Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

Il commissario Richard. La famiglia Morel
Il commissario Richard. La famiglia Morel
Il commissario Richard. La famiglia Morel
Ebook229 pages2 hours

Il commissario Richard. La famiglia Morel

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Per Andrea Camilleri, suo estimatore, Ezio D’Errico è un artista “dotato di una genialità rinascimentale”. E certamente unico, più volte imitato, è il suo indimenticabile commissario Richard, che con De Vincenzi è tra i personaggi più originali della storia del giallo italiano (e anche dei “mitici” gialli Mondadori). Per Andrea Camilleri, suo estimatore, Ezio D’Errico è un artista “dotato di una genialità rinascimentale”. E certamente unico, più volte imitato, è il suo indimenticabile commissario Richard, che con De Vincenzi è tra i personaggi più originali della storia del giallo italiano (e anche dei “mitici” gialli Mondadori). Disincantato, concreto, solo in apparenza distaccato, il “simenoniano” Richard indaga in una Parigi e in una provincia francese non di rado inospitali, popolate di figure ambigue e spiazzanti, spesso ai margini della società, individui rifiutati, disadattati, solitari. È ciò che accade anche ne La famiglia Morel. Una serie di brutali omicidi sconvolge Le Bourget, una cittadina alla periferia di Parigi. Qual è la vera identità del “vampiro”, l’ombra assassina così chiamata dai giornali? Cosa si nasconde tra le mura impenetrabili di casa Morel, una famiglia che pare interessata solo al denaro? Cosa si cela dietro lo sguardo enigmatico e triste di Élisabeth Morel, forse l’unica depositaria della verità? Una delle indagini più avvincenti e originali del Commissario capo della Sûreté, che in un finale a sorpresa riuscirà a risolvere il caso. Con un’introduzione di Loris Rambelli.
LanguageItaliano
Release dateAug 23, 2016
ISBN9788893040549
Il commissario Richard. La famiglia Morel

Read more from Ezio D'errico

Related to Il commissario Richard. La famiglia Morel

Titles in the series (100)

View More

Related ebooks

Thrillers For You

View More

Related articles

Related categories

Reviews for Il commissario Richard. La famiglia Morel

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    Il commissario Richard. La famiglia Morel - Ezio D'Errico

    2016

    La verità velata di nero

    di Loris Rambelli

    «Sono uno scrittore del vecchio stampo» diceva di sé Ezio D’Errico, «di quelli cioè che hanno letto molto e continuano a leggere nella speranza di imparare qualche coserella di più»¹; e non solo, si direbbe, in termini di conoscenze enciclopediche. Le sue letture, che devono essere state eclettiche, si ha talvolta l’impressione di individuarle in trasparenza nella pagina scritta, trasformate cioè in occasioni di scrittura. Forse il lettore dei Gialli Mondadori anni Trenta lo avvertiva e se ne compiaceva. Quando, per esempio, nel romanzo La notte del 14 luglio, vedeva Catherine Michot uscire dall’ufficio di un commissariato di polizia («Un piccolo cenno col capo a mo’ di saluto, poi Catherine Michot voltò le spalle e uscì com’era entrata, a testa alta. Le tre margherite sul cappellino non ebbero un fremito»), forse non poteva fare a meno di ricordare Verga: «Donna Sarina comparve di nuovo sull’uscio, colle braccia incrociate, senza profferire una parola; soltanto i fiori che le si agitavano sul capo parlavano per lei» (Mastro don Gesualdo).

    Ed è quella stessa Catherine Michot che alle quattro precise del mattino «spalancava le finestre della sua stanzetta e allo sbattere delle persiane rispondeva un tramestio dalla parte del pollaio»: il lettore di cui sopra poteva trovarci un’atmosfera vagamente pascoliana che potrebbe essere quella dell’Alba nei Primi poemetti: «Allor che Rosa dalle bianche braccia / aprì le imposte»... con quel che segue.

    La famiglia Morel è forse il più pirandelliano dei gialli di D’Errico. Incomincia con un cappello, un portafogli e un mazzo di chiavi abbandonati sull’argine di un canale (per far credere a un suicidio, come il bastone e il cappello, con un foglietto infilato sotto il nastro, lasciati sulla balaustrata di un ponte sul Tevere da Adriano Meis che vuole ritornare a essere Mattia Pascal), e si chiude con l’apparizione, nell’inquadratura di una porta, di una donna vestita a lutto, col capo e il volto coperti: la verità velata di nero, come nella chiusa di Così è (se vi pare).

    Fa pensare a Pirandello la tecnica di inserire note comiche in situazioni drammatiche per ricavarne effetti grotteschi, e infine ha qualcosa di pirandelliano l’attitudine del commissario Richard di «vivere la vita degli altri», o «della vita degli altri», se non proprio di «abbarbicarvisi», come fa, per ben altri motivi, l’Uomo dal fiore in bocca.

    L’immersione nella vita degli altri (più per necessità connaturata all'uomo, che per applicazione di un metodo investigativo) avviene di solito in un ambiente particolare, che nella Famiglia Morel si configura in un misero interno piccolo borghese della banlieu parigina. Siamo in inverno, a Le Bourget, sera di pioggia. Il commissario è a casa dei Morel, seduto in una poltrona, si gode il caldo di una «stufetta» (che viene accesa soltanto quando ci sono ospiti), in compagnia del capofamiglia, l’orologiaio Morel dal «profilo caprino», della figlia Élisabeth, con i capelli pettinati alla moda di mezzo secolo prima, china su qualche straccetto che a furia di rammendi si è trasformato in una ragnatela, e del pensionante dei Morel, maestro di musica, «rottame di altri naufragi». Poi Élisabeth offrirà un caffè che è un’«acquetta calda» in tazzine pretenziose con il manico d’argento. Un giorno Richard sentirà il desiderio di fare una visita al maestro di musica nella sua stanza d’affitto: berranno insieme un bicchiere di gin (il pensionante ha nascosto sotto il letto la bottiglia acquistata di contrabbando), sembrano due amici che parlano del più e del meno, che rispettano i silenzi l’uno dell’altro, Richard si perde a contemplare, oltre i vetri della finestra, il paesaggio fangoso di baracche e di chiatte sul canale, con una gran voglia di andare a vedere i giocatori di bocce di cui si sente «il tonfo delle biglie contro una stecconata».

    Altre volte sarà una pensione, un alberguccio, un hôtel meublé dove si respira un’aria come di famiglia: e qui Richard s’immedesima nei suoi personaggi, impara a conoscere il loro passato, che affiora a poco a poco, le abitudini, le manie. Ha una sua teoria in proposito, convinto com’è che «le azioni degli uomini siano strettamente dipendenti dalle loro piccole manie personali».

    «S’era anche lui compenetrato di quello strano mondo, incominciava a capirne le piccole miserie e i grandi drammi, faceva ormai parte anche lui dell’albergo di rue Murger, e se non avesse avuto un casa piantata con tanto di buffet e controbuffet, e una sorella viva e vegeta... chissà... alla fin fine abitare all’Azurea o in un altro albergo non era poi la stessa cosa?» (L’uomo dagli occhi malinconici).

    Negli ultimi capitoli della Famiglia Morel Richard fa la conoscenza del dottor Milton, che diventerà l’amico e collaboratore inseparabile delle sue inchieste successive. L’avvenimento segna perciò, nella vita privata del commissario, una svolta importante che si ripercuoterà, poco dopo, anche sul suo mestiere di poliziotto.

    Milton entra in scena facendo sentire la sua voce alle spalle del commissario per esporre un parere professionale sulla morte di una delle vittime.

    Appare una seconda volta, di sfuggita, «con le mani in tasca e i capelli al vento» che gli danno un’aria studentesca, invita il commissario in un certo locale per fare con lui una partita al biliardo e lo saluta con «un gesto rapido della mano come usano i ragazzi dei collegi americani». «Ragazzaccio», borbotta fra sé e sé Richard.

    La terza volta Milton, con quel suo fare fra l’annoiato e il beffardo, lancia una sfida al commissario sul terreno dell’inchiesta («Vi ritengo un uomo intelligente quanto me... e sarei quindi molto sorpreso che le nostre idee non combaciassero»). Ma Richard sta inquadrando il suo interlocutore: quella laurea in medicina deve essere costata molti sacrifici (certo, figlio di povera gente, come lui, Richard, del resto), gli guarda le spalle esili (non sempre deve avere mangiato a sufficienza), finché le mani massicce del poliziotto non danno due colpetti su quelle diafane del giovane medico. Già conosciamo il potere di quelle mani.

    E quando Richard espone pubblicamente i risultati delle sue indagini, davanti al sindaco e alla folla dei giornalisti, nella sala consigliare del municipio di Le Bourget è, in realtà, a Milton che si rivolge, in una di quelle ricostruzioni del caso giudiziario che sembrano tracce di romanzi da fare. Che cosa sono, in definitiva, i romanzi polizieschi se non tracce di romanzi da fare? Abbozzi di nuovi romanzi ancora tutti da scrivere? Ma intanto, sia pure a frammenti, attraverso confessioni e reticenze, particolari illuminanti e punti oscuri, dati di fatto e congetture, il dramma dei personaggi, pirandellianamente, finisce per venire fuori, e la maschera cade dal volto dell’assassino, preso tra «paura e fascinazione». Usando quasi lo stesso binomio (probabilmente non ne esistono altri per descrivere il conflitto interiore) Gadda, una ventina di anni dopo, in un suo scritto del 1966, sottolineava una delle caratteristiche del Pasticciaccio: «Incantagione e paura sembrano a volte insistere nei luoghi e nelle menti»².

    LA FAMIGLIA MOREL

    Parte prima

    Capitolo I

    Allargamento del 19° Arrondissement

    — Babbo, la cena è pronta.

    Mentre Élisabeth pronunziava con la sua voce incolore questa frase, squillò il campanello dell'entrata.

    Jacques Morel, che stava scendendo dalla scaletta del laboratorio, affrettò il passo e andò ad aprire.

    Solo dal modo di infilare il paracqua nel portaombrelli, Élisabeth capì che si trattava del maestro Molorty.

    Andò in cucina per abbassare la fiamma sotto il bollito di manzo che stava in caldo nel poco brodo rimasto in pentola, e il suo orecchio indovinò, piuttosto che udire, le parole che i due uomini si scambiavano in anticamera.

    — Continua a piovere?

    — Piovere? Diluviare, volete dire... Dai Breançon fin qui, ci ho messo un quarto d'ora, e non so come ho potuto salvare l'ombrello dalle raffiche di vento.

    Ci furono delle altre battute indistinte, poi le giunse il rumore delle sedie smosse e il tintinnio delle posate.

    Élisabeth aveva calato il riso nella pentola e mentre i suoi piccoli occhi chiari sorvegliavano i fornelli e passavano distrattamente dall'insalata che finiva di gocciolare nell'acquaio, alla zuppiera già disposta sul tavolo di legno grezzo, le orecchie erano sempre tese alle voci che venivano dalla saletta da pranzo. Non solo le orecchie, ma tutto il corpo era in tensione, e per quanto la zitella cercasse di tenere a freno i nervi, le sue mani tradivano l'agitazione, spostando oggetti che erano già al loro posto o tormentando la fiamma del gas il cui ronzio riempiva la cucinetta.

    Dopo poco erano tutti e tre seduti a tavola.

    Jacques Morel, il cui profilo caprino era completato da una barbetta grigia, mangiava lentamente, e le sue mani lunghe e bianche abituate ai piccoli congegni di orologeria, sembravano inadatte a maneggiare il grosso cucchiaio di stagno.

    La figlia Élisabeth che col passar degli anni andava sempre più rassomigliando al padre, aveva i capelli pettinati alla moda di mezzo secolo addietro. In mezzo a questi due esseri grami, il maestro di musica sembrava ancora più rotondo e rubizzo.

    Masticando, girava, gli occhietti miopi e sporgenti sotto le folte sopracciglia bianche, a sorvegliare l'entità delle porzioni, timoroso com'era di venir defraudato nella qualità e nella quantità.

    In altri tempi avrebbe protestato per la sproporzione evidente fra i cavoli e il riso, i cui chicchi navigavano smarriti in una broda troppo acquosa, ma da qualche giorno, ossia dopo quello che era successo, si vigilava per non sembrar proprio un egoista gretto, il che non gli impediva di pensare che Élisabeth approfittasse della situazione per tirare ancora di più la lesina.

    Tuttavia, come vide la zitellona ritornare dall'aver portato la zuppa al fratello, che stava rintanato come al solito nella sua camera, credette opportuno fare la domanda d'uso: — Come sta Benjamin?

    — Bene, come volete che stia?... non c'è pericolo che prenda neanche un raffreddore, quello là...

    La risposta sarebbe sembrata malvagia a chiunque altro che non fosse stato il maestro, ma questi era da tanti anni a pensione dai Morel, che da un certo punto di vista poteva essere considerato della famiglia.

    La frase di Élisabeth andava collocata per così dire nel quadro generale. Andava ambientata. Infatti il musicista si limitò a mormorare:

    — Ba'... io certe volte mi domando che cosa ci può essere di più penoso di questa incertezza.

    Il vecchio Morel si strinse nelle spalle con una mossa da testuggine, e la figlia si limitò a sospirare, mentre le dita magre, quasi per trovar sfogo al tremito interno, appallottolavano sotto le falangi piccole molliche di pane comprimendole sulla tovaglia.

    Aleggiava sui due Morel una rassegnazione cupa, come su tutti coloro oppressi da un pensiero fisso, destinato a girare eternamente su se stesso.

    Dal bugigattolo del deficiente, veniva ogni tanto una cantilena infantile, una specie di nenia che il maestro Molorty sapeva purtroppo a memoria per averla già udita infinite volte.

    Nelle pause, le raffiche di vento facevano tinnire sommessamente i vetri della finestra con una nota sempre uguale che finiva per dar fastidio.

    Poi si udì il rombo di un furgone, ed Élisabeth mormorò: — Già le otto!

    L'immagine dell'autocorriera di Le Bourget passò davanti agli occhi dei tre commensali, e ognuno dovette pensare che gli aviatori andavano a passare la serata a Parigi, perché certo le partenze di domani sarebbero state sospese per il cattivo tempo.

    Quando il maestro di musica ebbe coscienziosamente scolato fin l'ultimo goccio del vinello anemico che gli spettava in base alla quotavitto, chiese come tutte le sere il permesso di accendere la pipa, e subito se ne pentì, conscio, come se improvvisamente fosse entrato nel cranio del padre e della figlia, che quei due dovevano aver sentito riecheggiare l'immancabile risposta di Constance Morel: — Ma sì, maestro; per una buona pipata ci sto anch'io.

    Tuttavia, né l'orologiaio né la figlia lasciarono trapelare nulla della loro ambascia, limitandosi a rispondere a fior di labbro:

    — Prego... accomodatevi.

    Ci fu un altro silenzio lungo, e mentre Élisabeth sparecchiava si riudì la cantilena del deficiente.

    Fu in quel momento che Jacques Morel ebbe il primo scatto della serata.

    — Digli che la finisca! — gridò rivolto alla figlia, ma subito dopo aggiunse con la solita scrollata di spalle: — Ma no... lascialo fare...

    Brontolò ancora qualche cosa fra i denti che poteva essere interpretato come un: «almeno che ci sia ancora quello come prima».

    Il maestro Molorty comprese che l'unico modo di uscire da quella tensione penosa era parlare del fatto, e perciò chiese:

    — Avete visto il brigadiere?

    — Sì... è venuto a farsi aggiustare l'orologio.

    Jacques Morel pronunziò queste parole con voce beffarda, quasi a sottolineare il conto spregevole in cui teneva le Autorità in genere e la Gendarmeria in specie.

    — A farsi aggiustare l'orologio?

    — Sì... una cipolla dei tempi dell'Impero.

    — Ma... della cosa... non ne ha parlato?

    — Eh... altro che... le solite domande... «Come spiegate che abbiamo trovato il suo cappello e il mazzetto delle chiavi sulla sponda dell'Ourcq?» Come se io potessi saperlo... straordinario, non vi pare? Invece di essere io, cittadino, a chiedere notizie alla Gendarmeria, sono loro che ne vengono a chiedere a me... un colmo, vi pare? Ma già, è inutile parlare di queste cose, l'importante è che si paghino le tasse.

    — E non ha saputo dire altro?

    — Sì, altre domande, beninteso... e sempre le stesse... Aveva amici, conosceva donne... e patatì e patatà... come se mio figlio non fosse conosciuto da tutti e non si sapesse la vita che conduceva. Ufficio e casa... casa e ufficio... una sola donna, la vedova Mathieu... doveva sposarsela e non si decideva... lei ce l'aveva con noi, anzi sopratutto con Élisabeth... credeva che mettesse male... e poi? Tutto lì... Tutte cose sapute e risapute anche dai sassi... Le Bourget è come se fosse un villaggio, voi lo sapete... sarebbe come voler indagare come passate le ore voi... Tutti sanno dove e quando date lezioni di musica, non è vero? Ora, immaginate che si trovasse il vostro cappello e le vostre chiavi sulle rive dell'Ourcq... ba', sciocchezze, vi dico... sciocchezze!

    Il maestro Molorty non parve molto soddisfatto di questo parallelo di gusto piuttosto discutibile, ma non lo dette a divedere, e tuttavia, quasi volesse interrompere il filo di quelle supposizioni, disse: — Quasi tutti quelli con i quali ho parlato, propendono per una disgrazia... solamente...

    — Solamente che cosa?

    — Ecco, alcuni dicono... se il cappello si fosse trovato sulla passarella della vetreria, allora sulla disgrazia non ci sarebbe alcun dubbio... la notte piovosa... un capogiro... un piede in fallo... Ma sulla sponda di destra... eh? Che ne dite?

    — Che cosa volete che dica... anche voi come il brigadiere? Se lo sapessi, non starei qui con le mani in mano.

    — Capisco, capisco... ma si fa così per dire, per far delle ipotesi... povero figliolo... io certe volte mi fisso su quel particolare delle chiavi...

    — Le chiavi? Perché?

    — Ecco, così... una semplice idea, penso... Oh, badiamo bene, sempre nel campo delle pure ipotesi... ebbene, penso

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1