aver illustrato con semplicità e con severo rigore storico questa stagione di vita di don Carlo Gnocchi, rimasta per troppo tempo nel limbo della dimenticanza, perché ritenuto un protagonista minore nel corteo dei sacerdoti e dei laici ribelli per amore. Anche questo frammento di vita e di azione costituisce un tassello della preziosità dell’Opera di carità nell’immediato dopoguerra che lo ha consacrato presso l’opinione pubblica come un protagonista della rinascita dell’Italia, ma più ancora come seminatore di speranza e genio della carità.

    Questo documentato lavoro spazza via definitivamente infondati dubbi, incauti e frettolosi giudizi e peregrine affermazioni su una presunta simpatia del giovane don Gnocchi nei confronti dell’ideologia fascista e di un’entusiastica partecipazione del maturo don Gnocchi alla folle guerra voluta dal regime. Sicuramente contribuisce a restituire alla storia un don Gnocchi completo, non solo visto come degno figlio della terra lombarda, coerente sacerdote ambrosiano, apostolo del dolore innocente, cappellano eroico degli alpini, campione di solidarietà, padre dei mutilatini, precursore della riabilitazione, profeta del dono d’organi, imprenditore della carità - e per questi meriti dichiarato beato - ma riconosciuto combattente della Resistenza, un combattente senza armi per la libertà.

    La sua è stata una testimonianza che va all’incasso nel cuore della gente: è uno dei pochi ribelli per amore riscattato dall’anonimato e proclamato beato dalla Chiesa. Anche la Resistenza ha un santo da venerare e un protettore da invocare, per tutti un monumento di memoria e di speranza.

    Mons. Angelo Bazzari

    Presidente della Fondazione Don Gnocchi

    RIBELLE PER AMORE

    Don Gnocchi nella Resistenza

    Nell’inferno della vita entra solo la parte più nobile

    dell’umanità. Gli altri stanno sulla soglia e si scaldano.

    Hebbel

    (da una manchette de Il Ribelle, n. 1)

    Nota di ringraziamenti

    Questo studio non avrebbe trovato i suoi percorsi senza la decisiva collaborazione di mons. Angelo Bazzari, Presidente della Fondazione Don Gnocchi, e di Oliviero Arzuffi, Damiano Bianco, Andrea Bizzozero, mons. Bruno Bosatra, Edoardo Bressan, Roberto Lepetit, Filippo Meda, Marina Doria Visconti di Modrone; cui va uno speciale, cordialissimo ringraziamento.

    Un affettuoso ricordo agli amici scomparsi Gianluigi Figini – uno dei primi collaboratori di don Gnocchi – e Giulio Canzani, che mi ha introdotto nel mondo di Campione d’Italia.

    Grazie anche a:

    Anna Belgiojoso, mons. Giovanni Barbareschi, Carla Bianchi Jacono, Vanna Biffi, Ilaria Borletti, Renata Broggini, Giuseppe Calzati, Fabio Cani, Silvio Colagrande, Marina Consonno, Roberto Corbetta, Patrizia Di Giuseppe, Gabriele Fontana, Maria Candida Ghidini, Enrico Freyrie, Enzo Fumagalli, Aurelio Mambretti, Pierfranco Mastalli, Ruggero Meles, don Eugenio Mosca, Piero Paolo Nahmias, Giampiero Neri, Ornella Pozzi, Cristina Redaelli, Ruggero Secchieri, Gabriella Solaro, Urs Voegeli.

    Tutti, in diversi modi e occasioni, hanno dato un aiuto importante al lavoro di ricerca, alla raccolta iconografica, alla realizzazione del testo.

    Infine un doveroso riconoscimento – per il supporto di consulenze e l’offerta di materiali – alle seguenti istituzioni:

    Archivio della Fondazione don Gnocchi, Milano – Archivio storico diocesano, Milano – Archivio e biblioteca dell’Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia, Milano – Archivio e biblioteca dell’Istituto di Storia Contemporanea P. A. Perretta (rete nazionale INSMLI), Como – Archivio di Stato, Como – Biblioteca di Stato del Ticino, Lugano.

    Daniele Corbetta

    A Rina, Graziella, Celeste

    Indice generale

    Prefazione

    Un ribelle per amore

    Nota di ringraziamenti

    Capitolo I

    Santità degli alpini, santità della guerra?

    Ritorno in Brianza

    Motivazioni: gli alpini, la chiesa povera

    Non farsi assente; una guerra giusta?

    Il problema del comunismo e Berdjaev

    Di alcuni cattolici tra Fascismo e opposizione. Due seduzioni,

    un orrore

    Documenti e testimonianze

    Don Carlo Gnocchi. Lettera al card. A. Ildefonso Schuster

    Don Carlo Gnocchi. Lettera al card. A. Ildefonso Schuster

    Don Carlo Gnocchi. Il comunismo ecco il nemico

    Don Carlo Gnocchi. Lettera a Mario Biassoni

    Don Carlo Gnocchi. Nell'anniversario della morte di don Orione

    Capitolo II

    Poesia di cristo con gli alpini

    "Letteratura come vita": lettura di don Mazzolari

    Romanzo di formazione; un rovesciamento di ruoli

    Amore e morte. Il santo volto e disvelamento del nemico

    (lo straniero, l'inconnu)

    Altre icone e accensioni. Varianti come chiavi di lettura

    Documenti e testimonianze

    Mistica del soldato

    Religiosità dell'alpino

    Festa religiosa al battaglione

    Capitolo III

    ribelle per amore

    Vie di salvezza, una rete (OSCAR, l’organizzazione Visconti di Modrone ecc.)

    Spie per amore / spie di guerra. Prime notizie di una radio

    Con le Fiamme Verdi (quelli de Il Ribelle, via Vitruvio 42)

    Due flash e altro: Giancarlo Puecher l'offerta, Luigi Meda il progetto

    Una Resistenza di idee. Principi per la nuova Italia

    Documenti e testimonianze

    Marina Doria Visconti di Modrone. Don Carlo Gnocchi

    Andrea Bizzozero. Ragazzo-partigiano, incontro con don Gnocchi

    Padre Fiorentino Bastaroli. Lettera a Giorgio Puecher

    Don Carlo Gnocchi. Ritornare bambini

    Don Carlo Gnocchi. Responsabilità dell'individuo

    Capitolo IV

    Avventure dell'agente Chino, don Galbiati

    Passaggio in Svizzera. Destinazione Mürren?

    Una cellula Nemo a villa Belvedere

    Studi di pedagogia della libertà (per una Resistenza educativa)

    Inviato del CLNAI

    Arresto e liberazione

    Finale di partita a Milano e in Brianza

    Documenti e testimonianze

    L'espatrio di don Gnocchi dalla Bocchetta della Tappa verso Carena in val Morobbia, Ticino, nel luglio 1944. Testimonianza di don Luigi Curti

    Memoriale del maresciallo CC Mario Secchi

    Magg. Giovanni Battista Cavalleri. Lettera a Felice De Baggis

    Don Carlo Gnocchi. Rapporti del sac. Don Carlo Gnocchi col consolato degli S. U. di Lugano durante l'occupazione tedesca,

    e suoi servigi alla causa alleata. Milano 20 maggio 1945

    Don Carlo Gnocchi. Lettera a Felice De Baggis

    Conclusioni

    Appendice con scorci

    Arosio l'origine, Inverigo come un sogno

    Don Giovanni Casati. Notizie da Arosio. A don Carlo Pensa,

    6 – V – '47

    Filippo Meda. Gigi Meda e don Gnocchi

    Don Carlo Gnocchi. Ho sognato la Rotonda

    Gianluigi Figini. Arosio e Inverigo

    Bibliografia

    Archivio fotografico

    Capitolo I

    Santità degli alpini, santità della guerra?

    Ritorno in Brianza – Motivazioni: gli alpini, la chiesa povera – Non farsi assente; una guerra giusta? – Il problema del comunismo e Berdjaev – Di alcuni cattolici tra Fascismo e opposizione. Due seduzioni, un orrore.

    Ritorno in Brianza

    Come il soldato Pierello nel romanzo di Corti¹, dopo il disastro di Russia don Gnocchi ritrova una casa; rivede i luoghi della propria formazione. Torna in Brianza, a Macherio non lontano da Montesiro, dove è accolto nella famiglia Visconti di Modrone.

    Racconta Marina Doria Visconti di Modrone, figlia di Marcello e Xenia:

    A 15 anni (sono del ‘25), su consiglio del prof. Stocchetti che mi dava lezioni private, ho cominciato a frequentare settimanalmente don Gnocchi nel suo ufficio per avere una formazione spirituale. Questo nel ‘40. Così don Gnocchi è entrato a far parte della nostra famiglia. Eravamo molto legati. Nel ‘43, quando è tornato dalla Russia, io e mia madre siamo andate a prenderlo a Udine per ospitarlo nella casa di Macherio affinché potesse curarsi. Abbiamo ospitato anche Gino Schieppati, un sergente che l’aveva salvato in Russia caricandoselo in spalla. Anche lui fu accolto in casa nostra con tutta la sua famiglia².

    Don Gnocchi aveva abitato a Montesiro (Besana B.za) negli anni degli studi in seminario. La mamma³ vi si era trasferita da una sorella dopo la morte del marito e di due figli. Là il seminarista Carlo Gnocchi aveva frequentato quella particolare religiosità brianzola che era fatta di partecipazione e, in un certo senso, di laicità (se si considera come animava il borgo con i gusti di una tradizione sentita⁴).

    A Montesiro aveva anche celebrato la prima messa, iniziando così la sua collaborazione con i suoi vescovi – allora il card. Tosi, più tardi Schuster e Montini – tra la gente che l’aveva visto crescere.

    La Brianza delle origini, dunque: l’ambiente più adatto a un riepilogo esistenziale. Nella biografia di don Gnocchi inizia una fase nuova, che è rilettura del proprio percorso (delle occasioni e delle scelte) alla ricerca di un nuovo impegno; della possibile opera di carità.

    Intanto riprende il proprio compito di educatore presso il Gonzaga (specie nelle sezioni sfollate di Erba e Como, medie e licei). Ma ora don Gnocchi è uomo di pena, che porta in sé i dolori dei propri alpini e del mondo in guerra. Con la vita ‘a prestito’, scriverà all’amico don Mario Busti rifugiato in Svizzera⁵. Lo aiuta nella revisione il ritrovamento di maestri dell’anima: il card. Schuster, don Mazzolari e don Orione (ben vivo nella memoria, benché scomparso da qualche anno).

    Giocano un ruolo decisivo anche alcuni incontri che aprono a nuove prospettive: Claudio Sartori, Carlo Bianchi, don Giovanni Barbareschi e gli altri de Il Ribelle e di OSCAR⁶. Poi l’avv. Luigi Meda e i popolari antifascisti. Quasi certamente Teresio Olivelli. A questi bisognerà aggiungere, in una posizione di rilievo, il duca Marcello Visconti di Modrone: vecchio amico, ora in veste di resistente⁷.

    Tra il ‘43 e il ‘45 l’esperienza di don Gnocchi ha due svolte radicali in larga misura connesse: la partecipazione alla Resistenza e l’inizio dell’opera a favore dei bambini orfani e mutilati di guerra. Prove di laicità, oltre che di apostolato, che segnano una rappresentazione moderna del prete, analoga (pur nelle diversità di profilo, naturalmente) a quella di tanti altri rinnovatori della Chiesa nel ‘900⁸.

    I sintomi di un disagio – di un bisogno di impegno esclusivo nella carità – sono già stati osservati. Ne tratteniamo due. Uno dalla lettera del 2 febbraio 1942 al card. Schuster (dopo il servizio in Albania) in cui chiede di partire per la Russia:

    Ora, dovete sapere eminenza, che in questi 17 anni di sacerdozio, io ho sempre sentito aumentare la tendenza e la vocazione a darmi alla carità, e sono sempre rimasto in attesa che il Signore me ne indicasse il campo pratico.

    In questo momento di guerra, mi pare che il campo sia quello della vita militare, come esercizio di carità. Volesse il Signore, dopo la maturazione della guerra, di farmi vedere più chiaro e di assegnarmi un posto di lavoro in questo settore prediletto dell’apostolato⁹.

    E un altro (molto noto), dalla lettera al cugino Mario Biassoni dal fronte russo, 17 settembre 1942:

    Caro e buon Mario, a te lo posso dire come ad un grande amico (e sei la prima persona a cui lo confesso così esplicitamente). Sogno dopo la guerra di potermi dedicare per sempre ad un’opera di Carità, quale che sia, o meglio quale Dio me la vorrà indicare. Desidero e prego dal Signore una cosa sola: servire per tutta la vita i Suoi poveri. Ecco la mia carriera¹⁰.

    Una ricerca di lungo periodo, dunque. Tra l’arrivo a Tarvisio con la tradotta dei superstiti della Russia (17 marzo 1943) e la Liberazione don Gnocchi maturerà una diversa lettura della storia in atto (cioè del Fascismo e della guerra). E soprattutto una migliore messa a fuoco di sé, della propria vocazione. Approderà perfino a un’autocritica durissima, con un esame di coscienza che assume in proprio responsabilità collettive; che non cerca attenuanti:

    Per questo, nei miei occhi e in quelli di Bruno che si sono improvvisamente incontrati, c’è lo stesso terrore e la stessa ribellione. Se non ci fosse nella corsia tutta quella gente estranea e indifferente potrei almeno buttargli le braccia al collo, piccolo martire innocente e chiedergli perdono di farlo tanto soffrire. Perché le sue lacrime e il suo sangue innocente mi accusano insopportabilmente. Quando noi si farneticava di spazi vitali e di supremazie di razza egli non chiedeva che di vivere e di giuocare un poco¹¹.

    Si diceva di Macherio (villa Belvedere) – e della Brianza – come spazio non solo fisico di questa ricerca. Non si tratta di un puro approdo di residenza (che peraltro don Gnocchi volle formalizzare), ma di un ancoraggio a una comunità di amici: la famiglia Visconti di Modrone con la famiglia dell’amico alpino Gino Schieppati; poi i numerosi carabinieri e oppositori accolti a villa Belvedere sotto la copertura di attività di servizio¹². Una comunità gestita sulla scorta di antiche consuetudini, che prevedevano ospitalità e comando, come segni distintivi.

    L’amicizia dei Visconti di Modrone si era già espressa nelle tante lettere della duchessa Xenia per don Gnocchi al fronte, sia in Albania che in Russia. A un certo punto Xenia aveva addirittura cercato di raggiungerlo in Russia con pacchi di materiali di soccorso¹³.

    Ora il duca Marcello, che è presidente della Croce Rossa provinciale, fa di tutto per aiutarlo a trovare spazio in un’opera di carità (l’aspirazione di sempre, che si è fatta scelta esclusiva). Ma un ulteriore obiettivo è certamente quello di metterlo al riparo da un rischio: che la RSI lo richiami in servizio.

    Perciò Visconti di Modrone lo nomina coordinatore di un’iniziativa di distribuzione di minestra ai poveri di Milano. Un progetto pensato in collaborazione tra la Croce Rossa Svizzera, la Croce Rossa Italiana e il card. Schuster; che non sarà mai realizzato per l’opposizione del capo della provincia Parini¹⁴.

    Solo più tardi (fine marzo 1944) arriverà per don Gnocchi una sistemazione utile (e questa dagli esiti imprevisti; se vogliamo, provvidenziali): quando sarà nominato direttore dell’Istituto Grandi Invalidi di Guerra di Arosio¹⁵. Al momento poco più di una copertura, quasi un ripiego; che non sembra di particolare interesse. Ma nel dopoguerra sarà il germe dell’opera a favore dei bambini orfani di guerra e mutilati.

    Anche qui appare decisiva l’iniziativa di Visconti di Modrone, che oltre a dirigere la Croce Rossa è amico fraterno di Aldo Borletti, presidente della fondazione proprietaria della casa di Arosio. La famiglia Borletti è pure in buoni rapporti con il capo della provincia di Como Scassellati (l’autore della nomina)¹⁶.

    In quel momento, del resto, don Gnocchi e Visconti di Modrone sono già a pieno titolo inseriti nella Resistenza, con cui collaborano anche alcuni membri della famiglia Borletti¹⁷.

    L’impegno resistenziale di don Gnocchi era iniziato come attività di soccorso, sollecitata dalle sofferenze della guerra e dagli orrori dell’occupazione tedesca.

    C’erano voluti parecchi mesi, dopo il ritorno in Italia, prima che potesse riprendersi. Era prostrato fisicamente e psicologicamente. Un suo allievo nel liceo Gonzaga sfollato a Como – ora illustre, il poeta Giampiero Neri – ricorda che aveva un’aria sofferente, seria; comunicava ai ragazzi un senso di partecipazione al dolore del tempo; non era espansivo, era una figura spirituale¹⁸.

    Fino al 2 luglio 1943 i soggiorni a Macherio erano stati solo occasionali: fra un periodo di contumacia a Udine, una visita al Gonzaga di Riva del Garda, il ritorno a Milano per la messa da redivivo (5 aprile 1943). Poi un richiamo per un nuovo controllo contumaciale a Bologna (15 aprile), con una ripresa di servizio al Quartier Generale della Tridentina (4 giugno); e ancora un ricovero in ospedale militare a Merano (26 giugno)¹⁹. Finalmente il 2 luglio ricevette una licenza di due mesi, in seguito rinnovata e chiusa con un congedo. Fu dunque un rientro travagliato: per le precarie condizioni di salute e per i ritmi della burocrazia militare.

    Dal 2 luglio don Gnocchi cominciò a soggiornare più stabilmente a Macherio presso i Visconti di Modrone. Anche se, ovviamente, le attività di direzione spirituale lo portavano spesso nelle sedi del Gonzaga di Milano, Costa Lambro, Erba e Como²⁰.

    Il primo impegno solidaristico, come è noto, fu la ricerca delle famiglie degli alpini suoi compagni nella tragedia di Russia, cui portare oggetti e notizie. Un farsi presente come memoria viva dei caduti e dei lontani. Attività in cui fu supportato dalla struttura operativa della Croce Rossa milanese, che gli mise a disposizione un’automobile²¹.

    Intanto la storia si era rimessa in movimento: con le sconfitte in guerra e la caduta di Mussolini nella seduta del Gran Consiglio del 25 luglio. Dopo l’8 settembre i nazifascisti occuparono il centro-nord, iniziando una dura repressione, che non risparmiava i civili impegnati nell’aiuto ai ricercati.

    La guerra ormai colpiva drammaticamente la gente comune. Milano era stata gravemente ferita dai bombardamenti del 24 ottobre 1942 e del 14/15 febbraio 1943. Interi quartieri civili, fabbriche, scali ferroviari erano stati devastati. Ancora più pesanti i bombardamenti dell’estate 1943, che avevano coinvolto circa metà delle abitazioni, con migliaia di vittime e innumerevoli famiglie rimaste senza nulla²².

    Dunque la Croce Rossa di Visconti di Modrone si trovò fortemente impegnata nei soccorsi e don Gnocchi fu inevitabilmente coinvolto in questa attività. L’iniziativa ricordata, quella della distribuzione della minestra ai poveri di Milano, ne è un esempio.

    A seguito dell’occupazione nazista la Croce Rossa dovette anche occuparsi degli aiuti ai militari internati in Germania: gli schiavi di Hitler. Quella fu l’occasione di un’amicizia e di una pericolosa solidarietà resistenziale; che legherà Visconti di Modrone (e da una posizione più defilata don Gnocchi) all’industriale farmaceutico Roberto Lepetit, antifascista e futuro martire ad Ebensee²³.

    La villa di Macherio, oltre che centro nevralgico di assistenza, diventò un approdo per molti ricercati – specialmente militari renitenti alla RSI – che vi si rifugiavano, e venivano aiutati a trovare sistemazione in vari modi.

    In quelle circostanze per Visconti di Modrone, fedele al legittimo governo di Brindisi, fu quasi inevitabile il passaggio da un impegno solidaristico ad una Resistenza esplicita e coordinata al CLN (CLNAI dal febbraio ‘44). Nello stesso contesto di lealtà e opportunità operative maturò la partecipazione resistenziale di don Gnocchi; che aveva il vantaggio di potersi muovere tra le varie sedi del Gonzaga (quella centrale di Milano, in via Vitruvio 41, e quelle sfollate in Brianza e a Como).

    Ma non bisogna dimenticare che i Visconti di Modrone avevano anche una villa–castello e una cappella–mausoleo a Cassago Brianza: le due residenze, di Macherio e Cassago Brianza, erano dislocate in posizioni strategiche per il movimento clandestino tra Milano, la Brianza e le prealpi lombarde.

    All’indomani dell’8 settembre la Brianza e il Lecchese furono zone di raccolta e insediamento delle prime bande partigiane (questo grazie alla vicinanza alla città). E furono il primo rifugio per molti perseguitati dal nazifascismo: ebrei, oppositori, prigionieri alleati in fuga, militari italiani desiderosi di sottrarsi all’internamento in Germania, ecc.

    Attraverso la Brianza e il Lecchese il Comitato Militare del CLN aveva individuato numerosi percorsi utili al trasferimento in Svizzera delle persone in pericolo (specie militari alleati); che venivano assistite da una rete di solidarietà ben organizzata²⁴. Gli stessi itinerari (ed altri, nel Varesotto) verranno praticati, in seguito, dai corrieri impegnati nei contatti con la delegazione in Svizzera del CLNAI e con i rappresentanti alleati.

    È in questo spazio ad ampio raggio che si mosse fin dall’inizio l’attività di soccorso di don Gnocchi, legata al gruppo Visconti di Modrone e sostenuta dagli amici che si attivarono nel Gonzaga (sopra tutti fratel Bertrando e fratel Albertino)²⁵.

    Intanto nella Milano cattolica nascevano – o si consolidavano – varie organizzazioni di solidarietà, in cui erano coinvolti i settori più dinamici dell’associazionismo e del clero. Abbiamo già accennato ad OSCAR, costituita presso il collegio arcivescovile S. Carlo (corso Magenta 71) per iniziativa di un gruppo di scout e di sacerdoti.

    A un essenziale rendiconto bisognerà aggiungere almeno l’istituto La casa, fondato nell’estate ‘43 da don Paolo Liggeri (in ambito Opera Cardinal Ferrari) per assistere la popolazione colpita dai bombardamenti; che si trasformò anch’esso, con l’occupazione nazifascista, in una struttura di soccorso ai ricercati²⁶.

    E soprattutto bisognerà segnalare un’associazione ingiustamente sottovalutata: La carità dell’arcivescovo, costituita il 18 gennaio 1944 presso la sede dell’Azione Cattolica di via S. Tommaso 4 da Carlo Bianchi (presidente della FUCI clandestina milanese) e don Andrea Ghetti, già impegnati in OSCAR. Suo compito era fornire assistenza medica, legale, economica, scolastica, culturale ai bisognosi. Ma in effetti si trattava di una copertura legale di attività antifasciste, che comprendevano il sostegno a OSCAR, a Il Ribelle di Teresio Olivelli e alle Fiamme Verdi del generale Luigi Masini (partigiani di derivazione alpina e di ispirazione cattolica, operanti soprattutto sulle montagne lombarde)²⁷.

    Don Gnocchi collaborò con queste organizzazioni della Resistenza solidale, svolgendo un ruolo di raccordo tra la città e il suo entroterra²⁸. Ma la sua coscienza civile lo porterà anche a impegnarsi laicamente su un piano politico: di relazione con il CLNAI e gli Alleati, nella prospettiva di un ordine – ora davvero – nuovo e più cristiano²⁹.

    Sono scelte radicali, non di semplice assenza alla chiamata della RSI, per un cappellano che si era fatto compagno dei soldati costretti alla guerra fascista. Converrà focalizzare lo sguardo sul dolore della memoria, coltivata da don Gnocchi come adempimento, dopo il ritorno, in quei mesi.

    Da quella meditazione gli viene l’urgenza di proclamare l’amore unica verità della storia. E lo fa con emozione in una conferenza su don Orione, tenuta il 7 marzo 1944; che è anche un autodafé, riepilogo e definizione conclusiva del proprio progetto di vita:

    Come hanno perduto di significato tante parole, tanti fatti, tanti nomi; quanti fatti hanno travolto i fatti in questi quattro anni; quanti uomini sono tramontati, quante istituzioni sono decadute, quante idee sono state rinunciate!

    Invece don Orione in questi quattro anni è andato sempre crescendo [...] La carità sua è andata sempre aumentando; sempre più la carità sua come la carità in genere non è andata perduta; come voi potete ben constatare perché don Orione fa parte del messaggio che Dio ha voluto mandare al nostro tempo, il messaggio che è la predicazione della carità.

    Ha detto il S. Padre che quello che vediamo succedersi nel mondo è la tragica apologia del Vangelo. Se questa è la predicazione degli avvenimenti, don Orione è stato mandato da Dio a suo tempo appositamente ad affermare il valore della carità, per richiamarlo sulla strada della verità [...]

    Si è salvata una sola cosa in tutto questo sfacelo: la carità; anzi, la nostalgia della carità è diventata più profonda, ché soltanto la carità può salvarci e può darci anche la prosperità umana; abbiamo raccolto tanti beni terreni ma non sono rimasti, sono andati infranti tutti, le nostre superbe costruzioni sono andate distrutte³⁰.

    La storia ha sbagliato. La predicazione degli avvenimenti, invece, accredita la verità dell’insegnamento di don Orione.

    In quello stesso mese di marzo don Gnocchi accettava l’incarico di cappellano presso la casa di Arosio dell’Opera Nazionale Invalidi di Guerra (il germe della futura opera di carità).

    Il 5 marzo (due giorni prima della conferenza) veniva stampato a Milano il primo numero de Il Ribelle, giornale delle Fiamme Verdi.

    I successivi saranno pensati e scritti da Teresio Olivelli e Claudio Sartori in una cucina di via Vitruvio 42: non lontano dall’abitazione milanese di don Gnocchi (via Vitruvio 35) e dalla sede dell’istituto Gonzaga (via Vitruvio 41)³¹. Contiguità suggestive.

    1 Eugenio Corti, Il cavallo rosso, Ares, Milano 1983, p. 908: Torcendo il collo e premendo un po’ la fronte contro il vetro, il giovane poté vedere, anche, appesa a un muro, la gabbietta del canarino, il quale all’incontrare il suo sguardo si animò tutto, e cominciò a dimenarsi e a saltellare. ‘Ogni cosa è a posto, c’è anche il canarino, non ci sono problemi’ respirò il giovane. Uno dei passi più poetici del romanzo, che richiama un episodio dell’Odissea. Don Gnocchi e Corti erano stati concittadini a Besana; poi furono molto amici: ambedue avevano partecipato alla guerra di Russia.

    2 Testimonianza all’autore (di seguito TAA) di Marina Doria Visconti di Modrone, 25 gennaio 2011. La famiglia del duca Marcello Visconti di Modrone, già podestà di Milano, era sfollata nella villa Belvedere a Macherio dopo i bombardamenti dell’ottobre ‘42.

    3 Clementina Pasta. Sul giovane don Gnocchi: Tommaso Tornaghi, Il giovane don Gnocchi, Ed. GR, Besana Brianza 2006.

    4 Sulla religiosità popolare in Brianza si veda (oltre allo studio cit. di T. Tornaghi, pp. 36-39) il testo

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