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Questo lungo inverno finirà...
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Questo lungo inverno finirà...

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About this ebook

Boris e Vova sono due fratelli di origine russa. Per motivi che il lettore andrà a scoprire, si ritrovano in Italia dove si integrano perfettamente tanto da sentirsi orgogliosamente italiani ed indossare l'onorata divisa della Regia Marina Militare. I loro destini seguiranno strade diverse dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale che ne condizionerà profondamente, attraverso gli accadimenti della vita, i sentimenti, i desideri e i comportamenti. L'azione si svolge, in prevalenza, in mare e nella zona della Lunigiana.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateJul 8, 2016
ISBN9788891147288
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    Questo lungo inverno finirà... - Francesco Mariano Marchiò

    casuale.

    Capitolo 1°

    Alojzy Vasilievich si era recato nella capitale polacca per motivi di studio e aveva conosciuto Natacha, una bionda ragazza polacca dalla carnagione rosata e dagli occhi celesti, mentre pattinavano sul ghiaccio del Lazienki, lago incastonato nell’immenso e meraviglioso parco reale dove regnava un silenzio assoluto e quasi religioso.

    C’erano andati col medesimo intento di sfuggire, per qualche ora, dalla confusione rumorosa e dal traffico della dirimpettaia Varsavia.

    Lui, premuroso, l’aveva aiutata a rialzarsi da una caduta ma, non era ancora dritta sulle gambe, che già se ne era innamorato, complici, senz’altro, la cornice del posto, le luci natalizie e la famosa Casa sull’acqua che si specchiavano nel ghiaccio del lago.

    Si sposarono che erano trascorsi appena tre mesi da quell’incontro e, siccome aveva trovato un ambiente molto accogliente, pieno di calore e di affetto, da parte dei componenti la famiglia della sposa, Alojsy aveva ritenuto bene di stabilircisi tanto più che l’ente del turismo l’aveva assunto per un insperato impiego mediamente retribuito. Grazie alla conoscenza delle lingue, faceva la guida turistica ai gruppi che volevano visitare la città e ammirare le numerose opere d’arte.

    Alojzy e Natacha constatarono però ben presto che la vita a Varsavia per loro era troppo cara e che, nonostante il buon stipendio di lui, non riuscivano a metter da parte uno zloty per gli imprevisti, pur cercando di risparmiare sul consumo del gas, della luce, sul mangiare, sul vestiario, su tutto.

    A volte non riuscivano neppure ad arrivare alla fine del mese!

    Lei, dopo un certo periodo, si accorse di essere incinta e incominciò a pensare che, con la nascita di un figlio, avrebbe vissuto meglio in una città più piccola, più a misura d’uomo dove, oltre tutto, per non essere considerati indigenti, non fosse necessario andare in auto o, addirittura, possedere una casa in zona signorile. Lui si ricordava che a Lodz vivevano, in affitto, stimatissimi professionisti che andavano al lavoro in bicicletta.

    Fu così che, di comune accordo, decisero di trasferirsi a Lodz, città natale di lui.

    Rimane a circa centoventi chilometri da Varsavia, era e forse è ancora, una città né grande né piccola, ma con meno pretese, più adatta a lavoratori, artigiani, gente che ci vive proprio perché sede di molte industrie manifatturiere che danno lavoro.

    Vanta uno zoo con quasi tutti gli animali del pianeta, diversi interessanti musei, un orto botanico e la via Piotrkowka che è lunghissima, la strada più lunga d’Europa, l’arteria principale lungo la quale scorre la vita della città, ricca di locali e anche bei negozi.

    Qui nacque Gemma, veramente frutto del loro amore.

    Ci abitarono alcuni anni ma anche da Lodz decisero di far le valigie perché, in breve tempo, in Polonia si era andata creando una situazione molto pericolosa a causa delle ambizioni espansionistiche della Germania che voleva annettersi il corridoio di Danzika. C’era da temere per la propria incolumità fisica. Nessuno dei tanti partiti politici riusciva a formare un governo forte e stabile che sapesse perorare i diritti della nazione e, d’altra parte, con un esercito di soli dodicimila uomini, non è che potessero fare la voce grossa. Forse perché non incuteva timore a nessuno la Polonia è sempre stata terra di conquista armata ed anche ideologica! Prussiani, austriaci, russi, nazisti, comunisti ci hanno sempre fatto da padroni!

    Prima che fosse troppo tardi decisero di trasferirsi in Italia attratti dai racconti ascoltati tante volte da amici che avevano abitato poco distanti da loro e che continuamente ricordavano, con grande nostalgica memoria, i posti visitati, la cucina, il clima, la vegetazione, l’azzurro del mare e l’allegria della gente. Per questo alla bimba avevano imposto il nome italiano Gemma che non trova esatta traduzione nella lingua polacca.

    Non fu comunque una decisione presa a cuor leggero; si trattò di trasferirsi in una nazione con usi e costumi totalmente diversi e lasciare tutto il pur modesto arredamento della casa, acquistato con non pochi sacrifici, ma il costo del trasporto superava di gran lunga il valore del mobilio, a ciò si aggiungeva la lunga e costosa trafila di documenti necessari per la dogana.

    L’unico vero rammarico di Natacha era l’aver dovuto rinunciare ad una credenzina, verniciata d’azzurro, con il sopralzo a vetri che era appartenuta a sua nonna.

    Dalla trasparenza dei vetri si ricordava di aver sempre ammirata una fila di tazzine antiche poste su di un lungo centrino ricamato a uncinetto e quel mobile, dove di nascosto, da piccola, rubava la marmellata, voleva dire molto per lei, non per il valore, quanto per il ricordo affettivo.

    La loro meta fu Sarzana nella valle del Magra dove, per informazioni assunte, gli affitti e il costo della vita in genere erano meno cari che altrove e il mare, che tanto amavano, non era distante. Sarzana era ricca di architetture religiose, un artistico centro storico, pittoresche stradine facenti parte della cittadella feudale con la fortezza e le relative importanti porte borchiate.

    L’ospedale era a La Spezia, non molto distante e facilmente raggiungibile.

    Bella e prosperosa, appena ebbe compiuto diciotto anni, Gemma trovò l’amore: Paolo, un giovane di Ceparana, aitante e simpatico che aveva cinque anni più di lei.

    Affittarono un appartamento con annesso appezzamento di terreno nei pressi di Amelia bassa dove incominciarono a coltivare ortaggi vari e curare diversi filari di vite bianca che qualcuno aveva precedentemente piantati. Il vino però non lo facevano perché onestamente ritenevano di non esserne capaci, ma portavano l’uva ad un’importante cantina di Ortonovo il cui titolare ricambiava con alcune damigiane di bianco dorato che somigliava molto ad un ottimo Vermentino delle vicine colline.

    Avevano stretto amicizia con diverse famiglie che apparivano ospitali e gentili nei confronti di chi veniva da fuori.

    Era un istintivo desiderio di dimostrare che possedevano un’apertura mentale non comune, dote poi neppure tanto genuina condita com’era da troppa curiosità, intromissione negli affari degli altri e continui consigli non richiesti per qualsiasi questione di cui venivano messi a conoscenza. Comunque non vivevano davvero male anche se in giro c’era a quell’epoca molta povertà e tanti emigravano verso gli stati uniti d’America e l’Argentina dove parecchi fecero fortuna. Altri si erano diretti in Francia e in Svizzera, come gli irlandesi, non molto ben visti. In special modo i meridionali, in diverse nazioni europee erano tacciati da imbroglioni e ladri.

    In Svizzera facilmente capitava di leggere, appesi alle finestre o ai portoni delle case, cartelli che precisavano la non disponibilità dei proprietari ad affittare gli appartamenti a italiani e irlandesi o addirittura, agli ingressi dei bar, scritte sui cristalli delle porte a veranda, la proibizione agli stessi di entrare.

    Gemma e Paolo amavano i bambini, avrebbero voluto averne almeno due, ma nonostante li desiderassero tanto, non gliene erano ancora arrivati.

    In poco tempo s’integrarono ottimamente con l’ambiente del posto e così i genitori di lei che, con grande facilità, impararono anche a parlare bene italiano. La gente del posto era praticamente piuttosto semplice, magari pettegola, ma non con intento maligno e calunnioso.

    Era fondamentalmente buona d’animo e sempre pronta a dare una mano al prossimo, la zona poi a Gemma ricordava la sua terra, così diceva, infatti da Riccò del Golfo fino alla foce del Magra ed oltre per diversi chilometri, la campagna, specie quella a ridosso del Vara, si svolge in una grande pianura pezzata qua e là dai vari colori delle diverse colture, fiorita di mandorli a primavera e punteggiata da infiniti papaveri rossi in estate.

    In autunno inoltrato rimanevano incantati ad ammirare gli alberi di cachi dei quali era ricco l’immediato entroterra. Quelle piante, ormai prive di foglie, cariche di frutti arancioni, a loro sembrava volessero anticipare il natale.

    Un buon servizio di corriere univa tutto il circondario. Quando non avevano particolari impegni, nei fine settimana, visitavano i paesi limitrofi della costa verso Porto Venere, Lerici, le Cinque Terre e nell’interno, verso l’alta Lunigiana, Aulla, Santo Stefano, Fivizzano, Bagnone ed altri, tutti di epoca medioevale, ricchi di storia e di castelli feudali. Apprezzarono subito l’italianissima pasta asciutta col sugo di pomodoro e sperimentarono con piacere varie ricette culinarie che diversificavano molto il loro genere di nutrizione.

    Nelle trattorie della zona scoprirono tipiche specialità della cucina locale come la Mesciua, quella gustosa minestra, simile al minestrone che gli spezzini ottengono facendo cuocere una mescolanza di tanti ortaggi e soprattutto legumi, poi, tipici da Aulla in su, verso il passo della Cisa, i testaroli, fatti con farina integrale di grano tenero, impastata e stesa sul tagliere come quella per le tagliatelle, dopo una precottura in grandi piastre di terracotta chiamate tigelle, viene tagliata a striscioline e buttata per alcuni minuti in acqua a bollore.

    I testaroli li mangiarono a Pontremoli conditi col pesto alla genovese e lì il cuoco insegnò a Gemma a farlo ben precisandole che, possibilmente, doveva prepararlo con gli ingredienti giusti: basilico di Prà, pinoli di Pisa, aglio di Vessalico, olio extra vergine di olive taggiasche di Oneglia, un pizzico di sale grosso, pecorino sardo e grana di Reggio Emilia.

    Avevano anche imparato che il basilico, assieme al sale grosso e agli spicchi d’aglio, va pestato nel mortaio di marmo di Carrara e che il basilico deve essere quello dalle foglie piccole della riviera ligure di ponente: quello a foglie larghe sa leggermente di menta e non va bene.

    Col pesto si dovrebbero condire solo determinati tipi di pasta. Nel lericino ci condiscono gli spaghetti: cosa sbagliata! Ci si sposano bene le

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