La filosofia come esercizio spirituale. Hadot e il recupero della filosofia antica
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La filosofia come esercizio spirituale. Hadot e il recupero della filosofia antica - Daniele Palmieri
D.P.
1. Introduzione
Il lavoro di Pierre Hadot sui testi della filosofia antica ha avuto una duplice importanza: storica e filosofica.
Da un lato, nei suoi lavori principali come Esercizi spirituali e filosofia antica e Che cos’è la filosofia antica? Hadot è stato in grado di ricostruire, con un accurato utilizzo delle fonti classiche, il contesto storico e sociale all’interno del quale si sviluppava il discorso filosofico antico. Una ricerca che nasce dall’esigenza di risolvere le numerose contraddizioni presenti nei testi dell’antichità e che, partendo proprio da esse, è stata in grado di riscoprire tre importanti caratteristiche che animavano l’insegnamento filosofico greco e romano: l’oralità, il rapporto diretto tra maestro e allievi, la finalità pratica di far attuare al filosofo una vera e propria trasformazione spirituale.
Contrariamente ai testi filosofici di età moderna e contemporanea – trattati lineari scritti in vista della pubblicazione – i testi filosofici del passato erano soltanto un prolungamento
dell’insegnamento principale, quello orale. Le opere pervenuteci spesso sono la trascrizione delle lezioni del maestro (come le Diatribe e il Manuale di Epitteto, trascritti dal suo allievo Arriano, oppure le Enneadi di Plotino raccolte da Porfirio), appunti scritti in vista delle lezioni (come la Metafisica e l’Etica Nicomachea di Aristotele), lettere scritte ad amici e parenti (come le Lettere di Epicuro, La tranquillità dell’animo di Plutarco, le Consolazioni e le Lettere a Lucilio di Seneca), meditazioni personali con le quali tenere a mente i principi della scuola (come i Pensieri di Marco Aurelio), e anche i testi più importanti, come i Dialoghi di Platone sono, appunto, dialoghi, che risentono di un rapporto molto stretto con l’oralità.
Tutte queste forme di scrittura contengono insegnamenti che per la loro stessa natura non possono essere formalizzati in un discorso lineare ma che necessitano di un vitale rapporto dialettico per essere trasmessi. Come sottolinea Hadot, quando il filosofo antico intesse un discorso filosofico lo fa per rispondere alle esigenze concrete legate alla situazione contingente che lo costringe
a mettere per iscritto i propri insegnamenti, non lo fa per costruire, a priori, un sistema filosofico logico e coerente, che di sicuro era presente nella mente del filosofo ma che, negli scritti, rimane soltanto presupposto.
La filosofia antica, dunque, vive dello stretto rapporto dialettico tra maestro e allievi, sia per la mancanza di mezzi tecnici che permettessero la vasta diffusione dei testi scritti sia per la caratteristica principale che animava il discorso filosofico.
Esso non si sviluppava mai di per se stesso, il suo ruolo principale non era quello di descrivere la realtà tramite teorie astratte, ma quello di sviluppare una concreta trasformazione spirituale nella psyché del filosofo. La sapienza ricercata dal philo-sophos, l’amante della sapienza, è essenzialmente una saggezza di vita pratica, che gli permetta di conquistare una felicità imperturbabile, una semplice ma essenziale gioia di vivere e di essere al mondo.
In tale prospettiva, si potrebbe affermare che l’intera filosofia antica può essere descritta come il tentativo del filosofo di raggiungere la sophia, intesa non come sapienza speculativa ma come condotta di vita. L’unica differenza, certamente significativa, tra le diverse scuole è la strada che esse indicano per raggiungerla. La ricerca storico-filosofica di Pierre Hadot è volta proprio a recuperare le diverse metodologie offerte dalle scuole elleniche e romane per conseguire la sophia tramite una pratica consolidata nell’essenza stessa della filosofia antica ma che, per molti anni, è andata perduta: la pratica di precisi esercizi spirituali.
Ed è in quest’ottica che il lavoro storico di Hadot assume grande importanza filosofica. Difatti, recuperando il preciso significato dei testi in base al contesto socioculturale e alle motivazioni con cui stati scritti, egli è stato in grado di rileggerli sotto una nuova luce e di restituire alla contemporaneità il loro significato più profondo, che consisteva nel loro richiamo alla trasformazione spirituale del proprio sé mediante un esercizio filosofico.
Considerando che per tutto il novecento e anche nella nostra epoca la filosofia ha continuato, come dal medioevo in poi, a essere relegata al mondo universitario, recuperare l’autentico messaggio della filosofia antica significa recuperare la dimensione concreta della vita filosofica.
Il recupero della concezione classica è di fondamentale importanza per poter riscoprire il concetto di cura di sé
, un lavoro di perfezionamento della propria psyché che il filosofo deve fare su se stesso partendo da se stesso e che permette di dare una direzione filosofica alla propria vita in modo che i propri principi non siano soltanto delle teorie astratte, ma soprattutto delle norme in grado di dirigere l’esistenza in maniera critica. Fare filosofia
non dev’essere sinonimo di costruzione teorica di sistemi astratti o di studio storico sui pensatori del passato, ma deve coincidere con la pratica quotidiana di una vita cosciente, impegnata, consapevole, diretta non dal caso né dalla folla o dal pregiudizio, bensì da una serie di principi che fungano da punto di riferimento in ogni circostanza, e che permettano di approcciarsi filosoficamente all’esistenza.
Di fatti, soltanto la filosofia può aiutare l’uomo a conquistare la sua dimensione all’interno dell’esistenza e, di conseguenza, a raggiungere una felicità autentica.
2. Lo spirito della filosofia antica
In base alla rappresentazione della filosofia che ci si fa nei tempi odierni, i filosofi altro non sono che teorici impegnati descrivere in maniera astratta un sistema di pensiero in grado di rappresentare la struttura della realtà.
Un sistema di pensiero che deve essere rigoroso e coerente e dal quale poi dipenderanno i principi particolari da applicare in campo morale, per dirigere le nostre scelte di vita.
Se una concezione simile può adattarsi al discorso filosofico contemporaneo, approcciarsi in questa maniera alla filosofia antica non può che causare una serie di fraintendimenti e non permetterà di cogliere il messaggio tramandato dai filosofi antichi.
La ricerca storica e filosofica di Pierre Hadot è volta interamente in questa direzione e ha lo scopo di riscoprire il senso delle pagine dell’antichità così come doveva apparire agli uomini dell’epoca, ossia come un richiamo a rivoluzionare il proprio modo di vivere tramite precisi esercizi spirituali.
Hadot comincia questo tipo di ricerca a partire dal 1953, data in cui inizia a dedicarsi interamente alla relazione della sua tesi di libera docenza, incentrata su un’edizione critica del filosofo cristiano/neoplatonico Mario Vittorino.
Come afferma in un’intervista rilasciata a Carlier¹, prima di allora era stato un filosofo puro
, interessato alla metafisica e alla mistica plotiniana. Tuttavia, quel nuovo lavoro dà una svolta decisiva all’impostazione della sua ricerca.
Per la prima volta fa esperienza del metodo storico e filologico, che gli permetterà di leggere i testi antichi sotto una luce diversa. Da una lettura atemporale
degli scritti filosofici di ogni età, ossia che considera i concetti espressi indipendenti dal periodo storico, come se avessero il medesimo significato in ogni tempo, passa a una lettura storica, che tiene conto del contesto e dell’evoluzione della mentalità e delle idee.
Ma è soltanto l’assegnazione della cattedra nel ’68 che gli permette di lasciarsi alle spalle Mario Vittorino per potersi dedicare ai suoi interessi principali, sviluppare le ricerche precedenti su Plotino e lavorare su Marco Aurelio alla luce di questa nuova prospettiva.
«Proprio Plotino e Marco Aurelio [...] mi hanno indotto questa volta a pensare in modo più generale a quello che chiamo il fenomeno della filosofia antica, fenomeno appunto nel senso non solo spirituale, ma anche sociale, sociologico. Cercavo di pormi la domanda: che cos’era un filosofo? In che cosa consistevano le scuole di filosofia? È così che ho finito per pensare che la filosofia non era pura teoria, ma un modo di vivere.»²
L’esigenza di una chiave di lettura diversa per interpretare i testi filosofici classici nasce dal tentativo di risolvere un problema in cui incorrono gli studiosi del pensiero antico quando tentano di sistematizzare le idee di un autore, ossia la presenza di diverse incongruenze logiche tra un testo e l’altro³. Incongruenze logiche che non dipendono, secondo Hadot, dalla scarsa attenzione dei filosofi antichi nel costruire un sistema di pensiero coerente, bensì dall’errata tendenza degli studiosi a leggere i testi antichi come se fossero testi filosofici contemporanei, senza tenere conto delle sostanziali differenze tra le due modalità di esposizione.
Difatti, mentre i testi filosofici contemporanei si sviluppano sin dal principio come scritti destinati alla stampa, i testi filosofici antichi sono in stretto rapporto con lo stile orale. Essi erano destinati a un pubblico molto ristretto, che variava dai membri di una scuola a un solo discepolo, al contrario dei testi moderni, pensati in partenza per essere stampati e diffusi su larga scala. Una conseguenza di ciò è il carattere estremamente particolare dei contenuti trattati. Non un’esposizione di concetti generali con lo scopo di elaborare una sistematica descrizione della realtà, bensì lezioni basate su un argomento, risposte alle esigenze degli alunni o ai dubbi di un singolo allievo, lettere consolatorie ad amici o parenti, brevi memorandum dei dogmi principali della scuola. È il caso, ad esempio, della Metafisica e delle Etiche di Aristotele, un insieme di appunti eterogenei che il Filosofo utilizzava a lezione, oppure delle Enneadi di Plotino, trascrizione dei suoi corsi da parte dell’allievo Porfirio.
Ed è proprio da questo carattere di circostanza che nascono le presunte incongruenze tra un testo e l’altro nel momento in cui si cerca di riassumerli in un'unica visione generale. Non che questa visione generale non esistesse nella mente di Platone, Aristotele o Epicuro, ma essa rimane implicita nelle risposte o nelle lezioni, che spesso si adattavano alle esigenze di chi ascolta e al suo grado di conoscenza.⁴
Lo spirito con cui si elaborava un discorso filosofico era dunque molto concreto e nasceva dall’esigenza di rendere la filosofia non una costruzione teorica, ma un esercizio dialettico-maieutico tra docente e allievo. Il suo scopo non era quello di informare, ma quello di formare.⁵
Lungi dal formulare sistemi di pensiero astratti e lontani dal mondo, il pensiero filosofico greco e latino poneva al centro della discussione la vita dell’uomo inserita nel contesto concreto della vita quotidiana. Il perno intorno a cui ruotava l’intera discussione era proprio il comportamento che il filosofo doveva adottare per vivere al meglio la quotidianità, per raggiungere la propria tranquillità interiore e non rischiare di perderla di fronte alle asperità della vita.
2.1 La filosofia come modo di vivere
«Il modo di vivere filosofico è semplicemente il comportamento del filosofo nella vita quotidiana.»⁶
Lo spirito della filosofia antica e del discorso filosofico classico si basa sull’esigenza di trovare una particolare condotta che possa assicurare al filosofo una vita autentica, diversa dalla vita dell’uomo comune poiché votata ai veri valori.
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non è il discorso filosofico a fare da preludio alla scelta di vita ma viceversa. Prima ancora di intessere