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Jesi ieri
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Jesi ieri

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La presente opera di Marco Bordini è, prima di ogni altra cosa, un regalo che ci ha voluto fare. Uno di quei doni che giungono inaspettati, ma che da tanto avremmo voluto “scartare”, certi della sua grande validità morale e formativa in un oggi in cui tutto viene relegato al caso o a una consuetudine appassita di valori. Si tratta di un ampio compendio del vernacolo jesino, un’opera vasta e meritoria, ricca e nutrita di studio e amore per il proprio idioma madre. Ciò che rende un idioma una lingua sono sostanzialmente tre elementi ossia la presenza di una tradizione linguistica, la presenza di una grammatica che ne codifica gli usi e la massa parlante tale lingua. Quanto a tradizione linguistica, direi anzi letteraria, del jesino, non c’è da dubitare se pensiamo ai grandi vernacolieri che dall’Ottocento ad oggi non solo hanno codificato il jesino ma hanno decantato Jesi, il centro nevralgico della Vallesina, raccontandoci curiosità, personaggi, vicende, ricorrenze e costumi di allora.
LanguageItaliano
Release dateSep 23, 2016
ISBN9788899964054
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    Jesi ieri - Marco Bordini

    Bordini

    Prefazione

    Ancó n’è notte a Cingoli  (1):

    finalmente il ricco compendio sul dialetto jesino di Marco Bordini

    Ntra quei vigoli, io, ce sò cresciudo

    assieme, ciò passadi l'anni belli.

    La presente opera di Marco Bordini è, prima di ogni altra cosa, un regalo che ci ha voluto fare. Uno di quei doni che giungono inaspettati, ma che da tanto avremmo voluto scartare, certi della sua grande validità morale e formativa in un oggi in cui tutto viene relegato al caso o a una consuetudine appassita di valori. Lo è ancor più per me che sono profondamente onorato di poter dedicare alcune note anticipatorie a questo ampio compendio del vernacolo jesino, con la speranza di poter rendere un buon servizio ad un’opera talmente vasta e meritoria, così ricca e nutrita di studio e amore per il proprio idioma madre.

    Il dialetto jesino, come ogni parlata vernacolare, ha delle sue tipicità di carattere fonico-sonoro, sintattico-grammaticale, lessicografiche e idiomatiche che lo rendono ineguagliabile a ogni altro dialetto sebbene sia possibile ravvisare - sulla scorta di uno studio puntiglioso e sistematico della materia - comunanze con altri dialetti, non sempre della stessa zona linguistica. Il jesino, in particolare, ha una cadenza intonativa assai diversa dal dialetto anconetano che, in Regione, rappresenta un’isola linguistica, né ha la struttura sincopata del senigalliese, ad esempio, e neppure è identico alla parlata della vicina Chiaravalle che già risente di alcune contaminazioni di Falconara Marittima e Marina di Montemarciano. La fluidità della lettura in vernacolo jesino proviene da una serie di caratteristiche fondamentali quali l’impiego diffuso di elisioni e di troncamenti - soprattutto nel verbo non coniugato (magnà, rubbà, sapé) - e di altre strutture che permettono a questo vernacolo di conservare una sua musicalità particolare, spesso filastrocchesca nell’impiego poetico, ma comunque dotata di una sua fisionomia definita e ben strutturata. Marco Bordini non ci parla solamente di questo nelle sue tante lezioni sul corretto impiego del vernacolo da un punto di vista grammaticale nelle sue pillole che hanno riscosso particolare entusiasmo nella pagina Facebook da lui creata qualche mese fa, ma di tutte quelle peculiarità che fanno del jesino una lingua propria.

    Ciò che rende un idioma una lingua sono sostanzialmente tre elementi ossia la presenza di una tradizione linguistica, la presenza di una grammatica che ne codifica gli usi e la massa parlante tale lingua. Quanto a tradizione linguistica, direi anzi letteraria, del jesino, non c’è da dubitare se pensiamo ai grandi vernacolieri che dall’Ottocento ad oggi non solo hanno codificato il jesino ma hanno decantato Jesi, il centro nevralgico della Vallesina, raccontandoci curiosità, personaggi, vicende, ricorrenze e costumi di allora.

    Come per i maggiori dialetti esiste anche una grammatica del jesino: la prima è probabilmente contenuta nell’opera Rigadì de casa(2)  (1968) curata dall’indimenticato Lello Longhi. Ad essa nel corso degli anni seguirono appendici e note di approfondimento sugli usi e le regole grammaticali che vennero pubblicati in varie edizioni tra le quali sono da citare i tre volumi del Dizionarietto del dialetto jesino pubblicati negli anni 2005-2007 a cura di Rolando Romagnoli confluiti poi nel volume unico Raccolta di dizionarietti del dialetto jesino (2008) e vari altri opuscoli, sempre curati da Romagnoli, per la collana i merli della Edizioni GEI del settimanale Jesi e la Sua valle dedicati a modi di dire, ricette e personaggi di Jesi. Fondamentali anche gli apporti dello storico Giuseppe Luconi(3). Similmente, l’anconitano vanta di un monumentale progetto lessicografico operato negli anni dal poeta e studioso locale Mario Panzini che ha fruttato ben tre volumi di dizionario sul dialetto anconitano. Il fatto che un dialetto possa contare di un dizionario, ossia su una repertazione sistematica con esempi di tutti i vocaboli e gli usi linguistici, è un fatto di per sé notevole e che rincuora fornendo anche alle nuove generazioni tutti gli strumenti necessari per la corretta comprensione dei retaggi culturali della terra di cui sono abitatori.

    Marco Bordini ritorna sulla parte grammaticale e sintattica della lingua jesina dandone delucidazioni fondamentali con l’ausilio di esempi chiarificatori, spiegando fenomeni linguistici del parlato e anche dello scritto (spesso chi si diletta col dialetto oggi fa un uso improprio degli accenti, delle elisioni,etc.) istruendoci in maniera chiara e simpatica su quelle che sono le regole del jesino, senza tediare ma mantenendo alta la curiosità.

    Come ogni lingua che si rispetti essa conosce una modificazione nel corso del tempo a seguito delle introduzioni della modernità nonché ai prestiti linguistici e a un riammodernamento di terminologie. Potremmo definire quello che in pochi oggi parlano nelle loro case con i propri familiari un jesino postmoderno nonché uno jesino 2.0 assai influenzato anche dalle moderne tecnologie informatiche.

    Marco Bordini, forse ultimo vero cultore, amante e promotore del dialetto jesino, con il suo manuale fa un’operazione assai importante: ci fornisce il dialetto jesino nella sua purezza linguistica, vergine dalle storpiature d’oggi, nella sua autenticità oratoria e scrittoria, per intenderci è il jesino originario ed originale, primigenio, potremmo dire addirittura genetico di un ampio arco temporale che, se non è tramontato del tutto, sembra approssimarsi ad atteggiamenti di indifferenza verso il passato. Non è raro, allora, che nel nutrito dizionario del dialetto jesino che Marco Bordini ha compilato trovare lemmi mai ascoltati dai propri familiari e dei quali risulta addirittura incomprensibile il significato. Si tratta, allora, di forme linguistiche di una lingua che si contraddistingue come desueta e per la quale, nella contemporaneità, il dialetto ha sostituito con altre forme o, come avviene nella maggior parte dei casi, ha lasciato praticamente scoperte queste parole nella forma dialettale tanto che, anche chi parla il dialetto, spesso deve ricorrere all’italiano per esprimere certi concetti che in dialetto non riesce a trovare.

    Il vocabolario di Bordini è anche un orgoglioso manifesto storico di come la lingua spesso si conservi (se parlata, se difesa) ma come al contempo cambi per fattori per lo più esogeni. Vittorio Sereni parlava della lingua come organismo vivente e in ciò aveva reso in maniera assai chiara come il percorso di una lingua non sia che affine a un percorso esistenziale marcato da una nascita, dominato da sviluppi, accadimenti, sottomissione alla lingua ufficiale, sopravvivenza, fino a poter condurre alla morte della lingua. Non è un caso che esistano molte lingue nel mondo – che hanno anche una tradizione letteraria - che a causa dello scarso numero di parlanti o perché negate dallo Stato in difesa della lingua ufficiale finiscono per morire. Il dialetto è sottoposto a questa tragica possibilità: quella di morire. Ciò perché esso è normalmente lingua comunicativa accessoria o collaterale e non primaria in un dato gruppo sociale e perché esso è parlato in una zona geografica piuttosto limitata. Non va neppure dimenticato che il dialetto ha sempre dovuto soffrire una battaglia ingiusta e discriminatoria da parte della lingua formalmente codificata e unitaria (lo studioso Pietro Civitareale parla di dialettalità negata) che lo ha sempre relegato a fenomeno folkloristico, di poco conto, come elemento macchiettistico locale.

    Marco Bordini, da fiero sampiedrino, è un forte baluardo che si batte giorno dopo giorno contro la possibilità che un fatto culturale come il dialetto scompaia e nessuno se ne occupi con la giusta attenzione. Il suo animo è mosso da un profondo attaccamento alla terra, alle radici, nelle quali non può in nessuna maniera scindere l’evocazione, l’affratellamento, la stima e il vero e proprio amore verso un mezzo linguistico che, come nessuno altro, riesce contemporaneamente ad esprimere un significato e a trasmettere un sentimento. Potenzialità, questa ultima, che la lingua di norma non ha dovendo relegare un messaggio in una struttura codificata, con sue leggi e forme, rispondendo a modelli formativi determinati mentre il dialetto coniuga la spontaneità con la creatività dell’uomo.

    Chi parla il dialetto non solo comunica qualcosa ma è come se costruisse con le parole. Ci figuriamo una scena, un accaduto, una persona in maniera assai più vivida ed efficace quando il nostro interlocutore si esprime con il dialetto che, in effetti, è una lingua plastica, assai materica tanto da esser capace di dar forma e struttura a un pensiero, a una riflessione a una descrizione. Si percepisce nel dialettoparlante un’enfasi naturale e partecipata con il contenuto del suo racconto, una partecipazione emotiva disarmante, una gioia connaturata che si rinnova continuamente. Marco Bordini nel nostro oggi è sicuramente la punta di diamante di questo orgoglio jesino che poco mi sembra di percepire nei nostri ambienti dove –come già detto- permane una sorta di soggezione o timore al pregiudizio per chi ne fa ampio uso.

    La ricchezza di questo volume sta nel fatto che esso compendia gli usi più vari del dialetto jesino: dalla poesia al proverbio, dalla grammatica alla lessicografia resa dal suo ampio dizionario. Si struttura, così, una storia della lingua jesina fatta per conversazioni informali, forme idiomatiche, canti lirici, ricerca fedele delle tipicità, una sorta di compendio di discipline socio-etno-antropologiche assai diffusi nei primi del ‘900 attraverso i quali era possibile avere una descrizione puntuale e confacente alla realtà di un luogo, delle persone di quel luogo, del loro comportamento e delle loro abitudini. Per questo dobbiamo senz’altro rendere merito a Marco che, dopo lunghi anni di amore verso il dialetto al quale mai è venuto meno, oggi ci consegna questa pietra miliare sul jesino: non solo sul dialetto jesino ma anche sullo jesino come abitatore di questa città fortificata celebre nei libri di storia per aver dato i natali, nell’anno 1194, all’imperatore Federico II di Svevia.

    Dell’identikit tipico del marchigiano che nel tempo gli studiosi e la critica giornalistica hanno fornito riassumendo nei caratteri della modestia e della melanconia, lo jesino conserva qualcosa sebbene se ne discosti con tipicità sue caratteristiche. Difficile notare, infatti, quella propensione al sentimentalismo pessimista nonché quella melanconia nera di cui fu il grande Leopardi l’artefice di un successivo topos del regionale quale persona facilmente incline a uno stato melanconico nonché sconsolata e vittima di sé stesso che fu per molti decenni percorso, in modi più o meno originali. Il poeta dialettale jesino della prima stagione - Martin Calandra e Duilio Diotallevi in particolare - contrappongono in maniera netta il fatto che lo jesino, pur taciturno e privo di scaltrezze, è assai propenso all’ironia e alla burla innocente e non dissacratoria, caratterizzandosi per un atteggiamento accentuatamente ironico e inaspettato, un comico spesso sottaciuto nel quale, però, è forte la sua visione scanzonata e ludica nei confronti dell’esistenza  (4).

    Molti dei proverbi che Marco Bordini ha raccolto in questo volume esistono e funzionano anche in italiano e questo sta a significare che, pur essendo impiegati in forma vernacolare a Jesi, di certo sono entrati anche nell’uso comune della lingua italiana. Per molti altri, invece, assistiamo a delle costruzioni atipiche e bizzarre che non hanno nulla dell’italiano e la cui traduzione, pure, risulta faticosa o fa perdere un po’ di quella empatia, lirica, foga del dialettale. Si tratta di forme che potremmo definire idiomatiche, similmente ai tanti comuni idioms inglesi, ossia strutture sintattiche che difficilmente sono traducibili perché esprimono un’idea che è spesso –come è il caso del dialetto- connaturata al contesto sociale di chi se ne appropria. Si potrebbero ascrivere a questa categoria alcuni proverbi contenuti nell’opera quali ad esempio:

    1. La pegora che sbela perde ’l boccó.

    2. La vida è ’na facciada de finestra.

    che, al di là della mera traduzione letterale, stanno a significare altro. Nel primo caso - traendo spunto da una scena in cui è protagonista un animale di cui abbondano i proverbi - si sta a significare che la disattenzione può portare a dei guai e che, soprattutto, è necessario cogliere il momento giusto per parlare stando attenti a non perdere l’occasione per sfamarsi. La pecora è dunque, in questo caso, simbolo dell’animale incauto e inavveduto, che agisce in maniera istintiva salvo pagare un prezzo della sua disattenzione sul proprio corpo. Nel secondo caso proposto, invece, il proverbio fornisce una sorta di massima sulla vita, potremmo dire quasi un aforisma stringato che riporta all’esigenza di pragmatismo nell’uomo. Con esso

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