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Altrove
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Altrove

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About this ebook

Matty è una scrittrice, lascia Milano all'improvviso e torna a casa a Whitby nel Yorkshire dalla sorella Emily, che gestisce la libreria della mamma, morta pochi anni prima. Per Matty il ritorno è la cura per riprendere a respirare e a scrivere, la medicina sono i libri che la sorella ha catalogato in base alle emozioni sue e della mamma. La quiete della libreria è rotta dall'arrivo di Edwin, un ragazzo londinese, archivista, che sta cercando libri sulla storia del York Retreat, un antico ospedale per malati di mente, fondato dalla comunità di Quaccheri nel Settecento. Edwin ha con sé il diario di un medico che nella seconda metà dell'Ottocento aveva trattato il caso di una donna ricoverata nel Retreat: Miss M. Chi è Miss M? Perché è finita in ospedale? È davvero malata? Per il direttore del Retreat, il Dottor John Foreman, tutti dovrebbero avere un posto in cui stare, un Altrove, mentre Miss M non ce l'ha. Le storie di Matty e di Miss M sembrano appartenere a mondi lontani e separati, tuttavia, dopo ogni capitolo i destini delle due donne si avvicinano e infine si fondono insieme.
LanguageItaliano
Release dateAug 28, 2016
ISBN9788898414963
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    Altrove - Marino Bottini

    mare.

    Capitolo 1

    Si era lavata, vestita e truccata. Entrò nel bagno con un solo motivo, prese l’iPhone, si guardò allo specchio, dischiuse un poco le labbra, chinò dolcemente il collo verso destra e scattò una foto. Voleva lasciare un ricordo della sua partenza, questo contava e bisognava farlo come in una cerimonia, vestita di tutto punto. Le labbra erano avvolte dal più bel rosso che si potesse immaginare. Negli occhi chiari coglievi che stava salutando qualcuno in particolare. Per non tornare più.

    Guardò attorno come se volesse controllare che tutto fosse in ordine, ritornò in soggiorno, sul tappeto erano già pronti il trolley e una borsa, prese il primo con la mano destra e infilò l’altra sulla spalla sinistra, aprì la porta di casa, guardò indietro, fu solo un attimo, il tempo di un pensiero soltanto, poi la chiuse e chiamò l’ascensore.

    Dal taxi vedeva la città volare via e Milano non era facile da lasciare alle spalle. Pioveva. Pioggia finissima e pesante, le luci si accendevano e non erano ancora le cinque del pomeriggio. C’era silenzio nelle strade, dentro l’abitacolo il mondo dormiva. Stranamente non aveva pensieri. Le parole stavano mute e non c’erano immagini nella testa, una linea diritta, tracciata a mano su un foglio, non avresti mai capito quale fosse l’inizio e quale la fine. Come la strada che portava a Malpensa, lucida e bagnata, buona per una sera, l’ultima da passare in Italia.

    Non sento niente. Non sento più niente. Non voglio sentire più niente.

    Sul treno che da Londra l’avrebbe condotta prima a Stockport poi a York e infine a Whitby passando da Scarborough cercò sul cellulare la fotografia e la caricò sul suo profilo di facebook. Adesso era lì, tutti l’avrebbero potuta vedere e avrebbero pensato che ti stesse fissando, senza sapere che quello era uno specchio e che Matty stava guardando solo se stessa. Era un messaggio chiarissimo, da quel momento c’era solo lei, che stava mandando a fare in culo il mondo un solo attimo prima di sparire.

    Scese dal treno e uscì dalla stazione, una pioggia fine e intensa lentamente scivolava sulla pelle e impregnava i vestiti. Indossò l’impermeabile e il cappello, trascinando la valigia si trovò ad alzare lo sguardo in alto, quella era Whitby, la sua città. Attraversò la strada e si sedette sulla panchina di legno sotto la pensilina della fermata degli autobus, prese il cellulare e chiamò.

    - Ciao Emy.

    - Matty?

    - Sono appena arrivata.

    - Perché non hai chiamato prima? Sarei già lì.

    - Non importa, ti aspetto fuori dalla stazione.

    - Il tempo di arrivare.

    - Emy.

    - Sì?

    - Niente.

    - …

    - …

    - Un attimo e sono lì.

    - Non scappo. Non scappo più.

    L’auto si fermò davanti alla panchina, Emily abbassò il finestrino, le fece un cenno con la mano. Le scappò un sorriso, era contenta che Matty fosse tornata. Non se lo sarebbe mai aspettato, quando sei sola non ti aspetti più niente, sua sorella non sarebbe stata di conforto, ma almeno adesso era lì.

    - Che fai? Non sali?

    Che fai? Non Sali? Erano tre anni che Matty non si faceva viva, Emily la cercava per i compleanni e per le feste, soltanto per gli auguri s’intende, perché Matty non amava parlare di sé. Ti chiamo perché ho un’infinità di cose da dirti e finisco per parlare da sola, le copertine dei tuoi libri sono occhi muti che mi scrutano e mi verrebbe la voglia di coprirle e toglierle dalle novità. A volte chiamo solo per sentire la tua voce e rassicurarmi nelle notti in cui mi prendono paure nuove, impensabili, che mi sveglio e ti cerco, che potrei morire ora e non lo sapresti nemmeno.

    Chiedimi almeno come sto?

    - La valigia… la metto dietro?

    - Vuoi una mano?

    - Faccio da sola.

    Faccio da sola. Matty aveva cinque anni in meno di Emily, il tempo le aveva tracciato sul volto la sintesi perfetta dei genitori, le parti più severe, quelle dei momenti più duri, in cui avresti chiesto un poco di conforto e invece ti trovavi davanti quegli occhi e quelle labbra. Il fatto è che insieme, le labbra superiori leggermente rivolte verso il basso e gli occhi, tra il grigio e l’azzurro, erano perfetti, c’era nel volto di Matty la sorpresa sempre nuova di fronte al mondo reale e al tempo stesso la rabbia sopita per quello che il mondo le aveva dato e non si fidava più. Tuttavia Matty era bellissima, forse proprio a causa di queste labbra e di questi occhi. Se la vedevi la prima volta potevi non accorgerti, perché Matty era un animale irrequieto e riservato, poi i suoi occhi ti catturavano e allora la guardavi e pensavi, Matty è bellissima. Faccio da sola, ho sempre fatto da sola. Non c’è condizione più sicura di questa. Controllo le situazioni, le emozioni, le tengo sopite, drogate, perché di loro non mi fido, sono carogne, vigliacche, ti prendono alle spalle e ti fregano. Quando mi scappano è quello il momento peggiore. Questo è un momento peggiore.

    Chiedimi almeno come sto?

    Emily seguiva la strada al ritmo dei tergicristalli, gli occhi si nascondevano cercando Matty, immobile di fianco.

    - Che pensi di fare?

    - Non lo so.

    - Stai scrivendo?

    - No.

    - Pensi di iniziare a scrivere?

    - Non lo so.

    - Perché?

    - NON LO SO!

    - …

    - La libreria?

    - Come l’ha lasciata la mamma. Tiro avanti.

    - …

    - …

    - …penso di stare con te in libreria.

    - In libreria? Tu?

    - Non ho più voglia di scriverli. I libri.

    Perché non mi parli? Le vedo scavato sul viso il dolore, in qualche modo un segno di resa, di abbandono. E adesso mi dice che vuole lavorare in libreria. Lei. Quando la mamma ci faceva scendere per darle una mano, si rannicchiava tra gli scaffali e spariva. Non mi piace vendere i libri. Ne prendeva uno dal tavolo e ricompariva dopo due o tre ore, a volte avevamo già chiuso e Matty era da qualche parte nascosta a leggere. Li restituiva tutti sgualciti che dovevo metterli tra quelli usati a metà prezzo. Dall’usato capivi i gusti di Matty, come stava. La mamma lo chiamava il Cesto di Matty e anche i clienti più affezionati sapevano che lì dentro c’erano i giorni allegri e tristi di mia sorella. Prima che cominciasse a scrivere i suoi racconti.

    Perché non mi chiedi niente? Si legge in faccia come sto. Sono arrivata sola, senza avvertire. Non mi chiede neppure dove sia finito. Lui. Non ho programmato niente. Qui almeno non prenderei la decisione sbagliata. Qui non si prendono mai decisioni. Non so quale sia la decisione sbagliata. E poi perché le ho detto che voglio lavorare nella libreria?

    Capitolo 2

    Dal diario dell’ispettore Albert Conniston

    York, 17 luglio 18.., ore 9 p.m.

    Il Dr Right abita in un cottage tra Pickering e il nulla. Il nulla è l’altopiano delle Moors. Lui ci ha trovato casa. Per arrivarci abbiamo percorso la carrozzabile verso Newton-on-Rawcliffe e poi avremmo dovuto noleggiare dei cavalli se solo ce ne fosse stato uno nei dintorni. Non ci restava che andarci a piedi attraversando acri di brughiera. Per fortuna era una giornata che invitava a passeggiare, il cielo era terso, l’aria fresca e leggera. Con Eddy abbiamo cercato di capire che cosa fosse accaduto a Miss M, ma è stato come scavare un buco nell’acqua. Il Dr Right non ci ha dato alcuna utile informazione e quando gli abbiamo chiesto di spiegarci perché la donna non fosse all’ospedale ma vivesse da settimane in quella casa ha fornito una risposta strana. Se non fossi un medico anch’io, penserei che volesse in qualche modo fornire un indizio che ci aiutasse a capire la personalità della paziente. Era turbato o assente, ho colto negli occhi una sorta di smarrimento, ma non era a causa della nostra visita. I suoi occhi erano… in viaggio.

    Dal rapporto dell’ispettore Albert Conniston

    York, 17 luglio 18.., ore 9.30 p.m.

    La scomparsa della paziente Miss M dal York Retreat è stata accertata solo il quindici giugno, nonostante la stessa paziente si fosse trasferita presso l’abitazione del Dr Right, medico psichiatra, da oltre un mese (non sappiamo ancora se per sua volontà o su pressione dello stesso Dr Right). Con l’agente Edward Byrne mi sono recato presso il cottage in cui abita il Dr Right, nel villaggio di Stape. In tale circostanza il Dr Right, da me interrogato, ha fornito le seguenti informazioni:

    1. la paziente abitava nel cottage da oltre due mesi (alla domanda se ricordasse la data precisa rispondeva : Non ricordo. Alla domanda se poteva essere che si fosse trasferita dall’ospedale tra la fine di aprile e i primi giorni di maggio, rispondeva: Può essere).

    2. la paziente è scomparsa dal cottage il quindici luglio (alla domanda se avesse lasciato qualche messaggio, il Dr Right rispondeva: Nessun messaggio).

    3. non è noto il motivo che avrebbe portato Miss M a lasciare il York Retreat senza alcuna autorizzazione e senza che la famiglia fosse informata (alla domanda, il Dr Right dava un’insolita e non chiara risposta riguardante il mare).

    Dal diario del Dr Robert Right

    Stape, 17 luglio 18.., ore 12

    - Tutto bene?

    - Sì… bene…

    - Bene.

    -

    -

    - È che…

    - Che?

    - …lei mi imbarazza un po’.

    Tutto è cominciato così. Raccontarlo ora, sapendo che Miss M potrebbe essere ovunque, se l’ovunque fosse un posto sicuro almeno, raccontarlo ora a me, solo a me, in questa sera di luce che non si spegne, mi aiuta, ho bisogno di muovere piano i pensieri, di masticarli e sputarli e vederne la forma sulla superficie scura di queste rocce intrappolate nell’erica.

    Arrivai a York il… No, non è questo l’inizio. L’inizio è la mia vita che si muoveva serena, senza problemi, qualcuno potrebbe definirla banale probabilmente ordinaria, non sapevo quanto potessero fare male le emozioni. Nell’Asylum di Hanwell trascorrevo le giornate, la mia famiglia stava a Broadway, un villaggio dei Cotswolds nel Worcestershire, dove sono nato. Non avendo esigenze particolari mi ero sistemato in un piccolo appartamento a due miglia dall’ospedale. Non eravamo proprio all’avanguardia, ma all’Asylum i pazienti avevano almeno dignità. Ecco, la parola giusta è dignità. Non sapevamo curarli, anzi ero fermamente convinto che nessuno li avrebbe mai curati, per la semplice ragione che non c’era una ragione per farlo. E allora cercavamo di trattarli, non saprei dire diversamente, con dignità, ecco la parola giusta è dignità. Avevo tenuto alcuni interventi nei congressi a Coventry, Bristol, Oxford e Derby, spesso i colleghi delle contee meridionali mi ascoltavano con un’aria divertita, nei loro occhi coglievo che mai avrebbero compreso quale fosse la mia opinione sulla mente umana. Mi sto perdendo. Non riesco neppure a raccogliere i fatti. La lettera. Quella è l’inizio.

    Fu recapitata nel mio appartamento a Hampstead.

    Dalla lettera del direttore del York Retreat al Dr Robert Right

    Caro collega,

    ho potuto apprezzare il tuo intervento a Coventry e non nascondo che sono rimasto colpito, non tanto dalla descrizione dei metodi che praticate all’Asylum di Hanwell, quanto dal dubbio che manifestavi così chiaramente sull’uso di qualsiasi metodo per curare le malattie della mente. Di questo avremo certamente modo e tempo di confrontarci. Ora vengo al punto, da alcuni mesi è ospite da noi una donna, Miss M, non ha ancora trent’anni, viene da una famiglia di facoltosi e intraprendenti commercianti. Le loro navi fanno la spola tra l’Inghilterra e le Americhe, cariche di casse di tè e spezie. Il padre appartiene a una delle famiglie che hanno fondato il York Retreat. Come saprai in questa contea è forte la presenza di una comunità di quaccheri. Lui è l’esponente tra i più noti e mai avrebbe acconsentito a ricoverare sua figlia in un altro ospedale, tuttavia non avrebbe potuto neppure riprenderla, dopo quello che era accaduto, capirai. Non pensare che voglia avvalermi della tua opera per una raccomandata. Il punto, se vogliamo chiamarlo così, è che il disagio di Miss M non appartiene alle categorie conosciute della sofferenza mentale, è di altra natura. A me piace chiamarlo semplicemente Il disagio di M. Il resto lo saprai se accetterai l’incarico. Ovviamente la famiglia non pone limiti al tuo onorario.

    Con stima.

    John Foreman

    Dal diario del dottor Robert Right

    York, 10 febbraio 18.., ore 11.00 p.m.

    Fa freddo, la pioggia è sottile e intensa, nuvole basse coprono il parco, dalla finestra della camera intravedo solo qualche lampione acceso nel cortile. È un luogo silenzioso. È stranamente un luogo muto, negli ospedali non c’è mai silenzio. Eppure, questa notte sembra fatta ancora per il sonno.

    Non per me, il lungo viaggio, questa sistemazione precaria, le magre parole del custode non danno la serenità per lasciarmi andare e dormire. Domani incontrerò il direttore, abbiamo già chiarito tutti i dettagli dell’incarico, ma essere qui, ora, è diverso.

    Sono arrivato al York Retreat nel pomeriggio, pensavo di fermarmi a dormire in una locanda, ma quando sono sceso dal treno ho deciso di venire direttamente, avrei preso possesso dell’alloggio e mi sarei ambientato dentro le mura di questo inusuale ospedale. Alle cinque ero davanti al portone principale, non c’era nessuno ad aspettarmi, non ero atteso. Il viaggio da Londra è durato oltre sette ore, non avevo con me molti bagagli, qualche abito pesante, i libri e soprattutto i quaderni con gli studi compiuti nell’Asylum di Hanwell.

    Dal registro del York Retreat

    York, 10 febbraio 18.., ore 7 p.m.

    Il Dr Robert Right si è presentato nel tardo pomeriggio.

    Dal diario del custode del York Retreat

    York, 10 febbraio 18.., ore 11 p.m.

    Il suo arrivo era previsto per domani mattina. Si è giustificato con queste parole: Ho preferito venire direttamente, non vorrei averle procurato un disturbo. Gli ho risposto che il direttore non ci sarebbe stato fino al giorno successivo e che la cucina era chiusa, ma gli avrei portato qualcosa in camera.

    Mi ha ringraziato e poi l’ho accompagnato nel suo alloggio.

    È un uomo di circa quarant’anni, non molto alto,

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