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Non ne ho la minima idea
Non ne ho la minima idea
Non ne ho la minima idea
Ebook256 pages1 hour

Non ne ho la minima idea

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Buongiorno, mi chiamo Anita Giunchi e sono il personaggio pseudo autobiografico di questo romanzo pseudo autobiografico. Più pseudo però, me l’hanno giurato. Ho fatto un corso per diventare così che è durato 4 martedì e 1 mercoledì ma siccome delle volte, io le cose non le capisco, mi sa che delle cose, non le ho capite.
Si parla di intestardimenti in questo romanzo qui e poi si parla di due scritte sullo stesso muro. Però dopo, il racconto della storia, vuole essere un certo provare di capire il perché sono sempre quelli buoni che muoiono prima che tanto poi dopo, moriamo anche tutti noialtri.
Avrei finito grazie. Buongiorno.
LanguageItaliano
Release dateMay 23, 2016
ISBN9788899091767
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    Non ne ho la minima idea - Francesca Massaroli

    Bregovic

    Un buon lavoro

    0.

    Questa è la storia di molti fallimenti ma anche, di molti altri fallimenti.

    Però non fa neanche ridere.

    Infatti gliel’ho detto a Emilio, Emilio senti gli ho detto guarda che non gliene frega mica niente a nessuno di quello che devo dire io gli ho detto.

    Fregatene mi ha detto Emilio.

    E non lo so però Emilio, ha un modo di dire le cose quando le dice, che a me, mi viene solo da dirgli Sono d’accordo con te Emilio, quando sono lì che lo ascolto.

    Emilio si chiama Emilio Gatti e lui, scrive dei libri.

    E viene fuori un po' più avanti nella storia Emilio perché adesso io, voglio raccontarvela dall’inizio questa storia.

    Perché devo andare in fila a raccontarle, le cose che succedono, e faccio sempre una fatica a capirle le cose quando succedono che anche dopo, quando sono successe, faccio fatica lo stesso, ma questo, direi che non c’entra.

    E adesso sono qui che non riesco a dormire e devo fare mattina. Perché sono stata convocata domani mattina, mi hanno telefonato oggi per convocarmi. Mi hanno telefonato in un momento, che non era mica un bel momento quello, per me, e infatti non sapevo neanche che cosa rispondere.

    Allora ho detto solo Va bene domani vengo. Ma solo così, per non essere maleducata ecco.

    E allora niente, io sono qui che non riesco a dormire.

    E voi siete lì, se siete ancora lì.

    Allora io, intanto incomincio.

    1.

    C’è stato un periodo, che quando mi alzavo dal letto la mattina, a me mi veniva da andare a dare delle testate contro il muro, però forte.

    Invece andavo in bagno, facevo la pipì, tiravo l’acqua e poi mi mettevo davanti allo specchio che c’è sopra al mio lavandino. Prendevo un Cotton Fioc e me lo infilavo nell’orecchio sinistro, prendevo un altro Cotton Fioc e me lo infilavo nell’orecchio destro e poi stavo lì, a guardare la mia faccia che mi guardava dallo specchio, con ‘sti due Cotton Fioc infilati nelle orecchie e allora le dicevo:

    Ce La Puoi Fare Anita

    Ce La Puoi Fare Anita

    Ce La Puoi Fare Anita

    E dicevo così, per far finta di potercela fare.

    Però dopo, facevo la doccia.

    2.

    Era un periodo quello, che non stavo bene, avevo l’ansia, me lo dicevano tutti.

    Non stai bene, hai l’ansia, si vede da fuori mi dicevano tutti.

    Ti devi curare mi dicevano, Non stai bene, hai l’ansia, si vede da fuori mi dicevano.

    Io però, non ero d’accordo con tutti.

    Intanto perché in quel periodo, a Ravenna, che poi è questo posto qua dove sto io, era venuta su una profonda crisi e allora io, i soldi per curarmi non ce li avevo.

    E poi perché, mi veniva da chiedergli a tutti, Ma da fuori dove? Però, non glielo chiedevo.

    3.

    In quel periodo facevo un lavoro che per essere un buon lavoro, era un buon lavoro, lavoravo da un notaio. Da una notaia a voler essere precise.

    Dobbiamo essere precise e la dobbiamo chiamare Notaia mi ha detto la capo-ufficio Saltini Mirella il primo giorno che mi sono presentata in via Pier Traversari n.11.

    Quel giorno mi è venuta ad aprire la porta una donnina con la faccia grigia e i capelli grigi scolpiti sulla testa che teneva in braccio un mucchio di fogli sparpagliati.

    Quando mi ha vista, è rimasta ferma impalata in mezzo alla porta. Senza dire niente e mi guardava.

    Aveva ‘sti fogli in braccio e ‘sto grigio in faccia che non era mica la barba eh, era la pelle. E stava lì. E non diceva niente.

    Ché se devo dirvi proprio la verità, a me mi hanno anche insegnato che si saluta però non volevo partire prepotente e allora ho detto solo, Buongiorno. Però l’ho detto pianino. Quando io ho detto così, la donnina ha stretto le sue palpebre e con ‘ste fessure di occhi che mi fissavano, ha detto: Buongiorno. Sono Saltini Mirella e io qui, sono la Capo-Ufficio e ha richiuso la bocca, ma le fessure dei suoi occhi sono rimaste fisse su di me.

    Io ero lì, fuori dalla porta che non sapevo dove guardare e devo dire che cominciava a venirmi su anche da ridere.

    So chi sei e voglio spiegarti come funziona questo ufficio ha ricominciato a dire. Intanto entra, ha detto e ha spostato il suo corpo piccolo, dal mezzo della porta ma i suoi occhi fissi, li ha tenuti su di me e allora intanto, io sono entrata.

    Tu adesso mi ha detto sei solo del sottobosco qui dentro, ma se ti impegni e poi continui a impegnarti, potrai diventare un albero alto, così alto da poter vedere il sole della Nostra Notaia anche tu, esattamente come facciamo noialtre mi ha detto Tieni, fotocopia questi fascicoli esattamente come sono, fronte-retro non rilegati perché io adesso, devo andare di là Mi ha messo in braccio quei fogli fronte-retro non rilegati e poi lei, è andata di là.

    Io sono rimasta lì da sola, con quei fogli in braccio, impalata che sembravo un ciù, e mi sono accorta che lì dentro, a parte il fatto che avevo ancora la giacca addosso che, va bene, poi me la sono anche cavata e a parte il fatto che di diventare un albero non ci avevo mai pensato prima ma magari, prima o poi, ci si può fare un pensiero, però io, mi sono accorta che lì dentro, di aria, non ce n’era mica più.

    Era finita tutta l’aria lì dentro.

    Allora ho appoggiato i fogli che avevo in braccio, sulla sedia gialla che era vicino alla porta d’ingresso e poi ho aperto la finestra che c’era sopra la sedia gialla e mi sono messa a respirare. Però l’aria, faceva fatica lo stesso a entrare.

    Alla fine niente, ho incominciato a fotocopiare quei fogli fronte-retro non rilegati, anche senz’aria. La fotocopiatrice, era già accesa.

    4.

    Io quando mi alzavo dal letto la mattina che dovevo andare a lavorare dalla notaia, a me mi veniva da andare a dare delle testate contro il muro.

    5.

    Ce La Puoi Fare Anita

    Ce La Puoi Fare Anita

    Ce La Puoi Fare Anita

    6.

    Nello studio della notaia eravamo tutte donne. E ognuna aveva dei compiti precisi. Io, nello studio della notaia, dovevo fare le fotocopie. Però si chiamavano formalità post-stipula, le fotocopie nello studio della notaia.

    E poi dovevo andare in giro per Ravenna a presentarle negli uffici pubblici, le formalità post-stipula.

    I miei compiti precisi me li avevano insegnati, a turno, le altre impiegate.

    Che erano tre. Quattro con me.

    Non c’era mica una foresta sotto quel sole lì, mi era venuto da pensare.

    Quell’ufficio lì, a guardarlo, era una croce.

    Tutto un corridoio lungo lungo che partiva dall’entrata dove stavo io, che però si chiamava Ingressino, mi avevano insegnato, e poi arrivava dritto per dritto nell’ufficio delle impiegate che si capiva che era l’ufficio delle impiegate perché c’era un cartello attaccato al muro, Impiegate diceva il cartello. A metà del corridoio c’erano due porte, una di fronte all’altra e ognuna aveva un cartello attaccato, uno di fronte all’altro. Su un cartello c’era scrittoToilette e sull’altro cartello c’era scritto Notaia.

    Io, lì dentro, lavoravo cinque mattine la settimana, quattro ore ogni mattina, otto euro ogni ora. E la notaia mi pagava in nero. Non si formalizzava sulle formalità la notaia.

    I soldi però me li dava l’Angelina che era l’impiegata-contabile. Proprio così diceva l’Angelina:Io sono l’impiegata-contabile diceva.

    A guardarla, l’Angelina si vedeva subito che era vecchia. Aveva anche tutta una gobba sulla schiena poverina, che forse il sole, faceva un po’ di fatica a vederlo ecco. L’Angelina era un filino rigida nel suo lavoro di impiegata-contabile. Per esempio, l’Angelina mi pagava il primo lunedì di ogni mese. Inderogabilmente dico. Feste comandate permettendo.

    Alle ore dieci virgola trenta di ogni primo lunedì di ogni mese, l’Angelina mi chiamava a voce alta dall’altra estremità del corridoio e poi diceva: Sono le dieci virgola trenta bambina, vieni, vieni.

    Proprio così mi diceva. E io, che ero nell’Ingressino a fare le mie formalità post-stipula, dovevo andare a presentarmi davanti alla sua scrivania, lei mi dava i soldini e poi mi diceva: Ecco bambina, questi sono i soldini che ti dà la Nostra Notaia e io prendevo i soldini.

    Ogni mese eravamo lì a rifare ‘sta scena.

    Però una volta, un primo lunedì del mese, sono rimasta a casa.

    Apposta.

    Il primo martedì di quel mese lì, alle ore dieci virgola trentuno, mi sono presentata davanti alla scrivania dell’Angelina, senza convocazione.

    Era così ingobbita quel giorno, quando sono arrivata davanti a lei, che mi è venuto anche da pensare, Alè che adesso ruzzola giù per terra. E invece, da là in basso chinata, l’Angelina ha alzato la testa, mi ha guardata e poi ha detto: Io, sono un’impiegata contabile e le cose le faccio con precisione. Io, sono un’impiegata contabile e certi errori non li posso comprendere E

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