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Controcampo
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Giorgio Romani è un ex-manager in pensione che dirige la sede locale di un’associazione umanitaria. Un cittadino modello. Finché una serie di tragiche vicende personali, aventi come protagonisti dei cacciatori, non finirà per trasformare un’istintiva avversione per la caccia in una feroce guerra contro tutti i suoi adepti diventando l’incubo delle loro domeniche. Il Cacciatore di cacciatori.

Romani vuole anche rivitalizzare un movimento animalista un po’ ammaccato, sensibilizzare nuove fasce di cittadini, far partire una serie di iniziative contro la caccia.

La vicenda che si svolge nell’arco di tre anni, dal 2011 al 2014, è ambientata a Pordenone e sulle sue montagne, ma poi si sposta, in un crescendo di sanguinosi delitti, nella Maremma e sull’Appennino tosco-emiliano, per terminare la sua folle corsa in Africa.

A dare la caccia al Cacciatore è una giovane ispettrice di polizia con trascorsi di animalista militante, Armelie Bernardi, al primo caso di omicidio della sua carriera.

Un interessante escamotage letterario, che mira a coinvolgere il Lettore, le regole di ingaggio sono dichiarate dalla prima pagina. Così, anziché giocare a nascondino, seminare indizi e sfidare il Lettore a scoprire il colpevole, il colpevole narra in prima persona le sue vicende.

Un thriller perfettamente costruito con un finale aperto e inatteso.
LanguageItaliano
Release dateJul 1, 2016
ISBN9788863968835
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    Controcampo - Giorgio Ronco

    Buzzi…

    Nota dell’Autore

    Venendo dalla pubblicità, ho sempre avuto grande familiarità con i testi scritti, fossero miei o più spesso di altri. Ma erano testi brevi, spesso brevissimi. Una circostanza che mi ha sempre frenato dallo scrivere un libro. Al massimo avrei potuto scrivere dei racconti.

    Poi un giorno mi è venuta in mente una strana storia e mi sono detto: Dopotutto, nessuno scrittore al suo primo libro aveva già scritto un libro.

    E così ho voluto provare a raccontare quella storia.

    Mi sono dato due mesi di tempo per verificare la fattibilità del progetto. Due mesi per definire trama, intreccio, fare i necessari approfondimenti tecnici, profilare i personaggi, i contesti, fare prove di scrittura.

    Qualche giorno dopo, camminando, mi si è composta in mente la prima riga del romanzo. E così, mentre per settimane continuavo nella mia verifica, già sapevo che avrei scritto quella storia.

    Prima parte

    Verso la caccia

    1

    Se fosse un film, sarebbe un controcampo. Invece è realtà. E sarà una strage.

    Loro non lo sanno e ancora per un po’ non ne avranno sentore. Infatti, per stabilire la presenza di un pericoloso killer, un episodio non basta, ne servono almeno due.

    Loro così continuano ad andare ignari incontro al proprio destino, portandosi dietro le rate del mutuo, i clienti che non pagano, la mamma con l’Alzheimer, la prospettiva di un buon affare o di una promozione, come tutti. Ma anche tesi, eccitati, pronti e implacabili come nessun altro.

    Loro, sono i cacciatori.

    Cacciatori come il Robert De Niro dell’omonimo film di Michael Cimino, un cacciatore di cervi che quando l’amico Nick gli chiede perché usi un fucile a un solo colpo, risponde: Perché la caccia dev’essere uno scontro alla pari.

    Peccato che il cervo non abbia idea che gli stiano sparando quell’unico colpo, che non sia per niente interessato allo scontro e che soprattutto non abbia una sua carabina per mettersi alla pari.

    Certo, i cacciatori sono pienamente coscienti di quanto l’esercizio della loro attività sia rischioso, puoi sempre cadere in un dirupo, venire attaccato da un animale, essere ferito da un colpo accidentale. Ma di una cosa sono sicuri, di essere loro a definire il campo di tiro e il posto dove stare, sempre e comunque dalla parte giusta del fucile.

    Diranno che sono un serial killer, ma non sono d’accordo. Perché se De Niro non era un serial killer di cervi, ma solo un romantico cacciatore, allora anch’io ho il diritto di essere un semplice cacciatore. Di cacciatori.

    Credo che tutto sia cominciato con quel maledetto incidente che mi ha portato via Camilla. Non è stato un incidente di caccia, ma era domenica e nell’auto c’erano due cacciatori che tornavano a casa. Camilla non li aveva visti, uscendo in bici da quella precedenza. Io non c’ero, ero via, non ho neanche potuto dirle addio, l’ho persa così.

    Poi c’è stata l’uccisione di Lilì. Abbattuta da una fucilata. Fulva, bastardina, muso e taglia da volpina, più bella di qualsiasi pedigree. L’avevamo raccolta a Trento, un paio d’anni prima. Da quando Camilla non c’era più, era lei la mia famiglia, mi aveva impedito di impazzire. Fino a quel giorno di ottobre, in quella campagna vicino al Tagliamento. Io ero nel bosco che cercavo funghi, lei faceva la matta dentro e fuori dal folto. Il rumore di uno sparo, i guaiti strazianti, io che corro sul prato e la vedo a terra in una pozza di sangue. In giro, nessuno. Quando mi hanno visto, devono essersela svignata in fretta, quei bastardi.

    Le ho accarezzato la testa e lei mi guardava, mentre le tenevo la zampa. Difficile da dimenticare. L’ho avvolta in un plaid e ho provato a fare una corsa dal veterinario, ma non c’è stato niente da fare, Lilì è morta durante il tragitto. Ancor oggi ho una piccola macchia di sangue sul sedile anteriore, dove lei ha vissuto gli ultimi minuti della sua breve vita. L’ho sepolta nel boschetto di fronte a casa.

    Se già prima non potevo soffrire i cacciatori, con la loro violenza primitiva e sanguinaria, dopo Camilla ho cominciato a detestarli. E dopo Lilì, ho preso a odiarli tutti di un odio feroce. Sono sprofondato in un buco nero, per mesi ho fatto una vita di merda, ma la cosa è finita lì.

    Poi un giorno mi è toccato di sentire Gianni decantare, e mimare, l’andar per monti a tirar sui caprioli. E se invece - mi sorpresi a pensare - trovassi lì qualcuno che si mette, lui, a tirare su di te e sui tuoi amici? Forse il mondo sarebbe migliore, più caprioli e meno cacciatori, non sarebbe una cosa da scartare a priori. E quando, risucchiato da quella fantasia, mi sono messo ad approfondirla, così giusto per fare, mi ricordo di aver concluso dicendo: Oltretutto, io sarei anche insospettabile.

    Balle.

    Guardando un po’ più in dettaglio, il mio profilo evidenzia situazioni e caratteristiche molto compatibili con quella scellerata fantasia. Tanto per cominciare, il fattore brava persona in casi del genere conta ben poco. Infatti, le indagini non si orienterebbero certo sui criminali incalliti, ma magari proprio sulle cosiddette brave persone, possessori di un’arma di quel tipo, bravi tiratori, presenti in zona, eccetera. Poi, tempo disponibile e totale libertà di movimento mi darebbero ottime possibilità di azione. La lunga consuetudine alle armi certo non mi aiuterebbe. E se a questo aggiungiamo che la polizia dispone oggi di sofisticate tecniche di analisi criminologica, finisce che mi troverebbero senza tanti problemi. Altro che insospettabile, per avere una minima chance di cavarmela dovrei farmi un buon piano. Un piano che sappia dare una risposta convincente a tutta una serie di questioni basilari e cioè:

    obiettivi dell’impresa;

    fucile e calibro;

    abilità al tiro;

    licenza di caccia (per girare senza problemi);

    modus operandi;

    numero e tipo delle operazioni;

    intervalli fra le operazioni;

    vie di fuga;

    rischio indagini: movente/mezzo/occasione;

    durata dell’impresa.

    E già vedo che quella fantasia, oltre a svariati problemi di non poco conto (come il complesso allenamento per imparare il tiro a lunga distanza), avrebbe in ogni caso un enorme punto debole, le vie di fuga. Infatti, se il modus operandivuol essere quello di tirare ai cacciatori sul loro stesso terreno di caccia, sarebbe poi quasi impossibile fuggire in tempo utile. A meno che non si scelgano come bersagli i soli cacciatori solitari - troppo complicato - i compagni della vittima darebbero l’allarme con il cellulare e nel giro di pochi minuti si avrebbe sulla testa un elicottero della polizia. E dopo un altro breve lasso di tempo, posti di blocco nel raggio di dieci chilometri. Il tutto quasi sempre di giorno in campo aperto. Un bel problema.

    Dopo aver immaginato i modi più fantasiosi per eludere i controlli della polizia, concludo che l’unica possibilità sarebbe quella di mettere fuori uso i cellulari, in modo da impedire ogni allarme per un periodo di tempo sufficiente a consentire la fuga. So che esistono degli speciali apparecchi che fanno questo effetto, si chiamano jammer, però quelli con il raggio d’azione che servirebbe hanno dimensioni e peso tali (immaginate un videoregistratore di trenta, cinquanta chilogrammi) da non poter essere trasportati a piedi. Fine della storia.

    Questa semplice analisi mi ha preso due settimane di tempo. Una fatica inutile. Però sono rimasto intrigato dalla storia del tiro a lunga distanza. Così, anche per ricavare dal tutto qualcosa di positivo, ho deciso di comprarmi un fucile adatto a quel tipo di tiro, allenarmi seriamente e diventare un buon tiratore, così come lo sono sempre stato nel tiro con la pistola.

    Sì, ho deciso, il tiro a lunga distanza sarà il mio nuovo hobby.

    Maggio 2012. È passato più di un anno dalle riflessioni su quella bizzarra fantasia. Non lo avrei mai creduto, ma sono diventato un eccellente tiratore di fucile sulla distanza 300 metri, quella omologata nei poligoni e nelle gare ufficiali. (Sono perfino stato incoraggiato a cimentarmi in qualche competizione, ma non è nel mio stile). Un risultato di cui vado fiero, frutto di un anno di allenamenti settimanali al poligono di Tolmezzo, con il mio fucile Sako in calibro .308 Winchester. Un migliaio di colpi stressanti, tre ore di auto fra andata e ritorno, una bella spesa, ma n’è valsa la pena.

    E nemmeno avrei mai creduto che in questo stesso periodo sarebbe successo un episodio assolutamente casuale, ma capace di risolvere di slancio quel vecchio, insolubile problema delle vie di fuga.

    E siccome non c’è due senza tre, è proprio di questi giorni il boicottaggio di un referendum sulla caccia in Piemonte. Venticinque anni di carte bollate per vedere che alla fine la Regione, pur di evitare il referendum, non ha esitato a cancellare la legge che il referendum voleva modificare. In questo modo, la materia torna a essere regolata dalla legge nazionale e le specie cacciabili, che il referendum voleva ridurre da ventinove a quattro, aumentano addirittura a quarantaquattro. Con buona pace di cervi e caprioli.

    Una vera presa per i fondelli.

    Un noto personaggio piemontese, ancor prima dell’annullamento, sosteneva così il referendum: Di chi sono gli animali che vivono sul nostro territorio? Sono di tutti, no? Quindi anche un po’ miei. E allora, perché quegli scellerati li possono ammazzare, senza che io possa esprimere il mio parere?

    Insomma, quella vecchia fantasia è tornata attuale come non mai. E io ora sono forse l’unico che potrebbe tradurla in realtà, mettere un freno a quella carneficina.

    E quindi?

    Beh, non è che adesso, solo perché sono l’unico che potrebbe farlo, mi metto… ad andare a caccia di cacciatori, così, come fosse una cosa automatica.

    E quindi?

    E quindi, non rompere. Ci penserò su.

    Parola?

    Parola.

    E ci ho pensato davvero, per giorni ho sviscerato i vari aspetti della faccenda, i pro e i contro. Senza risultato. Ho anche cercato di resistere, di rifiutare quell’insana sfida, ma qualcosa di oscuro continuava a trascinarmi verso quella follia. Era come un tiro alla fune, uno stato di insopportabile tensione, così ho cominciato a lavorare sul piano e mi sono detto: Se trovo un piano che funziona davvero, vorrà dire che è un segno del destino. In realtà avevo già deciso.

    2

    Oggi ho avuto un lungo colloquio con una giovane somala alla sede del C.A.R.MA. (Centro Aiuto per le Ragazze Madri), di cui da quando sono in pensione dirigo la sezione locale. Nyela è stata ripetutamente violentata dal figlio del vecchio disabile, presso cui aveva ottenuto un sospirato lavoro di badante. Le nostre assistite sono ragazze giovani, anche giovanissime, quasi sempre straniere, gettate come uno straccio dopo l’uso e disposte a tutto per tirare avanti. Il nostro è un lavoro ingrato. Si fa quello che si può, sempre in lotta contro il tempo e la precarietà, cercando di evitare a queste disgraziate violenze, soprusi e il drammatico sbocco del marciapiede. Sono loro le ultime scorie, e le prime vittime, di una gravissima crisi economica e morale.

    Dopo l’incontro, arrivo a casa tardi e come al solito trovo la Buzzi che mi aspetta davanti al portone d’ingresso (fra l’altro non ho mai capito come faccia a sapere quando arrivo, ma non ha importanza). Le faccio il solito cenno e lei mi segue docile in ascensore. Buzzi è la gattina condominiale grigia tigrata, dagli occhi intelligenti, tirata su da Camilla e con la quale ho fatto una specie di patto. Lei ogni tanto viene su la sera a farmi compagnia, io però la mattina la riporto giù in giardino, dove ha una casetta in polistirolo sotto la thuja. Stasera, invece, voglio fare con lei un singolare esperimento. Adesso, Buzzi, io lavoro sul piano, seguendo la scaletta fatta all’inizio, e tu mi ascolti. E mi raccomando, concentrati, altrimenti dopo ti perdi. Okay?

    Obiettivi dell’impresa. Si possono dividere fra obiettivi di minima e di massima. L’obiettivo di minima di tutta la faccenda è senz’altro quello di creare un deterrente immediato contro la caccia. Terrorizzare i cacciatori, cambiargli le regole del gioco. Azione e reazione, botta e risposta, non ci sono abituati. In fondo non sono eroi, e neanche soldati. E qualcuno la domenica preferirà stare a casa. Non è moltissimo, però per cominciare può andar bene. Già così salveremo più di qualche animale.

    Ma l’obiettivo che più mi sta a cuore, e che darebbe un vero senso a tutta l’operazione, è quello di ricaricare un movimento animalista oggi un po’ ammaccato, sensibilizzare al problema nuove fasce di cittadini, far partire non solo da noi, ma anche in altri paesi, una serie di iniziative contro la caccia.

    Devi sapere, Buzzi, che la prima grande iniziativa anticaccia, lo storico referendum del 1990, ebbe un esito traumatico per il mondo animalista. L’operazione fallì per mancanza del quorum, anche se poi fra i votanti (quarantatré percento) il parere anti-caccia fu quasi plebiscitario (novantadue percento). Il mondo politico e sociale dell’epoca si spaccò praticamente in due, con politici che invitavano i cittadini all’astensione, partiti come il Pci quasi completamente lacerati, mariti cacciatori che minacciavano le mogli di stracciar loro il certificato elettorale. La lobby dei cacciatori riuscì a sconfiggere qualcosa come diciotto milioni di italiani. Una batosta difficile da digerire.

    È anche vero che la legge nazionale sulla caccia del 1992 ha poi accolto parte delle istanze animaliste del tempo, ma ormai oggi i tempi sono tornati maturi (la grande maggioranza della popolazione è contraria alla caccia) per un’ulteriore restrizione di questa barbara attività.

    E se in passato non ho mai avuto alcun rapporto diretto o indiretto con gli animalisti, oggi potrei anche battermi al loro fianco. A modo mio.

    Il fucile è il Sako Trg 22, ottima arma, molto precisa e munita di cannocchiale Swarovski per il tiro a lunga distanza, capace di ingrandire un bersaglio a trecento metri fino a farlo apparire come se fosse dall’altra parte della strada. Il calibro .308 Winchester è un calibro campione nei poligoni trecento metri di tutto il mondo, è adottato ovunque dai tiratori scelti di eserciti e corpi speciali, ed è massicciamente impiegato nella caccia di selvaggina di medie-grosse dimensioni. Con adeguate cartucce (e buona capacità di tiro) può dare ottimi risultati anche con i più pericolosi felini africani. Ma non oltre.

    L’abilità al tiro ce l’ho già, colpisco bene a trecento metri, tirando in varie posizioni.

    La licenza di caccia è una bella rottura, ma non un problema. Solo che, fra esame e lunghi tempi burocratici, non riuscirò ad averla per le prime cacce (le meno pericolose).

    Il modus operandi è quello immaginato nella fantasia iniziale e cioè tirare ai cacciatori sul loro stesso terreno di caccia. In questo modo capiranno presto di trovarsi davanti un pericoloso killer e le indagini si faranno subito pericolose, ma anche l’effetto deterrente comincerà ad agire velocemente. E poi tirargli addosso proprio nel giorno canonico della caccia, quindi la domenica, quando c’è in giro il maggior numero di cacciatori. Una scelta che oltretutto mi faciliterebbe nella gestione degli alibi. Dove volete che sia un maturo single nel primo mattino della domenica? Ma a casa da solo, ovvio.

    E perché la mia impresa possa raggiungere la massima efficacia, bisognerebbe che il numero di operazioni fosse almeno pari a quattro, coprendo così vari tipi di caccia e zone diverse del Paese. Tutti i cacciatori devono sentirsi sotto tiro. Un’operazione in Africa, alla fine, potrebbe esportare tutta la faccenda a livello internazionale.

    Per far durare l’effetto deterrenza il più a lungo possibile, bisognerebbe poi evitare che una determinata caccia o zona colpita diventi subito dopo una sorta di area franca. I cacciatori devono continuare a sentirsi sotto tiro. Per cui nello svolgimento dell’impresa ci dovrebbe essere anche una ripetizione, cioè una caccia o una zona che vengano colpite una seconda volta, evitando così ogni senso di immunità. Sarebbe un po’ come succedeva a scuola, quando l’insegnante carogna interrogava lo stesso allievo due volte di seguito.

    Per quanto riguarda il tipo di operazioni, direi che non possiamo non mettere la caccia al cervo - è il Bambi grande! - né possiamo trascurare il capriolo, da cui tutto è partito.

    (Cervi e caprioli, due fra le cacce preferite di Tarcisio Polidori, anziano operaio specializzato della O.M.F. di Pordenone. Il primo sfortunato cacciatore di questa storia. Minuto, nero, barbuto, con un fare un po’ maligno, Tarcisio ricorda un piccolo fauno. Non è mai diventato caposquadra, né vice, per una patologica incapacità di farsi valere con chicchessia. Timido e indeciso, è da sempre single, amante dei fiori e della caccia di montagna, disciplina in cui può fare sfoggio di una invidiabile agilità. Per via di un distillato alle prugne che porta sempre con sé, i suoi amici cacciatori lo chiamano anche il Prugnetta, ammiccando in quel modo a ben altre più imbarazzanti debolezze).

    Vorrei poi mettere fra le cacce anche un cattivo, uno di quelli che sembra non ti debba neanche rimordere la coscienza, come il cinghiale. In totale, sarebbero tre operazioni, più una ripetizione fanno quattro. Cinque se contiamo l’operazione in Africa. Quindi ci siamo.

    Ma… e gli uccelli, niente? La Buzzi sembra molto delusa.

    Ho sempre avuto una vera fobia per tutti i volatili, non è che posso violentarmi. Gli uccelli saranno un’area franca. Ma questo lo sapremo solo io e te.

    Gli intervalli fra le operazioni è bene tenerli abbastanza ampi. Ci darebbe più tempo per organizzarci, toglierebbe ritmo alle indagini e renderebbe senz’altro più difficile alla polizia ricostruire i movimenti delle persone. Dov’era lei quella domenica di due mesi fa? Solo un’agenda potrebbe dirtelo. E poi non fare più di due operazioni per ogni stagione di caccia. Vuol dire più

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