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Nuovo mondo
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ROMANZO (381 pagine) - FANTASCIENZA - Vinland è il nome che i Vichinghi diedero alla terra al di là dell'Oceano. Per svelarne i misteri dovranno allearsi due grandi italiani: Cristoforo Colombo e Leonardo da Vinci

Negli ultimi secoli del primo millennio il Nord Europa, dalla Russia all'Inghilterra, ma fino a Costantinopoli e al Mediterraneo, venne spazzata dall'impeto di un grande popolo di navigatori guerrieri: i Vichinghi. Sappiamo che arrivarono anche in America: quello che non sappiamo è che là fondarono un grande impero le cui possenti navi accoglieranno, non troppo pacificamente, le caravelle di Cristoforo Colombo, il 12 ottobre 1492.

Giampietro Stocco è nato a Roma nel 1961. Laureato in Scienze Politiche, ha studiato e lavorato in Danimarca per alcuni anni. Giornalista professionista in RAI dal 1991, è stato al GR2 e attualmente lavora nella sede regionale per la Liguria di Genova, la città dove risiede. Studioso e maestro del genere ucronia, ha pubblicato finora sette romanzi: "Nero Italiano" (2003) e il sequel "Dea del Caos" (2005), "Figlio della schiera" (2007), "Dalle mie ceneri" (Delos Books 2008), "Nuovo mondo" (2010), "Dolly" (2012), "La corona perduta" (2013). Da "Dea del Caos" il regista Lorenzo Costa ha tratto un adattamento per il palcoscenico che è stato messo in scena dal Teatro Garage di Genova nel 2006 e nel 2007. Nel 2006 ha vinto il premio Alien.
LanguageItaliano
PublisherDelos Digital
Release dateSep 13, 2016
ISBN9788865308394
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    Nuovo mondo - Giampietro Stocco

    a cura di Silvio Sosio

    Giampietro Stocco

    Nuovo mondo

    Romanzo

    Prima edizione settembre 2016

    ISBN 9788865308394

    © 2016 Giampietro Stocco

    Edizione ebook © 2016 Delos Digital srl

    Piazza Bonomelli 6/6 20139 Milano

    Versione: 1.0

    Font Fauna One by Eduardo Tunni, SIL Open Font Licence 1.1

    Edizione stampata: 2010, Bietti

    TUTTI I DIRITTI RISERVATI

    Sono vietate la copia e la diffusione non autorizzate.

    Informazioni sulla politica di Delos Books contro la pirateria

    Indice

    Il libro

    L'autore

    Nuovo mondo

    Prima parte

    Prologo. Mare Tenebroso, venerdì 12 ottobre 1492, intorno all’alba

    1. Alcalá de Henares, lunedì 24 dicembre 1492, mattina

    2. Porto Palos, martedì 1 gennaio 1493, primo pomeriggio

    3. Mare Tenebroso, venerdì 18 gennaio 1493, notte

    4. Mare Tenebroso, mercoledì 6 marzo 1493, poco prima dell’alba

    5. Isola Guanahaní, mercoledì 6 marzo 1493, mattino

    6. Isola Guanahaní, mercoledì 6 marzo 1493, mattino

    7. Isola Guanahaní, mercoledì 6 marzo 1493, mattino

    8. Isola da Vinci, primavera 1493

    9. Isola da Vinci, lunedì 6 maggio 1493, mattino

    10. In rotta per Vinland, sabato 10 agosto 1493, mattino

    11. In rotta per Vinland, sabato 10 agosto 1493, intorno a mezzodì

    12. Estuario del San Lorenzo, sabato 10 agosto 1493, pomeriggio

    13. Ydunshøj, sabato 10 agosto 1493, pomeriggio

    14. Ydunshøj, lunedì 25 dicembre 1493, intorno all’alba

    15. Ydunshøj, lunedì 25 dicembre 1493, mattino

    16. Ydunshøj, lunedì 25 dicembre 1493, pomeriggio

    17. Ydunshøj, lunedì 25 dicembre 1493, pomeriggio

    Seconda parte

    1. Costa di Vinland, mercoledì 6 gennaio 1496, primo mattino

    2. La Alhambra, Granada, venerdì 8 gennaio 1496, mattino

    3. Altopiano delle Aquile, Indie Occidentali, giovedì 7 aprile 1496, pomeriggio

    4. Baldrsby, capitale del Popolo, giovedì 11 maggio 1496, verso mezzodì

    5. Vinland, Bosco di Ydun, martedì 21 giugno 1496, mattino

    6. Baldrsby, capitale del Popolo, autunno 1496

    7. Medio corso del fiume Ohio, autunno 1496

    8. Medio corso del fiume Ohio, autunno 1496

    9. Medio corso del fiume Ohio, inizio inverno 1496

    10. Medio corso del fiume Ohio, inverno 1496

    11. Medio corso del fiume Ohio, inverno 1496

    12. Basso corso del fiume Ohio, inverno 1496

    13. Vinland, Bosco di Ydun, martedì 27 dicembre 1496, pomeriggio

    14. Lungo il Padre di Tutti i Fiumi, martedì 27 dicembre 1496, pomeriggio

    15. Lungo il Padre di Tutti i Fiumi, martedì 27 dicembre 1496, pomeriggio

    16. Lungo il Padre di Tutti i Fiumi, martedì 27 dicembre 1496, pomeriggio

    17. Lungo il Padre di Tutti i Fiumi, martedì 27 dicembre 1496, pomeriggio

    18. Bosco di Ydun, giovedì 29 dicembre 1496, mattino

    19. Bosco di Ydun, giovedì 29 dicembre 1496, mattino

    20. Bosco di Ydun, giovedì 29 dicembre 1496, mattino

    21. Tenochtitlán, giovedì 17 gennaio 1497, sera

    22. Tenochtitlán, giovedì 17 gennaio 1497, notte

    23. Bosco di Ydun, venerdì 18 gennaio 1497, mattino

    24. Boscaglia intorno a Tenochtitlán, venerdì 18 gennaio 1497, mattino

    25. Boscaglia intorno a Tenochtitlán, venerdì 18 gennaio 1497, notte

    26. Territorio mexica, sabato 19 gennaio 1497, intorno a mezzogiorno

    27. Regioni settentrionali del territorio mexica, inverno 1497

    28. Basso corso del Mississippi, territorio choctaw, martedì 18 aprile 1497, verso il tramonto

    29. Basso corso del Mississippi, territorio Choctaw, martedì 18 aprile 1497, verso il tramonto

    30. Il Louvre, giovedì 20 aprile 1497, sera

    31. Il Louvre, giovedì 20 aprile 1497, sera

    Terza parte

    1. Acque di Porto Palos, giovedì 24 agosto 1497, prime luci dell’alba

    2. Acque di Porto Palos, giovedì 24 agosto 1497, mattino

    3. Altipiano di Tuxpán, mercoledì 13 settembre 1497, pomeriggio

    4. Altipiano di Tuxpán, mercoledì 13 settembre 1497, pomeriggio

    5. Assedio di Barcellona, domenica 24 settembre 1497, poco dopo l’alba

    6. Cadice, quartiere del porto, martedì 24 ottobre 1497, sera

    7. Córdoba, venerdì 27 ottobre 1497, primo mattino

    8. La Alhambra, Granada, venerdì 27 ottobre 1497, mattino

    9. La Alhambra, Granada, venerdì 27 ottobre 1497, mattino

    10. Quartiere degli ebrei, Córdoba, venerdì 27 ottobre 1497, sera

    11. Granada, sabato 28 ottobre 1497, mattino

    12. Strada per Granada, giovedì 2 novembre 1497, pomeriggio

    13. Valle dell’Ohio, lunedì 18 dicembre 1497, mattino

    14. Valle dell’Ohio, lunedì 18 dicembre 1497, mattino

    15. Valle dell’Ohio, lunedì 18 dicembre 1497, pomeriggio

    16. Valle dell’Ohio, lunedì 18 dicembre 1497, pomeriggio

    Quarta parte

    1. La Alhambra, Granada, domenica 11 febbraio 1498, mattino

    2. La Alhambra, Granada, domenica 11 febbraio 1498, mattino

    3. La Alhambra, Granada, domenica 18 febbraio 1498,verso mezzodì

    4. La Alhambra, Granada, domenica 18 febbraio 1498, primo pomeriggio

    5. La Alhambra, Granada, domenica 18 febbraio 1498, pomeriggio

    6. La Alhambra, Granada, domenica 18 febbraio 1498, pomeriggio

    7. La Alhambra, Granada, domenica 18 febbraio 1498, pomeriggio

    8. La Alhambra, Granada, domenica 18 febbraio 1498, pomeriggio

    9. La Alhambra, Granada, domenica 18 febbraio 1498, pomeriggio

    10. La Alhambra, Granada, domenica 18 febbraio 1498, pomeriggio

    11. Porto Palos, martedì 22 maggio 1498, mattino

    12. Porto Palos, martedì 22 maggio 1498, mattino

    Epilogo. Porto Palos, venerdì 24 agosto 1498, verso il tramonto

    Postfazione

    Delos Digital e il DRM

    In questa collana

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    Il libro

    Vinland è il nome che i Vichinghi diedero alla terra al di là dell'Oceano. Per svelarne i misteri dovranno allearsi due grandi italiani: Cristoforo Colombo e Leonardo da Vinci

    Negli ultimi secoli del primo millennio il Nord Europa, dalla Russia all'Inghilterra, ma fino a Costantinopoli e al Mediterraneo, venne spazzata dall'impeto di un grande popolo di navigatori guerrieri: i Vichinghi. Sappiamo che arrivarono anche in America: quello che non sappiamo è che là fondarono un grande impero le cui possenti navi accoglieranno, non troppo pacificamente, le caravelle di Cristoforo Colombo, il 12 ottobre 1492.

    L'autore

    Giampietro Stocco è nato a Roma nel 1961. Laureato in Scienze Politiche, ha studiato e lavorato in Danimarca per alcuni anni. Giornalista professionista in RAI dal 1991, è stato al GR2 e attualmente lavora nella sede regionale per la Liguria di Genova, la città dove risiede. Studioso e maestro del genere ucronia, ha pubblicato finora sette romanzi: Nero Italiano (2003) e il sequel Dea del Caos (2005), Figlio della schiera (2007), Dalle mie ceneri (Delos Books 2008), Nuovo mondo (2010), Dolly (2012), La corona perduta (2013). Da Dea del Caos il regista Lorenzo Costa ha tratto un adattamento per il palcoscenico che è stato messo in scena dal Teatro Garage di Genova nel 2006 e nel 2007. Nel 2006 ha vinto il premio Alien.

    Dello stesso autore

    Giampietro Stocco, Dalle mie ceneri Mosaix ISBN: 9788865300411 Giampietro Stocco, Nero italiano Odissea Digital Fantascienza ISBN: 9788867758494 Giampietro Stocco, Dea del caos Odissea Digital Fantascienza ISBN: 9788867758975

    Prima parte

    Prologo. Mare Tenebroso, venerdì 12 ottobre 1492, intorno all’alba

    – Tierra! Tierra!

    Il grido di Rodrigo de Triana ruppe il silenzio sul ponte della Pinta proprio mentre il capitano Martín Alonso Pinzón cominciava ad accarezzare insieme l’elsa della spada e l’idea dell’ammutinamento. Quel maledetto genovese dagli occhi di ghiaccio li avrebbe condotti di sicuro alla rovina. Oh, certo, li aveva visti anche lui i rami che galleggiavano intorno alle navi e nell’aria c’era un odore nuovo e familiare. Ma l’improvvisa speranza non aveva cancellato l’incubo di un’odissea: la bussola che senza spiegazione deviava dal nord, le strane forme che i marinai vedevano agitarsi tra i flutti. Si farneticava di sirene e qualcuno già giurava di avere udito il loro canto.

    Il grido di Rodrigo, però, lo sentirono tutti.

    Pinzón si riscosse e, come d’intesa, richiamò l’attenzione della Santa María con un colpo di colubrina. L’ammiraglia accostò. Le Maestà Cattoliche avevano messo in palio cinquemila maravedíes per chi avesse avvistato la nuova terra. Pinzón si ripropose di staccarsi dal piccolo convoglio per compiere un’esplorazione personale: chissà quante altre isole bordate da spiagge bianche c’erano in quello strano mare. Avrebbe atteso qualche ora: per il momento avrebbe continuato a obbedire al genovese. Così, quando la nao, la Santa María, fece rotta per la terraferma, la Pinta e l’altra caravella dei fratelli Pinzón, la Niña, la seguirono verso una piccola baia.

    Il sole si levò rapido. Doppiato un basso capo sabbioso, i marinai si accorsero che, alla distanza di circa una lega, sulla spiaggia si andava lentamente radunando una folla. Uomini completamente nudi se non per alcuni ornamenti di piume, la pelle rossiccia, i capelli spessi come crine di cavallo e acconciati in maniera elaborata. Insieme agli altri marinai, Pinzón si fece rapidamente il segno della croce. Non potevano più aspettare. Era tempo di sbarcare e reclamare quel lembo di Eden alla religione cristiana. Dalla Santa María echeggiarono, in un castigliano pesantemente accentato, gli ordini del genovese. Si dovevano approntare le scialuppe e una scorta armata. Pinzón fece per provvedere, ma ciò che scorse a levante lo paralizzò. Da dietro una grossa roccia era spuntata un’altra e sconosciuta nave. I marinai avvistarono la nuova arrivata, e tacquero. Allo stesso modo si placarono, sulla spiaggia, i clamori dei selvaggi. Il naviglio sconosciuto si spostò rapido e silenzioso sulle acque cristalline della baia, avvicinandosi alla Santa María e alle due caravelle.

    Pinzón si stropicciò più volte gli occhi, invano. La nave era sempre lì, lunga, affusolata, imponente. Due marinai ammainavano in tutta fretta un’unica vela bianca squadrata. Fissata a una murata si distingueva una fila di scudi arrotondati, sotto la quale spuntavano lunghi remi in movimento. Pinzón udì la voce, roca e aliena, di chi scandiva il tempo della vogata. Un raggio di sole lattiginoso cadde sulla polena: aveva la forma di una testa di drago. Poteva essere? Prima che il capitano di Palos comprendesse di trovarsi fronte a un drakkar normanno in assetto di guerra, dalla nave nemica si levò, agghiacciante, un urlo di battaglia dimenticato ormai da secoli.

    1. Alcalá de Henares, lunedì 24 dicembre 1492, mattina

    – Terre sconosciute di là dal Mare Tenebroso! E non solo, loro Maestà. Qui si favoleggia di pirati normanni insieme a creature dalla pelle rossa e dal crine di cavallo. Cos’è dunque questa, se non eresia?

    Gli occhi di Tomás de Torquemada scintillavano, al pari del suo cranio rasato, attorno al quale i capelli grigi tagliati con cura formavano una stretta corona. Cristoforo Colombo staccò per un attimo lo sguardo dal potente cardinale. Fissò la mano sinistra di Isabella. Le dita della regina tamburellavano sul bracciolo del trono, ricavando un suono soffocato, eppure perfettamente udibile nel silenzio che era seguito alla domanda dell’Inquisitore di Spagna. Isabella ricambiò, sospettosa, lo sguardo del genovese. Era simile, in quella posa, ai ritratti ufficiali che cominciavano ad apparire in giro. Nessun pittore si era tuttavia ancora azzardato a riprodurre quelle guance pesanti che incorniciavano una bocca corrucciata.

    – L’ammiraglio Colombo si ostina a proporci una storia inverosimile.

    A parlare era stato un uomo vestito di una cappa nera. Colombo riconobbe Rodrigo Maldonado, uno dei componenti della commissione di saggi che si era opposto al suo viaggio verso le Indie.

    – Fino a qualche mese fa – continuò Maldonado – questa spedizione sembrava una pazzia. Adesso l’ammiraglio ci vorrebbe convincere che di là dal Mare Tenebroso non solo ci sono terre nuove, ma anche dei barbari che l’Europa ha dimenticato da tempo. E che ci sarebbero arrivati con delle navi che potevano solo bordeggiare lungo costa o risalire i fiumi. E adesso dovremmo addirittura credere che siano in grado di affrontare l’oceano e gli scafi spagnoli? – Paonazzo, batté una mano sul suo banco.

    Isabella e Ferdinando trasalirono contemporaneamente.

    – Che le Loro Maestà perdonino il mio ardire – mormorò Maldonado chinando il capo. Poi volse di nuovo l’indice verso Cristoforo Colombo. – Ammiraglio – esclamò – voi cercate solo un’attenuante alla vostra imperizia. Un’imperizia che è costata l’affondamento della Pinta e la vita di ventisette marinai, tra i quali il capitano Martín Alonso Pinzón, armatore in Palos, e suo fratello Francisco. È ora che confessiate la verità!

    Nella grande sala si levò un brusio di approvazione. Maldonado aveva toccato le corde giuste. Infine Isabella levò in alto la mano destra. L’anello reale scintillava alla luce del sole. Sonora, la voce della regina ruppe il silenzio.

    – Ammiraglio, qual è la vostra versione dei fatti? – Le guance paffute tremavano impercettibilmente.

    – Sono vittima di un complotto! – proruppe Colombo. Aveva taciuto a lungo di fronte alle accuse e ora gli mancavano le parole. L’ansia lo rese febbrile. – Esiste un diario di bordo, loro Maestà. E voi, o nobili padri della Chiesa, dovete darmi la maniera di spiegare!

    – Ammiraglio, chi pagherà i danni ai signori… Gómez Buscón e Cristoforo Quinterno? – ardì ancora Maldonado, scoccando un timido sguardo alla regina e ricominciando a spulciare le note che teneva di fronte a sé.

    Nell’udire i nomi dei proprietari della Pinta colata a picco, Colombo represse una smorfia. Aveva completamente dimenticato di dovere oltre quattromila maravedíes a quelle due sanguisughe.

    – Rodrigo Maldonado ha ragione.

    Le parole di padre Hernando de Talavera caddero pesanti come il piombo. L’influente confessore della regina era corrucciato. Isabella lo fissava con attenzione.

    – Lo dico con amarezza – sospirò il religioso – perché a suo tempo esitai a lungo prima di prendere per buone le ipotesi di navigazione dell’ammiraglio Colombo. La mia perplessità fu vinta solo grazie all’insistenza di fray Antonio de Marchena. – Indicò un frate francescano. De Marchena, che era stato il sostenitore più appassionato di Cristoforo Colombo, chinò il capo, torcendosi le mani. – E del resto – continuò de Talavera – lo stesso buon fratello Antonio cova nel suo intimo convinzioni che sono pericolose per la fede.

    De Marchena stavolta impallidì e cercò di rendersi il più anonimo possibile tra i convitati nella sala del Consiglio del palazzo arcivescovile di Alcalá de Henares.

    – Sebbene non sia da sconsigliarsi un’analisi teologica più approfondita – continuò imperterrito de Talavera – qui non sono in esame le illusioni del fratello de Marchena su un perduto e antico continente al di là delle Colonne d’Ercole. Tuttavia è deplorevole che un religioso dia ascolto ai vaneggiamenti del pagano Platone….

    Alla pausa, Ferdinando il Cattolico e soprattutto l’Inquisitore di Spagna puntarono i loro occhi su de Marchena. Colombo lo considerò a sua volta, ma con indulgenza: il povero padre sicuramente desiderava di non essersi mai mosso dal convento della Rábida presso Palos.

    – Sono convinto – continuò de Talavera – che qui abbiamo a che fare con una frode. Cristoforo Colombo ha ricevuto onori e denaro per un’illusione, e quello che ci riporta è un tragico fallimento. E noi adesso dovremmo credere a un’altra favola? Che il genovese subisca dunque un castigo esemplare!

    – Ammiraglio – intervenne de Torquemada. Il silenzio che cadde nella sala del Consiglio fu stavolta tagliente come si diceva lo fossero gli strumenti di tortura dell’Inquisizione Spagnola. – Io ho più che un motivo per chiedere un vostro interrogatorio formale.

    – Basta così! – intimò la voce ferma di Isabella.

    La regina si alzò appoggiandosi a entrambi i braccioli del trono. Le nocche, notò Colombo, erano bianche. Isabella vacillò impercettibilmente, poi si ricompose.

    – Noi, sovrani di Spagna – disse – abbiamo concesso fondi e cariche all’ammiraglio nella piena convinzione che la sua teoria fosse giusta. Dopo un approfondito esame, senza tentennamenti e soprattutto in concordia d’intenti.

    Isabella si volse verso il consorte e Ferdinando chinò il capo.

    – Adesso – riprese la regina – l’ammiraglio torna in Spagna con una storia che, se risultasse vera, avrebbe delle conseguenze capitali sulla politica estera della nostra Corona. Ho inviato un corriere a Re Hans di Danimarca. Ma sono sicura che lui ne sa quanto noi.

    Isabella stava riprendendo il controllo. A tradire la tensione, solo le mani. Abbandonate lungo i fianchi, si aprivano e si chiudevano a scatti.

    – Perciò – riprese la regina – la nostra determinazione è concedere all’ammiraglio il beneficio di una verifica. Le sue così straordinarie affermazioni saranno oggetto di un’indagine da condursi per mezzo di una nuova spedizione verso le Indie. –

    Isabella aveva dunque deciso. Ferdinando d’Aragona, in silenzio, si guardò le mani. Le proteste dei religiosi si alzarono sonore. Nel clamore crescente, Hernando de Talavera aveva levato le mani al cielo, e invocava la misericordia di Dio. Colombo fronteggiò il cipiglio dell’Inquisitore di Spagna. Livido, de Torquemada lo fissava come una tigre che aveva mancato la preda per poco.

    – Nobili padri della Chiesa! Signori! – Isabella alzò entrambe le mani e ancora una volta il silenzio cadde nella sala. – Quanto accaduto durante la prima spedizione dell’ammiraglio è ormai di dominio pubblico, in Spagna e nei Paesi vicini. All’Alhambra di Granada, giorni fa, è arrivato il maestro Leonardo da Vinci. Il suo talento è noto a tutti. Messer da Vinci ha espresso il desiderio di imbarcarsi al seguito di Cristoforo Colombo. Data la sua competenza in tanti campi del sapere e dell’arte, è nostra volontà che prenda a sua volta parte alla nuova spedizione.

    Isabella tese una mano alla sua sinistra, e da uno scranno in penombra si levò un uomo di alta statura e corporatura atletica. Portava capelli e barba lunghi, così biondi da sembrare bianchi. Bianca era anche la semplice veste che indossava. Sotto le folte sopracciglia biondastre, occhi azzurri scintillavano maliziosi, dando luce a un sorriso enigmatico.

    Stizzito, Colombo si complimentò in cuor suo con l’acume della regina. Lo rimandava in viaggio, ma sotto tutela.

    – Buon Natale, ammiraglio – concluse Isabella di Castiglia, il busto rigidamente eretto. La regina si ritirò, accompagnata da Ferdinando e dall’intero seguito di dame di compagnia, nobili e paggi. Da un altro passaggio uscirono Inquisitore e religiosi.

    – Felice Natività, ammiraglio Colombo – disse a sua volta de Torquemada. Gli occhi del cardinale si staccarono a stento dal genovese, per dedicare attenzione a un altro religioso. Un luccichio malevolo attraversò quelle iridi scure. La tigre aveva solo rimandato il suo pasto.

    2. Porto Palos, martedì 1 gennaio 1493, primo pomeriggio

    – Quello che trovo davvero singolare – disse Leonardo affrettandosi dietro la sagoma allampanata di Cristoforo Colombo e spingendo da parte l’ennesimo mendicante – è la fiducia con cui le Maestà Cattoliche vi abbiano messo a disposizione oro e cariche. E il tutto per una missione dall’esito imprevedibile. Io ho dovuto sempre sudare per vivere, e… Salaì!

    Colombo rallentò di qualche passo. Lo aveva notato appena qualche ora prima, ma indispettito dalle continue domande di Leonardo e nella gran fretta di arrivare in porto, non lo aveva ancora studiato a dovere. Un gran casco di boccoli ramati, il volto da cherubino, un ragazzo poco meno che adolescente stava circuendo una damina della sua età. Più la sua bella arrossiva, più il giovanetto continuava a snocciolare parole dolci. Nel frattempo, lento ma inesorabile, tentava di sfilarle la borsa.

    – Salaì! Quante volte ti ho detto di tenere le mani lontano dalle donne?

    Se in terra di Spagna le parole gridate da Leonardo potevano non essere del tutto comprese, l’imperioso atteggiamento di quell’omone gigantesco e barbuto non lasciò alcun dubbio. La damina si accorse finalmente dell’inganno, si aggrappò alla sua borsa e tirò un manrovescio al finto corteggiatore. Il cherubino inalberò una smorfia d’indignazione e andò a nascondersi dietro le spalle del suo protettore. Leonardo lo strattonò a sua volta, spillandogli due lacrime fasulle.

    – Ammiraglio Colombo, non ho avuto ancora occasione di presentarvi Gian Giacomo Caprotti, detto Salaino. Che vuol dire il diavolo, se meglio vi garba. È il mio protetto, il mio garzone di bottega. Viene con me ovunque io vada. Ha il brutto vizio di rubare, ma per me farebbe ogni cosa. Vero, Salaì?

    Leonardo strinse il braccio del ragazzino, e con l’altra mano minacciò di schiaffeggiarlo. Salaino strizzò gli occhi per la paura. Colombo sgranò i propri.

    – Non vi preoccupate, ammiraglio – aggiunse Leonardo continuando a tirare il garzone per un braccio. – Questo diavolo qui bisogna trattarlo col nerbo. E tuttavia potrebbe esserci prezioso nel risolvere alcuni aspetti, come dire, pratici, del nostro viaggio.

    – Un ragazzino su una nave? – Colombo rabbrividì, già immaginandosi lo scompiglio. – Non credo che sia una buona idea, maestro.

    – Sulla sicurezza e la virtù di Salaino vigilerò io, non preoccupatevi. Ma ditemi ancora della vostra teoria. Come avete fatto ad avere carta bianca dai sovrani di Spagna per un’ipotesi così bizzarra?

    – Voi stesso dovreste sapere che non si tratta di bizzarrie. Siamo effettivamente arrivati nelle Indie. Non siamo riusciti a sbarcare solo perché ce lo hanno impedito!

    – I normanni, ho sentito. O i vichinghi, come qualcun altro li chiama. Vi confesso che anche io fatico a credervi. Come è possibile che una nave come quella che avete descritto possa essere arrivata fin lì? E come mai, dopo una traversata così pesante e pericolosa, avrebbe deciso di attaccarvi?

    – Non lo so, messer Leonardo. Ma li ho visti coi miei occhi. La loro nave era lunga e il fasciame robusto, rivestito di ferro. Hanno puntato dritto sulla Pinta.

    – Avete mostrato in qualche modo un comportamento aggressivo?

    Cristoforo Colombo si prese il mento tra pollice e indice.

    – Era intesa tra me e Pinzón che la prima nave ad avvistare terra sparasse una salva di cannone come segnale.

    – Ed è stata la Pinta, vero, ammiraglio?

    – Sì, ma….

    Leonardo zittì il genovese con un gesto secco della mano.

    – Cosa fareste voi se una misteriosa flotta comparisse improvvisamente al largo della vostra Genova aprendo il fuoco con i suoi cannoni?

    – Messer Leonardo, noi non volevamo attaccare nessuno! Era l’alba, e in mare non si vedeva anima viva!

    – Io credo, ammiraglio, che per qualche strana ragione quei normanni fossero lì da molto tempo. Al punto da considerare di loro proprietà quelle terre che voi avete scoperto. O meglio, che credete di avere scoperto.

    – Maestro, il vostro amore per gli enigmi e i paradossi è altrettanto famoso della vostra arte! – sbottò Colombo, improvvisamente irritato. Leonardo sollevò un sopracciglio cespuglioso. Quasi a scusarsi, il genovese scese subito di un tono: – Vi prego tuttavia di tenere fra me e voi la vostra ipotesi sui normanni. Non parlatene con i marinai. Soprattutto non parlatene mai con Vicente Yañez Pinzón.

    – Con chi? – s’incuriosì Leonardo.

    – Con il capitano della Niña. Pinzón si è unito alla nostra spedizione solo per scoprire e assicurare alla giustizia chi ha ucciso i suoi fratelli, il comandante della Pinta, Martín, e il giovane Francisco.

    Come se Colombo lo avesse evocato, di fronte ai due italiani si parò un uomo di circa trent’anni, la barba ispida e i baffi folti, capelli neri e arruffati. Neri erano anche gli occhi profondi. Era vestito degli indumenti semplici, ma resistenti dei marinai: una giubba di fustagno aperta su una camicia di lino scollata, e pantaloni ampi che si infilavano in un paio di stivali lisi. Abbozzò un inchino al genovese e considerò con distacco l’uomo barbuto e il ragazzino che lo accompagnavano. Pinzón e Colombo parlarono velocemente tra loro in castigliano, lingua che Leonardo non padroneggiava. Alla fine, gli occhi bruni che scintillavano, il capitano della Niña fece un inchino ancora meno profondo di quello di prima, girò sui tacchi e s’incamminò a grandi passi verso la sua nave.

    – Che cosa vi siete detti?

    – Messer Leonardo, Pinzón sa che non siete un uomo di mare. Dice che non si sente di prendersi cura di voi durante il viaggio. –

    – E questo cosa significa? – si accigliò l’artista.

    Il genovese sospirò.

    – Verrete entrambi con me, voi e il vostro protetto, a bordo della Santa María. Ho riferito inoltre che entrambi siete sotto la diretta protezione delle Maestà Cattoliche.

    – E non è vero?

    – La Regina Isabella ha piuttosto messo me sotto la vostra tutela scientifica, non vi pare, messere? – precisò sarcastico Colombo.

    – Ammiraglio, spero che vi rendiate conto che io non sono l’Inquisitore di Spagna. Ho chiesto di partecipare alla vostra spedizione per il solo amore della scienza.

    – E per controllare che io abbia detto il vero, no? Avanti, messere! Tutti sanno che voi non fate niente per niente. Perché ve ne siete venuto via da Milano, dove Ludovico il Moro vi pagava così bene per ritrarre le sue amanti?

    Contrariamente a quanto Colombo aveva pensato, Leonardo non si sdegnò, ma fece segno di accostarsi e parlare a voce più bassa. Chino su di lui appariva sempre più simile a un orco.

    – Non c’è necessità di gridare come donnette da mercato. Va bene. La regina Isabella mi ha promesso cinquemila maravedíes per accertare cosa è accaduto durante la vostra prima spedizione.

    – Lo sapevo che c’era di mezzo l’oro spagnolo.

    – E altri cinquemila se saprò dimostrare la vostra innocenza. Isabella deve credere molto in voi, ammiraglio.

    Cristoforo Colombo rimase interdetto. Il favore della regina era dunque ancora dalla sua parte. Mentre la speranza si faceva di nuovo largo nel suo cuore, il profilo familiare di alcune navi cominciò a stagliarsi in prossimità delle banchine. La Niña, la Santa María e la nuova caravella modificata, la Buena Esperanza, lo scafo rinforzato in ferro come quello della nave normanna che aveva affondato la Pinta, più otto pesanti cannoni, quattro per fiancata. Trenta marinai a bordo, venti dei quali soldati castigliani, veterani della guerra contro i mori e abituati alla vita sulle galee. Più che una nave, la Buena Esperanza era una fortezza galleggiante, potente, ma lenta. Colombo sospirò. Sarebbe bastata quella minuscola flotta a sopraffare nemici così pericolosi? Si rivolse ancora all’uomo barbuto che lo stava per accompagnare verso l’ignoto.

    – Messer Leonardo, io non so cosa vi spinga. Ma siete famoso per mettere la conoscenza davanti a tutto. Nello stesso modo io metterò il mio destino nelle vostre mani. E che Iddio possa aiutare entrambi.

    3. Mare Tenebroso, venerdì 18 gennaio 1493, notte

    Non c’era molto spazio a bordo della Santa María. La stessa cabina di Colombo, ricavata nel castello di prora, era piccola, angusta e piena di spigoli che sembravano fatti apposta per piantarsi nei fianchi e negli stinchi. Dopo il consueto scalo tecnico alle Canarie, il viaggio si prolungava ormai da un paio di settimane. L’ammiraglio era nervoso. Non sopportava l’idea di dover di nuovo arrancare dietro a navi più veloci. Imprecò in silenzio contro il proprietario della Santa María, Juán de la Cosa, che dormiva sul ponte, insieme agli altri marinai.

    In un altro momento il privilegio di comandante avrebbe confortato il genovese. Era bello sapersi al riparo dalle intemperie mentre gli altri dormivano all’addiaccio. Ma stavolta Colombo divideva il suo ridotto spazio con Leonardo e il suo garzone. Li guardò dormire vicini e rimuginò sul tipo di rapporto che c’era fra loro. Scosse il capo, combattuto tra la discrezione, il timore della verità e il rispetto dei suoi doveri di ammiraglio. Cosa avrebbe fatto, se si fosse venuto a sapere sulla nave? Come avrebbe reagito l’equipaggio?

    Tentò di concentrarsi su altro, ma faceva troppo caldo. Un’afa opprimente. Aveva salutato con gioia il tramonto, sperando che la notte portasse un po’ di fresco, ma invano. Già durante il primo viaggio Colombo aveva patito quel clima bizzarro. Le alghe nel mare, un tappeto verde, spesso e maleodorante. Zargazos, sargassi, le avevano chiamate intimoriti i marinai spagnoli. E il timore si era trasformato in panico quando l’orientamento della bussola si era spostato dal nord. Un semplice fenomeno naturale, che lui era riuscito a spiegare in fretta. Appena in tempo perché la ciurma non massacrasse il giovane mozzo dai capelli fulvi ritenuto preda del demonio e artefice dell’incantesimo. Questa era solo una delle ragioni per le quali Colombo aveva preteso che Salaino rimanesse il più possibile nella sua cabina. Quando si fossero ripetute le anomalie con la bussola, quel ragazzino dall’espressione maliziosa e i riccioli rossicci avrebbe rischiato grosso in mezzo a uomini ignoranti e superstiziosi.

    L’altra ragione era il misterioso rapporto che legava il protetto al suo protettore. Come spiegarlo alla ciurma, senza che questa non si insospettisse? Un rozzo uomo d’armi di Siviglia, Diego Velasquez de Cuellár, andava già mormorando di tutto, e aveva anche tentato di appartarsi con Salaino. Per fortuna, Colombo era arrivato in tempo. L’ammiraglio sospirò. Guardò ancora una volta entrambi, garzone e maestro, abbracciati nel sonno come padre e figlio. Oppure come… Il genovese scacciò l’immagine lubrica e scosse Leonardo per una spalla. Questi aprì gli occhi cisposi e sbadigliò, mostrando un’impressionante chiostra di denti guasti.

    – Che cosa c’è? – borbottò mettendo a fuoco il suo interlocutore.

    Colombo si chiese se la vista del maestro fosse buona come il suo alito. Si diceva che Leonardo sfumasse i colori a mano, ma era difficile crederlo, se si guardava quell’uomo stanco e precocemente invecchiato. Decise di tenere per sé le proprie riserve e sfilò un rotolo di pergamena da un anfratto dello scrittoio. Lo spiegò sul tavolo e ne indicò a Leonardo i caratteri sbiaditi.

    Summo ac Venerandissimo Pontifici Honoris – cominciò a sillabare l’artista, poi si fermò. – Ammiraglio, io non capisco bene il latino. –

    – Andate avanti, vi prego!

    – Si tratta di una lettera di un certo frate Giovanni al papa Onorio II e risale….

    – A più di tre secoli fa, sì. E non basta. Messere, provate ad andare avanti. Sono sicuro che capirete e io non voglio influenzare il vostro giudizio.

    Leonardo riabbassò gli occhi sulla pergamena. Man mano che andava avanti nella lettura, le sopracciglia cespugliose si aggrottavano sempre più.

    – Se ho bene inteso, qui sta scritto che questo frate Giovanni arrivò nelle stesse terre che voi dite di avere scoperto, ma con trecento anni di anticipo! E sostiene di avere trovato degli indigeni!

    – Nel 1140, o poco prima. Questa pergamena mi è stata data da un monaco cistercense francese, Armanio da Castellón de la Plana – disse Colombo traducendo l’ostico nome in castigliano.

    – Armand de Châteauroux – tradusse Leonardo, più a suo agio con la lingua transalpina.

    – Sì, insomma. Questo Armanio o Armand, come dite voi, mi diede la pergamena dopo un viaggio nel Mare Tenebroso che compimmo insieme quindici anni fa.

    – Voi siete stato dunque altre volte al di là delle Colonne d’Ercole – sentenziò Leonardo.

    – Sì, messere. Quella volta, con frate Armanio, però ci dovemmo fermare. Arrivammo in un tratto di mare, non lontano da qui, e recuperammo un corpo. Il cadavere di un nativo delle Indie. Il fatto impressionò molto il frate che, al ritorno a Genova, mi diede questa pergamena, e mi pregò di farne buon uso.

    – Voi dunque sapevate prima di partire.

    – Il punto, Messer Leonardo, è che anche il papa sapeva.

    – Un momento. Intendete dire che….

    – Non saltate subito alle conclusioni, messere.

    – Ma certo. Voi avete circuito le Maestà Cattoliche per arricchirvi.

    L’esclamazione di Leonardo svegliò bruscamente Salaino.

    – Maestro – ribatté Colombo – lasciate che vi racconti tutta la storia. Io sono già sbarcato nelle Indie più di sette anni fa. Fu merito del grande papa Innocenzo VIII, al secolo Giovan Battista Cybo, mio concittadino. Fu la sua disponibilità, unita a quella della famiglia fiorentina dei Medici, a consentirmi quella spedizione.

    – Dunque fu per questo che un anno fa partiste così sicuro del fatto vostro.

    Colombo sbatté le palpebre sugli occhi azzurri e accomodò di nuovo la sua lunga figura sulla sedia bassa che usava davanti allo scrittoio. Chinò il capo e i lunghi capelli grigi gli nascosero il volto. – Sapevo più o meno cosa avrei trovato. E papa Innocenzo ne fu felice. Non altrettanto il cardinale Rodrigo Borgia.

    – L’attuale pontefice Alessandro VI.

    – Shh! Non sapete in che cosa ci andremmo a impegolare con questa storia – mormorò Colombo. Rialzò la testa e si guardò intorno, inquieto. Salaino lo imitò subito, un po’ per gioco, un po’ per autentico timore. La fiamma della candela sul tavolo faceva tremolare ombre misteriose sulla faccia ossuta del navigatore.

    – Perché, ammiraglio, non divulgaste subito la vostra scoperta? Secondo me possono esserci solo due ragioni: la politica e soprattutto l’oro.

    – Maestro, capite bene che il solo oro italiano non avrebbe potuto finanziare per molto un’impresa a lunga scadenza come questa. E poi conveniva di più sfruttare i mercati consolidati, quelli dell’Africa e dell’Oriente, piuttosto che….

    – Piuttosto che aprirne di nuovi, mi rendo conto – interruppe Leonardo. – E così, voi che credevate nella via di ponente, pian piano avete cambiato bandiera.

    L’acume di Leonardo meravigliò Colombo. Era dunque vero che l’artista aveva un intelletto vivo. Il genovese si stizzì. Riprese, cauto:

    – Le cose, infatti, stavano andando bene, finché….

    – Finché dal nulla non è sbucato… Come lo avete chiamato?

    – Quel maledetto drakkar! – ruggì Colombo. – È inspiegabile. Ci sono carte nautiche di ogni tipo e leggende di ogni natura circa le terre che ho scoperto. Ma nessuna, giuro, messer Leonardo, nessuna indica la presenza nelle Indie di pirati normanni! E la nave che ha affondato la Pinta non era un vascello oceanico, ne sono sicuro.

    – Io stesso ho udito molti racconti su queste nuove terre. – Leonardo si grattò scrupolosamente il grosso naso. – Storie che si conoscevano da secoli. Il Timeo di Platone e le mitiche terre al di là delle Colonne d’Ercole. E poi, la misurazione della Terra da parte di Eratostene da Cirene….

    – Lo so! Lo so! Secondo la misurazione di Eratostene le Indie da me scoperte sono troppo vicine all’Europa per essere il Cipango o il Cathai rivelato da Marco Polo.

    A un tratto, Salaino prese un’arancia e cominciò a farla girare vorticosamente su un indice, come una Terra in miniatura. L’asse era però pericolosamente instabile. Dopo avere compiuto qualche incerta rivoluzione su se stesso, il frutto si sbilanciò e cadde sul piancito della cabina, disfacendosi.

    – Stupido ragazzino! – tuonò Colombo. Salaino riparò dietro la veste del suo protettore. – Quei frutti non servono per giocare. Sono il nostro unico rimedio contro lo scorbuto!

    – Perdonate, ammiraglio, la natura goffa e dispettosa del mio protetto – sospirò Leonardo, colpendo la nuca di Salaino con un buffetto. – Adesso dobbiamo mantenere la calma e tenere la stessa rotta che vi ha guidato durante la spedizione dello scorso autunno. Ripetiamo l’esperimento, giusto? E vediamo se arriviamo alle stesse conclusioni. – Leonardo sbadigliò e riprese posto sulla stuoia. Intimorito, il suo garzone gli si rannicchiò vicino.

    Colombo si chiuse in un cupo silenzio. Quel viaggio sarebbe stato molto lungo.

    4. Mare Tenebroso, mercoledì 6 marzo 1493, poco prima dell’alba

    Il mare si frangeva in piccole onde su una spiaggia bianca come lo zucchero, mentre il sole si levava rapido a gettare pennellate d’oro sull’acqua cristallina. Nessuno aveva gridato ‘terra’ questa volta. Colombo, appoggiato al castello di poppa, scrutava nervosamente il profilo delle dune in lontananza, mentre la ciurma eseguiva i suoi ordini. Le vele della Santa María furono prontamente ammainate, e l’ancora gettata in un mare color turchese. I marinai spagnoli lavoravano in silenzio, scoccando sguardi timorosi in direzione di una grande roccia che delimitava a est il profilo della costa.

    – È qui che è accaduto, vero? – chiese Leonardo.

    – Sì, messere – rispose Colombo. – I miei uomini hanno paura.

    – Ho percepito chiaramente la parola espectros. –

    – Già, gli spettri. Ci volevano anche i fantasmi a turbare l’animo superstizioso di questa gente. – Colombo aguzzò ancora la vista verso la grande roccia. Batté le palpebre, e si strofinò il volto con una mano.

    – Avete gli occhi stanchi. Forse questo oggetto vi potrà aiutare. – Leonardo tese a Colombo un misterioso cilindro di legno.

    – Ci sono delle lenti alle due estremità – disse Colombo rigirandosi l’oggetto fra le mani. – Ma si allunga!

    – Mettete la lente di diametro inferiore davanti a un occhio – suggerì Leonardo. – Ecco, così. E adesso, provate a far scorrere i cilindri uno dentro l’altro, avanti e indietro, finché l’immagine che vedete ora confusa non si farà nitida.

    Il genovese eseguì le istruzioni e sobbalzò. Di fronte al suo occhio, tanto vicino da poterlo toccare, si parava il palmeto che aveva distinto a occhio nudo sulla spiaggia.

    – In nome di Dio, messere! È dunque vero che il vostro talento puzza di zolfo! – Colombo si segnò in fretta e tese lo strumento verso Leonardo.

    – Nessuna diavoleria, ammiraglio. È solo scienza. Avevo già con me le lenti, e durante le ultime settimane ho fatto qualche esperimento: il risultato è questo oggetto. Potete tenerlo. È utile, secondo me, soprattutto ai navigatori. Ma ora che ci penso potrebbe risultare fruttuoso in molti campi del sapere, come l’astronomia. Il principio è elementare e chiunque, dati due vetri di un certo tipo, può costruirlo.

    – Per non parlare delle applicazioni in campo militare – aggiunse Colombo, cominciando a rigirarsi con interesse il cilindro tra le mani.

    – Ah, ammiraglio! – sospirò amaro Leonardo. – Voi uomini d’azione vi assomigliate tutti. Io davvero preferirei tenere per me tutte quelle idee che potrebbero, se male utilizzate, nuocere al genere umano. E ne ho

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