Il figlio del falco
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Book preview
Il figlio del falco - Diego Del Vescovo
Diego Del Vescovo
Il Figlio del Falco
Cavinato Editore International
© Copyright 2016 Cavinato Editore International
ISBN: 978-88-6982-315-2
I edizione 2016
Tutti i diritti letterari e artistici sono riservati. I diritti di traduzione, di mem-orizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi
© Cavinato Editore International
Vicolo dell’Inganno, 8 - 25122 Brescia - Italy
Q +39 030 2053593
Fax +39 030 2053493
cavinatoeditore@hotmail.com
info@cavinatoeditore.com
www.cavinatoeditore.com
Illustrazione in copertina di S. Morris
Realizzazione ebook a cura di Simone Pifferi
Indice
Introduzione
Prologo
Capitolo I
Capitolo II
Capitolo III
Capitolo IV
Capitolo V
Capitolo VI
Capitolo VII
Capitolo VIII
Epilogo
Ringraziamenti
Introduzione
a cura della Dott.ssa Paola Staccone
Il figlio del falco
,come tutte le opere di buon valore letterario,è molti elementi insieme: una narrazione spigliata e ben ritmata,capace di dischiudersi disinvoltamente in suggestive plaghe descrittive ed in delicati quadri lirici; un cammino spirituale ancor prima che reale, che dal topico spunto del viaggio amplia i propri orizzonti in un itinerario dagli spunti ecologisti e dagli esiti salvifici;una proiezione onirica dal sapore vagamente kafkiano che sfocia nel finale in potenti sbocchi visionari;una felice rimetabolizzazione di un immaginario a tratti infantile,in cui esili figure fumettistiche di samurai si vestono di un’indiscutibile tridimensionalità letteraria,come efficaci attori che,pur mostrando un’adeguata profondità psicologica,si lanciano tuttavia con plastica agilità nella lotta tra il bene e il male dispiegata in una tangibile aura di leggenda,senza semplicismi e senza ovvietà,bensì nell’efficace intreccio delle storie personali dei protagonisti e nel compiersi inesorabile del loro destino. Il clima fabulistico dalle tinte ora delicate,ora drammaticamente accese,si materializza fin dalle prime pagine e si addensa efficacemente attorno al lettore,trasportandolo ben presto in un mondo lontano nel tempo e nello spazio,nel rigido microcosmo del samurai,in una puntuale ricostruzione della loro aspra disciplina,del loro micidiale armamento e della stratificazione sociale che strutturava la loro vita. Una lettura quindi,non solo consigliata,ma soprattutto godibile ed avvincente,capace di quella creazione di mondi a volte più profondi e vibranti del nostro mondo reale,un libro sostanziato da quell’alchimia impareggiabile che fonde la bravura tecnica e la sincerità spirituale che sempre sono alla base della vera letteratura;alchimia alla quale quest’opera,in sua lode,non fa eccezione.
Prologo
Novembre 2011
Forse è il vento che sibila attraverso le vecchie imposte sbilenche o la pioggia che ticchetta incessantemente sui cardini delle persiane sbilenche;oppure i fulmini che,illuminando mobili polverosi e vecchi ritratti di famiglia ingialliti con bagliori spettrali nell’ apoteosi di una tempesta autunnale, portano la mia mente a rivivere ricordi e sensazioni strenuamente in lotta con il mio subconscio,arresosi nel vano tentativo di rimuoverli. Ma ciò che più mi induce a scrivere queste pagine caotiche sono le fotografie scattate durante il viaggio intrapreso in Giappone. Sono da sempre un appassionato fotografo anche se,a causa del mio scarso tempo libero,non mi applico con costanza in quest’arte così affascinante. Non amo la fotografia digitale perché ritengo che l’artificio della tecnologia,applicato all’arte di fermare il tempo un istante di vita,ne snaturi l’essenza,e che l’uso massiccio di programmi di ritocco renda un’idea di falsità a tutto ciò che si vuole rappresentare. Ci fa trovare ad ammirare persone mediamente bellissime,senza rughe e difetti,oppure paesaggi paragonabili al Giardino dell’Eden. Ci si vuole sentire tutti personaggi da copertina che frequentano luoghi da sogno. Io invece amo rappresentare la vita nel suo contesto reale,in tutta la sua naturalità,senza aiuti tecnologici. Perciò,il giorno prima della nostra partenza per il Paese del Sol Levante,riposi accuratamente la mia fidata Zenit ET ed una dozzina di rullini da 36 pose in un recondito scomparto della mia valigia perché,se l’avessi portata a tracolla come desideravo,sarei sarei stato deriso dai miei amici amanti del digitale fino alla fine dei secoli. Mentre sistemavo gli indumenti ripensavo alla serata trascorsa nella solita trattoria in cui il nostro gruppo si intratteneva a cena dopo la lezione del venerdì. Era l’inizio di febbraio,periodo in cui il freddo umido e pungente delle colline ciociare induce a stappare qualche bottiglia di rosso in più per riscaldare gli animi. Nel contemplare le nostre vivande arrostire lentamente sulle braci di un allegro camino scoppiettante le nostre menti vagavano in mondi immaginari popolati da mostruosi esseri sovrannaturali,geisha di bellezza inenarrabile e indomiti guerrieri: i famosi bushi, che quotidianamente ingaggiavano epiche lotte,ora contro malvagi Shõgun¹, ora contro terrificanti demoni scaturiti dall’inferno.
Il nostro Maestro Luigi,con un sorriso di finta disapprovazione, sentenziò: «Penso che abbiate visto troppi cartoni animati giapponesi da piccoli e il rosso
della casa forse è un po’ più forte del solito!».
«Vabbè Maestro…» replicò Attilio che dopo la seconda bottiglia si era trasformato in un imbattibile ninja«Lasciaci immaginare che possano esistere questi mondi. In fondo un po’ di fantasia cosa costa? E non sarebbe stupendo organizzare un bel viaggio tutti insieme per visitare il monte Kurama² e praticare dove si esercitava ÕSensei³? Sono anni che ci dedichiamo all’Aikido seguendo i principi dei samurai quindi immergersi in quella magica atmosfera sarebbe la realizzazione di un sogno … Siete d’accordo con me ragazzi?» domandò poi entusiasta rivolgendosi a noi.
Fummo abbastanza colpiti da quell’invito. Il nostro buon amico aveva espresso esattamente l’intento che tutti avevamo nell’animo ma che non avevamo mai palesato,forse per timore di qualche rifiuto,o a causa delle solite incombenze che ci avevano sempre impedito di trascorrere qualche giorno in quei luoghi mitici … Quella sera però,complice forse il buon vino,ci trovammo tutti armoniosamente d’accordo nell’intenzione di intraprendere quel viaggio nel Paese dei bushi. Quindi incaricammo Pierfrancesco,il nostro viaggiatore professionista,e la nostra professoressa Viviana di organizzare tutto nei minimi dettagli. Seguendo le loro indicazioni decidemmo di partire in Agosto,periodo in cui eravamo tutti liberi da impegni lavorativi,e in cui il Giappone non è ancora bagnato dalle piogge monsoniche che avrebbero reso meno gradevole la nostra vacanza-studio. Eravamo talmente entusiasti che mettemmo al corrente del mitico viaggio che stavamo per intraprendere più o meno tutte le nostre conoscenze,sia dirette che virtuali,fino a quando la vicenda di Fukushima spense tutta la nostra euforia e ci fece piombare in uno stato di tristezza infinita. Per noi,ambientalisti e antinuclearisti convinti,vedere la nazione che tanto amiamo ed ammiriamo cadere in ginocchio a causa di una tecnologia che l’umanità potrebbe tranquillamente riporre nei musei,significò un cordoglio smisurato;dapprima ritenemmo ripugnante il proposito di soggiornarvi per svago,e fummo sul punto di abbandonare il progetto. Poi vedere quelle persone scavare tra le macerie lasciate dallo tsunami,tecnici lavorare con abnegazione esponendosi alle radiazioni della centrale,insieme a gruppi di anziani che avevano deciso di sacrificare le proprie vite per il bene del loro Paese,ci commosse a tal punto che alla fine decidemmo solo di spostare la data della partenza in Ottobre.
Così,in un soleggiato mattino d’autunno,un Boeing 767 della nostra compagnia di bandiera ci trasportò comodamente fino all’aeroporto di Tokyo.Nonostante fossimo tutti un po’ storditi dal fuso orario,dopo aver sistemato i bagagli in un albergo vicino alla stazione ferroviaria,decidemmo di andare in giro nella sfavillante città che da sempre avevamo in animo di conoscere. Ci impressionò positivamente la cortesia dei suoi abitanti e l’atavica dignità con cui affrontavano quel terribile periodo. I passanti che incontravamo si prodigavano con tutta la loro affabilità orientale per aiutare il nostro gruppo (che,ad eccezione di Viviana,aveva a diposizione solo la risorsa di uno sbiadito inglese scolastico) a districarsi nell’immenso dedalo di strade che attraversano la megalopoli asiatica. Fu solo grazie alle loro preziose indicazioni che in mezza giornata riuscimmo a vedere il Ponte dell’Arcobaleno,la sede del Governo,la famosissima Tokyo Tower e naturalmente l’Hombu Dõjõ,punto di riferimento per tutti gli aikidoka del mondo. Fummo molto colpiti anche dalla pulizia e dalla cura con cui era tenuta l’antica Edo:sintomo dell’elevato grado di civiltà raggiunto da un popolo che,sebbene pratichi ancora la deplorevole caccia a balene e squali e stermini,per pura superstizione,migliaia di delfini,sarebbe comunque da prendere in considerazione come modello di integrazione e organizzazione per le nostre città,sempre più invase da rifiuti e da quel senso di inciviltà facente ormai parte del nostro italico patrimonio genetico. Mentre consideravamo tra noi tutto ciò,non potemmo fare a meno di pensare a come il nostro popolo,che tanta cultura ha donato all’Umanità,abbia perso il contatto con la Natura e a quanto sia regredito,specialmente dal punto di vista dei valori civili e spirituali. Forse per questo eravamo giunti nel Paese del Sol Levante:per il bisogno di credere in ideali puri e incorruttibili e,consciamente o meno,di prenderli a modello di vita e di comportamento affinché ci aiutino a superare i nostri limiti e le nostre difficoltà. Nella società industrializzata,ormai,ogni antico e nuovo mito è stato fagocitato e corrotto da un consumismo sempre più sfrenato,figlio di un capitalismo selvaggio che,giunto alla fine del suo ciclo vitale,come un mostro inesorabilmente ferito a morte,sferra i suoi ultimi colpi di coda tentando di trasformarci in trogloditi postatomici completamente asserviti ai vacui valore del potere e del dio denaro. Chi pratica arti marziali è in genere poco avvezzo ad essere inglobato in questo diabolico meccanismo perché,lungi dall’essere un platonico bipede implume,egli è proclive ad incarnare in se gli ideali propri degli antichi monaci guerrieri Shaolin o dei Samurai (che tradotto letteralmente significa colui che serve
). La lealtà,il coraggio,lo sprezzo della propria vita,l’onore in battaglia e la pietà verso i più deboli trasformano questi combattenti (paragonabili ai nostri legionari romani) in miti indissolubili per tutti coloro che si avvicinano a queste discipline. Dentro,e soprattutto fuori del dõjõ⁴,il praticante è alla continua ricerca della perfezione fisica e spirituale che solo le arti marziali sanno sapientemente donare. Si può ben comprendere,quindi,il nostro entusiasmo nel passeggiare in quei luoghi un tempo frequentati da personaggi così straordinari. Come proiettati in un’altra dimensione spazio-temporale provavamo le stesse sensazioni dei turisti provenienti da tutto il mondo i quali,vagando