Strange Activity - Ep 4 di 4
By Fabrizio Cadili and Marina Lo Castro
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Strange Activity - Ep 4 di 4 - Fabrizio Cadili
Strange Activity
Regina
Episodio 4
Prologo
Le notti di inizio settembre sono sempre le più calde della stagione, e con le serate calde vengono fuori anche le persone svalvolate, ripeteva Gino a sua moglie Lina. Lei rispondeva con uno scocciato Sì, caro, gli metteva in mano il guinzaglio di Ugo e apriva la porta a entrambi.
Quella sera, malgrado l’afa, non aveva fatto differenza.
L’uomo guardò Ugo, il simil beagle di dieci anni che da sei abitava con loro.
«Prendete un cane, vi terrà compagnia!» era stato l’invito di Loredana, la loro secondogenita, volontaria di un’associazione animalista di cui Gino non ricordava il nome. «Per gli anziani non c’è niente di meglio che averne uno in casa».
Quel giorno di sei anni prima Gino aveva realizzato di essere vecchio. Era stato come se i suoi settantuno anni gli fossero caduti sulla schiena tutti in una volta. D’improvviso si era accorto del ginocchio che lo costringeva ad alzarsi lentamente, delle mani che dolevano per l’artrite, al fatto che leggere il giornale fosse divenuto impossibile senza occhiali e che sentire il telefono diventasse ogni giorno più difficile.
Alla rivelazione, sua moglie aveva invece reagito in maniera pragmatica. «L’importante è restare giovani dentro» ricordava avesse detto con un sorriso rassegnato.
Gino però non era molto d’accordo. I migliori anni della sua vita li aveva trascorsi seduto dietro una scrivania comunale a firmare scartoffie. Pochi viaggi, nessuna amante, niente follie, poche avventure da raccontare ai due nipoti, che si apprestavano a diventare tre.
Una vita piatta e scolorita, proprio come il cartone da imballaggio che Ugo stava annusando.
«Allora, hai finito?» Diede un leggero strattone al guinzaglio. «Siamo usciti per far pipì, non per annusare ogni cosa buttata a terra».
Ugo lo guardò con gli occhi appannati dalla cataratta. Ogni anno le loro età si avvicinavano sempre più. Di questo passo a breve mi supererà anche, pensò Gino.
«Dai, torniamo a casa che con ꞌsto caldo in giro ci sono solo svalvolati».
Il cane uggiolò e riprese il cammino. Almeno lui gli dava retta.
«La gente dà di matto perché il liquido dentro la testa si riscalda e manda in ebollizione il cervello» insistette Gino. Con Lina non era mai riuscito a completare il discorso.
E comunque non lo diceva tanto per dire. Una volta, a fine agosto forse di dieci o venti anni prima – ormai il passato aveva un’unica collocazione temporale: prima che fossi vecchio – mentre tornava a casa in auto, aveva incrociato due barboni che si prendevano a bottigliate. E in un’altra occasione – era appena sposino, quindi dovevano essere trascorsi almeno quarant’anni – in una notte afosa di luna piena, dal balcone aveva addirittura visto passare un gruppo di ragazzotti che correvano come animali e ululavano con il muso rivolto al cielo.
Svalvolati, appunto.
Lina rideva ogni volta che le raccontava quest’ultima storia, dicendogli che doveva essere stata un’allucinazione dovuta ai piattoni di peperonata che, quando lo stomaco ancora glielo permetteva, Gino amava mangiare la sera.
Ma lui ricordava bene entrambi gli episodi, e nulla al mondo l’avrebbe convinto che le notti di fine estate fossero sicure. No, no. Proprio come le lumache strisciavano fuori dopo la pioggia, gli svalvolati davano il peggio di loro con il caldo umido.
Immerso in quei pensieri, arrivò davanti a un palazzone antico con la facciata, crepata e sporca di smog. Il cane annusò prima l’aria, poi il palo della segnaletica stradale. Gli girò intorno un paio di volte prima di decidersi a sollevare la zampa.
D’improvviso il portone del palazzo da ristrutturare si spalancò. Gino si aspettava ne schizzasse fuori una banda di ragazzini scalmanati. Strabuzzò gli occhi quando invece vide uscire una ragazza in reggiseno e mutandine. Come in uno degli sketch di Benny Hill, un attimo dopo venne fuori un’altra giovane, vestita – o meglio, svestita – con shorts e canottiera. Quest’ultima stringeva in mano una spada ricurva, del tipo orientale da samurai, con la lama sporca di scuro. Entrambe le giovani ansimavano e si guardavano intorno spaventate.
Quella armata chiuse il portone.
«Al garage! Vieni, prendiamo la