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Mein Leben - La mia vita: Edizione con note e illustrazioni
Mein Leben - La mia vita: Edizione con note e illustrazioni
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Mein Leben - La mia vita: Edizione con note e illustrazioni

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About this ebook

Il Mein Leben costituisce la parte "introduttiva" del più famoso e noto Mein Kampf.
Vi è descritta la vita di Adolf Hitler a partire dalla sua famiglia e infanzia, i drammi personali a cui è andato incontro e via via la sua crescita lavorativa e ideologica che lo hanno portato a concepire e sviluppare le sue teorie nazionalsocialiste.
Un libro corposo, che nella seconda parte diventa quasi teorico, che permetterà al lettore, grazie anche alle note e illustrazioni presenti nel testo, di approfondire le basi del pensiero e della politica del fondatore del Partito Nazionalsocialista.
LanguageItaliano
Release dateAug 25, 2016
ISBN9788893780148
Mein Leben - La mia vita: Edizione con note e illustrazioni

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    Mein Leben - La mia vita - Adolf Hitler

    Mein leben – La mia vita

    Edizione con note e illustrazioni

    Di Adolf Hitler

    Panda Edizioni

    Isbn 9788893780148

    ©2016 Panda Edizioni

    www.pandaedizioni.it

    info@pandaedizioni.it

    Per le note e le fotografie: Wikimedia Commons.

    PREFAZIONE DELL'AUTORE

    Il primo aprile 1924, io iniziai a scontare la pena di detenzione nella fortezza di Landsberg am Lech, secondo il verdetto della corte popolare di Monaco di quel tempo.

    Dopo anni di ininterrotto lavoro era ora possibile, per la prima volta, iniziare ciò che molti mi chiedevano e che io stesso sentivo potesse essere proficuo per il movimento.

    Così ho deciso di dedicare due volumi a una descrizione e non solo alle tendenze del nostro movimento, ma anche al suo sviluppo. C'è da imparare più da questo che da qualche saggio puramente dottrinario.

    Questo mi ha dato anche l'opportunità di descrivere il mio stesso sviluppo così remoto, e come tale descrizione è necessaria per comprendere il primo così bene come il secondo volume, e per distruggere le leggendarie falsificazioni che la stampa ebrea ha messo in circolazione su di me.

    In questo lavoro io non mi rivolgo agli estranei, ma a quei seguaci del movimento il cui cuore appartiene a esso, e che desiderano studiarlo più profondamente. Io so che quelle poche persone sono vinte meno dalle parole scritte che da quelle dette, e che tutti i grandi movimenti su questa terra devono la loro crescita a grandi oratori più che a grandi scrittori.

    Tuttavia, per produrre di nuovo parità e uniformità nella difesa di ogni dottrina, i principi fondamentali devono essere consegnati allo scritto. Possano questi due volumi perciò servire come pietra fondiaria coi quali io contribuisco al lavoro congiunto.

    NELLA CASA DEI MIEI GENITORI

    Fu una sventura, per me oggi, che il destino stabilisse essere Braunau sull'Inn il mio luogo di nascita. Poiché quella piccola città è situata giusto sulla linea di frontiera tra quei due Stati la cui riunione sembra, almeno a noi giovane generazione, uno sforzo a cui noi dovremmo consacrare le nostre vite e nel perseguimento del quale ogni possibile intenzione dovrà essere impiegata. Germania e Austria devono essere ricondotte alla grande Madrepatria tedesca. E non per motivi di calcolo economico. No, no. Addirittura l'unione è economicamente indifferente, ma anche se fosse svantaggiosa dal punto di vista economico, la si dovrebbe attuare comunque. La gente dello stesso sangue dovrà stare nello stesso Reich. La gente tedesca non avrà diritto di occuparsi nella politica coloniale fino a che non avrà condotto tutti i loro figli nell'unico Stato. Quando il territorio del Reich abbraccerà tutti i tedeschi e scoprirà se stesso incapace di garantire loro un sostentamento, solo allora potrà nascere il giusto impulso, a partire dal bisogno della gente di acquisire territori stranieri. L'aratro è dunque la spada; e le lacrime di guerra produrranno il pane quotidiano per le generazioni a venire.

    E così questa piccola città di frontiera mi appare come il simbolo di un grande compito. Ma in un altro senso, inoltre, indica una lezione che è applicabile ai nostri giorni. Oltre cento anni fa questo posto isolato fu la scena di una tragica calamità che commosse l'intera nazione tedesca, e che sarà ricordata per sempre, almeno negli annali della storia tedesca. Al tempo della profonda umiliazione della nostra patria un libraio, Johannes Palm¹, intransigente nazionalista e nemico della Francia, fu messo a morte perché ebbe la sfortuna di amare davvero la Germania. Si rifiutò ostinatamente di svelare il nome dei suoi associati, né piuttosto i capi che erano principalmente responsabili del libro. In questo modo fece la stessa fine di Leo Schlageter². Il primo, come il secondo, furono denunciati alla Francia da agenti governativi. Fu il capo della polizia degli Asburgo a macchiarsi del gesto ignobile in quell'occasione, e diede l'esempio che venne copiato poi dai neo-tedeschi dell'impero sotto il regime di Herr Savering.

    In questa piccola città sull'Inn, circondata dall'aureola dei martiri tedeschi, una città bavarese nel sangue ma sotto le regole dello Stato austriaco, i miei genitori si trasferirono verso la fine del secolo scorso (1800). Mio padre fu un impiegato statale che svolse i suoi compiti molto coscienziosamente. Mia madre badò alla famiglia e dedicò amorevolmente la sua vita alla cura dei figli. Di quel periodo non mantengo davvero molto nella mia memoria; perché dopo pochi anni mio padre lasciò quella città di frontiera, che io avevo incominciato ad amare tanto, e prese un nuovo posto lontano lungo la valle dell'Inn, a Passau, perciò realmente in Germania.

    In quei giorni era usuale il sorteggio di un impiegato statale austriaco che sarebbe poi stato trasferito periodicamente da un posto all'altro. Non molto tempo dopo l'arrivo a Passau egli fu trasferito a Linz, finché li si ritirò definitivamente a vivere la sua pensione. Ma questo non significò che il vecchio gentiluomo si ritrasse dal suo lavoro.

    Era figlio di un povero contadino, e sebbene ancora ragazzo lasciò la casa, quando a malapena tredicenne si allacciò la sua cartella e fissò lo sguardo oltre la nativa foresta municipale.

    Malgrado la dissuasione degli abitanti del villaggio che parlavano dall'esperienza, egli andò a Vienna per imparare il commercio. Questo avvenne nel quindicesimo anno del secolo scorso (1815). Fu una prova dolorosa, quella di lasciare casa e affrontare l'ignoto, con tre gulden (suppongo fosse la moneta corrente del tempo) nella tasca. Quando il bambino di tredici anni divenne un giovanotto di diciassette, e non superò l'esame di apprendistato come artigiano, non fu contento. Anzi completamente il contrario.

    La persistente depressione economica di quel periodo e la costante povertà e miseria rafforzarono la sua risoluzione nel desistere dal lavorare da un commerciante e sforzarsi per qualcosa di più alto. Sebbene da bambino gli era sembrato che la posizione del prete di parrocchia nel suo villaggio nativo fosse il più alto raggiungimento nella scala umana; ma ora, che nella grande città egli aveva allargato la sua visione, il giovane uomo riconosceva la dignità del funzionario statale come il più alto di tutto. Con la tenacità di uno che miseria e preoccupazione avevano già fatto vecchio, quando era solo a metà strada attraverso la sua giovinezza, il giovane uomo di diciassette anni ostinatamente partì col suo progetto e si impegnò finché non ebbe vinto completamente. Divenne impiegato statale. Era ventitreenne, io credo, quando fece di se stesso ciò che aveva deciso di diventare. Così fu capace di adempiere alla promessa che aveva fatto, sebbene fosse un ragazzo povero: di non tornare al villaggio nativo finché non fosse diventato qualcuno.

    Lui aveva raggiunto il suo fine. Ma nel villaggio non c'era nessuno che avesse ricordo di lui da bambino, e il villaggio stesso era divenuto straniero per lui.

    Alla fine, quando era cinquantaseienne, abbandonò la sua carriera attiva; ma non riusciva a sopportare di essere inattivo per un solo giorno. Nei sobborghi della cittadina mercato di Lamach, nella parte alta dell'Austria ha comprato un podere che coltiva lui stesso. Quindi, alla fine di una carriera di duro lavoro, lui tornò indietro alla vita a cui suo padre l'aveva avviato.

    Era in questo periodo che io incominciavo ad avere un mio proprio ideale. Spendevo una buona quantità di tempo sgambettando in giro all'aperto, sulla lunga strada da scuola, mischiandomi con un po' di quella rudezza dei ragazzi, che causava a mia madre molti momenti d'ansia. Tutto questo prendersi cura di me mi produsse qualcosa di inverso rispetto allo stare a casa. Io davo appena qualche serio pensiero allo scegliere una vocazione nella vita; ma ero abbastanza privo di simpatia verso il tipo di carriera che mio padre aveva seguito. Pensavo che un innato talento per l'oratoria iniziava a svilupparsi e a prendere forma in me durante i più o meno energici diverbi che avevo avuto con i miei compagni. Io ero divenuto un giovane capobanda che imparava bene e facilmente a scuola, ma piuttosto difficile da maneggiare. Nel tempo libero praticavo canto nel coro del monastero a Lambach; e quindi accadeva che io fossi piazzato nella posizione favorevole per essere spesso emotivamente impressionato dal magnifico splendore delle cerimonie ecclesiastiche. Cosa poteva esserci di più naturale per me che guardare all'abate come al rappresentante dei più alti ideali umani per cui valga lottare, proprio come l'umile posizione del prete di villaggio era apparsa a mio padre nella sua giovinezza? Almeno, questa era la mia idea a quel tempo. Ma le dispute giovanili che avevo avuto con mio padre non lo condussero ad apprezzare il dono oratoriale di suo figlio in tale strada, sebbene vedesse in loro una favorevole promessa per una simile carriera, così naturalmente non poteva capire le idee da ragazzo che avevo a quel tempo. Questa contraddizione nel mio carattere ha fatto provare a lui qualcosa di ansioso.

    Nonostante la sua importanza, quella transitoria brama cedette rapidamente alle speranze, e questo si adattava benissimo al mio temperamento. Scartabellando tra i libri di mio padre casualmente incrociai qualche pubblicazione che trattava di soggetti militari. Una di queste pubblicazioni era la popolare storia della guerra franco-prussiana del 1870-1871, che consisteva in due volumi di un periodico illustrato di quegli anni. Queste divennero le mie letture preferite. In breve tempo quel grande ed eroico conflitto iniziò a prendere il primo posto nei miei pensieri. E da quel momento in avanti io divenni sempre più entusiasta rispetto a tutto ciò che era connesso in qualche modo con gli affari militari o la guerra.

    Ma questa storia della guerra franco-prussiana aveva per me un significato speciale anche per altri motivi.

    Per la prima volta, sebbene ancora solo in un modo abbastanza vago, la questione incominciava a presentarsi: c'è differenza, e se c'è qual è, tra i tedeschi che hanno combattuto quella guerra e gli altri tedeschi? Perché pure l'Austria non ha preso parte in essa? Perché mio padre e tutti gli altri non hanno combattuto in quella battaglia? Non apparteniamo tutti all'insieme?

    Quella era la prima volta che questo problema incominciava ad agitare il mio piccolo cervello. Dalle risposte a tale questione, che mi ponevo molto sperimentalmente, ero forzato ad accettare il fatto, sebbene con una segreta invidia, che non tutti i tedeschi avevano la fortuna di appartenere all'impero di Bismarck. Questo era qualcosa che non potevo comprendere.

    Era deciso che io studiassi. Considerando l'integrità del mio carattere, e specialmente il mio temperamento, mio padre decise che quei soggetti classici studiati al liceo non fossero adatti al mio talento naturale. Lui pensò che la Realschule si adattasse meglio a me. Il mio ovvio talento per il disegno lo confermò in quella visione; per la sua opinione il disegno era un soggetto molto trascurato nei ginnasi austriaci.

    Probabilmente anche la memoria della dura strada che aveva percorso contribuì a fargli considerare gli studi classici così inattuabili, e quindi a dar loro poco valore. In fondo alla sua mente lui nutriva la speranza che anche suo figlio diventasse un funzionario governativo. Davvero lui aveva confidava in quella carriera per me. Le difficoltà attraverso cui aveva lottato lo condussero a sovrastimare ciò che aveva ottenuto, perché questo era esclusivamente il risultato della sua infaticabile operatività ed energia. Il caratteristico orgoglio dell'uomo fatto da sé lo spinse verso l'idea che suo figlio seguisse la stessa vocazione e, se possibile, che si elevasse a una ancor più alta posizione. Oltre a ciò, questa idea fu rafforzata dalla considerazione che i risultati dell'operosità della sua stessa vita lo avevano piazzato nella posizione di facilitare l'avanzamento di suo figlio nella carriera. Era semplicemente incapace di immaginare il mio rifiuto con forza di tutto ciò che aveva inteso. Un uomo di una simile natura che era diventato autocrate per la ragione della sua stessa dura lotta per l'esistenza, non riusciva a pensare di concedere a un inesperto e irresponsabile giovane individuo di scegliersi la propria strada. Agire in questo modo sarebbe stata una grave e riprovevole debolezza nell'esercizio della responsabilità e autorità paternale, qualcosa di assolutamente incompatibile con il suo caratteristico senso del dovere.

    Eppure sarebbe stato altrimenti.

    Per la prima volta in vita mia, io avevo allora undici anni, io mi sentivo rafforzato in un'aperta opposizione.

    Non importava quanto duro e determinato mio padre potesse essere nel dimostrare i propri piani e opinioni: suo figlio non era da meno nel rifiutare di accettare idee su cui poneva poco o nessun valore.

    Io non sarei diventato un funzionario pubblico.

    Nessuna persuasione né gravi ammonimenti riuscivano a spezzare quell'opposizione. Non sarei diventato un funzionario statale, no, per nessun motivo. Ogni tentativo che mio padre fece per destare in me amore o inclinazione per quella professione, per mezzo della descrizione della sua stessa carriera per me, ebbe solo l'effetto opposto. Mi nauseò il pensiero che un giorno potessi essere incatenato a uno sgabello d'ufficio, che non potessi disporre del mio stesso tempo, ma che fossi forzato a spendere l'intera mia vita nel riempire moduli.

    Uno può immaginare quali pensieri, una tale prospettiva, risvegliassero nella mente di un giovane individuo che non era certo ciò che chiamiamo un bravo bambino. Visti i ridicoli compiti di scuola che venivano dati da fare, era possibile per me spendere molto più tempo all'aria aperta che a casa. Oggi, quando i miei oppositori politici scrutano nella mia vita con un diligente scrutinio, così lontano nel passato ai tempi della mia giovinezza, così poiché abili a provare a quali malfamate abitudini questo Hitler era abituato all'interno dei suoi giovani giorni, io ringrazio il cielo che posso guardare indietro a quei giorni felici e trovare il ricordo della loro utilità. I campi e i boschi erano allora il terreno su cui ogni discussione era combattuta.

    Anche la frequenza alla Realschule non cambiò il mio modo di spendere il tempo. Ma avevo ora un'altra battaglia da combattere. Finché i piani paterni di farmi un funzionario statale contraddicevano la mia stessa inclinazione solo nell'astratto, il conflitto era facile da sostenere. Io riuscivo a essere discreto circa l'espressione delle mie personali vedute e quindi evitare costantemente le ricorrenti discussioni. La mia stessa risolutezza nel non diventare un funzionario governativo era sufficiente per il momento a mettermi al sicuro. Io rimasi fermo inesorabilmente su quella risolutezza. Ma la situazione divenne più difficile una volta che io ebbi un progetto positivo su di me, che io potei presentare a mio padre come una controproposta. Come accadde esattamente non posso dirlo ora; ma un giorno mi divenne chiaro che volessi essere un pittore, io intendevo un artista. Che io avessi un attitudine per il disegno era un fatto risaputo. Era anche una delle ragioni per cui mio padre mi aveva spedito alla Realschule; ma lui non pensava che io avessi sviluppato quel talento tanto da perseguire la pittura come carriera professionale. Completamente il contrario. Quando, come risultato del mio rinnovato rifiuto di adottare il suo piano favorito, mio padre mi chiese per la prima volta cosa veramente desiderassi essere, gli espressi quasi automaticamente la soluzione a cui ero ormai giunto. Per un momento mio padre rimase senza parole. Un pittore? Un'artista? esclamò.

    Egli si domandò se io fossi sano di mente. Lui pensò che poteva non aver afferrato correttamente le mie parole, o che aveva frainteso ciò che io intendessi. Ma quando gli ebbi spiegato le mie idee e vide quanto seriamente ne parlavo, si oppose a esse con tutta quella piena determinazione che era sua caratteristica. La sua decisione fu estremamente semplice e non poteva essere deviata quali che fossero le mie naturali inclinazioni.

    Artista! No finché vivrò, mai. Poiché il figlio aveva ereditato molta dell'ostinazione del padre, inoltre avendo altre qualità sue proprie, la mia risposta fu ugualmente energica. Ma si determinò qualcosa di completamente contrario.

    A quella nostra lotta stava bene uno stallo. Il padre non voleva abbandonare il suo mai, e io divenni sempre più consolidato nel mio tuttavia.

    Naturalmente la situazione risultante non era piacevole. Il vecchio gentiluomo era amaramente irritato; proprio come ero io, sebbene lo amassi veramente. Mio padre mi proibì di trattenere ogni speranza di intraprendere l'arte della pittura come una professione. Io feci un passo in avanti e dichiarai che non volevo studiare nient'altro. Con questa dichiarazione la situazione divenne ancora più tesa, cosicché il vecchio gentiluomo decise irrevocabilmente di affermare la sua autorità paternale a tutti i costi. Ciò mi condusse ad adottare un atteggiamento di silenzio circospetto, ma misi le mie minacce in esecuzione. Io pensai che, una volta che diventasse chiaro a mio padre che non stavo facendo progressi alla Realschule, bene o male sarebbe stato costretto a permettermi di seguire la felice carriera che avevo sognato.

    Io non so se calcolai correttamente o no. Certamente la mancanza di progresso divenne abbastanza visibile nella scuola. Io studiai solo le materie che mi interessavano, specialmente quelle che io pensavo potessero essermi di vantaggio più tardi come pittore. Ciò che non sembrava avere alcuna importanza, da questo punto di vista, o ciò che diversamente non mi interessava favorevolmente, io lo sabotavo completamente. Le mie pagelle scolastiche di quel periodo erano sempre tra gli estremi del buono e del cattivo, a seconda della materia e dell'interesse che aveva per me. In una colonna la mia qualifica era molto buona o eccellente. In un'altra era nella media o addirittura al di sotto della media. Di gran lunga le mie materie in cui andavo meglio erano geografia e storia generale. Queste erano le due materie preferite, e in esse io conducevo la classe.

    Quando io guardo indietro di così tanti anni e cerco di giudicare i risultati di quella esperienza, io trovo due fatti significativi risaltare chiaramente.

    Primo, io divenni nazionalista.

    Secondo, imparai a capire e a cogliere il vero significato della storia.

    La vecchia Austria era uno stato multietnico. I cittadini dell'impero tedesco, in fondo, non potevano comprendere cosa quel fatto significasse nella vita di tutti i giorni degli individui all'interno di un simile Stato. Dopo la magnifica marcia trionfante delle truppe vittoriose nella guerra franco-prussiana, i tedeschi nel Reich divennero sempre più separati dai tedeschi dalle loro frontiere, in parte perché non si degnarono di apprezzare quegli altri tedeschi dai loro veri valori o semplicemente perché erano incapaci di fare questo. I tedeschi del Reich non si rendono conto che se i tedeschi in Austria non fossero della miglior stirpe razziale non avrebbero mai impresso l'impronta del proprio carattere a un impero di 52 milioni di persone, così definitivamente che nella Germania stessa nasceva l'idea, sebbene erronea, che l'Austria fosse uno stato tedesco. Questo fu un errore che portava a spaventose conseguenze; ma allo stesso modo era una magnifica testimonianza del carattere di 10 milioni di Bujavari. Solo pochissimi tedeschi nel Reich hanno un'idea dell'amara battaglia che quei tedeschi dell'est (Bujavari) hanno sostenuto quotidianamente per la preservazione della loro lingua tedesca, della loro scuola tedesca, del loro carattere tedesco. Solo oggi che un tragico destino ha strappato via dal Reich diversi milioni di nostri fratelli e li ha costretti a vivere sotto le leggi degli stranieri, sognando quella comune patria verso cui tutte le loro bramosie sono dirette e lottando per sostenere almeno l'inviolabile diritto di usare la loro lingua madre, solo ora larghi cerchi di popolazione tedesca iniziano a rendersi conto di cosa significa avere un conflitto per le tradizioni di una razza. E così almeno, forse, ci sono persone qua e la che riescono a stimare la grandezza dello spirito tedesco che ha animato i vecchi Bujavari e rendono capaci quelle perone, lasciati interamente alla dipendenza delle proprie risorse, a difendere l'impero contro l'oriente per diversi secoli e successivamente a tenere ferma la frontiera della lingua Germanica attraverso una guerra di scaramucce logorante, in un momento in cui l'impero tedesco ha assiduamente coltivato un interesse per le colonie ma non per le proprie carni e sangue prima che la soglia della propria porta. Quanto è capitato sempre e ovunque, in ogni tipo di lotta, è accaduto anche nella lotta della lingua che viene portata avanti nella vecchia Austria. C'erano tre gruppi: i combattenti, gli imboscati e i traditori. Anche nelle scuole questa divisione iniziava a palesarsi. Ed è ovvio che la lotta per la lingua fosse ingaggiata nelle scuole forse nella sua forma più amara. Perché questo era il vivaio dove i semi venivano innaffiati, semi che una volta cresciuti avrebbero formato la futura generazione. L'obbiettivo tattico della lotta era vincere al di là del bambino, e andava al bambino su cui per primo si indirizzava il pianto congiunto: bambino tedesco, non dimenticare che sei tedesco e ricorda piccola ragazza che un giorno tu dovrai essere una madre tedesca.

    Quelli che sanno qualcosa dello spirito giovanile riescono a capire quanto i giovani prestino sempre lieto orecchio a un simile pianto. Sotto molti aspetti i giovani conducevano la lotta, combattendo con i loro modi e con le proprie armi. Rifiutandosi di cantare canzoni non tedesche. Il più grande degli sforzi compiuti per allontanarli dalla loro fedeltà alla Germania, elevarono la gloria dei loro eroi tedeschi. Si posero restrizioni nel comprare cose da mangiare, cosicché potessero risparmiare i loro centesimi per aiutare le casse di guerra dei loro vecchi. Loro erano incredibilmente reattivi di fronte al significato di ciò che dicevano gli insegnanti non tedeschi, e li contraddicevano all'unisono. Indossavano emblemi proibiti dei propri parenti, ed erano felici di essere penalizzati per averlo fatto. In miniatura loro erano gli specchi da cui le altre persone a imparare una lezione. Era questo il motivo per il quale a una relativamente tenera età io prendevo parte nella lotta che le diverse nazionalità ingaggiavano l'una contro l'altra nella vecchia Austria.

    Quando gli incontri vennero tenuti per la lega dei tedeschi del sud e la lega delle scuole noi indossavamo fiordalisi e colori nero-rosso-oro per esprimere la nostra lealtà. Noi salutammo l'uno e l'altro con Heil! e al posto dell'inno austriaco cantammo il nostro Deutschland Über Alles³, a dispetto di avvertimenti e punizioni.

    Così i giovani, educati politicamente al tempo del cosiddetto stato nazionale, conoscevano tutto della propria nazione eccetto la lingua. Di sicuro io non facevo parte degl'imboscati. In poco tempo io divenni un ardente nazionalista tedesco, che ha un significato diverso da quello che gli si dà oggi.

    Io aderii rapidamente al nazionalismo, e dall'età di 15 anni incominciai a capire la distinzione tra patriottismo dinastico e nazionalismo basato sul concetto di gente, o popolo, la mia inclinazione personale interamente in favore del secondo.

    Una simile preferenza forse non può essere chiaramente comprensibile da chi non si è mai preso la briga di studiare le condizioni interne che vigevano sotto la monarchia Asburgica.

    Tra i tanti studi storici il soggetto quasi esclusivamente insegnato nelle scuole austriache era la storia universale, e della storia austriaca c'era molto poco. Il destino di questo Stato è strettamente legato all'esistenza e allo sviluppo della Germania come unità; una divisione della storia tra quella tedesca e quella austriaca sarebbe in pratica inconcepibile. E davvero fu solo quando il popolo tedesco venne diviso tra due Stati che questa divisione dalla storia tedesca iniziò a verificarsi.

    L'insegna dell'ex sovranità imperiale, ancora preservata a Vienna, rimane solo come una magica reliquia piuttosto che come la visibile garanzia di un perpetuo vincolo di unione.

    Quando nel 1918 lo stato asburgico si sgretolò in pezzi, i germani austriaci alzarono la loro voce per unirsi con la loro patria tedesca. Quella era la voce di un'unanime brama nei cuori dell'intero popolo per un ritorno alla non-dimenticata casa dei loro padri. Ma una simile brama generale non può essere spiegata se non attribuendone la causa all'allenamento storico attraverso il quale i singoli germani austriaci sono passati.

    In ciò risiede una pianta che mai seccherà. Specialmente in tempi di distrazioni e dimenticanze, la sua voce tranquilla era una sollecitazione dal passato, un comando al popolo di guardare oltre il semplice benessere del momento verso un nuovo futuro.

    L'insegnamento della storia universale, in ciò che sono chiamate scuole medie, è ancora molto insoddisfacente.

    Alcuni professori realizzano che il fine dell'insegnamento della storia non è la memorizzazione di alcune date e fatti, dato che lo studente non è interessato nel sapere l'esatta data della battaglia o del compleanno di qualche generale o altri, e per niente, o in misura insignificante, interessato nel sapere quando la corona dei suoi padri fu piazzata sul sopracciglio di qualche monarca. Queste non sono certamente considerabili come questioni importanti.

    Per studiare la storia bisogna cercare di capire le forze che sono le cause di quegli eventi che compaiono davanti ai nostri occhi come eventi storici. L'arte della lettura e dello studio consistono nel ricordare l'essenziale e dimenticare ciò che non lo è.

    Probabilmente tutta la mia vita futura fu determinata dal fatto che avevo un professore di storia che comprese ciò che pochi altri capiscono: come far prevalere questo punto di vista nell'insegnamento e nell'esame. Questo insegnante era il Dr. Leopold Poetsch⁴, della Realschule di Linz. Lui era l'ideale personificazione di un insegnante di storia nel senso che ho sopra menzionato. Un gentiluomo attempato con modi decisi ma un cuore gentile, era un oratore carismatico, capace di ispirarci col suo stesso entusiasmo. Perfino oggi non posso richiamare senza emozione quella venerabile personalità la cui entusiastica esposizione della storia molto spesso ci faceva dimenticare completamente il presente, e ci permetteva di essere trasportati come per magia nel passato. Lui penetrava attraverso l'oscura foschia di migliaia di anni e trasformava la memoria storica del defunto passato in una realtà vivente. Quando lo ascoltavamo noi diventavamo ardenti dall'entusiasmo e fummo qualche volta mossi addirittura alle lacrime.

    Fu ancora più una fortuna che questo professore fosse capace non soltanto di illustrare il passato con esempi dal presente, ma dal passato era inoltre capace di trarre una lezione per il presente. Lui capiva meglio di molti altri i problemi di tutti i giorni che agitavano le nostre menti. Il fervore nazionale che sentivamo nel nostro piccolo era utilizzato da lui come uno strumento per la nostra educazione, dato che spesso faceva appello al nostro senso nazionale dell'onore; in quel modo manteneva l'ordine e otteneva la nostra attenzione molto più facilmente che con qualsiasi altro mezzo. Fu perché io ebbi un simile professore che la storia divenne la mia materia preferita. Come naturale conseguenza, ma senza la cosciente complicità del mio professore, io divenni un giovane ribelle. Ma chi può aver studiato la storia tedesca sotto un simile insegnante e non diventare un nemico di quello Stato i cui governanti esercitavano una tale disastrosa influenza sui destini delle nazioni tedesche? Infine, come si può restare fedele alla casa degli Asburgo, la cui storia passata e la presente condotta provano di essere pronti sempre e ovunque a tradire gli interessi del popolo tedesco per l'amore dei meschini interessi personali? Potevamo come giovanotti realizzare pienamente che la casa degli Asburgo non aveva, e non poteva avere, alcun amore per noi tedeschi? Quello che la storia ci insegnava della politica seguita dalla casa degli Asburgo era rafforzata dalle nostre stesse esperienze quotidiane. A nord e a sud il veleno delle razze straniere stava corrodendo l'interno del corpo del nostro popolo, e Vienna diventava con passo deciso sempre più una città non tedesca. La casa imperiale favoriva i Cechi (abitanti della Cecoslovacchia) in ogni occasione possibile. In verità fu la mano della dea dell'eterna giustizia e dell'inesorabile castigo la causa della morte del peggior nemico del germanismo in Austria, l'arciduca Francesco Ferdinando, e a seguire le molte pallottole che lui stesso avevo aiutato a sparare. Lavorando dall'alto verso il basso, lui era il più importante patrono del movimento per fare dell'Austria uno stato Slavo.

    I carichi portati sulle spalle del popolo tedesco erano enormi, e i sacrifici di soldi e sangue che loro avevano preteso erano incredibilmente pesanti.

    Tuttavia chiunque non fosse completamente ceco avrebbe visto che tutto era inutile. Ciò che ci pesava molto amaramente era la consapevolezza che questo intero sistema era protetto dall'alleanza con la Germania, per cui la lenta estirpazione del germanismo nella vecchia monarchia austriaca sembrava in qualche modo più o meno approvata dalla stessa Germania. L'ipocrisia asburgica, che tentava in apparenza di far credere al popolo che tuttavia l'Austria restasse uno stato germanico, aumentava il sentimento di odio contro la casa imperiale e allo stesso tempo destava uno spirito di ribellione e di disprezzo.

    Ma nell'impero Germanico stesso, quelli che erano i suoi governatori non vedevano nulla di ciò che tutto questo significava. Come cechi stavano accanto a cadaveri, e nei veri e propri sintomi di decomposizione credevano di riconoscere i segni di una rinnovata vitalità. In quella infelice alleanza tra il giovane impero tedesco e l'illusorio stato austriaco si annidava il germe della prima guerra mondiale e anche del collasso finale.

    Nelle successive pagine di questo libro io andrò alla radice del problema. È sufficiente dire qui che nei primi anni della mia giovinezza io arrivai a certe conclusioni che non ho mai abbandonato. In verità io divenni più profondamente convinto col passare degli anni. Le convinzioni erano: che lo scioglimento dell'impero austriaco fosse la condizione preliminare per la difesa della Germania; inoltre che il sentimento nazionale non avesse un significato identico del patriottismo dinastico; infine, e soprattutto, che la casa degli Asburgo fosse destinata a portare sfortuna alla nazione tedesca.

    Come logica conseguenza di queste convinzioni, nacque in me un sentimento di profondo amore per la mia casa austro- tedesca e un profondo odio per lo Stato austriaco. Quel tipo di parere storico che si sviluppò in me, attraverso i miei studi di storia a scuola, non mi lasciò mai. La storia del mondo divenne sempre più un'inesauribile sorgente per comprendere gli eventi storici contemporanei, il che significava politica. Da allora io non imparo la politica ma lascio che la politica mi insegni.

    Divenni un precoce rivoluzionario politico e, non meno precoce, rivoluzionario nell'arte. All'epoca la capitale provinciale dell'alta Austria aveva un piccolo teatro che, parlando relativamente, non era male. Vi si inscenava quasi ogni cosa. Quando avevo dodici anni vidi rappresentato il Guglielmo Tell. Era la mia prima esperienza di teatro. Qualche mese dopo attendevo la rappresentazione di Lohengrin, la prima opera che ebbi ascoltato. Fui affascinato subito. Il mio entusiasmo giovanile per il maestro di Bayreuth⁵ non conosceva limiti. Ancora e ancora ero attratto dall'ascoltare le sue opere; e oggi io considero una gran fortuna che quelle modeste esecuzioni nelle piccole città provinciali prepararono la strada e fecero il possibile per farmi apprezzare le migliori produzioni future.

    Tutto questo aiutò a intensificare la mia profonda avversione per la carriera che mio padre aveva scelto per me; e quest'avversione divenne particolarmente forte quando si smussarono gli aspri angoli dell'acerbità giovanile, un processo che nel mio caso causò molto dolore. Divenni sempre più convinto che non sarei mai stato felice come impiegato statale. E ora che la Realschule aveva riconosciuto la mia attitudine per la pittura, la mia risoluzione divenne assoluta. Imprecazioni e minacce non avevano alcuna possibilità di cambiarla. Io volevo diventare un pittore, e nessuna forza al mondo poteva forzarmi a diventare un ufficiale statale. La sola cosa peculiare di allora era che con la crescita diventavo sempre più interessato all'architettura. Consideravo questo come il naturale sviluppo del mio talento per la pittura, e internamente mi rallegravo che la sfera dei miei interessi artistici si allargasse. Non avevo idea che un giorno sarebbe stato altrimenti.

    La questione della mia carriera fu decisa molto prima di quanto avessi immaginato.

    Quando avevo tredici anni mio padre ci venne improvvisamente preso. Era ancora in una salute robusta, quando un colpo apoplettico pose una fine indolore al suo errare terreno, e ci lasciò tutti profondamente addolorati. Il suo più ardente desiderio era di essere in grado di aiutare suo figlio ad avanzare nella carriera e, in questo modo, salvarmi dalla dura prova che lui stesso attraversò. Ma a lui sembrava, allora, come se quel desiderio fosse vano. E ancora, pensavo, lui stesso non ne era conscio, aveva seminato i semi di un futuro che a quel tempo nessuno avrebbe potuto prevedere.

    All'inizio, apparentemente, niente cambiò.

    Mia madre sentì come obbligo di continuare la mia educazione, in accordo con il desiderio di mio padre, e ciò significava che lei avrebbe voluto che io studiassi per il pubblico impiego. Da parte mia ero sempre più fermamente determinato di quanto non lo fossi stato prima, che per nessun motivo sarei diventato un impiegato statale. Il curriculum e il metodo d'insegnamento seguito alle scuole medie erano così lontani dai miei ideali che io divenni profondamente apatico. Una malattia improvvisamente venne in mio aiuto. Entro poche settimane decise il mio futuro e pose fine a un conflitto familiare di lunga data. I miei polmoni vennero così seriamente affetti che il dottore ammonì mia madre di non permettermi in nessun caso di perseguire una carriera in cui sarebbe necessario lavorare in un ufficio. Ordinò che rinunciassi alla frequenza della Realschule almeno per una anno. Ciò che avevo segretamente desiderato per così tanto tempo, e per cui avevo persistentemente lottato, ora diventava realtà quasi di colpo.

    Influenzata dalla mia malattia, mia madre accettò che lasciassi la Realschule per frequentare l'Accademia.

    Quelli furono giorni felici, al punto da apparirmi quasi come un sogno; ma furono anche costretti a rimanere solo un sogno. Due anni dopo, la morte di mia madre pose una fine brutale a tutti i miei progetti. Ella soccombette a una lunga e dolorosa malattia che se presa all'inizio avrebbe avuto una piccola speranza di recupero. Sebbene prevista, la sua morte arrivò come un terribile colpo per me. Io rispettavo mio padre, ma amavo mia madre.

    La povertà e la spietata realtà mi forzarono a decidere prontamente.

    Le magre risorse di famiglia furono quasi interamente usate per la malattia di mia madre. L'assegno che ricevevo come orfano non era sufficiente per le strette necessità della vita. In un modo o nell'altro avrei dovuto guadagnarmi il pane.

    Con i miei vestiti e la biancheria impacchettati in una valigia e con un'indomabile risoluzione nel cuore, partii per Vienna. Speravo di prevenire il fato, come mio padre aveva fatto cinquant'anni prima. Ero determinato a diventare qualcuno, ma certamente non un impiegato statale.

    ANNI DI STUDIO E DI DOLORE A VIENNA

    Quando mia madre morì, il destino aveva in certo senso già presa la sua decisione.

    Già durante gli ultimi mesi della sua malattia, io ero andato a Vienna a sostenervi gli esami d'ammissione in quell'Accademia. Armato di un grosso rotolo da disegno, mi ero accinto al gran viaggio, convinto di poter sostenere facilmente tale esame, quasi giocando.

    Alla scuola tecnica io ero di gran lunga il miglior disegnatore della mia classe, e da allora la mia abilità si era enormemente perfezionata, talché ne andavo orgoglioso, e speravo nel meglio.

    Una sola ombra si inserì in quel quadro: il mio talento pittorico sembrava sorpassato da quello per il disegno, specialmente per ciò che riguardava l'architettura. In compenso, il mio interesse per l'architettura ne riusciva aumentato; e anche stimolato, da quando avevo potuto, e non avevo ancora sedici anni, recarmi per la prima volta a Vienna per due settimane. Vi ero andato per visitare la Galleria di quadri del museo di Corte, ma la mia attenzione si era rivolta quasi esclusivamente al museo stesso. Dalla mattina presto fino a notte io correvo da un museo

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