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Passi sul Confine di un altro Mondo: Indagine Scientifica sulla realtà dei Mondi Eterici
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Passi sul Confine di un altro Mondo: Indagine Scientifica sulla realtà dei Mondi Eterici
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Passi sul Confine di un altro Mondo: Indagine Scientifica sulla realtà dei Mondi Eterici

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La più importante

e approfondita indagine

su fenomeni straordinari

volta a dimostrare l’esistenza

dei Mondi Eterici

e di una realtà molto più ampia

di quanto comunemente si pensa.
LanguageItaliano
Release dateAug 24, 2016
ISBN9788869371295
Passi sul Confine di un altro Mondo: Indagine Scientifica sulla realtà dei Mondi Eterici

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    Passi sul Confine di un altro Mondo - George Dale Owen

    ​APPENDICE

    ​LIBRO IV

    DELLE APPARENZE COMUNEMENTE DETTE APPARIZIONI

    Dell’allucinazione

    La prova di una vita futura derivata dall’occasionale apparire di un defunto, purché questo apparire si dimostri essere un fenomeno oggettivo e purché non ci inganniamo sul suo carattere, è del più alto grado. Se dunque è importante ottenere un valido contributo alle prove dell’immortalità dell’anima, che cosa merita maggiormente la nostra attenzione delle apparizioni?

    Ma proporzionale alla sua importanza e al suo carattere straordinario è la necessità che questo soggetto venga esaminato con scrupolo e perfino con diffidenza, e che la sua realtà sia attestata con cura spassionata.

    Perché la sua discussione implica la teoria dell’allucinazione: un ramo di ricerca che ha molto impegnato, come in realtà doveva, l’attenzione dei fisiologi moderni.

    Che vi sia una pura allucinazione, non possiamo razionalmente dubitarne; ma che cosa siano o non siano le allucinazioni può essere più difficile da stabilire di quanto gli osservatori superficiali non credano.

    L’allucinazione, secondo la consueta definizione, consiste in idee e sensazioni che comportano impressioni irreali. E’ un esempio di falsa testimonianza (non sempre accreditata) apparentemente data dai sensi in uno stato morboso o anormale dell’organismo umano.

    «E’ evidente», dice Calmeil, «che la stessa combinazione materiale che avviene nel cervello di un uomo alla vista di un albero, di un cane, di un cavallo, può essere riprodotta nel momento in cui questi oggetti non sono più in vista, allora quell’uomo persisterà nel credere di vedere ancora un albero, un cane o un cavallo» (1).

    E’ una curiosa questione, non ancora pienamente risolta dai medici che hanno scritto in proposito, se le allucinazioni della vista causano un’effettiva immagine sulla retina. Burdach, Müller (2), Baillarger (3), e altri, che lo affermano, ci ricordano che i pazienti che si sono rimessi da una crisi di allucinazione affermano sempre: «Io ho visto; io ho udito», parlando così di reali sensazioni. Dechambre (4) e De Boismont, che lo negano, adducono a sostegno della loro opinione il fatto che un paziente che abbia perso una gamba continua a lamentarsi di sensazioni di freddo o di dolore alle dita del piede amputato, e che uomini ciechi per amaurosi, dove vi è paralisi del nervo ottico, sono tuttavia soggetti ad allucinazioni visive. Quest’ultima sembra essere l’opinione migliore. Come potrebbe, una semplice concezione mentale

    (argomenta Dechambre) produrre un’immagine nell’occhio? E per quale ragione? Perché, se la concezione esiste già nel cervello, che bisogno c’è che l’occhio la diriga in quella direzione? Se si potesse provare, in qualsiasi caso, che un’immagine reale è stata prodotta sulla superficie della retina, questo dimostrerebbe anche, mi sembra, che è stata presente una realtà oggettiva per produrla. E così pure per le onde sonore ricevute dal timpano.

    Questo appare più chiaramente se consideriamo esempi di allucinazione di altri sensi, come l’odorato e il tatto. Il professor Bennet, della Scozia, in un opuscolo contro il mesmerismo (5), garantisce due esempi da lui presentati per dimostrare il potere dell’immaginazione. Riferisce il primo come segue: «Un ecclesiastico mi ha detto, tempo fa, che nella sua parrocchia si sospettava che una donna avesse avvelenato il suo ultimo nato. La bara fu esumata, e il procuratore fiscale che procedeva insieme ai medici all’esame della salma, dichiarò di sentire già l’odore della decomposizione che lo faceva venir meno; e in conseguenza si ritirò. Ma, aperta la bara, fu trovata vuota; e fu in seguito accertato che nessun bambino era nato e quindi nessun delitto era stato commesso». Dobbiamo supporre che il nervo dell’olfatto fosse stimolato da un odore che non esisteva? Ma nell’opuscolo vi è un altro caso. «Un macellaio fu condotto nel negozio del signor M’Farlane, farmacista, dal mercato di fronte, in seguito a un terribile incidente. Quest’uomo, cercando di agganciare un pesante pezzo di carne sopra di sé, era scivolato e il gancio era penetrato nel suo braccio così da restare lui stesso sospeso. All’esame risultò pallido, quasi senza pulsazioni e si comportò come se provasse una sofferenza atroce.

    Non gli si poteva muovere il braccio senza causargli acuti dolori e, mentre gli veniva tagliata la manica, egli gridò più volte; e tuttavia, quando il braccio fu messo a nudo, risulto perfettamente sano perché il gancio aveva solo attraversato la manica della sua giacca». Che cosa aveva agito, in questo caso, sui nervi del senso? Non vi era la minima lesione che potesse farlo, e tuttavia l’effetto sul cervello fu esattamente lo stesso che se i nervi fossero stati irritati e nel modo più serio.

    I sensi che per lo più ci ingannano sono la vista e l’udito. Il dott. Carpenter cita il caso di una signora, sua stretta parente, che, «essendo stata spaventata da bambina da un gatto nero che balzò su di sotto il suo cuscino proprio nel momento in cui ella vi adagiava la testa, per parecchi anni, ogni volta che era indisposta, vide un gatto nero sul pavimento davanti a lei; e, per quanto perfettamente consapevole del carattere spettrale di questa apparizione, non poteva fare a meno di alzare i piedi come se stesse per calpestarlo quando se lo vedeva davanti» (6). Un’altra signora, citata da Calmeil, continuò per più di dieci anni a immaginarsi che una moltitudine di uccelli era continuamente in volo attorno alla sua testa e non si sedeva mai a tavola senza mettere da parte delle briciole di pane per i suoi amici immaginari (7).

    Così nelle allucinazioni uditive, dove il senso dell’udito ci inganna. Gli scrittori sul soggetto ricordano casi di pazienti che sono stati perseguitati per anni o per tutta la vita, da voci sconosciute, suoni di campane, brani musicali, fischi, latrati e simili. In molti casi i suoni sembravano agli allucinati

    provenire da tombe, da caverne, di sotto terra, a volte essi immaginavano che fosse una voce interna, proveniente dal petto o da altre parti del corpo (8).

    Calmeil riferisce il caso di un vecchio cortigiano, che, immaginandosi di udire dei rivali che continuamente lo diffamavano presso il suo sovrano, era solito esclamare: «Mentono! Vi ingannano! Mi calunniano, o mio principe» (9). E ricorda il caso di un altro monomaniaco che non poteva sentir pronunciare, senza un accesso di rabbia, il nome di una città che gli ricordava penose memorie. Bambini lattanti, uccelli in volo, campane di ogni campanile ripetevano al suo orecchio malato il nome odioso.

    Tutti questi sembrano casi di semplice allucinazione; contro la quale si può notare che una perfetta sanità di mente non dà alcuna garanzia.

    L’allucinazione non è follia. Talora risulta indipendente non solo dalla follia ma anche dalla monomania nei suoi tipi più blandi. Conobbi una signora che, più volte, vedeva distintamente un piede salire le scale davanti a lei. E tuttavia né il suo medico né lei stessa considerarono questa apparente meraviglia altrimenti che come un’impressione ottica dipendente dal suo stato di salute.

    In tutti i casi qui citati, si noterà che una persona è ingannata solo da un’illusione dei sensi. E questo mi porta a parlare di un’importante distinzione fatta dai migliori scrittori sull’argomento: la differenza, cioè, tra allucinazione e illusione. La prima è considerata essere la falsa percezione di ciò che non ha alcuna esistenza; la seconda è una percezione sbagliata di qualche cosa che realmente esiste. La signora che alzava il piede per scavalcare un gatto nero quando, in realtà, non vi era davanti a lei nulla da scavalcare, è considerata vittima di una allucinazione. Nicolai, il libraio di Berlino, è usualmente citato come uno dei più noti casi; e la sua memoria sul soggetto, rivolta alla Società Reale di Berlino, di cui egli era membro, è considerata un raro esempio di accurata analisi filosofica di ciò che lui stesso considerava una serie di false sensazioni (10). A quanto scrive, si immaginava che la sua stanza fosse piena di figure umane che andavano in giro; tutte avevano la perfetta apparenza di persone viventi sennonché erano più pallide; alcune erano a lui note, altre estranee, e ogni tanto parlavano tra loro o con lui; così che, a volte, era in dubbio se qualche suo amico fosse venuto a fargli visita o no.

    Un’illusione, diversamente da un’allucinazione, ha le sue fondamenta nella realtà. Noi vediamo o udiamo realmente qualche cosa che ci sembra essere qualche cosa d’altro (11). Il miraggio del deserto, la Fata Morgana del Mediterraneo, ne sono noti esempi. Molte superstizioni sono sorte di qui, come il Gigante del Brocken, gli eserciti aerei che si combattono fra le nubi e simili (12).

    Vi sono illusioni collettive; perché è evidente che la stessa falsa apparenza che inganna i sensi di un uomo, può ingannare anche quelli di un altro. Così una storia italiana riferisce che gli abitanti della città di Firenze furono per parecchie ore vittime di una notevole illusione. Fu vista nell’aria, fluttuante sulla città, la colossale figura di un angelo; e gruppi di spettatori, raccolti nelle vie principali, fissavano in adorazione, convinti che stesse per avvenire un qualche miracolo. Dopo un certo tempo fu scoperto che questa portentosa apparizione era una semplice illusione ottica causata dal riflesso, su di una nube, dell’angelo dorato che sormonta il celebre duomo, vivamente illuminato dai raggi del sole (13).

    Ma non conosco casi bene autenticati di allucinazioni collettive. Non ho mai udito che due pazienti abbiano immaginato la presenza dello stesso cane o dello stesso gatto nello stesso momento. Nessuno degli amici di Nicolai vide le figure che si mostravano a lui. Quando il cattivo genio di Bruto apparve al condottiero romano, nessuno oltre che lui vide la colossale presenza o udì le sue parole di ammonimento: «Ci rivedremo a Filippi». E solo gli occhi di Nerone erano ossessionati dallo spettro della sua madre assassinata (14).

    Questa è una distinzione di grande importanza pratica. Se due persone percepiscono nello stesso tempo lo stesso fenomeno, possiamo concludere che questo fenomeno è una realtà oggettiva: ha, in un modo o in un altro, una reale esistenza.

    I risultati di quelli che sono stati comunemente chiamati esperimenti elettrobiologici non possono essere propriamente addotti a confutazione di questa posizione. Il paziente biologizzato si sottopone coscientemente e volontariamente a un’influenza artificiale il cui temporaneo effetto è di produrre false sensazioni; così come il mangiatore di hashish o il masticatore di oppio giungono alla fantasmagoria di una parziale insania, o il bevitore incallito si espone alle terribili illusioni del delirium tremens. Ma tutti costoro sanno, quando la crisi è passata, che non vi era nulla di reale nelle immaginazioni che li avevano travolti.

    Se potessimo essere biologizzati senza un agente apparente, in uno stato di mente e di corpo simile a quello calmo e normale, in modo per noi inconsapevole nel momento e senza alcuna conseguente consapevolezza della nostra condizione di trance, allora la Ragione stessa diverrebbe inattendibile, i nostri sensi sarebbero guide cieche e gli uomini brancolerebbero nelle nebbie del pirronismo. Nulla, nell’economia dell’universo, per quanto lo abbiamo esplorato, ci permette di nutrire per un attimo l’idea che il Creatore abbia permesso, o voglia mai permettere, una tale fonte di illusione.

    Siamo dunque giustificati se affermiamo, come regola generale, che quello che i sensi di due o più persone percepiscono nello stesso momento non è allucinazione; in altre parole, che c’è qualche fondamento per poterlo affermare.

    Ma non ne segue che sia vero il contrario. Non è logico concludere che, in ogni caso in cui qualche strana apparenza può essere percepita da un solo osservatore fra molti, si tratti di allucinazione. In alcuni casi in cui certe persone percepiscono fenomeni che sfuggono ai sensi degli altri, è certo che i fenomeni sono, o possono essere, reali. Un esempio quotidiano di questo è il fatto che persone dotate di forte capacità di vedere da lontano distinguono chiaramente oggetti che rimangono invisibili a persone di vista meno acuta.

    Così pure Reichenbach riferisce che i suoi sensitivi vedevano, ai poli del magnete, luci odiche, e sentivano nel quasi contatto con grandi cristalli, sensazioni odiche del tutto impercepibili per lo stesso Reichenbach e per altri insensibili al pari di lui alle impressioni odiche (15). E’ vero che, prima che tali esperimenti possano dare una convinzione razionale, devono essere ripetuti più e più volte da vari osservatori e con numerosi soggetti, senza che ogni soggetto conosca la testimonianza del precedente, e il risultato di questi vari esperimenti deve essere accuratamente confrontato. Ma, una volta prese scrupolosamente queste precauzioni, nella natura degli esperimenti stessi non vi è nulla che possa farli mettere da parte come inattendibili.

    Non vi è dunque nulla di assurdo o illogico nella supposizione che alcune persone possano avere vere percezioni di ciò di cui noi rimaniamo inconsci.

    Possiamo non riuscire a capire come esse le abbiano; ma la nostra ignoranza del modo di azione non deve negare la realtà degli effetti. Conobbi un inglese che, se veniva chiuso un gatto nella stanza in cui egli era, scopriva invariabilmente e infallibilmente la sua presenza. Come la percepisse, se non

    con un senso generale di disagio, non sapeva spiegarlo, ma il fatto era certo.

    Se fossimo tutti nati sordomuti non potremmo immaginare come un essere umano possa riuscire a percepire che una persona, da lui non vista, sia nella stanza accanto, o come possa rendersi conto che un orologio di chiesa, a un miglio di distanza e totalmente fuori vista sia mezz’ora avanti a quello che ha in tasca. Se a un sordomuto congenito diciamo, come spiegazione, che conosciamo queste cose perché udiamo il suono della voce della persona o dei rintocchi dell’orologio, queste parole sarebbero per lui prive di significato e non gli spiegherebbero nulla. Egli crede nell’esistenza di una percezione che coloro che gli sono intorno chiamano udito, perché tutti concordano nel dargli questa informazione. Egli crede che, in particolari circostanze, gli uomini divengono consapevoli di ciò che è distante e non visto; ma, se la sua infermità continua fino alla morte, egli passerà in un altro mondo senza una vera convinzione della realtà dell’udito, salvo quell’unica credenza sostenuta solo dalle affermazioni dei testimoni.

    Che cosa si oppone dunque al supporre che, come vi sono casi eccezionali in cui alcuni dei nostri fratelli uomini ci sono inferiori quanto alle capacità di percezione, così possono esservi anche casi eccezionali in cui alcuni di loro ci siano superiori? E perché non dovremmo, al pari del sordomuto, essere destinati ad attendere l’illuminazione della morte prima di riconoscere come vere, indipendentemente dalla fede nelle parole altrui, queste superiori percezioni?

    Fra il caso del sordomuto e i nostri vi è, è vero, questa differenza: lui fa parte della minoranza, noi della maggioranza. Le sue testimonianze sono dunque molto più numerose delle nostre. Ma rimane il problema: le nostre testimonianze, per quanto siano solo occasionali, sono sufficienti per numero e credibilità?

    Questo problema, per quanto riguarda quelle che sono comunemente chiamate apparizioni, è l’oggetto che discuteremo nel prossimo capitolo.

    Tuttavia, prima di farlo, possono essere opportune alcune considerazioni relative alle obiezioni più comuni.

    E’ generalmente dato per sicuro che, se una percezione può essere eliminata da un farmaco, essa sia irreale. Questo non è esatto. Una percezione attuale, per quanto ne sappiamo, può dipendere da un peculiare stato del sistema nervoso ed essere possibile solo in tale stato, che può venire cambiato o modificato dalle droghe. I nostri sensi sono spesso così influenzati per qualche tempo: a esempio il senso della vista dalla belladonna. Ho trovato in Inghilterra molte signore, tutte delle più rispettabili classi sociali, che hanno avuto, in maggiore o minore misura, la percezione di apparizioni, sebbene non abbiamo parlato di questa facoltà, o di questa illusione (il lettore scelga il termine che crede) oltre la cerchia delle loro più strette amicizie. Una di queste signore, nel cui caso la percezione risaliva alla sua prima infanzia, mi disse che essa dipendeva da un’indisposizione o anche da un freddo intenso.

    In questo caso, ogni medicina che eliminasse il disagio reintegrava la percezione.

    Alcuni scrittori hanno cercato di mostrare che l’allucinazione è epidemica come la peste o il vaiolo. Questo, se anche è vero, lo è in una misura così trascurabile e in circostanze così peculiari che può essere considerato una rara eccezione alla regola generale (16). De Gasparin cerca di provare il contrario (17) ricordandoci che in Egitto, al tempo di Giustiniano, si diceva che tutti avessero visto uomini neri senza testa che navigavano su navi di ottone; che, durante un’epidemia che spopolò Costantinopoli, gli abitanti videro dei demoni nelle strade passar di casa in casa portando la morte lungo il loro passaggio; che Tucidide parla di una generale invasione di spettri che accompagnò la grande peste di Atene; che Plinio riferisce come, durante la guerra dei Romani contro i Cimbri, si udirono strepiti di armi e suoni di trombe che sembravano provenire dal cielo; che, secondo Pausania, lungo tempo dopo la battaglia di Maratona, furono uditi ogni notte, sul luogo della pugna, nitriti di cavalli e strepiti di armi; che durante la battaglia di Platea il cielo risuonò di urla paurose attribuite dagli Ateniesi al dio Pan; e così via.

    Alcune di queste apparenze furono evidentemente illusioni, non allucinazioni; e, quanto al resto, de Gasparin e uno scrittore troppo sensibile per non ammettere che «molti di questi aneddoti sono falsi e molti sono esagerati» (18). Quanto a me non sarebbe meno facile convincermi, sulla base di una remota leggenda, che queste meravigliose visioni e suoni ebbero una realtà, che neanche un gran numero di uomini concorse nella convinzione di vederli e udirli. Gli stessi particolari che accompagnano molte relazioni negano l’ipotesi che dovrebbero provare. Nella relazione di Pausania, per esempio, relativa ai rumori notturni sul campo di battaglia di Maratona, leggiamo che coloro che eran richiamati sul luogo dalla curiosità non li udivano: solo per il viaggiatore casuale che attraversava il luogo infestato senza premeditazione risuonavano i nitriti dei cavalli e il fragore delle armi.

    Sembra che l’immaginazione e l’aspettativa non avessero nulla a che fare con il fenomeno. Possiamo credere che sia stata una perversione del senso dell’udito? Se lo facciamo ammettiamo che l’allucinazione possa essere endemica al pari che epidemica.

    Con questo non voglio negare che vi siano stati tempi e stagioni durante i quali i casi di allucinazione sono stati più frequenti del solito. Che quello che eccita con violenza la mente non reagisca spesso morbosamente sui sensi. Ma questo non dimostra la tesi che combatte. La reazione che seguì al fallimento della prima rivoluzione francese, insieme agli orrori del Terrore, agitò e depresse in tal modo le menti di molti che in Francia i suicidi divennero più frequenti che in ogni altro tempo. Tuttavia sarebbe una singolare dottrina affermare che il suicidio sia di carattere contagioso o epidemico (19).

    De Boismont ci ricorda che considerevoli riunioni di gente (des réunions considérables) sono state vittime delle stesse illusioni. «Un grido», dice, «è sufficiente ad atterrire una moltitudine. Un individuo che crede di vedere qualche cosa di soprannaturale spesso induce altri, non più illuminati di lui, a condividere la sua convinzione» (20). Per le illusioni, visive e uditive, questo è certamente vero, specialmente quando esse si presentano in momenti di eccitazione - come durante una battaglia o una pestilenza - o quando avvengono nelle ombre del crepuscolo o della notte. Ma che il contagio dell’esempio o le credenze di un individuo sotto l’attuale influenza

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