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Bengasi 1929
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Ebook131 pages1 hour

Bengasi 1929

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Storia autobiografica di una dodicenne nata e vissuta a Bengasi, Libia, scappata durante il secondo conflitto mondiale e rimpatriata profuga, in italia.
LanguageItaliano
Release dateMay 24, 2016
ISBN9788892500075
Bengasi 1929

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    Book preview

    Bengasi 1929 - Sergio Porcarelli

    L'autrice

    Prefazione

    Cosa sentono le mie orecchie:

    Mamma? Lo prendiamo un tea?Eh, va bene. C’è freddo. C’è tanto freddo qui. Ma chi mi ha portato qui? Fa tanto freddo. Come si stava bene lì, con quel sole, c’era caldo, si stava tutti bene…E, invece, qui con questo freddo, tutti coperti…

    Osservo Elvira e sono colpita dal suo volto, quasi smarrito e in cerca di un qualcosa attorno a sé.

    Cosa sta pensando? – chiedo a me stessa. Mi incuriosisco un po’ e continuo a pormi questa domanda in questi secondi di silenzio. Comprendo che qui non sta bene, che fa riferimento a un tempo passato e a un luogo diverso, ma non vado oltre. Rimango zitta e guardo Sergio cercando anch’io una risposta: Cosa posso fare? Posso fare qualcosa? Ho sbagliato? Aiutami, amico, non capisco. Dimmi, per favore.

    Sergio sorride, coglie il mio sguardo e sorride. Mi accenna al fatto che sua madre fa riferimento alla sua giovanissima età vissuta a Bengasi, dove è nata nel 1929. Mi spiega che questa prima parte della sua vita ha lasciato un segno profondo nel suo cuore, tanto che lui stesso si è appassionato e ha cercato di trovare quanto più possibile per ricostruire questo passato.

    Mi rassereno e mi sento risollevata. Comprendo perché l’alone di tristezza su quel viso.

    Queste parole così come quegli attimi di silenzio risuonano dentro me ogni volta che incontro Elvira, questa piccola donnina che mi accoglie sempre sorridente anche quando il clima invernale, per quanto mite, della nostra terra dà la sensazione, come è mio solito dire, di avere i muscoli congelati. Non sempre ricorda il mio nome, non ricorda che io e suo figlio siamo stati compagni di scuola, però mi abbraccia forte.

    Ho la sensazione di rivedere le mie nonne con la loro saggezza, l’immensa bontà d’animo e piccoli e semplici gesti che riuscivano a infondere in me un’inarrestabile voglia di vivere.

    Provo a riscaldarla un po’: Signora, ma se non fosse venuta qui non avrebbe conosciuto suo maritoAh, sì, questo è vero. Eccome. E pian pianino nonna Elvira torna indietro nel tempo raccontandomi con quanta eleganza il giovanotto le ha chiesto di fidanzarsi e, rievocando varie scene di quei giorni, riferisce testualmente: Cosa ne pensa tua mamma se noi ci fidanziamo?E cosa deve pensare? Per lei va bene. Ci ridiamo un po’ sopra. Storie d’altri tempi - penso io.

    Di certo una cosa mi colpisce: tali reminiscenze, forse poco precise nella ricostruzione fattuale, sono così intensamente cariche di emozione, quando vengono raccontate, che sembra quasi di viverle adesso e provo la stessa sensazione di serenità che pervade il mio animo osservando i giochi di rosa prodotti dalla luce all’alba del nuovo giorno, quando il sole timidamente si affaccia prima di irrompere con tutta la sua energia. Riesco a vedere la giovane Elvira accanto a questo pretendente, passeggiare lungo il viale della stazione debitamente seguiti dalla sorella maggiore, Irma, (come si usava una volta, eh, non è che ero sola).

    Mi piace ascoltare le esperienze di un tempo così lontano dal mio. Le chiedo, allora, di raccontarmi di quando era giovane, di questi anni passati in Libia e di come si viveva lì.

    Mentre Elvira sta per iniziare, arriva Sergio, della cui assenza non mi ero neanche accorta. Guarda mamma. Ricordi?Ceerrto.

    Mi diverte tanto l’intensità di questo suono. Cos’è? – chiedo io.

    Sergio mi fa vedere alcune foto storiche della sua famiglia e, d’un tratto, vedo una luce negli occhi di Elvira e un sorriso che credo davvero siano la risposta a quello sguardo smarrito di pochi istanti prima.

    Passione e amore ritrovo in lei. Compassione e rispetto vedo in te, Sergio, verso tua madre. Hai colpito nel segno. Il tuo intervento nel reperire fotografie, notizie, dati storici e quanto possibile riconducibile a quell’epoca è la chiave di volta per alleviare le sue sofferenze e per rendere più ricca la trama di questo racconto. Difatti, pian pianino… Elvira mi travolge con le sue parole, come un fiume in piena. Ecco cosa succede.

    Trovo interessante e realmente educativo apprendere in maniera inconsueta queste pagine di storia. Ho studiato sui libri di scuola, ho letto scritti di vario genere, articoli, interviste, ma rimango sempre affascinata dai documentari e, in special modo, dal racconto dal vivo perché le sfumature del tono di voce, del volto, degli occhi, dei gesti e delle posture di tutto un corpo che parla mi aiutano a comprendere appieno le paure, i desideri mancati, le speranze e i sogni di chi ce l’ha fatta e, allo stesso tempo, conducono il mio pensiero verso coloro ai quali le assurdità della guerra hanno portato via il più grande di tutti i doni: la vita. In questa veste, sono preziosi i ricordi di questa sempre dodicenne Elvira, gentilmente rubati al tempo e all’inesorabile incalzare della senilità. Ha ragione quel signore anch’egli profugo, di cui non riferirò il nome per tutela della privacy, per quanto scrive: "Gent. Sig.ra Elvira e figlio……… Ho letto la lunga storia che ha rattristato la vostra vita e sono vicino a Voi tutti per le vicissitudini occorse a tutta la famiglia. Noi profughi dalla Libia siamo stati tartassati dagli eventi succedutisi dal 1941 a oggi e un po’ tutti abbiamo passato momenti più o meno tristi di quanto è accaduto a voi.

    Dal giorno in cui siamo stati costretti ad abbandonare la NOSTRA CARA BENGASI, sono passati ormai più di settant’anni e il ricordo della nostra gioventù africana ci accompagna ancora……………… Le faranno sicuramente ricordare, strade, luoghi, palazzi che le torneranno in mente come se avesse ancora 12 anni".

    E’ vero. La narrazione di questi accadimenti è proprio come proveniente da una ragazzina che non ha consapevolezza del perché siano successi determinati meccanismi che la costringeranno poi ad abbandonare la sua terra natia.

    Sono felice di vedere con quanta partecipazione Elvira mi racconta della sua vita e di sentirla anche ridere nonostante si tocchino, di tanto in tanto, punti dolenti. E, così, passando lungo gli anni del boom economico, gli anni della contestazione e… Gli anni di scuola media con Sergio… Beh, arriviamo a oggi: i così spaventosi anni 2000.

    Ricordo che si diceva in giro che nel passaggio dal 1999 al 2000 sarebbe successo il blackout, i computer sarebbero impazziti, le comunicazioni si sarebbero interrotte e chi più ne ha più ne metta. Magari sono successe davvero e io non me ne sono accorta – dico io. Lei mi guarda e ride, forse anche perché io faccio un po’ la buffona proprio per farla ridere e sperando anche, a onor del vero, di farle dire ancora quel bellissimo certo che ha divertito tanto anche me.

    Tra una risata e l’altra, mi accorgo che è sera ormai. Sono stata completamente rapita. Rapita da una nonnina! Si potrebbe mai credere?

    Un abbraccio ancora e vado via.

    Rifletto molto camminando lungo la strada buia e silente. Osservo le luci, la modernità che mi circonda e chiedo a me stessa: cosa possono mai comprendere i bambini di una guerra? Ripenso al pomeriggio trascorso e trovo una risposta proprio tra le tue parole, Elvira Sciacca, attraverso questi pochi frammenti di memoria legati a una Libia vissuta in un’epoca storica che ha segnato la storia del mondo, la storia d’Italia, la vita di tante famiglie italiane e della tua famiglia, di cui oggi sei unica testimone a me nota. La trovo attraverso questa testimonianza legata a un contesto politico che solo a tratti appare lungo il corso della rivisitazione storico-familiare che, al contempo, risveglia nelle strade della memoria emozioni più forti e predominanti, quali la gioia, la spensieratezza e, soprattutto, l’amore che ancora oggi, in questa ricostruzione di vita vissuta, sono indubbiamente vincenti. Ora capisco cos’è Bengasi, per te, Elvira.

    Non permettere alla tristezza di sbiadire la speranza, lascia a noi uomini del futuro il monito a non ripetere gli stessi errori. Raccontami ancora quel che ricordi, raccontami della tua giovinezza e dei tuoi sogni, torna a stringere tra le tue mani il tuo fazzoletto e la tua bambolina. Gioca ancora, ridi,

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