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Notiziari Eretici
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Notiziari Eretici

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Quando si prendono in esame gli “Anni di piombo”, vengono in mente molti eventi, acronimi e parole chiave. Questo vale tanto per coloro che li hanno sperimentati, quanto per chi, come noi, li ha studiati solo sui libri di storia. I nostri ricordi di quegli anni sono costituiti da una serie di immagini che sfilano senza soluzione di continuità (Piazza Fontana, Piazza della Loggia, strage di Bologna) e nomi che il tempo non è in grado di cancellare (Giuseppe Pinelli, Pietro Valpreda, Valerio Borghese, Giangiacomo Feltrinelli, Renato Curcio, Mario Moretti). Sembra che pochissime persone, in quei drammatici frangenti, abbiano dedicato la loro vita alla musica, e tutti senza talento: meri corollati confusi di un'epoca oscura. Invece, si tratta di uno dei periodi più ricchi e prolifici delle avanguardie musicali. Con questo libro vi invitiamo ad un percorso che inizia con le innovazioni tecnologiche del secolo appena concluso (le tecniche di registrazione, le innovazioni nella concezione degli strumenti) e prosegue con l'analisi di opere di Miles Davis e Jimi Hendrix, per sfociare in un'indagine sulla complessa figura umana e artistica di Demetrio Stratos. Proponiamo, così, un cambiamento di prospettiva: la musica di questo periodo non solo è stata altamente innovativa ma, a sua volta, ha mutato per sempre la percezione di come la musica possa interagire con i processi di modificazione sociale.
LanguageItaliano
Release dateAug 17, 2016
ISBN9788893370585
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    Notiziari Eretici - Francesco Preziosi

    DISCOGRAFIA

    INTRODUZIONE

    Riflettendo sul periodo storico che è conosciuto con il nome di Anni di Piombo, tornano alla memoria di chi li ha vissuti (ma anche di chi, come noi, ne ha soltanto sentito parlare o li ha solo studiati sui libri di storia) una serie di parole ed eventi-chiave: strategia della tensione, banda armata, sequestri, attentati, omicidi, vere e proprie esecuzioni. Oltre a ciò vi sono immagini che si rincorrono nella memoria senza soluzione di continuità: Piazza Fontana, Piazza della Loggia, strage di Bologna; infine, sigle (Nap, Nar, Gap, Br, Prima Linea XXII ottobre, Gladio, Ordine Nuovo, Rosa dei Venti) e nomi che il tempo non sembra essere in grado di cancellare (Giuseppe Pinelli, Pietro Valpreda, Valerio Borghese, Giangiacomo Feltrinelli, Alberto Franceschini, Renato Curcio, Mario Moretti, Franco Freda, Giovanni Ventura, Valerio Fioravanti).

    Ciò che - per così dire - manca per cogliere con piena consapevolezza la storia complessiva di quegli anni è la produzione artistica. Sembra quasi che in quegli anni nessuno o pochi e di poco valore fossero coloro che si dedicavano alle arti e alla musica in particolare; ma non è così, anzi la popular music è ricca di esempi che testimoniano il contrario. Proviamo allora a considerare questo periodo come se fosse un dipinto: quando si contempla un’immagine per un certo tempo, alcuni elementi tendono ad avanzare in primo piano, mentre altri restano sullo sfondo; infatti, quelli che avanzano sembrano staccarsi dagli altri e porsi a una certa distanza da essi. Subito o gradualmente, questi elementi in primo piano cominciano a monopolizzare l’attenzione dell’osservatore, mentre gli altri vengono ignorati.

    Ecco il punto: la produzione artistica, soffocata dalla tragicità e dalla gravità dei fatti di cronaca è stata relegata sullo sfondo del dipinto Anni di Piombo, come se fosse priva di importanza, come se non avesse nulla a che fare con quanto stava accadendo, e invece ne era la conseguenza diretta o indiretta.

    Ma è forse possibile proporre riflessioni e giudizi di valore su un periodo storico, ignorandone gli aspetti culturali o relegandoli in secondo piano? Non è forse vero che storia, cultura e produzione artistica sono legate in modo indissolubile e che si influenzano vicendevolmente?

    Ciò che ci si propone, quindi, è un percorso musicale che parte dalle innovazioni tecnologiche che hanno caratterizzato tutto il Novecento passando per l’analisi del Beat e delle opere di Jimi Hendrix e Miles Davis (i due autentici pilastri sui quali si fonda la rivoluzione musicale del secondo dopoguerra) per arrivare sino agli anni Settanta e all’analisi della produzione artistica degli Area e delle sperimentazioni di Demetrio Stratos. Si tratta di un cambiamento di prospettiva che ha come scopo quello di avanzare un’ipotesi di dignità alla produzione musicale di quegli anni attraverso un’analisi di come essa sia cambiata e abbia fatto cambiare la percezione della popular music e la realizzazione artistica.

    Non bisogna, infatti, dimenticare che in un’atmosfera tesa, intrisa di violenza e dell’odore acre del piombo si è assistito alla «nascita di una nuova specie musicale in una terra dai colori grigio e rosa, una strana Terra di Mezzo tolkeiniana in cui gli ultimi elfi dell’età psichedelica realizzano il sogno di una vita: un fantastico viaggio attraverso paesaggi irreali, isole d’acqua in mezzo al Niente, spirali vertiginose, insieme a personaggi da fiaba e mostri mutanti. Un sogno popolato da Re cremisi, Giganti Gentili, navi fantasma e teiere volanti, armadilli cingolati e quadri di Bosch […]» [Rizzi, 2003].

    CAPITOLO I

    LE INNOVAZIONI TECNOLOGICHE I: LA CHITARRA ELETTRICA

    Il periodo pre-Fender

    La chiave di volta del rinnovamento nella popular music è stata, senza dubbio, l’invenzione della chitarra elettrica, una vera e propria rivoluzione nell’ambito degli strumenti musicali e delle tecnologie, un punto di non ritorno che ha inciso profondamente sulla musica del secondo Novecento, mostrando nuove soluzioni tecniche e ampliando, come mai era avvenuto in precedenza, le possibilità sonore a disposizione dei musicisti. Prima di proseguire, crediamo sia opportuno fornire alcune informazioni generali su questo strumento e su che cosa permette di distinguerlo da una chitarra classica.

    La differenza principale risiede in un piccolo dispositivo chiamato pick-up, composto da magneti posti in prossimità di ciascuna corda i quali percepiscono le vibrazioni della corda stessa e le trasformano in impulsi elettrici e, quindi, in suono. Altra differenza essenziale è il fatto che le chitarre elettriche sono, nella maggioranza dei casi, delle solid body, cioè sono costituite da un corpo pieno, senza foro centrale e realizzato utilizzando legni duri (noce, frassino, mogano, acero) per aumentare la durata della nota. Da ciò si deduce che, contrariamente a quanto avviene in una chitarra classica in cui il suono è prodotto dalle vibrazioni della cassa acustica, che è vuota e che dunque risuona lei stessa, la chitarra elettrica ha bisogno di una cassa acustica esterna, l’amplificatore, a cui viene collegata attraverso un cavo elettrico detto in gergo jack.

    Il problema di amplificare una chitarra tradizionale fu posto per la prima volta da alcuni chitarristi jazz che si trovavano in difficoltà quando dovevano suonare insieme a una sezione ritmica e ai fiati; infatti, il volume di una chitarra acustica non può essere minimamente paragonato a quello che si può ottenere percuotendo le pelli di una batteria o suonando un ottone o uno strumento ad ancia. Fu per questo motivo che la ditta americana Ovation progettò una chitarra acustica elettrificata, aggiungendo a una chitarra tradizionale un pick-up costituito da sei magneti diversi per ogni corda. Anche Adolf Rickembacker adottò questo sistema e lanciò sul mercato nel 1931 la chitarra elettroacustica. Inoltre, produsse un modello di chitarra elettrica denominato lap steel che doveva essere suonato verticalmente.

    Tuttavia, malgrado la ricerca producesse in quegli anni soluzioni sempre nuove continuava a persistere un problema fondamentale: gli altoparlanti e i pick-up di queste chitarre provocavano fastidiosissimi feedback (cioè fischi) ogni volta che li si faceva lavorare ad alti volumi. Fortunatamente, alcuni anni più tardi, fu grazie a personalità come Lester Polfus, universalmente conosciuto come Les Paul, il creatore della prima solid body, e, soprattutto, a Leo Fender che si trovò una soluzione a questi problemi: così la chitarra elettrica assunse la forma che noi tutti conosciamo.

    Leo Fender

    Clarence Leo Fender non è semplicemente colui che ha creato la Fender Stratocaster, la chitarra simbolo per almeno quattro generazioni di chitarristi e non è neppure solo colui che ha fondato il glorioso omonimo marchio. Leo Fender è molto di più; infatti, gli strumenti da lui progettati e realizzati hanno rivoluzionato la storia della musica del secolo scorso. In realtà, Fender non era né un musicista come Les Paul né un liutaio, né un ingegnere, ma un autodidatta, uno sperimentatore instancabile dalle molteplici competenze, che aveva capito cosa significasse produrre strumenti musicali nell’epoca del mercato di massa. Proprio per questo motivo si è affermato più volte che Fender fu per gli strumenti degli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta quello che Henry Ford fu per l’automobile negli anni Venti e Trenta.

    Fender nacque il 10 agosto 1909 vicino ad Anaheim, in California. Da giovane prese qualche lezione di pianoforte e sassofono, ma la sua grande passione era l’elettronica che coltivava da autodidatta. Quando conseguì il diploma nel 1928 aveva già costruito la prima radio amatoriale e costruiva impianti di amplificazione che affittava. Dopo una breve parentesi come ragioniere, nel 1938 decise di lasciare il lavoro e aprì un piccolo negozio-laboratorio a Fullerton: il Fender’s Radio Service. Il momento era particolarmente propizio: gli Stati Uniti in piena crescita economica si erano lanciati in un’inarrestabile corsa all’innovazione tecnologica e Fender, che non aveva ancora trent’anni, non doveva sforzarsi per trovare clienti.

    L’interesse per la musica maturò nel corso degli anni, man mano che i musicisti si recavano nel suo negozio per farsi riparare gli amplificatori. Tra questi vi era anche Doc Kauffman che aveva lavorato per la Rickembacker. I due iniziarono i loro esperimenti che riguardavano soprattutto chitarre hawaiane e amplificatori e nel 1944 fondarono la K&F Company. Solo due anni più tardi la società si sciolse ed egli fondò la Fender Electric Instrument Company. In un primo momento la sua attività era simile a quella svolta dalla K&F, si limitava alla riparazione di chitarre hawaiane e di amplificatori. Nel 1950 però decise di voltare pagina e lanciò sul mercato la prima chitarra solid body a marchio Fender: la Esquier in giugno e la Broadcaster in ottobre, due modelli che coincidono fondamentalmente con la chitarra conosciuta oggi come Telecaster. La sua creatività sembrava non avere limiti e l’anno successivo inventò il primo basso elettrico, il Precision.

    Il progetto Stratocaster

    La vera rivoluzione avvenne nel 1954. Mentre Bill Haley pubblicava la sua celeberrima Rock around the clock, Elvis Presley il suo primo singolo That’ll all right e il rock and roll si imponeva con determinazione, aprendo una nuova era musicale non più dominata dalle orchestre, ma da strane band strumentali composte da chitarra elettrica, basso elettrico e batteria, con la chitarra in primo piano, in California, a Fullerton, nella contea dell’Orange a sud di Los Angeles, nel suo laboratorio Leo Fender diede vita alla Stratocaster: un modello di chitarra destinato a essere il principale protagonista dell’affermazione della chitarra elettrica e a caratterizzare il suono di molti dei principali dischi di pop-rock da allora a oggi. Il mito della Fender Stratocaster è resistito nel tempo superando tutte le mode e rimanendo sostanzialmente identico, persino nel design, grazie anche ai tanti artisti che hanno impugnato la chitarra: Buddy Holly, Jimi Hendrix, Bob Dylan, Beach Boys, Stevie Ray Vaughan, Ritche Blackmore dei Deep Purple, Eric Clapton, Bruce Springsteen, The Edge degli U2 e tanti altri ancora, fino ai giorni nostri. A dire il vero, in un primo momento la Stratocaster non riscosse molto successo, era troppo lontana da ciò che si era abituati a vedere. Ma, anche in questo caso, emerse il genio creativo di Leo Fender che, avendo intuito il potere dei mezzi di comunicazione di massa, iniziò a offrire gratuitamente i suoi strumenti ai musicisti che partecipavano a programmi televisivi. Gli endorsers: questo era ed è ancora il nome utilizzato per indicare questa categoria di musicisti che erano liberi, in sala di incisione, di utilizzare gli strumenti che preferivano. Il vincolo valeva, infatti, solo all’interno del perimetro dello studio televisivo. 

    Caratteristiche tecniche

    Proviamo per un attimo a immaginarci la reazione di un chitarrista degli anni Cinquanta, quando si trovò di fronte a una Stratocaster per la prima volta. Forse, dopo averla guardata con attenzione, avrebbe aggrottato le ciglia e con un’espressione alquanto stupita avrebbe esclamato: Ma è una chitarra quella?

    In effetti questo strumento ricordava solo vagamente una chitarra tradizionale. Era caratterizzata da un design moderno se non addirittura avveniristico. Il profilo arrotondato e smussato in punti ben precisi e la doppia spalla mancante (quell’incavo che permette al chitarrista di raggiungere comodamente le note acute in fondo al manico) erano cose mai viste sino ad allora. Altro aspetto originale era il Confort Contour Body, cioè la parte della chitarra che poggia sul fianco del chitarrista è scavata in modo da risultare più comoda. Ancora più impressionante era la parte elettronica. Leo Fender aveva dato il meglio di sé e aveva progettato una chitarra con ben tre pick-up che permettevano la regolazione dei poli magnetici per ciascuna corda. Durante un’intervista, Leo Fender affermò che la scelta dei tre pick-up era dovuta al fatto che nel suo magazzino aveva solo selettori a tre posizioni, ma Freddie Tavares, suo grande amico nonché artefice assieme a Bill Carson del progetto Stratocaster, afferma che Leo considerava normale che un chitarrista avesse a disposizione due pick-up, quindi gli si doveva offrire un prodotto innovativo anche da quel punto di vista.

    Persino il ponte era all’avanguardia, un vero e proprio gioiello di micromeccanica costituito da sei sellette, una per ogni corda e che potevano essere regolate separatamente. Inoltre le corde non venivano inserite alla base del ponte, ma erano corde passanti cioè attraversavano tutta la cassa della chitarra, permettendo così di aumentare ciò che i musicisti definisco sustain, cioè la durata della nota.

    Infine, dal ponte spuntava una leva per ottenere l’effetto vibrato basato su un meccanismo misterioso, poiché non visibile, chiamato tremolo sincronizzato. Viste le premesse, il suono di questo strumento non poteva non essere innovativo, eccezionale e, soprattutto, unico: chiaro, pulito, ma allo stesso tempo squillante, scattante e versatile. Inoltre poteva essere trattato in vari modi attraverso controlli di tono e di volume grazie al selettore di pick-up e attraverso la leva. E ancora tutti i controlli erano sapientemente posizionati alla portata della mano destra e potevano essere gestiti con grandissima facilità.

    A quei tempi molti erano i detrattori di questo tipo di chitarra che veniva considerata una bizzarra invenzione senza futuro ma ora, a cinquant’anni esatti di distanza, si può affermare che la Stratocaster è una pietra miliare della storia della musica tanto da essere considerata un vero e proprio standard capace di attraversare tutti i generi musicali: dal rock-blues di Jimi Hendrix, al metal degli Iron Maiden passando il rock psichedelico dei Pink Floyd.

    LE INNOVAZIONI TECNOLOGICHE II: L’AMPLIFICATORE

    Vista la sua costituzione, è impossibile pensare a una chitarra elettrica senza l’amplificatore, poiché esso potenzia il segnale generato dai pick-up della chitarra che non può essere collegata direttamente all'altoparlante, il cui funzionamento esige un'energia ben superiore a quella fornita dai pick-up stessi. Anche in questo caso siamo debitori a Leo Fender il quale, negli anni Quaranta, nel suo piccolo negozio di radio iniziò a progettare i primi amplificatori built-in tone controls, cosiddetti, poiché, grazie a una serie di potenziometri si potevano modificare anche i toni (bassi, medi e alti). Questo anello della catena elettroacustica impiega energia elettrica proveniente da una fonte esterna (corrente o batterie) e utilizza la tensione del segnale proveniente dalla chitarra per controllare l'invio di tale energia all'altoparlante. L'amplificatore consente di modificare il tono e il volume e di aggiungere caratteristiche timbriche anch’esse nuove quali la distorsione e il riverbero. Molti musicisti pensano all'amplificazione strettamente in termini di aumento di potenza utilizzata per azionare gli altoparlanti, ma nel suo autentico significato la parola amplificatore può indicare anche molti dispositivi di elaborazione del suono (equalizzatori, espansori, compressori ecc.); in questo caso amplificare vuole dire aumentare le potenzialità della gamma sonora e, di conseguenza, la versatilità dello

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