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Andrà tutto abbastanza bene
Andrà tutto abbastanza bene
Andrà tutto abbastanza bene
Ebook156 pages1 hour

Andrà tutto abbastanza bene

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About this ebook

Pozzoleone, 1915. Isetta vive serena con i due fratelli e la mamma fino a quando una tragedia la priva dei suoi affetti più cari e persino della sua identità, che viene attribuita dal padre, perennemente ubriaco, alla sorella morta. La bambina conosce così povertà e soprusi, ma ha una forza: non batte ciglio. Lei è una che non si fa domande, perché nessuno le ha mai insegnato a farsele. Attraversa così, tra peripezie, incontri surreali ed equivoci anagrafici due guerre mondiali.
Isetta, assieme al cugino Aldo, bellissimo ma un po’ cialtrone, zia Maria, donna forse troppo pratica, e Giovanni, fidanzato prima, marito poi, cresce e diventa donna semplice ma risoluta e intelligente, arrivando ad una semplice ma importante conclusione: «Alla fine, andrà tutto bene. O, perlomeno, abbastanza.»

LanguageItaliano
Release dateAug 11, 2016
ISBN9788868151881
Andrà tutto abbastanza bene
Author

Arianna Franzan

Arianna Franzan è nata a Thiene e vive a Breganze, provincia di Vicenza, con il marito Giovanni e i figli Giulio e Pietro. Ha studiato Scienze Biologiche e insegna materie scientifiche in un centro di formazione professionale. Ha scritto un racconto (Gocce di fuoco, 2004) pubblicato nella rivista “Quaderni breganzesi”, la sceneggiatura di un film (Nei miei sogni, 2014, regia di Matteo Pauletto) e uno spettacolo teatrale (Alla fine arriva sempre l’estate, 2016, regia di Luisa Vigolo). Andrà tutto abbastanza bene è la sua prima pubblicazione.

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    Andrà tutto abbastanza bene - Arianna Franzan

    Andrà tutto abbastanza bene

    romanzo

    Arianna Franzan

    Published by Meligrana Editore and Priamo on Smashwords

    -

    Copyright Meligrana Editore, 2016

    Copyright Priamo Editore, 2016

    Copyright Arianna Franzan

    Tutti i diritti riservati – All rights reserved

    ISBN: 9788868151881

    Meligrana Editore

    Via della Vittoria, 14 – 89861, Tropea (VV)

    Tel. (+ 39) 0963 600007 – (+ 39) 338 6157041

    www.meligranaeditore.com

    info@meligranaeditore.com

    Priamo

    www.priamoedit.it

    info@priamoedit.it

    INDICE

    Frontespizio

    Colophon

    Licenza d’uso

    Arianna Franzan

    Copertina

    Dedica

    Prologo

    Andrà tutto abbastanza bene

    Epilogo

    Priamo

    Meligrana

    Licenza d’uso

    Questo ebook è concesso in uso per l’intrattenimento personale e non può essere rivenduto o ceduto ad altre persone. Se si desidera condividere questo ebook, è necessario acquistare una copia aggiuntiva per ogni destinatario. Se state leggendo questo ebook e non è stato acquisito per il vostro unico utilizzo, si prega di acquistare la vostra copia. Grazie per il rispetto all’impegnativo lavoro di questo autore.

    Arianna Franzan

    Arianna Franzan è nata a Thiene e vive a Breganze, provincia di Vicenza, con il marito Giovanni e i figli Giulio e Pietro. Ha studiato Scienze Biologiche e insegna materie scientifiche in un centro di formazione professionale. Ha scritto un racconto (Gocce di fuoco, 2004) pubblicato nella rivista Quaderni breganzesi, la sceneggiatura di un film (Nei miei sogni, 2014, regia di Matteo Pauletto) e uno spettacolo teatrale (Alla fine arriva sempre l’estate, 2016, regia di Luisa Vigolo). Andrà tutto abbastanza bene è la sua prima pubblicazione.

    Contattala:

    ari.franzan@gmail.com

    Facebook

    A Giulio,

    mio padre,

    che mi diceva sempre:

    «Divertiti».

    - prologo -

    C’era un tavolo in mezzo alla stanza. Un tavolo massiccio e quadrato, con il piano rosa. E senza posto a capotavola.

    Grande: che intorno ci si dovevano sedere undici persone.

    Un tavolo democratico.

    Dopo cena Giovanni spostava la tovaglia; la spingeva via come fosse un intralcio improvvisamente insopportabile, si preparava la pipa e tutto l’occorrente e fumava, mentre le sette figlie sparecchiavano e i due figli maschi gli restavano vicini, inebriandosi il più possibile di fumo.

    Attorno al tavolo, timida, c’era una cucina, con le poche cose che bastavano a cuocere, scaldare e lavare. A parte quella volta che portarono a casa uno dei primi modelli di lavastoviglie, che sembrava ci fosse il terremoto quando era in funzione.

    «Non userò mai la lavastoviglie!» affermava sprezzante una delle figlie. Ancora oggi i piatti li lava a mano.

    In una parete della stanza una porta si apriva sul retro, dove c’era un orto. Di quel fazzoletto di terra ricordo i grandi cespi d’insalata. La salata, la chiamava la nonna.

    «La vuoi un po’ di salatina?» diceva a mia mamma quando andavamo a trovarla. Così uscivamo insieme chiacchierando ed io restavo a guardarla china sulla terra a raccogliere i ciuffi. Come tirava su lei la salatina, non c’era nessuno. Con mani esperte afferrava sicura un cespo scelto sapientemente e con un gesto rapido il ciuffo di erba tenera era suo. Mia nonna raccoglieva da professionista. Se qualcuno mi avesse chiesto che lavoro faceva, questo avrei risposto. Raccoglie gli ortaggi. Non ci pioveva che era la cosa che aveva imparato meglio nella vita.

    Un’altra cosa rammento, di quell’orto: il profumo della menta. Il profumo che poi mi fece ricordare sempre di lei, e di mio nonno, e dei miei cugini da piccoli, di me bambina, delle mie zie, degli zii e di quella casa in via Monte Cengio, a Thiene.

    Un giorno, su quel tavolo quadrato rosa, la nonna Isetta si sedette, si fece spazio e con un foglio davanti iniziò a esercitarsi per scrivere la sua firma.

    «Allora tose, ferme tutte. Adesso provo a scrivere!» e si mise di sbiego con la penna tenuta a malapena in piedi sul foglio:

    Oliva... Elisabetta... Meneghello...

    Dopo un tempo imprecisato, comparvero incerti sul povero foglio martoriato questi tre nomi. Che poi, nomi! Se Oliva è un nome...

    «Mamma,» disse Grazia «Elisabetta non lo devi scrivere, il tuo nome ufficiale è Oliva Elisa, non Elisabetta! Nella firma non mettere Elisabetta, altrimenti non si capisce più niente. Ti chiami Oliva Elisa, ti firmi Elisabetta e in più tutti ti chiamano Isetta! Non si capisce niente!»

    «Taci! Mi hanno sempre chiamata così.»

    «E hanno sempre sbagliato!»

    «So dan!»

    Che voleva dire, nel suo gergo personale, peggio per loro.

    Povera Isetta, le sembrava un privilegio da ricchi saper scrivere il proprio nome. Quell’espressione, da ricchi, la usava per ogni cosa.

    «Ti piace la carne che ho preparato?» «Oh, sì: da ricchi.» «Hai dormito bene stanotte?» «Sì cara, da ricchi!»

    Anche scrivere il proprio nome, avere una firma, era una faccenda da ricchi. Era un qualcosa che la consegnava, finalmente, alla vita. Ormai non c’era più niente che potesse spaventarla.

    - 1 -

    Era bella la vita per Isetta, Oliva e Francesco, in quel piccolo paese che sembrava fosse stato creato apposta per salvare i suoi abitanti dai mali del mondo. Lì, a Pozzoleone, c’erano i campi, c’era il torrente, ma soprattutto c’era il loro albero di fichi.

    Ah, che albero quel fico. Con la sua chioma verde e folta ti ci potevi rifugiare dentro, non c’era bisogno di nessuna casetta o nascondiglio.

    I tre fratelli si arrampicavano verso sera, sui rami bassi, perché non si può certo dire che un fico abbia rami resistenti. Si sistemavano al loro posto, sempre lo stesso, come sui banchi di scuola, a mangiare quei frutti gustosi che erano caramelle giganti e a scaldarsi con i raggi del sole che filtravano tra il fogliame.

    Quasi sempre erano costretti a scappare via all’arrivo dei contadini, anche se, a dire la verità, quello era il momento più divertente della giornata.

    «Eccoli lì, sempre i soliti tre!»

    «Sta calmo, li mando via io.»

    «Sì... come ieri!»

    «Son scappati per colpa tua ieri... musso

    Ogni giorno i due vecchi contadini si avvicinavano incolleriti ai tre bambini, che si guardavano e sbuffando scendevano dall’albero.

    «Ma avevi detto che oggi erano andati nei campi!» diceva seccata Oliva.

    «Mi sembrava di averli visti là» rispondeva Francesco per scusarsi.

    «Francesco, sei sempre il solito! E aiuta Isetta, che da sola non ce la fa!»

    I proprietari del fico gridavano per spaventarli, anche se sapevano benissimo che ormai non funzionava più e che sarebbe finita sempre nello stesso modo. E cioè che i tre bambini sarebbero scesi svogliatamente dall’albero, si sarebbero voltati a guardarli facendo qualche boccaccia e poi giù per i campi, urlando e ridendo. I vecchi ci provavano un po’, a rincorrerli, ma si ritrovavano senza fiato a litigare tra loro.

    Il più grande andava veloce, prendendo in giro le sorelle che si spingevano per superarsi. Ridevano, saltavano e correvano, con quella forza che i bambini ancora non sanno che è la felicità. Stato d’animo che i grandi non provano più, dato che delle cose belle ci rendiamo conto solo quando le abbiamo perse, motivo per cui gli anziani passano le loro giornate seduti su una panchina del parco iniziando ogni frase con «eh... sti ani...»

    E quelli erano gli anni di Francesco, Oliva e Isetta, passati a correre per i campi e a rubare fichi.

    La mamma li aspettava per cena, si girava verso di loro a guardarli mentre, trafelati, aprivano la porta e continuavano a rincorrersi attorno al tavolo. La più piccola le si buttava addosso, e lei la prendeva in braccio e la baciava. Così successe anche quella sera d’estate del 1915, la fine dell’ultima giornata che Isetta avrebbe trascorso da bambina vera.

    - 2 -

    È una mattina soleggiata e Isetta esce da casa presto.

    Indossa un vestitino azzurro a fiorellini, il suo preferito. Si sente una principessa con quell’abito, di un colore intenso come il cielo, mentre s’incammina lungo la stradina di campagna che porta ai campi, dove troverà suo fratello maggiore.

    Francesco ha tredici anni e la mattina si alza alle quattro per andare a lavorare con i vecchi della famiglia. I vecchi e i bambini. Quelli che al fronte non ci vanno, «Grazie al cielo ci sono loro che badano a noi» dice sempre la mamma.

    E Isetta, che non ha ancora sei anni, ogni giorno gli porta il pranzo. Ogni giorno.

    Anche oggi, sotto il sole che la scalda e la rincorre, cammina spedita con il cestino per il pranzo di suo fratello stretto stretto alla manina, perché la mamma le ha detto di stare attenta a non farlo cadere, «Perché tuo fratello poi non mangia più niente, che è delicato come una donna, quello.»

    Ride Isetta, perché un lieve venticello le alza la gonna del vestito leggero e ogni tanto fa un giro su se stessa per giocare alla principessa che va al ballo.

    Si ferma vicino al torrente che scorre lungo la strada, perché l’acqua fa un bel rumore e le fa venire tanta sete. Prende un sasso da terra e lo lancia nella corrente, una cosa che fanno tutti i bambini. O almeno facevano, quando ancora si passeggiava lungo i torrenti.

    Poi si guarda intorno e ne vede un altro, bellissimo. Le piacciono tanto i sassi, le ricordano la mamma perché di cognome fa proprio Sasso.

    Questo è grande e bianco, come se ogni tanto qualcuno andasse a lucidarlo per bene. Lo prende in mano e lo guarda ammirata. Lo mette in tasca e si riavvia felice verso il campo che ormai vede in lontananza.

    Quel cane, al guinzaglio del destino, arriva lì proprio insieme a Isetta, che però non lo ha visto. L’unico suo pensiero è portare il pranzo a Francesco, e soprattutto mostrargli il tesoro che ha trovato.

    Il fratello la vede da lontano, mentre aiuta un vecchio a caricare del fieno in un carretto, le sorride e la saluta come fa sempre.

    «Francesco!» chiama Isetta.

    Il ragazzo si avvicina correndo, perché la fame si fa sentire, e poi Isetta è la sua sorellina, la preferita.

    Ma il cane ha iniziato a girarle intorno. E ringhia, e ha la bava alla bocca. Quella

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