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Adam
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Ebook275 pages3 hours

Adam

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About this ebook

Ho sempre saputo come sarebbe stata la mia vita.
La mia storia è stata scritta da qualcun altro e non è certo una trama felice.


Solo. Letale. Killer.
Circondata dalla feccia della società. Dipendente. Vuota.


Niente legami. Fuori dal lavoro non esiste una vita vera per me.
Soltanto il baratro.


Tutti si proclamano innocenti, finché il mio proiettile non decide per loro.
Io vedo cosa nascondono dietro la maschera. Li scopro animali.


Poi qualcuno si mette in mezzo e complica le cose.
Qualcuno mi ha urlato in faccia e sono stata costretta ad affrontare i mostri nella mia testa.


Inizia la caccia.
Inizio la fuga.


Ora un bivio cambierà per sempre ciò che sono.
Ora tutto sarà diverso. Finalmente sarò solo io e nessun'altra.
LanguageItaliano
PublisherGiovanna Roma
Release dateAug 16, 2016
ISBN9788822832689
Adam

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    Adam - Giovanna Roma

    quest’opera

    PROLOGO

    Siete consapevoli di quello che state per fare?

    Sì. No. Forse.

    Concedetemi perlomeno la vostra attenzione, ne avrò bisogno per non perdervi per strada. Non pensate neanche di fermarvi a cercare delle anime disperate e tormentate durante il percorso.

    So cosa vorreste, so che vi aspettate di vederle redente o leccarsi le ferite a vicenda, ma avete sbagliato corsia.

    Il mio treno punta su altri binari.

    Il fatto che io vi permetta di ficcare il naso nei miei affari non vi autorizza a decidere il corso degli eventi. Non avete voi il controllo.

    Indovinate chi ce l’ha?

    Non mi scuserò per l’uomo che sono o per le mie azioni. La storia può sembrare dura da digerire, ma tutto quello che racconto ha il suo perché.

    Ricordate che se quello che sta per accadere si rivelasse troppo distante da unicorni e fiori per voi, non è affar mio. Avete deciso voi di seguirmi.

    Se non siete pronti, abbandonate il libro e andate. Siete liberi di rinchiudervi nella vostra bolla di felicità. Voi potete fuggire, mentre io devo restare.

    Volete scoprire com’è l’uomo dietro la carta e l’inchiostro? Allora preparatevi ad accettare la mia versione.

    Liberate la mente.

    Non avete idea di quanto la realtà sia incapace di descrivermi.

    Quando io metterò la parola fine al vostro viaggio, sarete liberi di giudicarmi, ma non vi renderò le cose facili.

    Impazienti di cominciare?

    Perché io lo sono.

    CAPITOLO UNO

    ADAM

    In questa maledetta foresta non sono l’unico a essere letale. Il freddo pungente della notte attraversa il lungo cappotto e si prende gioco dei miei vestiti pesanti. Il gelo proviene dal raro vento dell’Est.

    Mi chiedo quanto durerà ancora. Se Gareth non si darà una mossa, dovrà disfarsi di un corpo in più: il mio.

    Getto via la terza sigaretta, quando scorgo due fari fendere l’oscurità intorno a me. La vecchia Betsy frena cigolando a pochi metri dal mio nascondiglio tra gli alberi. Quale mente malata darebbe un nome alla propria auto? Una abbastanza folle da ingaggiare il sicario più caro in circolazione per uccidere il proprio fratello.

    «Sei pronto, Adam?» chiede uscendo dalla macchina.

    «Perché sei qui, Martin?»

    Mi fissa stranito. «Lo sai, parto oggi stesso. Ammazzalo e ti pagherò seduta stante.» Sposta il peso del suo corpo da un piede all’altro.

    «Metterai tutto sul mio conto svizzero, come da accordi» gli rammento, annoiato di dovermi ripetere. «Non hai bisogno di ronzarmi intorno.» Stringo tra i denti la sigaretta quando invece desidererei averci la sua testa.

    «Non è possibile.»

    Inizio a incazzarmi.

    «Devo pagarti in contanti. Non posso spiegare il passaggio di denaro-»

    «Ristrutturazione della casa al mare» lo interrompo per la seconda volta.

    «Non ho una casa al mare e non ho tempo e conoscenze abbastanza in alto che muovano tanti soldi in così poco tempo.»

    È una scocciatura, perché quel denaro va registrato dall’organizzazione per la quale lavoro. Nessuno si fida di nessuno e penseranno che li stia fregando.

    «Ammazzatelo da solo.» Lo abbandono in un battito di ciglia con i pugni affondati nelle tasche del cappotto. Ho sopportato questo freddo gelido per nulla, cazzo.

    «Aspetta, Adam. Aspetta!» Si aggrappa al mio braccio per trattenermi. I suoi palmi sudaticci sono rivoltanti. Lo scaravento a terra e gli punto la pistola alla testa.

    «Ho parlato con Razov e lui è d’accordo» blatera, mettendo le mani bene in vista.

    Gli punto la canna tra gli occhi. Gocce di sudore gli colano lungo le tempie, mentre il pomo d’Adamo sale e scende frenetico. La paura si annida nella sua mente.

    «Ora lo chiamo e prega il tuo Dio di non avermi mentito.» Tolgo la sicura.

    «No, no, no, no. È vero, è vero!» giura con labbra tremolanti.

    L’orrore pulsa nelle sue vene e la consapevolezza di una morte lenta e dolorosa diventa sempre più una certezza nel suo sguardo. Un sorriso affettato si dipinge sul mio viso. Continuerei volentieri a torturarlo, ma ho altro lavoro da sbrigare. Mi tiro su e compongo il numero sul cellulare.

    L’organizzazione per la quale lavoro è una squadra dove la parola noi non esiste. Se sei nella merda, fottiti. Nessuno verrà per te. Se vuoi parlare di soldi, c’è sempre qualcuno disposto ad ascoltarti e il nostro capo, Razov, è il primo a prestarti attenzione. Le nostre telefonate sono rare come un lavoro facile e tranquillo, ma talmente sintetiche da chiederti come sia possibile essersi capiti.

    «Adam. Contanti. Tu sai.»

    Primo punto: sa già quale sia la missione. Lo sa per ognuno di noi, quindi non serve ricordarglielo. Conosce i nostri impegni meglio di un segretario, meglio di noi stessi. Secondo punto: il problema. Razov non vuole problemi. Chi diavolo li cerca? Lui esige soluzioni. Onestamente non me ne frega un cazzo di andargli incontro. Lavoro anche da solo senza la sua maledetta organizzazione pronta a dirmi cosa devo fare, perciò che si arrangi. Contanti. Questo è il problema. Tu sai. Pensaci, dimmi come vuoi muoverti.

    «Procedi.» Fine della conversazione. Sarebbe un errore pensare che siamo in perfetta sintonia e che non servano parole tra di noi. Siamo assassini freddi e spietati. Non sappiamo che farcene delle emozioni, di chiedere come vadano le cose a casa o negli affari. Mai. Non abbiamo orari d’ufficio, luoghi di incontro in qualche lurido bar. Il nostro lavoro ci permette di viaggiare molto e di stringere pochissime amicizie. Viviamo soli, mangiamo soli, passiamo il tempo libero da soli.

    Uccidere non è un semplice lavoro. È la nostra vita, l’unica cosa che sappiamo fare. Siamo distaccati e anaffettivi. Ho tolto di mezzo padri di famiglia, fratelli e strappato via figli unici dalle braccia delle loro madri urlanti. Ho distrutto le esistenze di molti, ammazzando magari l’unico sostentamento di famiglie numerose. Non importa, purché il lavoro sia svolto bene. Il rimorso non è un'opzione. Ho dovuto estirparlo per essere così, per diventare la macchina che avevo bisogno di essere.

    Alcuni decidono di diventare assassini perché amano sporcarsi le mani di sangue e vivere avvolti dalle grida di agonia. Fottuti psicopatici. Altri, come me, sono nati assassini e non conoscono altra vita. Non esiste nulla all’infuori di questa. Nulla che ti faccia dimenticare il sentore della morte.

    Foto. Indirizzo. Contanti. È tutto ciò che occorre per togliere la vita a un uomo. Sono spesso i clienti a dirmi dove andare e quello che c'è da fare.

    Quando il sangue ti soffoca puoi inventarti delle stronzate per andare avanti o puoi bere da mattina a sera. Io preferisco scaricare la tensione in camera da letto. Prima di un lavoro ben fatto non c’è niente di meglio per rilassare i muscoli e mandare via l’ostilità. Amo il mio lavoro, ma non è per tutti.

    «Cos’ha detto?» si informa Martin.

    «Lo faccio.» Incastro la sigaretta nella corteccia di un albero in modo da poterla ancora consumare quando avrò finito. Ci vorrà un minuto, ho già avvistato l’auto della mia preda. Raggiungo lo strapiombo e mi piego a terra, accanto al fucile da caccia. L’ho preparato un’ora fa e adesso è gelido come questa notte. Vedo l’obbiettivo attraverso il mirino. Cammina ignaro quindici metri sotto di noi. Sembrerà un incidente di caccia.

    «Caino!» e sparo un colpo.

    Non occorre altro.

    Non sbaglio mai.

    ELEANOR

    A volte sono stata costretta a lavorare nei bagni del locale perché le stanze erano tutte occupate. Non sono una che si lamenta delle pessime condizioni di lavoro. A ventun anni non puoi già piangerti addosso. O qui o al Grand Hotel per me non cambia molto. Ho sempre a che fare con dei viscidi animali. Non sarà certo una bella vista della città o un morbido letto riscaldato a rendere migliore quello che faccio.

    Ricordo ancora il mio primo cliente all' Heaven Airless. Non era di queste parti. Forse proveniva dai paesi dell’Ovest, dove credono che Amsterdam sia sinonimo di bordello. Nessuno di noi due si preoccupava dell’identità dell’altro. Era grasso e l’alito gli puzzava d’alcol. Mi teneva ferma contro la parete fredda e frugava tra le mie gambe illudendosi di riuscire a darmi piacere, mentre sapeva strapparmi solo gemiti di fastidio.

    Gli uomini amano sentirsi onnipotenti in quei momenti. Devi per forza gemere, urlare, dimenarti come se ce l’avessero più grande di tutti, impossibile da gestire. Anche se così fosse, non sarebbero capaci di usarlo.

    Non mi è mai capitato di non dover recitare la mia parte. Quanto può essere idiota un uomo? Tanto, perché credeva che provassi piacere o che fosse delicato come una farfalla. Volevamo cose diverse, ma avevamo bisogno l’uno dell’altro per ottenerle. Era irrilevante che la moglie non lo soddisfacesse e che andasse a cercare il piacere altrove, così come a lui non interessava il mio bisogno di soldi o di riuscire a mettermi sottosopra come si deve. Puoi raggiungere l'intimità con una persona, condividere il tuo corpo e non rivelare nulla su chi sei o cos’hai fatto. Si tratta sempre e solo di una semplice, asettica transazione. Almeno per me. Loro sono felici per trenta secondi. Cosa altro serve? Niente romanzi rosa, niente favole o sesso da urlo. L’amore è qualcosa in cui le ragazzine sperano per il loro futuro e che le donne sole attendono la notte, sveglie in un letto vuoto.

    Non mi curo di essere lo scheletro nell’armadio di qualcuno. In città sono un’imprenditrice come chiunque altro. Uso tette e culo, però sgomito allo stesso modo di un azionista di borsa. Anzi, sgobbo molto di più. So bene quello che le loro mogli o le più puritane dicono della gente come me. A volte penso che vivano per gettare fango sulle ragazze del locale. Credono di essere migliori della sottoscritta e sputano sentenze su chi ha deciso di vivere la propria vita in modo diverso. Si aggrappano alla morale come se bastasse a salvarle dalle fiamme dell’inferno. In verità sono solo gelose. Gli uomini bramano il mio corpo senza che batta ciglio. Me ne frego dei giudizi, perché a conti fatti sono io la vincente. Gli adorati maritini corrono da me alla fine della giornata. Non da loro.

    Quando credevo che lui avesse finito, mi ha spostato il perizoma, spingendosi eccitato nella mia intimità. La sua pancia prominente non mi permetteva di respirare. I suoi gemiti mi ricordavano il nitrito di un cavallo ed era difficile non scoppiare a ridergli in faccia. Persa nei miei programmi per la serata, lo sentivo mentre mi strattonava a terra, stringendo forte i capelli nel suo pugno. La mia bocca veniva invasa da una sborra disgustosa, gli occhi lacrimavano e la gola urlava in disappunto, mentre il tizio gettava indietro la testa, chiudendo gli occhi ed espirando beato.

    Di solito non avevo bisogno di fare lavoretti extra come quello, ma la coinquilina mi aveva mollata su due piedi e avevo dovuto improvvisare. Se il mio capo, Bastiaan, avesse saputo di non ricavarci un soldo da quell’incontro, mi avrebbe squartata viva. Per fortuna le stanze del locale erano tutte occupate e avevo potuto nascondermi e trattenere l’intero incasso.

    Col mio primo cliente pagai l’affitto del mese.

    Non me ne servivano altri per la coca.

    CAPITOLO DUE

    ADAM

    Sto correndo.

    No. Sto scappando da qualcosa. Lo spazio vuoto fa risuonare i tacchi delle mie scarpe costose e il respiro pesante. Troppe sigarette. È buio, ma vedo il percorso da seguire nitido davanti a me. È facile, perché è lo stesso che mi porterà lontano dal secondo respiro pesante.

    Qualcuno mi insegue.

    È un uomo col machete. Lo agita in aria urlandomi contro. Non mi volto a guardarlo.

    Madido di sudore, getto via le coperte e passo una mano tra i capelli corti. Fuori è ancora notte. L’unica fonte luminosa proviene dallo splendore della luna piena. Abbandonata l’idea di dormire, mi sciacquo il viso sotto un getto d’acqua gelida. Il volto riflesso nello specchio è sempre di più il suo. Il bagliore dei suoi occhi verdi, la sua corporatura magra ma forte, le tre linee che solcano la fronte ampia. C’è molto più del suo aspetto in me. C’è il suo sangue. Le gocce d’acqua mi rigano le guance e ricordano quelle di lei. Quando piangeva e mi supplicava di fermarlo.

    Lei. Supplicava.Me.

    Il suo carnefice.

    Non importa quante volte mi fissi allo specchio. La realtà non si cambia solo standola a guardare. Io sono suo fratello e niente potrà cambiare questo. Siamo uguali, è un dato di fatto. Seppur non gemelli, siamo nati entrambi con un corpo senza cuore, senza anima e corrotto. Siamo mostri, non perché frutto della società, ma perché abbiamo accolto a braccia aperte il male che era in noi.

    Volevo essere un assassino incapace di provare emozioni, invece riesco ancora a sentire il disgusto per lui. Magari potessi semplicemente stare qui seduto a casa mia e aspettare una chiamata da Razov. Lavoro, lavoro. Focalizzarsi solo sul lavoro, essere una sola entità con il lavoro. Possibile che non ci sia nessuno che meriti una pallottola in testa nel cuore della notte?

    Ed ecco che il telefono squilla.

    ELEANOR

    Mick si aggiusta il cavallo dei pantaloni per la seconda volta da quando è entrato nella stanza.

    Sembra sofferente sulla sua poltrona imbottita, ma è chiaro che lo spettacolo lo ecciti. Io invece non impazzisco per le lap dances private. Se finisci qui dentro a esibirti, è perché non sono in molti a chiedere di te, quindi non hai bisogno di un palco intero. La luce soffusa e le zone d’ombra non permettono di vedere bene i volti dei clienti, mentre loro ci hanno in primo piano, senza possibilità di nascondere nulla. Sul palco è lo stesso, però il brivido di accendere il desiderio di più sconosciuti e non poter mai essere toccata, diventare il loro frutto proibito e lasciare che ti sognino tutte le notti, non ha eguali. Non soddisfi uno solo, ma decine di uomini insieme. Gli occhi di bue sono puntati su di te, il fumo ti avvolge in una nuvola, tutto sembra presentarti sulla terra come un essere potente, letale.

    In teoria neanche durante le piccole esibizioni private come quelle di stasera dovremmo essere toccate, ma i viscidi sono sempre in agguato.

    Mick è un cliente abituale e so che abbaia senza mordere. Chiede di me almeno tre volte su quattro. È uno di quei tipi che non può permettersi una prostituta e si accontenta di una spogliarellista.

    Mi lecco le labbra fingendo di essere più di quello che sono. Il mio volto deve incarnare sesso allo stato puro: le labbra si stirano allusive, gli occhi trasmettono immagini perverse su tutto quello che non accadrà mai tra di noi. Non posso essere rigida o assumere un’espressione disinteressata. Il trucco è sorridere anche quando non se ne ha voglia. Non devo farlo per loro, ma per me stessa. La serenità dipinta sulle labbra è lo strumento che spinge molte di noi a sopportare. È come un mantra: a furia di ripeterlo, ti convinci che sia la verità.

    Gli volto le spalle e oscillo seducente i fianchi. Offro ai miei clienti tutte le ragioni per fissarmi inebetiti il fondoschiena. Alcune stanze hanno persino una pedana con l’asta per ballare, però non tutti gli uomini possono permettersele. È un peccato, perché il repertorio sarebbe davvero vasto.

    Sposto i capelli da un lato e sciolgo il laccio del top legato intorno al collo. Adesso manca solo quello sulla schiena. Con una lentezza snervante muovo le braccia in giù e libero l’ultima stringa. L’indumento scivola a terra senza far rumore. Volto il capo, regalandogli una strizzatina d’occhio e un sorriso sensuale. Lo illudo di essere desiderato. Chissà se è consapevole che mento. Magari è così pieno di sé da credermi follemente attratta da lui. Mick si lecca le labbra, le sue pupille inchiodate sui miei seni. So quali tasti premere per svuotare le tasche dei miei clienti. So come entrare nei loro sogni ogni notte, alimentare le fantasie più perverse, i desideri più oscuri. Sono tutti lì pronti a esplodere. Il mio unico compito è riportare in vita la parte più animale con sussurri, pelle morbida, parole perverse. Presentarmi sempre come il loro capriccio in carne e ossa è il mio lavoro. Il mondo è pieno di gente come lui. L' Heaven Airless è solo un angolo di paradiso dove i pervertiti possono scorrazzare liberamente. Per anni ho vissuto tra persone per le quali non contavo nulla. Ero la signorina Nessuno. Qui dentro sono la ragazza più potente. Per i miei clienti sono l’unica alla quale possano pensare. Non provo vergogna nel desiderare di essere in primo piano, né di stringere tra le unghie il mio momento di gloria sotto i riflettori.

    Riprendo a danzare a ritmo di musica.

    «Avanti, Susy. Togli anche il resto e vieni su di me.»

    Ieri ero Ava, oggi Susy. Chissà domani cosa inventerò.

    Faccio segno di no con la testa. Guardare senza toccare. È questa la regola qui dentro. Il mio lavoro è spogliarmi e ballare per soldi, per il mio Jenever [1] e la mia striscia di coca. Il locale dovrebbe prevedere entrambi nella busta paga: aiutano a lavorare molto meglio. Non reggerei la vita che conduco se non mi sballassi un po’. A volte anch’io ho delle giornate nelle quali vorrei che tutto finisse. La stanchezza mi assale come una nube nera, tossica. Sono troppo giovane per finire i miei giorni lavorando in ginocchio o piegata a novanta gradi. Sono tentata di uscire per sempre dalla porta del locale, dalla Eleanor che sono diventata, preparare le valigie e battere in ritirata.

    Per andare dove?

    Poi ricordo che non conosco altro mestiere e riprendo a spogliarmi per degli sconosciuti.

    Terminata la musica, scivolo via dalla stanza prima che Mick diventi troppo appiccicoso. Nel corridoio c’è sempre un uomo della sicurezza pronto a placare i più irrequieti, quindi noi ragazze non corriamo grossi pericoli. Il problema spesso è essere abbastanza svelte da raggiungere la porta prima di essere braccate dal cliente. Solo due volte non ci sono riuscita. La prima è stata con un logorroico padre di due figli, che ora non riuscirà mai più a generare grazie alla mia ginocchiata. La seconda mi è andata male e gli ho fatto credere che per divertirsi a modo suo, ci fosse un extra da pagare. L’ho portato nel bagno del locale. Prima e ultima volta! Non perché mi senta superiore alle altre ragazze chiuse qui dentro, ma perché per giorni ho avuto paura che il mio capo lo scoprisse. Licenziarmi sarebbe stato il minore dei mali. Restituirgli i soldi, un danno ancora sopportabile. Lavorare gratis per lui, una ferita sanguinante per le mie tasche.

    I camerini sono un via vai di ballerine mezze nude, grucce sparse sui tavolini e un mix di fragranze nell’aria. Siedo a un posto vuoto e immediatamente realizzo quanto siano indolenziti i miei talloni. Questi tacchi mi uccideranno. Sebbene agghindarsi possa essere doloroso tra scarpe alte, perizoma di paillettes e trucco pesante, adoro il momento dell’esibizione. I fari ti illuminano, la musica ti guida. Il corpo è più di una forma. Diventa movimento e passione implacabile. Il potere di seduzione di una donna è ai massimi livelli. Vedi solo le persone sedute ai primi tavoli, le altre sono nell’ombra. Eppure le senti, percepisci sulla tua pelle i loro desideri più oscuri. Ti spogliano con occhi ingordi prima che sia tu a farlo.

    Sarebbe bello se non ci fosse dell'altro. Peccato che si tratti di qualcosa di più di un balletto. Scuoto la testa e passo in rassegna con lo sguardo i vestiti appesi accanto alle quinte. Corpetti, divise da studentesse e infermiere.

    Ricordo di essermi seduta sempre sulle loro ginocchia, pettinata come piaceva loro, di aver bevuto nei modi che desideravano. Di cosa si tratta, se

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