I delitti della città vuota
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A cura di Piera Carlomagno
Scrittori di thriller, noir con una cifra local, che valorizzano la peculiarità di quartieri delle grandi città ma riscoprono anche centri urbani minori. L'idea è quella di piccoli gialli metropolitani ambientati in piena estate, quando le città un poco si svuotano. Ogni paesaggio è buono in Italia o, in qualche caso, all'estero, per scatenare la fantasia e alcuni dei protagonisti sono ispettori di polizia, commissari, investigatori privati già noti al pubblico. Sulle terrazze di Roma, sotto i portici di Bologna, tra i carruggi di Genova e nei vicoli di Napoli, sotto la Mole di Torino e alla periferia di Milano, ma anche nelle intriganti province italiane e nelle metropoli d'Oltreoceano, il delitto è servito.
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I delitti della città vuota - AA.VV:
Biblioteca del giallo
Versione ebook a cura di PerfectEbook: enjambement73@gmail.com
I delitti della città vuota
a cura di Piera Carlomagno
Massimiliano Amato
Alessandro Berselli
Sara Bilotti
Brunella Caputo
Roberto Carboni
Piera Carlomagno
Corrado De Rosa
Arianna Destito
Giovanni Di Giamberardino
Costanza Durante
Carmine Mari
Alessandro Maurizi
Antonio Menna
Bruno Morchio
Alessandra Pepino
Piergiorgio Pulixi
Franco Serpico
Massimiliano Smeriglio
I delitti della città vuota a cura di Piera Carlomagno
© 2016 Massimiliano Amato, Alessandro Berselli, Sara Bilotti, Brunella Caputo, Roberto Carboni, Piera Carlomagno, Corrado De Rosa, Arianna Destito, Giovanni Di Giamberardino, Costanza Durante, Carmine Mari, Alessandro Maurizi, Antonio Menna, Bruno Morchio, Alessandra Pepino, Piergiorgio Pulixi, Franco Serpico, Massimiliano Smeriglio
© 2016 Atmosphere libri
Via Seneca 66 00136
Roma, Italy
www.atmospherelibri.it
info@atmospherelibri.it
blog.atmospherelibri.it
Redazione a cura de Il Menabò (www.ilmenabo.it)
I edizione nella collana Biblioteca del giallo luglio 2016
ISBN 978-88-6564-211-5
INDICE
Introduzione di Piera Carlomagno
Buio di Sara Bilotti (a Napoli)
Basterebbe una carezza di Massimiliano Smeriglio (a Roma)
Bacci Pagano alla sfilata delle sette bellezze di Bruno Morchio (a Genova)
La scorciatoia: un racconto su Biagio Mazzeodi Piergiorgio Pulixi (a Busto Arsizio)
Civico 42 di Arianna Destito (a Milano)
La botta di Ferragostodi Antonio Menna (a Napoli)
Malasorte di Roberto Carboni (a Bologna)
Un cane da taschino di Giovanni di Giamberardino/Costanza Durante (a Roma)
Io non l’ho mai visto il mare di Alessandro Berselli (a Bologna)
La ferocia dei giornidi Alessandra Pepino (a Rovigo)
Nove anni dopo di Carmine Mari (a Salerno)
Sono un’assassina di Franco Serpico (a Torino)
With or without youdi Massimiliano Amato (a Salerno)
Altri orizzonti per il sostituto commissario Angelo Carosidi Alessandro Maurizi (a Viterbo)
Un passo indietro di Corrado De Rosa (a Salerno)
I maledetti ciottoli di Paraty di Brunella Caputo (a Rio de Janiero)
L’uomo giustodi Piera Carlomagno (a Napoli)
Biografie
Introduzione
di Piera Carlomagno
Esistono molti modi per allestire un’antologia, anche di genere. Al di là della scelta degli autori, che può seguire criteri diversi, si stabiliscono alcuni elementi comuni a cui attenersi in maniera più o meno elastica. Il crimine che agisce a Ferragosto è un classico della cronaca nera, la figura dell’investigatore può essere – come in questo caso – libera da condizionamenti e può capitare che l’ambientazione sia il cardine intorno al quale ruota l’azione. Il titolo qui è l’unica guida che abbiamo a disposizione perché I delitti della città vuota suggerisce spazi metropolitani desolati, abbandonati per il troppo caldo e in favore dei luoghi di villeggiatura. I personaggi saranno necessariamente gli irriducibili abitanti delle città d’estate, impossibilitati a partire per impegni di lavoro, per mancanza di soldi o di fantasia. Quello che mi interessava evocare con questa antologia è l’inquietante stupore che suscitava la grande frequenza di delitti che accadevano a metà estate nelle città, quando si svuotavano letteralmente perché tutti andavano in vacanza al mare o all’estero. Le città vuote non esistono più veramente, ma sono state, soprattutto a cavallo tra i due millenni, teatro di omicidi efferati, a volte irrisolti per assoluta mancanza di testimoni, quando l’indagine era ancora affidata alla ricostruzione dei fatti, più che alla prova scientifica del dna. In questi racconti non ci sono grandi riferimenti a eventi realmente accaduti, ma quell’atmosfera è perfettamente ricreata. Investigatori spesso noti ai lettori di gialli – come Bacci Pagano o Mazzeo, ma anche Perduto, Baricco, Vittorio Maria Canton di Sant’Andrea, Rogerius e altri – si muovono nelle città in cui si addensano le ombre delle notti di mezza luna, sotto una cappa di caldo che non si placa neanche al calar della 8 sera. Sulle terrazze di Roma, sotto i portici di Bologna, tra i carruggi di Genova e nei vicoli di Napoli, sotto la Mole di Torino e alla periferia di Milano, ma anche nelle intriganti province italiane e nelle metropoli d’Oltreoceano, il delitto è servito. Credo che questa antologia abbia ancora un merito, quello cioè di restituire uno straordinario spaccato della nuova letteratura noir italiana perché, attraverso i diciassette racconti che propone, offre un significativo esempio di come questa sfugga sempre più ai tentativi di formulare una delimitazione precisa del genere. Investigatori istituzionali duri e puri, poliziotti corrotti o stanchi e prossimi alla pensione, un nobile decaduto curioso e giornalisti che, come moderni cavalieri erranti, combattono il crimine sono i protagonisti di quelli, tra i racconti, che possono essere meglio catalogati come gialli di investigazione. L’anima nera di chi commette un delitto, si imbatte in un mistero o si affaccia casualmente su un baratro, è descritta in quelli che è più corretto definire noir. Gli autori hanno scritto diciassette storie completamente diverse l’una dall’altra, frugando tra le rovine del passato o infilando lo sguardo tra le nebbie del futuro, cercando di muoversi nelle intricate ragnatele di cause ed effetti di ciò che fanno accadere ai loro personaggi, usando i vivi e i morti, raccontando frammenti di orrore e di verità. C’è un giallo storico, c’è un viaggio a Rio, ci sono vicende private e familiari o episodi che emergono dal sottobosco criminale di cui le città sono ricche. Tutte, inevitabilmente, sono, per usare una fantastica espressione che Alberto Moravia inserì in un articolo su Il Libraio
a proposito de La dama della morgue di Jonathan Latimer, esercitazioni virtuosistiche in margine ai cadaveri
.
Buio
Sara Bilotti
La guardo mentre indossa la gonna nera, stretta. Arriva alle ginocchia e si ferma: una linea di confine oltre la quale non ho più riferimenti, sono perduto. Con un gesto delicato alza la cerniera, liscia le pieghe. Insieme a loro i miei pensieri si appiattiscono, divento stupido. Seduto in prima fila, sto godendo dello spettacolo più affascinante e crudele del mondo: Elena che si riveste, per poi pettinarsi il caschetto nero. Io la amo, ma lei non mi ama più. Per giunta sono le otto di sera e mia moglie, invece di preparare la cena, diventa bellissima. «Non è possibile». La voce squillante di nostra figlia rompe un silenzio irreale, esaltato dal fruscio degli abiti. Elena non riesce ad agganciare la collana di perle, regalo di nozze di sua madre. Teresa gliela gettò in faccia mentre indossava l’abito nuziale, spiegandole con dovizia di particolari che quel matrimonio era la cosa più stupida che potesse fare. Eppure lei mi ha sposato lo stesso. Dio, che donna. «È proprio necessario parlare del fottuto clima ogni giovedì?» chiede Giorgia, sostituendo le sue mani a quelle della madre e occupandosi del gancio ribelle con inattesa abilità. Giorgia potrebbe prendere il suo posto in tutto e per tutto. Sono identiche, se escludiamo i piccoli solchi agli angoli della bocca, che rendono Elena ancora più seducente. A dire la verità, Giorgia è nata bionda. Poi, appena ha compiuto diciott’anni, invece di pretendere una macchina o un seno nuovo come le sue amiche, ha deciso di tingersi i capelli di nero. E così, la clonazione è riuscita al cento per cento. «Potremmo evitarcelo, in effetti» le risponde Elena, infilando 9 gli orecchini. Ha fretta, si vede. E il mio cuore diventa sempre più piccolo. «Ma il ferro va battuto finché è caldo». Le ha risposto in modo brusco, eppure il trasporto verso di lei è palese. E ingiusto. Per me, neanche una parola. E così, quando attraversa il corridoio per prendere il soprabito, io la seguo e sgomito con Giorgia: devo raggiungere Elena prima di lei. «Hai un altro, amore?» sussurro guardando verso mia figlia, che incombe su di noi, rapace. «Santo cielo!» La sua esclamazione preferita. Niente mi fa sentire ridicolo come quelle due parole messe in fila; sono due soldati che mi sparano alle tempie, uno per ogni lato, e poi ridono. La seguo. Per strada mi rincorrono le parole di Giorgia, pronunciate con quel tono squillante e fastidioso: Adesso te ne vai, e chi li lava ‘sti piatti? Ma porca miseria, a venticinque anni sarà pure il momento di fare qualcosa in casa. Mi libero delle sue proteste con un gesto della mano, la agito davanti alla faccia come per scacciare una mosca. Funziona. Elena entra nel Royal, dunque deve partecipare davvero alla conferenza su Clima e Ambiente. È così avanti, Cristo. Sa per certo qual è il futuro del mondo, mentre io non so neanche che cravatta ho indossato. E poi, a dirla tutta, anche se conoscessi le sorti umane non me ne fregherebbe un cazzo: sono un poliziotto e l’umanità mi fa abbastanza schifo. Me compreso. Mi siedo sull’ultima sedia dell’ultima fila, dove merito di stare, sempre attento a non far vedere la pistola. E l’ascolto, perso nel suono della sua voce, che fa un terribile frastuono dentro al mio cervello. «La Norvegia si trova ad affrontare problemi enormi: sostanze inquinanti organiche persistenti, radioattività e piogge acide prodotte in qualsiasi parte del mondo vengono trasportate nel suo territorio dai venti e dalle correnti marine. È dunque nel suo interesse attivarsi per istituire una cooperazione internazionale che presupponga dei vincoli sulle questioni ambientali». Quanto è intelligente e preparata, la mia gattina. Muove appena le sue mani delicate, quelle mani che un tempo mi metteva addosso. E adesso chi tocchi, gattina mia? Se non hai un amante, perché non mi vuoi più? Giorgia, è lei il problema. Ecco a cosa sono serviti i miei testicoli: a dare vita al suo clone. Adesso non servo più. È una cosa umiliante, ma a tutto c’è rimedio, gattina mia. La conferenza finisce in un boato di sbadigli mentre lei, regina, scivola fuori dall’albergo distribuendo sorrisi come una First Lady. A me non resta altro che appostarmi nell’ombra, come un cane rognoso. Quanto odio, in tutto l’amore che provo. Un uomo entra con lei in macchina e il sospetto torna a rodermi il fegato peggio della mezza bottiglia di gin che mi accingerò a bere a momenti. Ho trascorso la notte in bianco e adesso non riesco a tollerare Serra e Di Matteo. Mi si mettono ai lati, lavorano ai fianchi, peggio dei soldati Santo e Cielo. Ma porca puttana, ho abbracciato mia moglie stanotte e lei si è staccata da me come se si fosse bruciata, e la notte da nera è diventata bianca. Tutta quella luce non mi ha fatto dormire neanche un minuto. E questi due vogliono sapere se ho avuto la soffiata del carico di cocaina. Io sto meglio al buio, tutti stanno meglio al buio. Però mia moglie, da quando è stata miracolata dalla maternità, insiste a illuminare tutto, finché appare chiaramente lo schifo. «Insomma, nessuna novità?» Santo, trotterellandomi accanto lungo il corridoio della Centrale, come uno yorkshire nano. Devo abbassare la testa per salutarlo. «Dove vai, nei Quartieri?» Cielo, toccandomi la spalla dall’altra parte. Per poco non gliela mozzo, quella mano. Vado nei Quartieri, sì, ma a loro non lo dico, perché tanto già l’ho avuta la soffiata del carico di cocaina e vado lì per un altro motivo. Sulla soglia mi ferma Nigro e dice che dopodomani c’è l’incontro con la psicologa. Certo, mancava la strizzacervelli, all’appello. Ma, dico io, mi beccano a prendere bustarelle dagli spacciatori e me la lavano per bene, la testa; quasi ammazzo uno e mi danno una settimana di vacanza per svuotarla, la testa. Poi mi vedono nervoso perché ho un problema con mia moglie e me la vogliono cambiare, la testa. Chi li capisce è bravo. Elena e Giorgia si sovrappongono in cucina. Una lava le verdure, l’altra le taglia. Una alza il coperchio della pentola, l’altra butta la pasta. Suonano una sinfonia perfettamente in sincrono, muovono le gambe e le braccia come ballerine russe, aggraziate e altere. Sono ipnotizzato. Ho parlato con Prisco, nei Quartieri, farà un lavoro pulito. Io tolgo il suo nome dal rapporto sul traffico di cocaina, lui si sporca le mani per me. Perché è ora di finirla, con tutta questa luce. Caliamo le tapparelle, e tutto andrà meglio. Mi rifaccio una vita. Mi preparo per la pensione, cerco di rigare dritto anche al lavoro. Perché dopo che fai ammazzare qualcuno non puoi rubare più neanche una caramella, figuriamoci arricchirsi con la droga. La verità è che potrei semplicemente divorziare, chiederle di spostare il culo a chilometri di distanza, ma non sarebbe una soluzione definitiva, non per me. Prima o poi il mio fiorellino verrà colto da qualcuno, e io ho tanta immaginazione. Ci mettiamo a tavola e le due iniziano a mangiare, fameliche. Sono delle iene, maledette, soprattutto Giorgia. Si è mangiata la mia vita a grossi bocconi, da quando ha emesso il suo primo vagito. Un secondo prima, Elena era la mia gattina. Un secondo dopo, era sua madre. «Potrei trovare un appartamentino» mormora Giorgia, lanciando una bomba lontano chilometri, con una spinta debolissima. Tecnica raffinata, saranno in tre al mondo a saperla padroneggiare. «Non possiamo continuare così» s’intromette Elena, lapidaria. Non ha bisogno di alzare la voce, né che le sue parole siano coerenti con il contesto: io le capisco, e agisco di conseguenza. Dopotutto, sono diversi anni che il contesto in cui vivo ha perso ogni logica. Devo fare sforzi costanti per capire anche le discussioni più elementari. «Ho venticinque anni, uno stipendio e una carriera» Giorgia. «Prima non credevo fosse necessario essere drastici. Pensavo che avremmo potuto continuare così in eterno» Elena. Io non ho ancora detto una sola parola. Ascolto la sinfonia delle loro voci, e mangio. «È arrivato il momento di cambiare le cose». La figlia. «Non ce la faccio più». La madre, finalmente. Si alza, butta il tovagliolo sul campo di battaglia, e va a vedere quanto lontano è stata sganciata la bomba. Forse riuscirà a limitare i danni, e Giorgia resterà a rompere il cazzo in casa per almeno un altro decennio. Di notte, mi giro e mi rigiro nel letto, pensando che domani sarò in lutto. Per le sette di sera avrò il mio bottoncino nero sulla giacca e tutti mi daranno pacche sulle spalle. Penso anche alla conversazione di stasera, a tavola. Se Giorgia andasse via di casa, forse potrebbe cambiare qualcosa. Ma poi penso che no, non cambierebbe nulla. Qui o altrove, Giorgia è il senso del matrimonio di Elena, non del mio. Esiste, dunque che motivo avrebbe di rimettere in funzione l’apparato riproduttivo? Ricominciare quei ridicoli, meravigliosi giochi di seduzione? Il più bello di tutti, l’amore, è quello che mi manca di più. Soffro come un bambino abbandonato, ma ancora più forte del dolore è la rabbia, è per questo che la voglio morta. Mi torna in mente la conversazione che abbiamo avuto a tavola. Che hanno avuto a tavola, perché io sono stato ignorato, escluso dal dibattito. Potrei trovare un appartamentino. Non possiamo continuare così. Ho venticinque anni, uno stipendio e una carriera. Prima non credevo fosse necessario essere drastici. Pensavo che avremmo potuto continuare così in eterno. È arrivato il momento di cambiare le cose. Non ce la faccio più. Che orchestra, le mie donne. Suonano come un unico strumento. Non mi arriva nessuna telefonata di conferma, non è mai prudente farne, ma io so che è andato tutto come doveva andare. Alla Centrale mi avvisano che c’è stata una sparatoria nei Quartieri, e che forse la retata va anticipata. Consegno la lista dei corrieri, opportunamente modificata, e penso a quando si potrebbe fare l’operazione. Tra tre giorni al porto arriverà un grosso carico, insieme a quintali di sigarette di contrabbando. Ci saranno tutti, è quello il momento giusto. Se anticipassimo la retata, perderemmo una bella occasione per fare i fuochi d’artificio in televisione. E poi dovremmo dividere la squadra, per acchiapparli. No, meglio aspettare l’arrivo dell’Arca di Noè. Santo e Cielo si parano davanti alla scrivania. Sono gli angeli della morte, mi mostrano un foglio con aria contrita. «Noi… non sappiamo come dirtelo» mormora Santo. «Ci dispiace, capo» Cielo, magnanimo. Leggo il rapporto della sparatoria nei Quartieri e mi metto le mani sulla faccia, per assicurarmi di essere ancora lì.