Gli occhi di Gramsci: Introduzione alla vita e alle opere del padre del comunismo italiano
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Gli occhi di Gramsci - Raul Mordenti
UNALTRASTORIA
12
Gli occhi di Gramsci
Introduzione alla vita e alle opere
del padre del comunismo italiano
di Raul Mordenti
© 2014 Red star press
La riproduzione, la diffusione, la pubblicazione su diversi formati e l’esecuzione di quest’opera, purché a scopi non commerciali e a condizione che venga indicata la fonte e il contesto originario e che si riproduca la stessa licenza, è liberamente consentita e vivamente incoraggiata.
Prima edizione in «Unaltrastoria»: ottobre 2014
Prima edizione in e-book: giugno 2016
Design Dario Morgante
Red Star Press
Società cooperativa
Via Tancredi Cartella, 63 – 00159 Roma
www.facebook.com/libriredstar
redstarpress@email.com | www.redstarpress.it
Raul Mordenti
GLI OCCHI
DI GRAMSCI
Introduzione alla vita e alle opere
del padre del comunismo italiano
REDSTARPRESS
PRIMA PARTE
Antonio Gramsci, la sua formazione,
l’«Ordine Nuovo», la rifondazione del PCd’I
1. La gioventù e la formazione
Antonio Gramsci nasce ad Ales, in provincia di Oristano (Sardegna), il 22 gennaio 1891. È il quarto di sette figli di una famiglia di origine albanese.
Il padre di Gramsci è un impiegato (quindi si tratta di piccola, piccolissima borghesia) la madre una maestra; nell’infanzia di Gramsci accadde un fatto traumatico, che poi sarà importante nel proseguimento della sua vita: il padre viene arrestato per un ammanco amministrativo e la famiglia precipita, anche socialmente, in una situazione di estrema miseria. Sempre risalente all’infanzia è la sua malattia, il morbo di Pott (una terribile forma di tubercolosi ossea che determina la gibbosità). Questa malattia esplose con una caduta e Gramsci dirà più tardi che essa fu trascurata o mai curata (non sappiamo di più su questa vicenda); ricorda anche che era stato talmente male da bambino che la madre aveva preparato per lui la bara e che la conservò anche in anni successivi. Fu un’infanzia molto difficile, da cui Gramsci porterà sempre con sé da una parte un’immagine forte e affettuosa della madre che difende, organizza, resiste in queste estreme difficoltà e dall’altra parte un rapporto altrettanto forte, ma terribilmente negativo, con il padre, che non compare quasi mai nel suo epistolario neanche dal carcere (benché il padre di Gramsci, Francesco, sia morto dopo Antonio).
Gramsci continua a studiare superando mille difficoltà di ordine economico e personale. Ne abbiamo una traccia indiretta quanto drammatica in un suo scritto (sul «Grido del Popolo» il 20 novembre 1915) dove il ricordo, evidentemente autobiografico, è però riferito da Gramsci non a se stesso ma a un generico e ignoto «povero ragazzo», secondo un costume di orgogliosa riservatezza tipico del suo popolo sardo:
«Ricordo un povero ragazzo che non aveva potuto frequentare i dotti banchi delle scuole del suo paese per la salute malferma e si era da se stesso preparato per l’esame [...]. Ma quando sparuto si presentò al maestro, al rappresentante della scienza ufficiale, per consegnargli la domanda vergata, per far colpo, nella più bella calligrafia, questi, guardandolo attraverso i suoi scientifici occhiali, domandò arcigno: Sì, va bene, ma credi che sia così facile l’esame? Conosci per esempio gli 84 articoli dello Statuto?
. E il povero ragazzo, schiacciato da quella domanda, si mise a tremare, piangendo sconsolatamente ritornò a casa e per allora non volle dar l’esame».¹
Direi che esperienze come questa, che si moltiplicarono negli anni difficilissimi della sua formazione, abbiano maturato nell’animo di Gramsci un tratto permanente, destinato a divenire fondamentale non solo per la sua personalità, ma anche per il suo pensiero: è un tratto che definirei il suo risentito classismo e il suo più profondo disprezzo per l’ipocrisia saccente e reazionaria, profondamente antipopolare, della piccola borghesia intellettuale. Così, dalle pagine dell’«Ordine Nuovo» nel 1919, egli descriverà, realisticamente quanto spietatamente, questo ceto, articolazione decisiva e vero cemento del blocco sociale dominante (e destinato a fungere, da lì a poco, da spina dorsale della dittatura fascista):
«La piccola e media borghesia è infatti la barriera di umanità corrotta, dissoluta, putrescente con cui il capitalismo difende il suo potere economico e politico, umanità servile, abietta, umanità di sicari e di lacchè, divenuta oggi la serva padrona
[...]. Senza che avessero una preparazione culturale e spirituale, decine e decine di migliaia di individui furono fatti affluire dal fondo dei villaggi e delle borgate meridionali, dai retrobottega degli esercizi paterni, dai banchi invano scaldati delle scuole medie e superiori, dalle redazioni dei giornali di ricatto, dalle rigatterie dei sobborghi cittadini, da tutti i ghetti dove marcisce e si decompone la poltroneria, la vigliaccheria, la boria dei frantumi e dei detriti sociali depositati da secoli di servilismo e di dominio degli stranieri e dei preti sulla nazione italiana; e fu loro dato uno stipendio da indispensabili e da insostituibili, e fu loro affidato il governo delle masse di uomini, nelle fabbriche, nelle città, nelle caserme, nelle trincee del fronte».²
Ma procediamo con ordine, tornando alla sequenza cronologica degli avvenimenti. Dopo il diploma liceale Gramsci si iscrive alla Facoltà di Lettere a Torino con una borsa di studio che era riservata agli alunni dell’ex-Regno di Sardegna (Piemonte, Liguria e Sardegna). Sono anni molto duri e le lettere degli anni 1911-1912 da Torino sono impressionanti perché testimoniano la situazione davvero drammatica in cui Gramsci si trova: senza soldi, infreddolito e già ammalato.³
Egli comincia, in quello stesso periodo, avendo come tramite il fratello maggiore, a collaborare alla stampa socialista. Si iscrisse al Partito Socialista nel 1913 collaborando prima al «Grido del Popolo», che era un giornale locale, e poi all’«Avanti!». Allo scoppio della guerra sembra che abbia avuto una sbandata interventista che più tardi gli sarà rimproverata, ma è certo che la sua militanza diventa sempre più forte negli anni della guerra fino al 1917.
Apriamo una parentesi sulla formazione di Gramsci: tale formazione è, per sua stessa ammissione e per quello che si evince dagli scritti giovanili, di tipo idealista, crociana e gentiliana, in particolare segnata da quel tipo di idealismo militante che fu del giornale «La Voce». Questa provenienza dall’idealismo gli sarà rimproverata più tardi da Bordiga, e Togliatti risponderà dicendo che l’idealismo era, in realtà, «la via maestra» per arrivare al marxismo, perché era la stessa via che avevano percorso i fondatori Marx ed Engels, Marx in particolare. Certo è che Gramsci supererà l’idealismo giovanile a contatto con la lotta di classe, con l’Internazionale Comunista e, in generale, con la politica.
Però la formazione idealista di Gramsci, e anche un permanente tratto idealistico nel suo pensiero, debbono essere visti storicamente, cioè letti in rapporto (e come reazione) all’egemonia esercitata fra la fine dell’800 e l’inizio del ’900 dal positivismo sul Partito Socialista Italiano. Il positivismo (e quello italiano in particolare) era ridotto a un materialismo volgare e meccanicistico (in realtà una metafisica) che semplificava infantilmente anche i problemi più complessi: dalle teorie del Lombroso sull’influenza che la forma del cranio aveva