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Niente resterà intatto: Introduzione non-convenzionale alla filosofia
Niente resterà intatto: Introduzione non-convenzionale alla filosofia
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Ebook146 pages1 hour

Niente resterà intatto: Introduzione non-convenzionale alla filosofia

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Niente resterà intatto è un’opera irriducibile a un genere preciso. Attraversa strategicamente la storia della filosofia, ma offre al lettore, a sua volta, una filosofia singolare. La sua tesi di fondo è che nulla può sottrarsi all’esposizione, alla fragilità, ma fragile è anche il contrario di docile.

Con una scrittura che mescola i più diversi generi praticati – il dialogo, il racconto, il poema in prosa, l’aforisma, il trattato, il saggio – l’autore mira allo studente alle prime armi e allo studioso più avvertito. La riflessione più astratta si ritrova insieme a pratici esercizi filosofici. E i contenuti del grande canone della filosofia occidentale si contendono la scena con i personaggi delle serie tv, le icone della cultura di massa, i racconti di viaggio e le esperienze didattiche.
LanguageItaliano
Release dateNov 27, 2015
ISBN9788866471400
Niente resterà intatto: Introduzione non-convenzionale alla filosofia

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    Niente resterà intatto - TOMMASO ARIEMMA

    Introduzione

    Un uomo è in ospedale, ferito. Ha tre costole rotte, per un incidente sul lavoro. Non ha niente che possa distrarlo, niente da fare o leggere.

    Un amico lo sostiene portandogli dei testi del suo corso di filosofia. Il suo nome è Eugenio.

    Insieme a Simòn, l’uomo ferito, popolano il romanzo L’infanzia di Gesù del premio Nobel J. M. Coetzee.

    Tra le sue pagine, c’è una frase che brucia. E riguarda proprio la filosofia.

    Eugenio è, infatti, appassionato di un certo tipo di filosofia, ovvero di quel genere che cerca l’unità in fondo alla diversità, discutendo di diversi tipi di tavoli e di diversi tipi di sedie e chiedendosi «che cosa faccia di tutti i tavoli tavoli e di tutte le sedie sedie».

    Questo tipo di filosofia non è mai piaciuta a Simòn, l’uomo ferito. L’ha sempre trovata inutile e un po’ cialtrona.

    «Mi spiace, non è il mio genere di filosofia», risponde all’amico.

    Alla curiosità suscitata, Eugenio chiede a Simòn quale sia allora il suo genere.

    «Il genere che ti scuote, che ti cambia la vita», risponde secco.

    La vita che vive non gli basta, vorrebbe dell’altro. Desidera un libro di filosofia diverso, che punti al cuore dei suoi desideri e dei suoi interrogativi[1].

    Il libro di filosofia che stai per leggere è un libro di quel genere. Il genere più intenso e più pericoloso. Perché cambiare vita attraverso la filosofia significa ritornare al mondo in un modo più intelligente e più necessario.

    Un tale genere non comincia con interrogativi sui massimi sistemi. Questi, come direbbe Camus, sono giochi. Per Camus, infatti, «vi è solamente un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio. Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta, è rispondere al quesito fondamentale della filosofia»[2].

    Il genere di filosofia che ti cambia la vita è capace, insomma, di affrontare quello che ognuno definirebbe mostruoso. Di metterti in condizione di affrontare il mostro.

    Un tale genere si rivela indispensabile soprattutto oggi, dato che, come ha giustamente notato il filosofo Peter Sloterdijk «viviamo in un tempo in cui l’apocalisse dell’uomo è qualcosa di quotidiano»[3].

    Affrontare il mostro

    Ho incontrato Roberto Saviano per la prima volta nel 1999, durante un corso di lezioni di filosofia all’Università di Napoli. Allora, ovviamente, non sapevo ancora chi sarebbe diventato.

    Non ci siamo mai conosciuti di persona, ma, quando anni dopo venne pubblicato Gomorra, con la sua foto sul retro del libro, non impiegai molto a ricordarmi di lui.

    Ricordo ancora la questione che lo vide protagonista. Si parlava di Sartre, dello scrittore-filosofo impegnato e della polemica con il filosofo Lukács, che screditava Sartre.

    Saviano, allora studente, prese le difese di Lukács, intervenendo durante la lezione: al contrario di Sartre sarebbe stato un vero filosofo, perché aveva avuto il coraggio di prendere le distanze dallo stalinismo, regime sotto il quale aveva vissuto, con pesanti conseguenze sulla sua persona. Sartre si sarebbe limitato, invece, a rifiutare un premio Nobel.

    Anni dopo, leggendo Gomorra, ho ritrovato lo stesso principio alla base del suo libro. In verità, il più grande principio della filosofia: bisogna affrontare il mostro, la cosa più inquietante, giacché – per citare Heidegger – «non serve metterlo alla porta, perché ovunque, già da tempo e in modo invisibile, esso di aggira per la casa. Ciò che occorre è scorgerlo e guardarlo bene in faccia»[4].

    Un mostro è ciò che governa ciò che si mostra: fa il buio intorno a sé e per guardarlo bene in faccia bisogna vedere ciò che non vuole farci vedere.

    Gomorra si apre con un’immagine potente: una pioggia di cadaveri cinesi che cade dal container del porto di Napoli, come una merce qualsiasi a cui può capitare di cadere e frantumarsi.

    «La merce deve arrivare nelle mani del compratore senza lasciare la bava del suo percorso»[5]: ritrovo in queste parole lo spirito profondo del pensiero di Marx e non mi serve molto per capire che sia Gomorra, sia Il Capitale di Marx, siano in realtà costruiti come un romanzo o un film horror. Entrambi individuano e fronteggiano mostri. Del resto proprio Marx nella prefazione a Il Capitale ribadisce questa missione: «Perseo usava un manto di nebbia per inseguire i mostri. Noi ci tiriamo la cappa di nebbia giù sugli occhi e le orecchie, per poter negare l’esistenza dei mostri»[6].

    La filosofia e la sfida del mostro

    Un figlio chiede al padre: Papà, a cosa serve la storia?.

    Il padre, il grande storico Marc Bloch, risponde in un modo singolare: A trovare gli uomini, e lo storico è come l’orco delle fiabe.

    Per la filosofia la risposta potrebbe essere, invece, esattamente il contrario: Serve a trovare l’orco, e il filosofo è l’uomo coraggioso che gli dà la caccia.

    Affermazione strana, inverosimile.

    La filosofia, infatti, viene spacciata per una ricerca, spesso vana, dell’origine di tutte le cose. Ed essa appare, per citare un messaggio che mi è arrivato su Facebook, l’ultimo in ordine di tempo: un diletto logico di una sempre più ristretta elite di persone.

    Questo perché molto spesso guardiamo al risultato, senza considerare il movimento che l’ha prodotto. Un movimento che nasce dalla meraviglia, si dice.

    Più semplicemente, tale movimento è sostenuto dalla convinzione che quello che ci sta davanti non può essere tutto. Che c’è dell’altro.

    C’è dell’altro: è il ritornello di una vita filosofica.

    È ciò che chiamo affrontare il mostro: non si presenta mai dinanzi a noi l’immenso e

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