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Sopravvivere al Biker
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Sopravvivere al Biker

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About this ebook

La storia di Adriana e Trevor continua. Adriana avrà il coraggio di lottare per il suo uomo? E Trevor prenderà le giuste decisioni in merito allle donne della sua vita?
Poi…
La guerra tra i Devil’s Rangers e i Gold Vipers arriva al culmine.

**Questo libro è rivolto ai lettori che abbiano compiuto almeno diciotto anni, per la presenza di linguaggio esplicito, situazioni di tipo sessuale e violenza che potrebbero infistidire alcuni lettori. Questa è un'opera di fantasia e non si pone come vera rappresentazione dei club di motociclismo. È stata scritta per puro intrattenimento.

LanguageItaliano
PublisherBadPress
Release dateDec 7, 2016
ISBN9781507146354
Sopravvivere al Biker
Author

Cassie Alexandra

USA Today bestselling author Cassie Alexandra (pen name of NY Times Bestselling Author, Kristen Middleton) has published over 40 titles since 2011. She writes romance, horror, fantasy, and suspense thrillers.  www.kristenmiddleton.com www.cassiealexandrabooks.com

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    Book preview

    Sopravvivere al Biker - Cassie Alexandra

    di

    Cassie Alexandra

    Copyright ©2015 Cassie Alexandra/K.L. Middleton

    Tutti i diritti sono riservati.

    Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta, conservata in un sistema di recupero dati o trasmessa in qualsiasi forma o tramite qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, di fotocopiatura o altro, senza il permesso scritto dell’autore.

    Questo libro è pura finzione. Ogni riferimento a nomi, personaggi e luoghi è casuale. La riproduzione di quest’opera è proibita senza il permesso scritto dell’autore.

    Revisione a cura di Giusi Tucci

    Capitolo Uno

    «Adriana» mi chiamò Vanda da fuori la porta del bagno. «Stai bene?»

    Mi asciugai la bocca con un fazzoletto. «Sì» risposi, buttandolo nel gabinetto. «Esco tra un minuto.»

    Lei restò in silenzio per un paio di secondi. «Stai vomitando di nuovo?»

    «No» mentii. «Mi sono lavata i denti. Cosa ti serve, mamma?»

    «Pensavo di averti sentito vomitare. Sono solo preoccupata per te.»

    Aprii l’acqua e mi lavai le mani; non sapevo se essere arrabbiata o divertita dal fatto che fosse rimasta ad ascoltare fuori dalla porta. «Sto bene. Esco subito.»

    «Okay.»

    Quando uscii dal bagno, lei era ancora in camera mia e stava guardando fuori dalla finestra con aria pensierosa.

    «Che c’è?» chiesi.

    Lei si girò e vidi che le rughe di preoccupazione sul suo viso erano più marcate del solito. «Ti volevo chiedere la stessa cosa.»

    «Non so a cosa ti riferisci» dissi, raggiungendo il mio armadio. Aprii la porta scorrevole e mi misi a cercare qualcosa da indossare. Erano le sette e mezza di mattina e avevo lezione alle nove. Non ero per niente dell’umore per chiacchierare e farmi rimproverare.

    «Come va tra te e quel motociclista? Trevor.»

    «Bene.» Sentire il suo nome mi fece sentire un peso sul petto. «Perché me lo chiedi?» domandai, tirando fuori un maglione di cashmere verde.

    «Ultimamente resti a casa. La notte. E sono due weekend che non vai a casa sua.»

    «Sono piena di compiti» dissi, non volendo parlarne. La verità era che lo stavo evitando da quando Brandy, la sua ex ragazza, ci aveva rivelato di essere incinta. Lei aveva affermato che era di Trevor e lui, essendo stato abbandonato da sua madre e trattato di merda da suo padre, voleva fare la cosa giusta con i suoi figli. Purtroppo, questo significava farla vivere a casa sua, visto che sembrava non aver nessun altro posto in cui andare.

    «Va tutto bene?»

    Mi girai e la guardai. Probabilmente avrebbe fatto i salti di gioia se avesse saputo la verità: che tra noi non andava affatto bene. Tuttavia, avevo deciso di tenerlo per me. Perché, anche se le cose si fossero sistemate e il bambino non si fosse rivelato suo, me lo avrebbe rinfacciato. Mia madre mi voleva bene ma non si fidava di Trevor, né le piaceva particolarmente. Sarebbe stata un’argomentazione in più da usare contro Il Motociclista.

    Scrollai le spalle. «Sì. Certo. Perché la cosa ti preoccupa tanto?»

    «Sono preoccupata per te» rispose, i suoi occhi verdi erano dolci. «Sei molto silenziosa. Troppo.»

    Il mio stomaco ricominciò a rivoltarsi. «Ad essere sincera, credo di avere un po’ di influenza o qualcosa del genere» risposi, precipitandomi ancora in bagno.

    «Anche Gerald l’ha avuta la settimana scorsa, probabilmente è per quello» rispose mentre chiudevo la porta.

    Mi piegai sul gabinetto e questo bastò a farmi vomitare.

    «Ti vado a prendere un po’ di ginger» disse dall’altro lato della porta. «Magari ti mette a posto lo stomaco.»

    «Ehm, grazie, mamma» dissi con voce roca.

    «Prego.»

    Mi asciugai la bocca con un fazzoletto, lo buttai nel gabinetto e arrossii. Mentre mi lavavo i denti, bussò di nuovo alla porta.

    «Ecco qua» disse, porgendomi un bicchiere e due pillole.

    Le fissai. Non le conoscevo. «Cosa sono?»

    «Papaya. Ti metteranno a posto lo stomaco. Jim le usa contro il bruciore di stomaco. Puoi masticarle.»

    «Grazie» risposi prendendole. «Ah, sono buone.»

    «Lo so. Anche io le prendo ultimamente. Spostò lo sguardo sulla mia pancia e cambiò sensibilmente discorso. «Usi i contraccettivi?»

    Alzai un sopracciglio. Quella conversazione no. Avevo ventun anni e lei mi faceva domande sul sesso. «Come?»

    Lei rise, tesa. «Sono sicura di sì, ma... sai.» La sua espressione diventò seria. «Non sei incinta, vero?»

    «No, prendo la pillola.»

    «Ah, bene. Usate anche il preservativo? Cioè, è bene usarlo con un uomo come Trevor» disse, aggrottando la fronte. «Chissà con che genere di donne è stato.»

    «Mamma, così offendi anche me» dissi, bevendo un altro sorso di ginger. «Possiamo evitare di parlarne? Sono un’adulta e non ho molta voglia di discutere della mia vita sessuale con te.»

    «Mi prendo solo cura di te» disse torcendosi le mani.

    «Va bene. Grazie. Ora, se non ti dispiace, mi vesto e vado a scuola.»

    «Ti preparo qualcosa per colazione?»

    Pensare al cibo mi fece venire i brividi. «No. Non credo che riuscirei a tenerlo nello stomaco.»

    Lei strinse le labbra. «Se hai l’influenza non dovresti andare a scuola.»

    Presi un paio di slip e un reggiseno dal comò. «Ho una verifica stamattina» dissi, infilandomi le mutandine da sotto l’accappatoio bianco di spugna. «Non posso saltarla.»

    «Sono sicura che recupererai. Digli che stai male.»

    Aveva una risposta a tutto. «Non voglio recuperare. E poi mi sento meglio. Credo che quella bevanda che mi hai dato stia funzionando davvero. Abbiamo dei cracker? Me ne porto un po’.»

    «Sì. Te ne metto un po’ in un sacchetto di plastica» disse andando alla porta. «Faccio in fretta.»

    «Grazie.»

    «Figurati.»

    Finii di vestirmi e tornai in bagno, legandomi i capelli in una coda. Valutai se truccarmi, ma alla fine decisi di non farlo.

    A che scopo?

    «Ecco» disse Vanda quando entrai in cucina con lo zaino. «Cracker.»

    Presi il sacchetto. «Grazie.»

    «A proposito, stasera vado di nuovo a cena con Jim. Dopo il lavoro. Ma se hai bisogno, chiamami e torno a casa.»

    «Non preoccuparti per me, sto bene» dissi, notando che aveva dedicato più attenzione ai suoi capelli castani ramati. Di solito si faceva lo chignon per andare al lavoro, ma quel giorno li aveva arricciati e lasciati sciolti. «Che bei capelli.»

    Se li toccò e sorrise. «Grazie. A Jim piacciono così.»

    «Oh. Ora capisco. Divertitevi. E, se decidi di non tornare a casa, non ci sono problemi.»

    «Ah.» Agitò una mano, ridendo. «Torno a casa. Non siamo ancora arrivati a quel punto.»

    «Beh, quando ci arriverete, mi raccomando: usate il preservativo» dissi, godendomi l’improvviso imbarazzo sul suo viso. «Non mi servono fratellini e sorelline.»

    «Santo cielo, sono troppo vecchia per avere altri figli» rispose dandomi le spalle. Prese una bottiglia di disinfettante e si mise a pulire il bancone.

    «Mamma, non hai nemmeno cinquant’anni. Potrebbe succedere» dissi, prendendo le chiavi dalla borsa.

    «Tu pensa a te, Adriana» disse, prendendo un po’ di Scottex. Si girò a guardarmi. «D’accordo?»

    «Lo stesso vale per te, mamma» dissi facendole l’occhiolino. «Siamo entrambe adulte, no?»

    Lei ridacchiò e annuì. «Va bene. Hai ragione.»

    Feci un sorrisetto. «Finalmente. Ci vediamo stasera.»

    «Ciao, Adriana.»

    Uscii di casa e salii in macchina. Mentre uscivo dal garage, il mio cellulare cominciò a squillare. Quando vidi che era Trevor, imprecai sottovoce e risposi con riluttanza.

    «Ciao, Gattina» disse con quella sua voce sexy e indolente.

    «Ciao.»

    «Che stai facendo?»

    «Ho lezione. Sto andando lì.»

    «Solo una?»

    «No, tre, veramente.»

    «Fai un salto qui quando finisci.»

    Aggrottai la fronte. L’ultima cosa che volevo era vedere Brandy con l’aria di chi fosse la proprietaria della casa. Sapevo che mi odiava. Glielo avevo letto negli occhi. Avrebbe fatto il possibile per farmi sentire fuori posto. Al momento non avevo voglia di affrontare tutto quello. «Non... non mi sento granché bene. Mi tocca passare.»

    Lui sospirò. «Mi stai evitando.»

    «No.»

    «Sì, invece.»

    «Sul serio, non mi sento bene.»

    «Certo. Come la settimana scorsa.»

    «Avevo delle lezioni e degli esami.»

    «E gli ultimi due fine settimana?»

    «Ho dovuto studiare per quegli esami.»

    «Cazzo, Adriana. Sono stronzate. Mi stai evitando per colpa di Brandy.»

    Ovviamente. «È ancora a casa tua?»

    «Sì, ma come ti ho già detto, vive qui e basta. Non c’è altro. Diamine, se potessi cacciarla via oggi stesso lo farei.»

    «A proposito... quando scoprirai se il bambino è tuo?»

    «La prossima settimana.»

    Sospirai di sollievo. Pensavo ci sarebbe voluto molto più tempo per fare il test di paternità. «Sai di quante settimane è incinta?»

    «Quasi nove.» Sospirò. «Basta parlare di lei. Ho bisogno di vederti, tesoro. Non sai quante volte avrei voluto venire a casa tua a prenderti.»

    Cosa te l’ha impedito? Volevo chiedergli.

    «Comunque ho una cosa per te» disse con un sorriso nella voce.

    Lo vidi stringersi i genitali e sentii un fremito in basso. «Ah, sì? Cosa?»

    «No, no, no. È una sorpresa. Vieni qui quando hai finito con le lezioni e vedrai.»

    Cedetti. «Va bene. Dovrei arrivare intorno alle quattro.» Così avrei avuto tempo di tornare a casa a farmi la doccia e cambiarmi.

    «Ottimo. Conterò i minuti. Cazzo se mi sei mancata, Gattina.»

    «Anche tu mi sei mancato.» Mi morsi il labbro inferiore. Dovevo chiederglielo. «Ci sarà anche Brandy?»

    «No. Non credo. Lavora al Griffin.»

    Feci una risatina nasale. «Come spogliarellista?»

    «No, sta prendendo lezioni per fare la barista e Schianto è stato tanto gentile da darle un lavoro. Si esercita anche con Misty.»

    «Ne deduco che è stata licenziata dal suo vecchio capo?»

    «Sì. L’ha buttata fuori di casa e l’ha sostituita in ufficio.»

    «E se il bambino non fosse tuo?» chiese. «Vuoi che resti al Griffin?»

    «Non m’importa. Le serve un lavoro. E poi non passo più molto tempo lì. Di solito sto al circolo.»

    «Ah, molto meglio» risposi sardonica. Ricordavo ancora quando Krystal mi aveva parlato delle prostitute di gruppo che stavano lì, nude. I pali per fare lo spogliarello. Gli alcolici. Da come me ne aveva parlato lei, era come una festa di addio al celibato senza fine.

    «Non è così male e i casini succedono solo se te li cerchi» dissi. «L’unica cosa che cerco io, sei tu, Gattina, nel mio letto. Oggi pomeriggio.»

    Anche se avevo ancora un po’ di nausea, lo volevo anch’io. Mi era mancato terribilmente.

    «Non mancherò.»

    Capitolo Due

    Dopo aver chiuso la chiamata con Adriana, entrai in cucina e mi preparai il caffè. Mentre me ne versavo una tazza, Brandy entrò tutta rilassata con indosso un pagliaccetto rosso, sotto una vestaglia che lasciava poco all’immaginazione.

    «Oh, pensavo te ne fossi già andato» disse con un sorriso schivo.

    Notando il luccichio nei suoi occhi, indietreggiai di un passo. Sapevo cosa stava cercando di fare Brandy: si era vestita in quel modo per me, nella speranza che capitolassi e la scopassi. Quella ragazza era una ninfomane e, anche se ero arrapato viste le due settimane passate senza sesso, non avrei ceduto. «Ero nel garage a cambiare l’olio.»

    Lei andò al frigorifero e lo aprì. «Ah, alla tua motocicletta?»

    «No. Fa troppo freddo in Iowa per guidare qualcosa che non sia un’automobile. Stavo cambiando l’olio al mio pick-up.»

    Lei si piegò in avanti, il sedere all’aria mentre cercava qualcosa da mangiare. «Non sapevo avessi un pick-up.»

    Distolsi lo sguardo. «Sono cambiate molte cose da quando ci siamo lasciati.»

    Prese un barattolo di sottaceti e si raddrizzò. «Immagino di sì.»

    Mi girai e guardai il barattolo. «Sottaceti per colazione, eh? Devi proprio essere incinta.»

    Lo poggiò sul bancone e svitò il tappo. «Sì, credo sia vero quello che dicono sul desiderio delle donne incinte per i sottaceti» disse, prendendo il più grosso. Aprì la bocca e ci infilò il sottaceto, succhiandone rumorosamente il succo mentre mi guardava in cerca di una reazione da parte mia.

    Repressi un sorriso. Dovevo dargliene atto: quando voleva una cosa, non si poneva limiti. «Vedo che ti piace da impazzire quel sottaceto.»

    Lei fece l’occhiolino. «Cosa posso dirti? Amo succhiare.»

    Ignorando la sua affermazione, bevvi in fretta il mio caffè. Era ora di andarsene, prima che si spingesse oltre, cosa che sapevo avrebbe fatto. «Beh, ce n’è un altro barattolo in dispensa, se ne vuoi ancora» dissi andando al lavandino. Aprii l’acqua e sciacquai la tazza. «Serviti pure.»

    Lei venne alle mie spalle e fece scivolare le mani intorno alla mia vita. «E se ti dicessi che voglio il tuo di sottaceto?» mormorò, facendo scorrere le dita lungo la cerniera dei miei pantaloni.

    Mi irrigidii. «Basta» mormorai, prendendole le mani. Mi girai e la intimidii con lo sguardo. «Devi smetterla con queste cazzate.»

    «Ce l’hai duro, Trevor» disse, lanciandomi la vecchia occhiata che diceva: scopami. «Sai, se vuoi ci penso io. E non preoccuparti» sorrise maliziosa. «Non lo dico a nessuno.»

    «Non voglio farlo con te, Brandy, è solo un riflesso» dissi, lasciandole le mani. Le girai intorno. «Ora vai a metterti qualcosa addosso, cazzo.»

    «Trevor, aspetta» disse mentre andavo alla porta della cucina.

    Mi girai esasperato. «Che c’è?»

    «Ti vedi ancora con lei?»

    «Si chiama Adriana e sì, mi vedo ancora con lei. Te l’ho già detto, Brandy, ora è la mia Signora.»

    Lei si mise le mani sui fianchi. «Allora dov’è stata?» chiese, con voce spezzata. «Insomma, di certo se n’è scappata quando ha scoperto che ero incinta. La maggior parte delle donne sarebbe rimasta con il suo uomo, anche in quelle circostanze.»

    «È confusa. Non capita tutti i giorni che chieda ad una donna di sposarmi e che dopo mezz’ora questa scopra che potrei essere il padre del figlio di un’altra.»

    «Le hai chiesto di sposarti?» chiese con voce strozzata, gli occhi che si riempivano di lacrime.

    Annuii.

    «A me non l’hai mai chiesto. Sono stata la tua Signora per due anni e non mi hai mai chiesto di sposarti.»

    «Chi ti dice che non l’avrei fatto?» sbottai, ricordando il periodo in cui mi ero messo a cercare gli anelli. Era San Valentino dell’anno prima ed ero ad un passo dal comprarle un anello di fidanzamento. Ma Schianto mi aveva chiamato sul cellulare, ordinandomi di tornare al circolo. A quanto pareva, mi aveva salvato anche quella volta.

    Lei si mise a piangere. «Mi dispiace tanto, Trevor. Magari se l’avessi saputo...»

    Grugnii. «Cosa? Non saresti finita a letto con un altro uomo?»

    Brandy cominciò con le sue solite scuse, ma io la interruppi. «Non voglio sentire niente» dissi, gelandola con lo sguardo. Col cazzo che avrebbe ribaltato la situazione, facendomi sentire in colpa. Io? «Innanzitutto, sapevi quanto fossi importante per me. Ti avevo messo la toppa. Ti avevo nominata mia Signora, cazzo. Ti avrei sposata? Prima o poi. Ma quella nave ormai è partita e siamo ad un punto di non ritorno. L’unico motivo per cui vivi a casa mia è che, nel caso in cui quel bambino sia mio, mi assicuro che abbia un tetto sulla testa. Per quanto riguarda noi due? Togliti questa stronzata dalla testa, perché ora sono innamorato di Adriana.»

    «Davvero?» disse con scherno. «La ami? La conosci a malapena.»

    «Che diamine importa?» ribattei. «Io e te siamo stati insieme due anni, Brandy, e non conoscevo nemmeno te.»

    «Ma...»

    «Risparmiati le scuse» dissi uscendo dalla cucina. «Non mi interessano.»

    «Trevor!» gridò, seguendomi.

    Mi girai e la fulminai con lo sguardo. Ora anche sentirle pronunciare il mio nome di battesimo mi faceva arrabbiare. «D’ora in poi chiamami Raptor.»

    L’espressione afflitta nei suoi occhi mi portò quasi a ritirare tutto, ma poi ricordai cosa ci aveva portati a quel punto.

    «Sei uno stronzo senza cuore» disse,

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