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La foto di quel bacio
La foto di quel bacio
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La foto di quel bacio

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About this ebook

Nicola è ossessionato da Teresa, l'ex fidanzata che ama ancora; non riesce a darsi pace per la relazione finita.
Samanta, collega di lavoro di Nicola, è innamorata di lui, ma sa di non avere alcuna possibilità di entrare nel suo cuore.
Il Photolive è un oggetto che permette di manipolare le foto, a seconda della volontà dell'utilizzatore.
E se l'alterazione non fosse limitata alle due dimensioni della foto, cosa potrebbe succedere?
 
LanguageItaliano
Release dateJul 26, 2016
ISBN9788822824332
La foto di quel bacio

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    La foto di quel bacio - Vittorio Tatti

    La foto di quel bacio

    La foto di quel bacio

    Romanzo

    Ogni riferimento a fatti, persone e/o luoghi realmente esistenti è puramente casuale.

    Testi e copertina: © Vittorio Tatti.

    Tutti i diritti riservati.

    Pubblicato a Luglio del 2016.

    1 – La foto di quel bacio

    Lo studio era avvolto da un silenzio quasi irreale. Il trambusto della traffico non poteva penetrare al proprio interno grazie alle finestre con doppio vetro, che non lasciava pietosamente entrare nemmeno uno spiffero. Il getto dell'aria condizionata faceva ondeggiare una delle felci disposte ai quattro angoli della stanza: stando a una ricerca, il colore verde avrebbe aiutato i pazienti a distendersi. La luce del sole era oscurata da spesse tende azzurre, anch'esse scelte per aiutare a creare un'atmosfera rilassante.

    Sulla scrivania in rovere svettava la targhetta con la scritta Dott.ssa Veronica Manchester. Oltre la monumentale libreria dello stesso materiale della scrivania, svettava un orologio. Il pendolo che lo teneva in vita oscillava con grazia, prendendosi tutta la scena.

    La psicologa, che annotava sempre diligentemente tutto, quella mattina decise di fare un'eccezione. Si rivolse al paziente confermando la propria impietosa diagnosi:

    «in sei mesi non abbiamo fatto alcun progresso: così non andiamo affatto bene».

    «Forse perché non mi ha ancora fatto un pompino, dottoressa. Cosa le costa? Le assicuro che, dopo essermi sfogato, mi sentirei molto meglio», rispose con altrettanto cinismo il signor Mark Rotterdam.

    Veronica lo fulminò con lo sguardo, ma fece il possibile per non perdere la calma: una psicologa che offende i pazienti, è una psicologa disoccupata. Per sua fortuna, era in cura ella stessa da uno psichiatra, il quale le aveva prescritto dei farmaci per la gestione della rabbia. Ciò le permise di mantenere il distacco emotivo dalla provocazione di Mark:

    «i pompini saranno disponibili solo alla centesima seduta, quando avrò guadagnato abbastanza per rifarmi l'auto. Torniamo a noi, le va? A mio parere, dovrebbe iniziare a prendere in considerazione una strada alternativa».

    Mark sospirò rassegnato, avendo recepito il messaggio della dottoressa:

    «fate presto, voi. Quando qualcosa non va, ingozzate il paziente di pillole e risolvete il problema, ma solo perché gli friggete il cervello con tutte quelle schifezze chimiche. Una persona denutrita, di cos'ha bisogno? Di cibo o di una pasticca che gli impedisca di sentire lo stimolo della fame? Se io ho bisogno della slot machine per stare bene, datemi una slot machine! Non mi dia le pillole, per favore...».

    «Sono una psicologa, non una psichiatra, quindi non prescrivo medicine. Ma potrei indirizzarla verso un collega molto bravo. Le abbiamo tentate tutte, non le pare? Adesso è ora di rivolgersi a quelle schifezze chimiche, come le chiama lei, se non vuole finire sul lastrico», sentenziò Veronica.

    Il paziente rimase in silenzio, per riflettere sul da farsi. Si alzò dal lettino e, preceduto dalla dottoressa, andò ad accomodarsi sulla sedia di fronte alla scrivania. Veronica scrisse su un fogliettino il nome e il numero di telefono dello psichiatra, poi lo consegnò al paziente. Dopo aver fatto ciò, si alzò dalla poltrona e si sedette sulla scrivania, proprio di fronte a Mark. Si sollevò la gonna e, con due dita, spostò di lato il perizoma rosso di cotone:

    «per te, oggi, niente pompino, ma puoi sempre fare qualcosa tu per me...».

    «Lo sapevo che sarebbe finita così... Chissà perché, in tutte le serie tv americane, finiscono sempre per fare sesso. È ingiusto!», esclamò Nicola, dopo aver rabbiosamente afferrato il telecomando e spento la tv.

    Lanciò uno sguardo in direzione di Pulcioso, il proprio gatto, e gli disse:

    «noi due non abbiamo di questi problemi, vero?».

    Pulcioso lo fissò di sbieco, come per dirgli no, ma ho intenzione di risolvere il più presto possibile. Si raggomitolò e gli diede le spalle, gesto che stava a indicare di non disturbarlo, perché era in procinto di iniziare il quarto o quinto sonnellino pomeridiano. Aveva scelto di chiamarlo così perché, quando lo trovò in mezzo alla strada cinque anni prima, era letteralmente infestato dalle pulci. L'aveva ospitato in casa in attesa d'adozione, ma Pulcioso aveva trovato confortevole quella dimora, così non se ne andò mai più. Prese anche la decisione di non castrarlo, per dargli la possibilità di conoscere il piacere del sesso. La gatta dei vicini di casa, Lady, sarebbe stata la preda ideale, se solo non si rifiutasse categoricamente di entrare in calore, nonostante nemmeno lei fosse stata sterilizzata.

    Faceva la difficile, esattamente come le femmine umane, con quel suo atteggiamento altezzoso in stile non ho bisogno di un uomo: mi soddisfo da me. Nicola nutriva seri dubbi che Lady riuscisse in tale intento, ma il risultato non cambiava: Pulcioso rimaneva in attesa di un richiamo che tardava ad arrivare. Visto che sembrava essere in grado di poter pazientare, perché castrarlo?

    Nicola si alzò dal divano con enorme fatica: essendo il suo giorno di riposo, avrebbe preferito trascorrerlo evitando di fossilizzarsi di fronte alla tv ma, all'ultimo, decise di rintanarsi in casa, come di consueto quando non doveva viaggiare per scrivere un servizio.

    Andò in camera da letto, aprì il cassetto del comò ed estrasse la cornice con la foto del loro primo bacio. Con loro s'intendeva il suo e quello della sua ultima fidanzata, Teresa

    La Veronica della serie tv l'avrebbe castigato con un disumano in sei mesi non abbiamo fatto alcun progresso: così non andiamo affatto bene, anche se avrebbe reagito in maniera molto più drastica, dal momento che si stava trascinando in quella situazione da ben due anni. In una cosa Nicola si riconosceva nel personaggio della tv, e non era di certo il sesso occasionale con la propria psicologa: lo scetticismo nei confronti della terapia.

    Quando una persona stava male e si rivolgeva a uno strizzacervelli, gli venivano prescritte delle pillole per curare i sintomi. Ma dal male, chi l'avrebbe guarito?

    Sapeva che, chi soffriva per amore, veniva trattato quasi come un appestato ed evitato da tutti, per non sentire in continuazione sfoghi e piagnistei di un passato morto e sepolto. Solo perché non aveva un'infezione o un tumore fisicamente visibile, anziché un compassionevole poverino, si beccava un cinico passerà. Passerà? Ma anche no.

    Nicola sapeva che non sarebbe passata, né tardi né mai; non a lui, almeno.

    Guardava quella foto tutti i giorni, prima di uscire per andare al lavoro e al rientro a casa. Riviveva con la mente la sensazione del calore delle labbra di Teresa sulle proprie, chiudendo gli occhi e fingendo che fosse lì, con lui. Non s'illudeva di poter ricominciare: quando una relazione finiva, non c'era possibilità che potesse rinascere a nuova vita dalle proprie ceneri. Il ricordo, però, non solo non era morto, ma era ancora vivo come il fuoco di un falò continuamente alimentato dalla legna, nel suo caso costituita dalla nostalgia.

    Il dolore, per quanto forte e difficile da sopportare, non lo faceva più piangere, ma sentiva il cuore spegnersi giorno dopo giorno. Si svegliava ogni mattina con la rassicurante consapevolezza che, prima o poi, la morte l'avrebbe sollevato dall'agonia di doversi addormentare e diventare protagonista di notti costellate di incubi.

    Se avesse potuto utilizzare qualche magia, si sarebbe accontentato di poter fare uscire quella Teresa dalla foto. Non sarebbe stata reale, ma sempre meglio che venire soffocati da quella desolante solitudine.

    2 – Un incarico monotono

    Nicola lavorava da tre anni come redattore per una rivista di Genova, conosciuta come La vita in piazza. Scopo di tale rivista era promuovere ogni tipo di evento e manifestazione presente sul territorio ligure, con qualche fugace apparizione di luoghi interregionali non troppo distanti dal capoluogo ligure. Fu assunto un anno prima che la relazione con Teresa precipitò verso il tracollo completo in maniera inesorabile.

    Erano in cinque a occupare quotidianamente quel piccolo ufficio dalle pareti gialle e con vista sulla trafficata Via XX Settembre e la fontana di Piazza De Ferrari: la caporedattrice Mafalda, lo sportivo Raimondo, la stagista Samanta e l'addetto alle pulizie Pablo; oltre, naturalmente, allo stesso Nicola, il quale era incaricato di scrivere articoli concernerti eventi culturali.

    Sebbene lo stipendio non fosse dei più elevati, la rivista riusciva a vendere i propri spazi pubblicitari ricavando un buon margine di profitto, permettendo alla redazione di ricevere saltuariamente qualche bonus in busta paga, proporzionalmente all'interesse suscitato nei lettori.

    Grazie alla sapiente direzione di Mafalda, La vita in piazza era un punto di riferimento per turisti di passaggio e cittadini alla riscoperta della città. Tuttavia, la sua abilità principale era quella di convincere gli inserzionisti a comparire su quelle pagine, donando loro quel lustro che gli articoli, da soli, non sarebbero riusciti a far risaltare.

    Mafalda era una quarantacinquenne single e femminista convinta, con la spiccata attitudine ad accalappiare maschi arrapati per sottometterli al proprio volere, e ottenere così da loro favori in cambio di prestazioni sessuali. Secondo indiscrezioni molto affidabili, era solo grazie a questa sua peculiarità, che Mafalda riusciva a estorcere la firma di esosi contratti pubblicitari utili alla rivista. Ed era vero.

    Non si era mai sposata, né aveva mai convissuto per più di qualche ora con l'uomo di turno con il quale iniziava una relazione. Provava una feroce avversione per l'amore e tutto ciò che era legato ai sentimenti. Odiava i film romantici, prediligendo quelli dove avveniva almeno un omicidio ogni dieci minuti.

    Nella redazione, oltre che di svolgere il ruolo di caporedattrice, si occupava anche di redigere articoli sulla vita mondana della città. Feste, cerimonie e manifestazioni nelle quali si beveva e facevano incontri, erano il suo pane quotidiano. Se non avesse avuto la certezza che l'Editore l'avrebbe licenziata seduta stante, avrebbe reso noti anche nomi di località ove si tenevano orge e festini a luci rosse con annesse sniffate di cocaina. Non poteva nominarli nella rivista, ma niente e nessuno aveva l'autorità di proibirle di andarci di persona.

    Era stata timbrata, in entrata e in uscita, sia da Raimondo che da Pablo, ma non da Nicola, sempre troppo concentrato a preservarsi per l'amore perduto.

    Raimondo si occupava di curare la sezione sportiva, il che si traduceva nella pubblicazione, nove volte su dieci, di articoli riguardanti il calcio, la sua passione. Era fermamente convinto che un allenamento calcistico attirava più lettori di una partita di basket di cartello. Stando ai risultati di vendita e la considerazione ricevuta, aveva tragicamente ragione.

    Era lo stereotipo vivente del tipico italiano medio che trascorreva il proprio tempo libero allo stadio oppure nei bar. Tifoso sfegatato della Sampdoria e assiduo bevitore di ogni tipo di birra alcolica, non era quasi mai in redazione, in quanto il suo compito principale consisteva nello scattare foto degli eventi sportivi e trascrivere interviste, di spudorata inclinazione pro-blucerchiata, agli atleti più in vista.

    Conviveva con una ragazza, Cristina, che trascurava ignobilmente per uscire con gli amici tutte le sere, per fare baldoria con loro o per svolgere gli straordinari a casa della caporedattrice. La fidanzata, con garbata pazienza, attendeva il suo ritorno rimanendo a casa come una buona casalinga. A farle compagnia, per fortuna, c'era Isidoro, il gatto che occupava il letto in assenza di Raimondo, e l'affettuoso Stefano, il vicino di casa single che faceva le fusa, ancora più di Isidoro, tra le braccia di Cristina. Tutte le volte che Raimondo tornava a casa, ringraziava Cristina per la premura con la quale si prodigava nel tenergli il posto del letto sempre caldo.

    Essendo Raimondo e Nicola agli antipodi, quelle poche volte che s'incontravano facevano finta di non condividere la stessa aria.

    Le ventiquattrenne Samanta non scriveva nulla. In teoria, si sarebbe dovuta occupare di correggere le bozze e curare l'angolo della posta. In pratica, faceva il caffè, ordinava il pranzo, acquistava carta per le stampanti e penne usa&getta. E lo faceva gratis, per quattro ore al giorno, dal Lunedì al Sabato. Non le veniva rimborsato nemmeno l'abbonamento mensile dei mezzi pubblici, che utilizzava quasi esclusivamente per recarsi in redazione. Quando era a casa, invece, utilizzava il proprio computer e connessione internet per rispondere alle e-mail dei lettori.

    Era un'idealista convinta, ma anche irrimediabilmente ingenua. Aveva conseguito una laurea triennale in comunicazione artistica e multimediale, e sperava che quella mansione le desse la possibilità di acquisire sufficiente esperienza per poter ricevere il meritato stipendio.

    Nel tempo libero sfogliava annunci di lavoro e inviava curriculum vitae, evidenziando che faceva parte della redazione di La vita in piazza. Riceveva numerose richieste di collaborazione come stagista, per cinque ore al giorno, dal Lunedì alla Domenica. Gratis. Anche se solo sotto forma di sospetto, in lei si era fatta largo la netta sensazione che sarebbe rimasta ancora a lungo nell'attuale sede di lavoro.

    Andava molto d'accordo con Nicola, forse l'unico che non la sfruttava per le proprie commissioni personali. Lei le avrebbe svolte volentieri,

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