Testa d'Uovo
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About this ebook
Lincoln sta affrontando il mondo per la prima volta dopo essere stato educato e cresciuto per tutta la vita dalla Georges Organization, una corporazione che crea artisti. Lincoln è un pittore, ma il suo senso dominante è l’olfatto e questo è un grosso problema perché solo chi ha un’ottima vista può diventare un grande pittore.
Poco considerato dalla sua stessa corporazione, Lincoln si ritrova sbattuto a vivere in periferia, in un edificio fatiscente popolato da operai della vicina acciaieria. Lì incontra Lucy, una ragazza stramba e sempre sporca, che vive passando da un compagno all’altro. Sarà proprio nel degrado e nella puzza di Lucy, per lui intollerabili, che Lincoln potrà trovare la propria originalità come artista e l’amore.
Lucy, divenuta la musa di Lincoln, lo trascina alla scoperta della verità dietro il misterioso Testa d’Uovo che vive nell’appartamento accanto. Chi è quel tizio con un gigantesco cervello, tanto grande da non poter mai uscire di casa?
[Romanzo breve di Bizarro Fiction, collana Vaporteppa, 23.000 parole, circa 76 pagine, con in aggiunta un saggio di "Introduzione alla Bizarro Fiction" di 3800 parole a cura di Chiara Gamberetta]
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Book preview
Testa d'Uovo - Carlton Mellick III
Carlton Mellick III
TESTA
D’UOVO
Traduzione di Melissa Camotti
&
Postfazione di Chiara Gamberetta
Testa d’Uovo
Carlton Mellick III
Traduzione: Melissa Camotti
Grafica del biglietto: Laura Bagliani
Illustrazione di copertina: Manuel Preitano
Postfazione a cura di: Chiara Gamberetta
ISBN 978-88-9337-060-8
Copyright © 2016 Antonio Tombolini editore
Via Villa Costantina, 61
60025 Loreto (Ancona), Italia
Titolo originale: The Egg Man
Copyright © 2008, 2013 by Carlton Mellick III
http://carltonmellick.com
Tutti i diritti riservati.
Collana ideata e curata da
Marco Carrara - il Duca di Baionette
Vaporteppa n. 23
www.vaporteppa.it
vaporteppa@simplicissimus.it
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Indice dei contenuti
Colophon
Nota dell’Autore
Capitolo Uno
Capitolo Due
Capitolo Tre
Capitolo Quattro
Capitolo Cinque
Capitolo Sei
Capitolo Sette
Capitolo Otto
Capitolo Nove
Capitolo Dieci
Capitolo Undici
Capitolo Dodici
Epilogo
Introduzione alla Bizarro Fiction
Note dell’Editore
Grazie da Vaporteppa
Sei un Autore?
NOTA DELL’AUTORE
Fin da quando avevo 12 anni ho sempre voluto scrivere un libro e chiamarlo The Egg Man [il titolo originale del romanzo – Nota dell’Editore]. Quando dicevo a qualcuno che volevo scrivere un libro e chiamarlo così mi dicevano «Ah, come la canzone dei Beatles?» e io «Cosa?» e loro «I am the Egg Man, I am the walrus» e io «Ma cos’è?». Ogni volta che penso all’Egg Man, non penso a quella canzone. L’Egg Man per me è come l’uomo nero. Quando eravamo bambini, io e mia sorella avevamo questi incubi ricorrenti in cui c’era un uomo nero che chiamavamo Egg Man. Era una creatura che somigliava a una bambola bianca con la testa a forma d’uovo, senza bocca, gli occhietti piccoli e neri e gli arti affusolati. Alla Testa d’Uovo piaceva entrare di soppiatto nelle camerette dei bambini, si nascondeva sotto i loro letti e li strangolava nel sonno.
Ho sempre voluto scrivere qualcosa riguardo quest’uomo nero della mia infanzia. Negli ultimi vent’anni ho pensato a tre libri diversi usando The Egg Man come titolo. Nessuno di quelli si rivelò abbastanza interessante da essere completato. Usai il titolo anche per scrivere la sceneggiatura di un sicario che assomigliava un po’ a Humpty Dumpty. Non ne ho mai cavato nulla.
Quando decisi di scrivere un libro su delle persone con dei cervelli giganti a forma d’uovo che non sapevo come chiamare, scelsi The Egg Man [Testa d’Uovo]. Non ha niente a che vedere con lo spauracchio per cui perdevo il sonno da piccolo, ma uno dei personaggi è una testa d’uovo.
Testa d’Uovo è una storia di fantascienza incentrata sul cosa accadrebbe se?
, come tutta la Bizarro Fiction. Sono molto legato a questo tipo di storie. Mi piace chiedermi: cosa accadrebbe se il mondo fosse fatto di carne? Cosa accadrebbe se ogni singola persona si suicidasse nello stesso momento? E se conservassimo le nostre anime in piccoli barattoli da portare sempre con noi? Una delle mie domande preferite è: cosa accadrebbe se la specie umana si fosse evoluta in maniera diversa?
E se fossimo tutti di un genere solo e ci riproducessimo in maniera asessuata? Se fossimo nati tutti con la capacità di leggerci nel pensiero? Se solo uno su cento nascesse col senso della vista? Se le donne dopo l’accoppiamento strappassero via a morsi la testa dell’uomo come fanno le mantidi? Questo è il genere di cose di cui mi piace scrivere. Mi piace pensare a come queste differenze influenzerebbero la società. Se potessimo leggerci nel pensiero come cambierebbero i nostri appuntamenti? Come cambierebbe il governo? Saremmo tutti costretti a essere onesti? Ci odieremmo tutti a vicenda? Nel mio Testa d’Uovo, mi faccio molte domande, la maggior parte incentrate sul modo di riprodursi e su come vengono allevati i bambini.
Spero che Testa d’Uovo vi possa piacere. Le tinte sono un po’ più fosche rispetto ai miei soliti libri, e forse un po’ più disturbanti (gli odori tendono a darmi fastidio in fretta), ma d’altro canto finora è uno dei libri più autobiografici che abbia mai scritto.
– Carlton Mellick III, 9/4/2008, 15:39
CAPITOLO UNO
La fetomosca non era ancora morta quando ci affondai la punta di ferro dello stivale. Quella cosa giaceva lì, mezza morta. Cercava di piangere ma le si erano seccate le corde vocali. Il sole le aveva scorticato la pelle e il colore degli occhi era ormai sbiadito. Il lato sinistro del corpo glielo stavano mangiando le formiche.
La fetomosca doveva trovarsi fuori dal grembo da diversi mesi, era delle dimensioni di un pallone da calcio. La maggior parte di loro non ci arriva nemmeno alle dimensioni di un pallone da calcio. Come la maggior parte dei giovani, questo non era fatto per sopravvivere. Non stavo badando a dove mettessi i piedi quando calpestai il piccolo addome da neonato, facendo schizzare interiora rosse e nere su tutto il marciapiede. Nemmeno l’averla schiacciata fu letale per la piccola creatura. Piangeva in silenzio, scuotendo la piccola testa pelata arsa dal sole, con le formiche che strisciavano dentro e fuori dai fori sul lato della faccia. Se non altro avevo accorciato la sua agonia di qualche ora. Forse sarebbe stato più gentile fracassarle il cranio e porre fine alle sue sofferenze, ma non volevo spargere tracce di melma fetale dappertutto nel nuovo appartamento.
***
Non sapevo molto dell’Henry Building. La Georges Organization mi aveva dato solo un indirizzo e un numero di appartamento: 312. Sarebbe stata casa mia per i successivi quattro anni, che mi piacesse oppure no. Certe volte la GO dava ai suoi laureati un buon posto dove stare per il loro praticantato post-laurea. Più spesso, specie con gli studenti di minor prospettiva, un neo-laureato si beccava la più economica (e perciò in assoluto la più merdosa) sistemazione che si potesse trovare. Secondo la GO, io non ero di grandi prospettive. Dopo un solo sguardo all’Henry Building, fu chiaro che mi avevano appioppato il posto più schifoso che potessero trovare. Per non parlare degli scarti umani con cui mi sarebbe toccato vivere. Il genere di relitti che non si preoccupa di ripulirsi i piedi dai resti di fetomosche mezze morte, ci avrei scommesso.
L’interno dell’edificio puzzava di prosciutto rancido e di una stramba varietà di tabacco da pipa. Sarebbe potuta andarmi peggio. Alcuni di quegli edifici puzzano di urina e topi morti. Non avrei potuto sopportare un posto che odorasse di urina e topi morti.
***
I corridoi ronzarono quando li attraversai. Era un posto tranquillo e perlopiù vuoto. Le uniche persone che incontrai andando nella mia stanza furono due donne dalla pelle scura che fumavano nel corridoio del terzo piano. Parlavano toyotese. Indossavano delle uniformi da lavoro della Toyota di un giallo sbiadito ed erano coperte di grasso. Erano entrambe al terzo giorno di mestruazioni. Potevo sentirlo.
Respirai dalla bocca mentre passavo tra loro, smisero di parlare e mi puntarono gli occhi addosso. Mi dissero qualcosa in toyotese. Le ignorai. Raggiunto l’appartamento 312, mi voltai e vidi che mi stavano seguendo. Qualcosa doveva aver dato loro fastidio.
«C’è qualche problema?» chiesi in linguaggio comune.
Sembrava che non capissero il comune. Una delle due, dai capelli corti e cenciosi, sputò per aria e sbraitò qualcosa che doveva essere un turpiloquio in toyotese. Scorreva molto razzismo tra le compagnie. Non sono un figlio della Toyota, non ho il permesso di star loro simpatico. Ho avuto esperienze di comportamenti simili coi ragazzi della Sony, della IBM e di McDonald’s.
I figli di McDonald’s li odio proprio. Hanno un modo di combinare altezzosità e stupidità che mi urta davvero nel profondo. Sono molto contento di essere stato cresciuto dalla GO piuttosto che dalla Sony o da McDonald’s. Ho sentito che l’educazione di quei ragazzi non è un granché. Quella dei Toyotesi deve essere anche peggio se non viene insegnato loro nemmeno il comune. È il primo segno di una struttura sociale chiusa di mente.
***
L’appartamento era piccolo. Davvero piccolo. Era a forma di N
e aveva il soffitto spiovente. C’erano una cucina, una camera da letto, un salotto, uno studio per dipingere, un bagno e un armadio, esattamente quello che la GO aveva detto che ci sarebbe stato, solo che queste sei cose erano state tutte compresse in una singola stanza a forma di N
. Il salotto consisteva solo in una sedia e una lampada, il letto era grande il giusto per una ragazzina di dodici anni, l’armadio era solo un filo del bucato appeso sopra il letto, la cucina era grande quanto un piccolo camerino, lo studio era solo uno spazio aperto accanto a una finestrella senza vetri e il bagno era solo un water e un lavandino in un angolo della stanza. Non c’era nemmeno una doccia o una vasca da bagno. Tutto l’insieme forse non arrivava a misurare quindici metri quadrati. Era tutto piccolo e ammassato. Non ci sarebbe mai stato spazio per più di una persona.
Ero abituato a vivere in spazi ristretti. Avevo