L'Aliena
By C. A. Brera
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Riviera Ligure, giugno 2014: Le sorelle Marzia e Camilla sono decise a risolvere, con ogni mezzo, una questione che da troppo tempo avvelena la famiglia Rossomandi. Il "problema" ha un nome: Amelia o, più precisamente, l' Aliena.
Ma la donna è una spina nel fianco non soltanto per i Rossomandi...
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L'Aliena - C. A. Brera
-
- I -
-Funzionerà?- domandò Camilla alla sorella.
-Deve funzionare, tutto dipende da questo.- Rispose Marzia.
-Ma riusciremo a evitare ripercussioni sui ragazzi?-
-Stai tranquilla, non ci saranno conseguenze per loro. I ragazzi ne sono fuori e non sapranno mai.-
-Se nostro papà…- Camilla lasciò la frase in sospeso.
-Se ci fosse stato nostro padre, lei non sarebbe esistita. Non nella nostra famiglia.- Terminò Marzia.
Non c’era altro da aggiungere, per il momento.
Amelia guidava con sicurezza sulla Milano-Genova. Conosceva bene quella strada e l’automobile su cui viaggiava le consentiva una buona dose di spavalderia, almeno così credeva.
Amelia non era mai stata bella nel senso stretto del termine, neppure da giovane. Adesso, avvicinandosi alla cinquantina, era appesantita e sformata. Tuttavia, qualcosa nel suo aspetto e nei modi riusciva ancora ad attrarre certi uomini, o a creare repulsione in altri.
Era sempre riuscita a mantenere il controllo, nonostante le difficoltà e gli insuccessi. Aveva saputo risalire la china più di una volta, manipolando le persone, sfruttando al meglio le situazioni e volgendole a proprio favore. Era brava in questo -altroché se lo era- e non sapeva fare altro nella vita. Andava fiera della sua abilità, aveva toccato spesso il fondo ma era risorta più forte di prima: come una dannata araba fenice
, così le piaceva immaginare se stessa. Amelia era incline alla mitomania.
In realtà Amelia era pazza. Non come si usa bonariamente dire di una persona fuori dagli schemi: era disturbata, anaffettiva, priva di coscienza.
Curva dopo curva, ripensava alla lettera ricevuta da quella stupida di sua cognata Camilla. Erano più di vent’anni che lei, Amelia Suriano, moglie di Giorgio Rossomandi, teneva in pugno la famiglia del marito. Ma soltanto adesso la vecchia Camilla si degnava di accorgersene. E chissà che smacco per Marzia! La terribile Marzia, una megera. Quanto l’aveva odiata e quanto l’odiava ancora. Quella donna si reputava una guida per i Rossomandi. Un ruolo assunto senza che qualcuno gliel’avesse mai chiesto o ne avesse sentito il bisogno. La sorella maggiore di Giorgio, fin dal primo incontro, le aveva dimostrato tutto il suo disprezzo. Mentre Camilla si era limitata a comportarsi in maniera fredda e distante, Marzia era andata oltre: le aveva dichiarato guerra aperta.
-Invidia e gelosia.- Disse Amelia ad alta voce. Utilizzava spesso queste due parole, le ripeteva come un mantra.
Amelia si considerava al di sopra delle regole e talvolta anche delle leggi. Godeva nel creare scompiglio e sofferenza. Calcolatrice e vendicativa, provava gusto nel punire e perseguitare chiunque le si opponesse. L’ipotesi di avere una minima responsabilità nel suscitare sentimenti negativi nell’animo altrui non l’era mai balenata per l’anticamera del cervello.
Con autocompiacimento ricordò quanto facile fosse stato conquistare Giorgio, il fratello di Marzia e Camilla. Lo aveva allontanato da quell’orribile famiglia. Poi si era impossessata di cose, posti, situazioni. Ciò che i Rossomandi consideravano proprio, per diritto di nascita, era diventato suo. Pezzo dopo pezzo.
Ormai aveva raggiunto la Serravalle: il paesaggio si stringeva attorno alla strada e le curve aumentavano. Amelia superò un camion ed entrò nella galleria scavata nella montagna. Tra non molto, alla sua destra, sarebbe sbucato il mare. Era quasi arrivata.
Non avevano potuto fermarla e ora lei aveva vinto, o quasi. Pensò Amelia provando frustrazione riguardo a quel quasi
. Una sensazione d’inadeguatezza talvolta l’assaliva e la riempiva di rabbia.
Ripercorse con la mente la situazione: suo marito Giorgio era vecchio e malconcio e, presto o tardi, lei avrebbe ereditato. E suo figlio? Era riuscita a farlo accettare a Giorgio come fosse stato suo, ma l’adozione non era stata possibile poiché il padre naturale del ragazzino s’era opposto in maniera categorica. Quanto al testamento, Giorgio era sempre stato evasivo. Amelia temeva che il marito avesse destinato una grossa fetta alle sorelle e ai nipoti. Soltanto l’adozione di suo figlio le avrebbe garantito l’accesso all’intero patrimonio.
In fondo però Elia, l’uomo da cui aveva avuto il bambino, era molto ricco e non si trattava certo di un caso. Lei sapeva scegliere e aveva messo al mondo quel ragazzino perché servisse a qualcosa. Un domani suo figlio avrebbe ereditato da Elia e lei da Giorgio.
Tuttavia, c’era un altro tassello che non riusciva ad andare al proprio posto. Una questione in sospeso che, giorno dopo giorno, diventava sempre più urgente... e lei non aveva ancora una soluzione. Non soltanto i soldi le interessavano, Amelia voleva il nome. Per sé stessa lo aveva ottenuto, facendosi sposare, ma il bambino non poteva portare il cognome Rossomandi. Che beffa sarebbe stata per quella maledetta gente se a proseguirne il nome fosse stato suo figlio, senza nemmeno una goccia del loro sangue!
Fatta eccezione per questo particolare, aveva vinto. Persino Camilla lo stava ammettendo e, tra non molto, Marzia avrebbe fatto altrettanto.
Attraversò il casello di Sestri Levante.
Al Grand Hotel Palazzo Fieschi, Camilla aspettava seduta. Aveva scelto un tavolino al bar esterno, dal quale si poteva scorgere il cancello d’ingresso.
L’hotel era una villa del Seicento, la cui facciata conservava il tipico stile ligure. I turisti erano affascinati dall’aspetto un po’ decadente del posto: l’imponente scalinata in marmo nella hall, i grandi camini d’epoca e lo splendido giardino evocavano la grandezza perduta. La cancellata, sorvegliata da due pesanti leoni in pietra, conduceva a un parcheggio circondato da pini marittimi e oleandri profumati.
Amelia sarebbe arrivata in macchina. Perciò, da quella postazione, Camilla avrebbe potuto vederla entrare. Doveva prepararsi mentalmente all’incontro.
Il Gin&Tonic, ordinato da quasi venti minuti, restava intatto sul tavolino insieme ai bocconcini di focaccia e ai quadrati di torta di riso e bietole. Era tesa, avrebbe interpretato bene la parte? C’era in gioco la sua famiglia, doveva concentrarsi.
Amelia scese dall’auto sbattendo con forza la portiera. Un dipendente di Palazzo Fieschi le si avvicinò.
-La signora ha una prenotazione?-
-No, sono ospite-. Rispose con sgradevole sicurezza.
Si diresse verso la villa, attraversò il giardino ed entrò. Lanciò un’occhiata ai vari salottini e proseguì a testa alta verso la reception.
-Camilla Rossomandi mi aspetta.-
-L’avviso subito, chi devo annunciare signora?- Chiese la receptionist con molta gentilezza.
-Amelia Rossomandi.-
La ragazza compose il numero della stanza e attese in linea.
-Non risponde, mi spiace, ma la chiave non è stata consegnata quindi la signora deve trovarsi ancora in hotel, magari al bar o nel parco. Serviamo l’aperitivo anche in piscina.-
Amelia si voltò e, incurante della persona che le stava ancora parlando affabilmente, si diresse verso il bar, in un fruscio di vesti. Indossava un sari indiano di seta arancione, con ricami fatti a mano. Calzava sandali bassi color bronzo, sottili e intrecciati, di ottima fattura. Amava vestire in maniera costosa ma alternativa. "Alla