Marcel Dupond e i gemelli criminali
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About this ebook
Anni Settanta.
Una coppia di contadini è in attesa del primo figlio. Il marito vorrebbe tenerlo nascosto a causa del suo “disprezzo” nei confronti dello Stato.
Nasceranno due gemelli. Uno solo verrà "ufficializzato", l'altro sarà "libero".
Dall'infanzia alla scuola, dalla vita privata al servizio militare, i confusionari e intelligenti gemelli ne combineranno di tutti i colori.
Göri Klainguti
Göri Klainguti è nato il 1° agosto 1945 a Pontresina e oggi vive da contadino pensionato a Samedan. Scrive e dipinge fin dall’infanzia. Ha pubblicato diversi libri in romancio.Nel 2005 ha ricevuto il Premio Schiller per l’insieme delle sue opere.
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Book preview
Marcel Dupond e i gemelli criminali - Göri Klainguti
«Maledetti formulari!» imprecò Giachem Sulvèr sbattendo la porticina della stufa, tanto che polvere e pezzi di calce si staccarono dal muro.
Babina conosceva l’astio furioso di suo marito nei confronti delle istituzioni burocratiche e cercava di calmarlo: «Caro Giachem, a che serve bruciare tutte le scartoffie per la domanda dei sussidi? Poi saremo costretti ad andare a cercarle di nuovo. E dovremo comunque completarle».
«Completarle una bella merda. Questi salami dell’amministrazione, questi cretini infami. Vadano a farsi friggere, i sussidi. Se lo fanno per ficcare il naso nei fatti miei, si risparmino quei ridicoli quattromila franchi che mi versano. Possiamo tirare avanti anche senza quei soldi.»
«Uéi, caro mio,» rincalzava Babina con voce dolce, «sai che dipendiamo da quei soldi. Ora che stiamo mettendo su famiglia ci saranno nuove spese. E un bambino, al giorno d’oggi, non puoi allevarlo come un capretto. Ci vuole molto denaro se vogliamo occuparcene correttamente.»
«Occuparcene correttamente! Mi dà il voltastomaco. Mandarlo a scuola, in scuole care, spendere per ogni porcheria che hanno gli altri, mettergli calzoncini eleganti, questo sì che costa! Ma noi, il nostro bambino, lo tireremo su senza scimmiottare ogni moda moderna! ... Se va tutto bene alla nascita» aggiunse a bassa voce. Poi riprese: «Il bambino dovrà vivere semplicemente, come noi, e se gli diamo abbastanza sostegno a casa, sopporterà senza problemi le burle dei compagni di scuola e i complessi d’inferiorità – ammesso che questi non siano solo un’invenzione degli psicologi».
Giachem Sulvèr si era già calmato per bene. Non gridava più parlando alla sua Babina, che amava immensamente. Ora discuteva normalmente.
«Abbiamo la nostra fattoria, qui, ben discosta dal paese, e siamo ancora abbastanza liberi. Abbiamo i nostri campi e le nostre bestie. La selvaggina è a due passi da casa. E abbiamo tempo. Tempo per occuparci del bambino… Ci vuole tempo, non regali e scuole private… o pubbliche, che è lo stesso… figurati, questi imbecilli! Sembra perfino che vogliano rendere obbligatoria la scuola materna…» E di nuovo ribolliva di rabbia. «Che canaglie. Cacciare idiozie nel cervello dei bimbi di due anni, se possibile, affinché l’umanità non perda neppure un secondo di lavoro produttivo. Bastardi infami! Carogne! Bella umanità da quattro soldi!»
Babina Sulvèr aveva sentito spesso esplosioni di questo tipo. Giachem intonava ogni parola pomposamente e con chiarezza: meglio di quanto si fosse udito alla Scala di Milano. Ma oggi, improvvisamente le sembrava di sentire qualcosa di nuovo nella sua voce. Qualcosa che la spaventava: oggi le sue parole erano più calme e sicure. La bella umanità
non era come di consueto. Sembrava che oggi gli fosse venuta in mente un’idea chiara. Aveva forse un piano per opporre resistenza alle istituzioni della società moderna? Naturalmente quel sospetto la impensieriva, perché quando il suo Giachem aveva qualcosa in mente, non si levava più l’idea né con le minacce né con le lacrime, tanto meno cercando di farlo ragionare.
Riesce sempre a scartare tutti i miei argomenti, come il più raffinato degli avvocati, si diceva.
Babina pensava di provare a simulare dolori al ventre per distrarre suo marito. Era incinta e il piccino non avrebbe più tardato, così che, lamentandosi un po’, avrebbe certamente avuto un certo effetto sul suo buon Giachem, che con lei era di natura dolce e premurosa. Ma Giachem aveva già finito la pausa che gli era occorsa per riordinare i pensieri, per un istante smarriti ricordando la scuola materna obbligatoria.
«Facciamo nel modo più semplice: invece di andare a partorire all’ospedale, come tutte le femmine moderne, lo fai qui a casa. Nuotin, il medico dell’ospedale, verrà di sicuro. Sono andato al liceo con lui e ti dico: quello è un tipo in gamba. Di lui ti puoi fidare. Sarà certamente d’accordo di dichiarare, se la sua visita dovesse destare dubbi presso le istituzioni responsabili, che l’abbiamo chiamato perché avevi l’otite. Naturalmente, invece dell’otite avrai avuto un bimbo e quello ce lo terremo nascosto.»
Giachem faceva ora una smorfia ed esibiva due occhietti che scintillavano di astuzia e di piacere e sembrava che dicessero: Che idea geniale mi è venuta.
Per Babina quest’idea era tutt’altro che geniale. Si era preparata a tutto, ma non a un’idea così impossibile. Non solo perché oggigiorno non ci si può assumere la responsabilità di dare alla luce un pargolo a casa per ovvi motivi sanitari, ma anche per questa pazza storia di nasconderlo!
Se ci beccano, puoi correre, pensava. Giachem stesso parla di tutti i controlli statali e di tutte le multe e le sanzioni che riceve chi contravviene appena all’ombra di una legge.
Era ormai lei ad arrabbiarsi, osservando lo sguardo malizioso che le chiedeva l’impossibile. Voleva protestare ma, invece di proferire una sola parola, si limitò a guardare suo marito con grandi occhi tristi.
Quest’ultimo si aspettava lunghe discussioni – a dire il vero, di solito si trattava di monologhi suoi – per convincere la sua Babina che l’idea era proprio fenomenale.
«Pensa che oggi gli enti pubblici tormentano ogni essere umano dal battesimo fino al funerale, per meglio dire fino a poco prima, tra scuole, tasse e formulari», disse per aprire il suo discorso. «Per essere indipendenti non basta più restare per i fatti propri senza farsi impressionare dai soldi e dalla politica. I tempi sono cambiati dall’epoca del commissario dalla cravatta verde¹. Allora i soldi esteri erano il gran pericolo, oggi sono le nostre istituzioni. Oggi siamo tutti sotto il controllo dei compiuter, indipendentemente dal fatto che ci occupiamo di quegli affari o no. Gli affaristi e i politici e perfino i giudici usano e abusano senza rimorsi di coscienza dell’informazione raccolta in quei macchinari. Dal battesimo al crematorio, credimi,