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Odio senza confini
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Odio senza confini

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About this ebook

Aprile 2012 – Siviglia: una giornalista televisiva d'assalto di New York in vacanza in Europa, viene contattata dal suo capo, che le ordina di andare a Parigi e la costringe ad abbandonare l'inchiesta che sta seguendo.

Un Crime moderno e ispirato dagli intrecci fra alta finanza e misfatti dell'industria farmaceutica mondiale. Una storia che si articola in ambientazioni suggestive, in Europa e negli Usa, e ritrae personaggi dai caratteri spesso molto controversi. Vicende, che sono frutto di fantasia, ma potrebbero essere normalmente accadute nel mondo reale.

Senex, che tu sia maledetto per sempre!
LanguageItaliano
Release dateSep 23, 2016
ISBN9788822848079
Odio senza confini

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    Odio senza confini - Paolo Durastante

    Paolo Durastante

    Odio senza confini

    Copyright © Paolo Durastante 2016

    www.odiosenzaconfini.com – www.paolodurastante.com

    UUID: ba9263d4-816b-11e6-b367-0f7870795abd

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write (http://write.streetlib.com)

    un prodotto di Simplicissimus Book Farm

    .

    A mia moglie Odilia

    1

    2 Ottobre 2000 – Lago di Como

    «Mamma, guarda che bello! È come il modellino che c'è nello studio del nonno, solo che questo è vero!»

    Giulio ha da poco compiuto sei anni e sta seguendo con lo sguardo trasognato lo scafo in mogano lucente del Riva Aquarama Special, che fende con un balzo la scia a poppa del traghetto. Ride come un matto, quando la biondina sdraiata sul prendisole dell'imbarcazione, con al collo un foulard svolazzante di seta rossa, emette dei gridolini di gioia mista a paura, che sovrastano il rombo cupo dei due potenti motori V8.

    A bordo del traghetto, la mamma rivolge un tenero sorriso al suo piccolo e gli accarezza la testa, scompigliandogli ancora di più i capelli già spettinati dal vento: «È bellissimo, Giulio! Però adesso rientriamo, perché l'aria inizia a essere un po' troppo fredda.»

    Federica è lì, in piedi accanto a loro, e li osserva, mentre la mamma prende per mano il bambino e lo accompagna verso l'area chiusa, al ponte superiore del traghetto.

    È appoggiata con i gomiti al parapetto di poppa del traghetto; le sue mani sorreggono il mento e i suoi occhi sorridenti vagano pigramente in direzione di Varenna, verso un punto della montagna poco sopra il paesino.

    Scruta il luogo dove si trovava solo poco fa: da lì si può godere di un panorama privilegiato, che permette di ammirare i tre rami del Lago di Como in corrispondenza del loro incrocio con la punta di Bellagio.

    Il suo viso è perfettamente ovale e ha una simmetria quasi precisa, anche se non si può dire che abbia linee delicate: il profilo del naso non è propriamente aggraziato e la bocca può sembrare troppo larga, ma l'insieme esprime una bellezza affascinante.

    Sulla testa ha una fascia di seta, stampata a minuscoli motivi floreali, che trattiene sul dietro una massa di morbidi riccioli, colore del miele di castagno, e incornicia lo sguardo espressivo dei suoi occhi dalle sfumature nocciola.

    Indossa un semplice abito di lino bianco lungo fino alle caviglie e un giubbetto di jeans, con un maglioncino di colore corallo annodato sulle spalle, che regala un'incantevole lucentezza all'incarnato perfettamente abbronzato.

    L'altoparlante del traghetto gracchia e riproduce in tre lingue diverse la registrazione dell’avviso, ormai diventato quasi incomprensibile, di prepararsi allo sbarco, mentre un piccolo stormo di gabbiani sorvola il lago e oscura per un fuggevole istante il sole del tardo pomeriggio.

    Federica gira lo sguardo verso Sud e distingue, ben definito anche se lontano, il profilo del promontorio di Villa Balbianello, sovrastato dai tre archi della splendida loggia.

    Al ponte inferiore del traghetto è parcheggiata la sua BMW Z3 decapottabile, con la carrozzeria di colore grigio chiaro metallizzato. Si è fatta convincere nella decisione del colore della carrozzeria, perché lui le ha ripetuto un'infinità di volte: «Devi credermi! Le statistiche indicano che un'auto di colore grigio è rivendibile con maggiore facilità».

    Federica è una pittrice e, del tutto disinteressata alle statistiche, ha scelto il colore degli interni: sedili in pelle di colore rosso fuoco.

    La capote della sua auto è aperta e, dall'esiguo spazio dietro i sedili, sbucano un cavalletto di legno, ripiegato e macchiato di mille colori, e qualche tela. Sul sedile del passeggero è appoggiata una scatola di legno imbrattata, contenente i pennelli e gli innumerevoli tubetti dei colori a olio.

    Il traghetto, partito da Varenna, naviga verso Bellagio, dondolando appena un po'. Il leggero moto ondoso e un cenno di vento da Nord inducono un lento rollio nell'imbarcazione, che ad alcuni provoca una piacevole sensazione e rievoca traversate di ben altra portata, a tanti altri invece causa soltanto un po' di nausea, simile al mal di mare.

    Attraversare quel breve tratto di lago da Varenna a Bellagio a lei piace così tanto che, pur di compierlo, ha scelto di allungare di almeno trenta minuti il viaggio di ritorno verso casa, a Lecco.

    Prima di attraccare, la lenta virata del traghetto verso sinistra svela gradualmente la veduta dell'antico borgo di Bellagio. Federica è abituata alla visione di questo panorama, ma ne rimane affascinata ancora una volta.

    Sono le cinque del pomeriggio e i passeggeri del traghetto possono ammirare lo spettacolo dei riflessi del sole sui vetri degli edifici di Bellagio, che specchiandosi nelle increspature dell'acqua creano l'effetto di milioni di stelline intermittenti.

    Sbarcata dal traghetto a Bellagio, Federica guida l'auto sulla stradina tortuosa, ma poco trafficata, che fiancheggia il lago in direzione Sud fino a Lecco.

    Accende l'autoradio, sintonizzata su Virgin Radio, e il DJ annuncia Starman di David Bowie. Era una delle canzoni più amate dalla sua mamma e alcuni ricordi, che non riaffiorano da anni, si presentano in maniera del tutto inaspettata.

    Nel suo sguardo compare un'espressione leggermente accigliata, quando finora è stata allegra e spensierata.

    Federica è nata a Los Angeles ma è orgogliosa delle sue origini italiane. La mamma discendeva da una famiglia nobile di Venezia e le ha sempre raccontato di aver faticato non poco per convincere il padre a non chiamarla Tiffany: lui, ancor prima che lei nascesse, già la sognava come un gioiello prezioso.

    Del papà ricorda che era un importante uomo d'affari, continuamente in viaggio attraverso il mondo. Le voleva molto bene, anzi l'adorava.

    Ogni volta che lui tornava a casa, nella loro villa bianca di Bel Air, reduce da settimane di assenza, non mancava mai di portarle un regalo.

    Lei correva ad abbracciarlo, non appena sentiva arrivare la sua auto, e lui, cercando di nascondere un sorriso pieno di gioia, teneva sempre dietro di sé un pacchetto, recitando quello che ormai era uno scherzo convenzionale tra di loro.

    «Oh, no! Anche questa volta ho dimenticato di prendere un regalino per quella scimmietta della mia bambina!» faceva lui ogni volta, mentre lei saltellava, grattandosi un'ascella e interpretando la sua migliore imitazione di uno scimpanzé.

    Aveva da poco compiuto dodici anni, quando un giorno, che lei non ha mai dimenticato, tornò a casa dalla scuola e vide la mamma piangere a dirotto con un'espressione del volto, che era un misto di dolore, rabbia e disperazione.

    Impaurita, le chiese cosa fosse successo.

    La mamma si asciugò le lacrime con un gesto brusco e disse semplicemente: «Tuo padre è morto. Noi due dobbiamo andare via da qui.»

    Solo tre settimane dopo lei e la mamma erano a vivere nella nuova casa di Lugano, una moderna villa su una ripida collina, con enormi vetrate che offrivano lo spettacolare scenario del lago svizzero e delle montagne prospicienti.

    La mamma la iscrisse alla scuola americana, che aveva sede a poche centinaia di metri da casa. Ci arrivava da sola a piedi, passeggiando sul marciapiedi e costeggiando una stradina poco frequentata, che dal cancello della villa portava all'ingresso della scuola.

    Da allora, fino alla morte della mamma, non la sentì una sola volta parlare del papà.

    Il tratto di strada, che va da Bellagio a Lecco, ha perlopiù ripide rocce a destra e un logoro parapetto sullo strapiombo di sinistra, verso il lago.

    La carreggiata è talmente stretta che, incrociando i veicoli in senso opposto, spesso è necessario rallentare, quasi fino a fermarsi.

    Federica conosce bene la strada e, come sempre, guida a velocità sostenuta, più di quanto consiglierebbero il codice della strada e le curve pericolose.

    C'è pochissimo traffico e per lei, appassionata di motori, è un'occasione ghiotta per mettere alla prova la tenuta di strada e tirare al limite del contagiri il potente motore a sei cilindri del suo piccolo bolide tedesco.

    Appena superata una curva in discesa, deve scalare rapidamente una marcia del cambio e pigiare a fondo il pedale del freno, per evitare di tamponare un furgoncino bianco, che si è appena inserito sulla strada litoranea, sbucando improvvisamente da un viottolo secondario, ed ora prosegue a passo d'uomo.

    Federica pazienta per qualche decina di secondi e, intuito che il conducente del furgone non accenna ad aumentare la velocità o ad accostarsi a destra per consentirle un sorpasso, suona due colpetti di clacson, pensando che l'autista non si sia accorto di lei.

    Altre due strombazzate al veicolo davanti e d'improvviso la sua BMW è colpita da un forte impatto posteriore, che la fa sobbalzare sul sedile.

    Si aggrappa con le mani serrate al volante, guarda nello specchietto retrovisore e vede il muso alto di un fuoristrada nero.

    «Cretino!» è il primo insulto che le viene in mente, mentre inveisce con un gesto della mano rivolto all’autista spericolato che l’ha urtata.

    Il furgoncino bianco, che fino a poco fa la precedeva, ora si allontana a grande velocità e il fuoristrada nero sembra rallentare.

    «Adesso questo imbecille si ferma e gliene dico un sacco!» pensa lei.

    Poi, spalanca gli occhi per lo stupore, quando vede il fuoristrada nero accelerare improvvisamente.

    Impatta con violenza il posteriore della sua BMW, che con un lacerante stridio di pneumatici scoda in direzione del lago fino a mettersi di traverso.

    Federica rimane intontita dal colpo di frusta che ha subito, ma riesce ancora a pigiare sul pedale del freno e arrestare l'auto, un solo istante prima di andare a sbattere contro il vecchio parapetto arrugginito, appena oltre il quale si trova il dirupo alto una ventina metri che finisce nel lago.

    Sente la testa scoppiarle dal dolore, ha la vista annebbiata e volge faticosamente lo sguardo alla sua sinistra.

    Proprio in quell'istante il fuoristrada piomba per la terza volta sulla sua auto e la urta con un violento schianto proprio sul suo lato.

    È colpita duramente alla tempia sinistra, perde i sensi e, come un manichino senza vita, per il contraccolpo batte il volto contro la corona del volante.

    D’un tratto il suo viso è una maschera di sangue, che cola in un copioso rivolo anche dall’orecchio sinistro.

    La sua auto ha sfondato il parapetto ed ora è ferma in una stabilità precaria, con le ruote anteriori già oltre il ciglio dell'alto precipizio.

    Federica è accasciata sulla corona del volante in stato di incoscienza, quando, preceduto dal rabbioso rombo del potente motore, giunge l’ultimo impatto del fuoristrada.

    La BMW è travolta, frana verso il lago e si capovolge più volte, lasciando dietro di sé solo il rumore agghiacciante delle lamiere, che si stritolano contro le rocce appuntite della scarpata.

    Alla fine della traiettoria rovinosa, l’auto si schianta con un tonfo fragoroso nelle acque tranquille di quel tratto di lago e s’inabissa lentamente.

    Il corpo inerte di Federica è ancora allacciato alle cinture di sicurezza nel momento in cui l'auto scompare, inghiottita da un lento mulinello, che la accoglie con un profondo gorgoglio.

    Pochi secondi di un silenzio agghiacciante e la tela di un quadro emerge capovolta.

    Dondola e galleggia con un moto indeciso per pochi secondi sopra il luogo dell'inabissamento. Infine sembra capire quale direzione prendere.

    Lentamente fa rotta in direzione Sud. Verso Lecco, verso casa.

    2

    Sabato, 7 Aprile 2012 – Siviglia

    «Sus Tapas, señorita!» annuncia il cameriere della bodeguita di Siviglia, appena dietro La Giralda, posandole davanti il piatto.

    Ellen sta parlando in maniera concitata al Blackberry con il suo capo a New York.

    Fa cenno di lasciare le tapas sul tavolo, all'aperto di fronte al ristorantino, e di portare un'altra birra, indicando la bottiglia vuota davanti a sé.

    Improvvisamente perde la pazienza con il suo interlocutore, alza la voce e sbotta: «Ma per questo fottuto lavoro a Parigi, devi mandare proprio me? Con tutte quelle stronzette con le tette rifatte che avete selezionato nei casting del mese scorso, non puoi mandare una di quelle, così quando torna è tutta contenta e magari riesci anche a portartela a letto per gratitudine?»

    Parla a voce talmente alta e gesticola così furiosamente, che in Calle Santo Tomàs nel raggio di almeno venti metri tutti gli occhi sono puntati su di lei. Quelli maschili ancor di più, visto che Ellen è quella che si può definire obiettivamente una donna bellissima.

    Capelli a caschetto di colore castano chiaro, lineamenti del viso perfetti con zigomi e naso cesellati a meraviglia, occhi azzurri dallo sguardo vivace e intelligente, e un fisico slanciato, interrotto solo da curve giuste nei punti giusti.

    Se a tutto ciò si aggiunge che a Siviglia in questo giorno dei primi di Aprile la temperatura tocca i venticinque gradi ed Ellen stamattina ha scelto di indossare un paio di shorts ridottissimi e una mini-canottiera aderente, corta e scollata, è ancor più comprensibile lo sguardo ammirato del cameriere spagnolo che, dopo aver portato la nuova bottiglia di San Miguel al tavolino di Ellen, rimane immobile come uno stoccafisso ad ammirarla e a fantasticare.

    «Te lo ripeto!» prosegue Ellen con tono concitato. «Sono proprio nel cuore dell'inchiesta. Ho girato come una trottola per tutta l'Europa, Berlino, Bruxelles, Siviglia... Tra l'altro, ti ricordo anche che sono in vacanza! E tu adesso mi vieni a dire di mollare tutto e andare a contare i fiori nelle aiuole delle Tuileries? Ma è uno scherzo, oppure ieri sera dopo il lavoro tu e tutti quelli della LVM vi siete ubriacati con il gin tonic al bar sulla 54th e stamattina non vi è ancora passata la sbronza?»

    Joe Rivera, il capo della struttura che produce i programmi di Ellen Irons alla LVM Network, è abituato all'animosità verbale della sua migliore giornalista televisiva.

    Lascia passare qualche secondo e risponde con un tono della voce morbido e carezzevole: «Ellen, tesoro mio! Non prenderla sempre male. A Parigi abbiamo bisogno proprio di te, per seguire la campagna elettorale. Nessuno dà per scontato che l'attuale presidente sia rieletto e per il network è indispensabile la corrispondenza quotidiana di una giornalista, brillante e capace come te. Chi altro potrebbe essere alla tua altezza? Vuoi che mandi quel tonto di Robert? Oltre al fatto che non vede l'ora di farti le scarpe, quello è talmente stupido che non trova il Palazzo dell'Eliseo, neanche se gli diamo un navigatore satellitare già programmato. Capisci quanto questo sia importante per il tuo futuro nel network? Sono sorpreso dal tuo atteggiamento: qui fuori ho la fila di gente, che vorrebbe passare qualche settimana a Parigi in primavera, giusto con l'impegno di un collegamento in diretta televisiva di pochi minuti al giorno. E, in più, guadagnando un sacco di soldi...»

    «Fottiti, Joe! Sei tu che proprio non capisci.» lo interrompe Ellen «L'inchiesta che sto seguendo è roba che spacca, da tenere incollati ai televisori milioni di persone. Ho raccolto un'infinità di dati su persone e aziende, che sono invischiate fino al collo negli affari in combutta con un'associazione malavitosa internazionale, figli di puttana che...»

    «Adesso basta!» la zittisce Joe, cambiando il registro della voce ed entrando in modalità il-capo-sono-io. «La decisione è già stata presa ed è irrevocabile. Se te la devo dire tutta, ho anche ricevuto pesanti pressioni dai piani alti, che vogliono che tu prenda il tuo bel culetto e lo porti immediatamente a Parigi. Poi te ne stai lì, buona buona, fai il tuo repertorio di sorrisini per sette minuti al giorno davanti alla telecamera e, una volta eletto il Presidente, torni qui a New York e vieni a dire grazie a chi ti ha mantenuto per tutto questo tempo a fare la primadonna. Altrimenti sei fuori! Hai capito, o no?»

    «Inoltre» prosegue Joe, tornando a un tono più ammaliante «il compenso è di quarantamila dollari e ho faticato non poco per farti ottenere un trattamento VIP per il tuo soggiorno parigino. Scenderai all'hotel San Régis, un cinque stelle proprio a due passi da Avenue Montaigne, con quei bei negozi di Chanel, Gucci, Dior... e il plafond aggiuntivo del rimborso per le tue spese correnti sarà di ben trecento dollari al giorno. Dimmi che non ti sono amico! Poi se vuoi, puoi anche andare ai giardini delle Tuileries a contare i petali delle margherite e fare m'ama,non m'ama. Ah! Ah! Ah!...»

    Joe termina la conversazione con fare più professionale: «Scherzi a parte, Ellen, stasera fai le valigie, perché in hotel troverai già il biglietto per il tuo volo di domani per Parigi. Ho appena spedito alla tua casella email il contratto e tutte le istruzioni tecniche per i servizi che dovrai trasmettere ogni sera, insieme al nome del tuo nuovo video-operatore. Si chiama Patrick ed è già lì ad aspettarti a braccia aperte. Questo è tutto, buon viaggio, Ellen.»

    Così Joe chiude la conversazione, senza aspettare la replica già pronta di Ellen.

    «Vaffanculo!» urla lei con tutto il fiato che ha in corpo verso il telefono ormai muto, così da richiamare – come se ce ne fosse bisogno – ulteriore attenzione su di sé da parte delle decine di persone intorno a lei.

    «Vaffanculo!»

    Furibonda come non mai, prende dal piatto una delle tapas al polipo ormai fredda, la ingurgita intera con una grazia molto diversa da quella di una signorina per bene e beve un abbondante sorso di birra direttamente dalla bottiglia.

    Poi quasi s’ingozza, quando legge il messaggio che Joe le ha appena mandato sul Blackberry: Comunque ieri sera non ero al bar sulla 54th ma a casa a giocare a LittleBigPlanet insieme a mia figlia Coreen. Chiede spesso di te, si sta allenando moltissimo con la Playstation e non vede l'ora di batterti.

    Joe sei proprio uno stronzo, pensa Ellen sorridendo.

    Guarda il biglietto del conto sul tavolo, infila due banconote da venti euro sotto il posacenere, lasciando una generosa mancia, e mentre si alza nota, seduta al tavolino accanto, una coppia.

    Lei è una donna di circa trent'anni che, rivolta verso il suo compagno, la indica con uno sguardo a metà fra il disgustato e l'invidioso.

    Ellen prende in spalla il suo zainetto di Hermès, consunto da mille viaggi.

    Passa davanti al tavolino della coppia. Strizza l'occhio e manda un bacio a lui.

    Subito dopo, mostra il dito medio a lei.

    3

    Ellen è fatta così, senza filtri.

    Affronta la vita come fosse sempre un combattimento corpo a corpo, e mette sempre un grande impeto nei suoi pensieri e nelle sue azioni.

    Certe volte, anzi spesso, travolge tutto quello che trova davanti a sé, persone e sentimenti compresi.

    Ha trentacinque anni e negli ultimi cinque ha svolto inchieste su tutto quello che ci può essere di torbido nei rapporti politici e di affari, negli Stati Uniti e nel mondo.

    Oggi è sempre più convinta che, a causa della globalizzazione, il denaro ed il potere permettano a pochi individui di diventare più ricchi e potenti, soprattutto grazie a soprusi sui più deboli, indifferenza verso chi è povero e disprezzo per l'ambiente.

    Tutti i malaffari e le brutalità, che ha documentato in decine di inchieste sulla rete del suo network televisivo, hanno lasciato un segno indelebile anche sul suo carattere e sul suo comportamento verso gli altri.

    Ricorre ad ogni espediente pur di ottenere informazioni utili per i suoi reportage e chiunque rappresenti un ostacolo alla sua ricerca della verità è un nemico e, come tale, va abbattuto.

    Ogni indagine è una sua crociata personale contro il male, che di volta in volta lei vede nell'oggetto della sua investigazione.

    Il carattere irruente la porta spesso a infierire con gusto, nei confronti di chi ritiene abbia commesso un'ingiustizia.

    Come quella volta che, per smascherare gli interessi economici illeciti del governatore di uno Stato dell'Ovest in un grosso abuso edilizio, essendo certa della colpevolezza del politico ma non avendone prove schiaccianti, non esitò a distruggerne comunque immagine e carriera.

    Mandò in onda un'intervista alla segretaria, che chiese di essere ripresa di spalle e confessò con dovizia di particolari di avere elargito, in ginocchio e sotto la scrivania del governatore, alcune prestazioni professionali non propriamente previste dal contratto di assunzione.

    Ancora infuriata per la telefonata con Joe, Ellen decide di fare due passi prima di ritornare in hotel, per riflettere sull'inconsueta perentorietà degli ordini ricevuti dal suo capo.

    S’incammina per Calle Santander, arriva quasi di fronte alla Torre del Oro, attraversa la strada e, svoltando a destra, scende sul camminamento che costeggia l'ampio Canal de Alfonso XXIII, disseminato di chioschi ed attracchi di barconi turistici.

    La camminata lungo il canale del Guadalquivir le serve per calmarsi e riflettere sulla strategia da adottare con il network e con il suo capo.

    Joe solitamente ha con lei un rapporto più diplomatico, evita di mettersi in diretta contrapposizione e di frenare arbitrariamente l'impulso di una sua inchiesta in corso.

    Quando è impegnata in una nuova indagine, lui le concede piena autonomia di azione, perché è consapevole del successo che hanno i suoi reportage, una volta trasmessi dalle reti del network.

    I costi delle inchieste e del compenso di Ellen, che in verità sono molto elevati, sono sempre compensati da ricavi pubblicitari più che adeguati, grazie alla straordinaria audience che i reportage televisivi attirano e al conseguente interesse degli sponsor nel mandare in onda gli spot pubblicitari al loro interno.

    A fine marzo Ellen ha terminato l'ultima delle dieci puntate del suo programma televisivo di inchieste giornalistiche trasmesso dalla LVM. Il successo ottenuto ha indotto i vertici del network a proporle una nuova serie di altre dieci puntate, a partire dal prossimo mese di Giugno, offrendole un compenso di trecentomila dollari.

    È molto strano, pensa ora Ellen, che la LVM preferisca pagare a lei tutti quei soldi per l'incarico delle presidenziali francesi, quando avrebbe potuto più economicamente ingaggiare un corrispondente a Parigi fra gli altri suoi colleghi del network o i mille free lance disponibili.

    Tutto sommato si tratta di poco più che mettere insieme le notizie dei comunicati ufficiali dei candidati e delle agenzie stampa e ripeterle con un sorriso davanti a una telecamera.

    È un lavoretto semplice, che non richiederebbe l'alto livello professionale che lei si attribuisce.

    A Ellen, attenta a cogliere anche le più impercettibili sfumature nei comportamenti delle persone, non è sfuggita nemmeno quella punta d’inquietudine nelle parole di Joe, soprattutto quando ha fatto riferimento a strane pressioni dai piani alti.

    Mentre cammina e riflette su queste stranezze, Ellen decide di tornare al suo hotel e svolta a destra.

    Tramite un dedalo di viuzze, dopo una decina di minuti arriva alla piazzetta sulla quale si affacciano le mura candide della splendida struttura del XVIII secolo.

    L'hotel è ricavato da un antico palazzo signorile, con i terrazzi interni affacciati sul tipico cortile andaluso.

    Dal fuori niente fa presupporre che quell'elegante edificio ospiti una struttura alberghiera.

    Appena varcato il portone, l'ospite ha subito la percezione dell'altissimo livello delle prestazioni dell'hotel: pavimenti di cotto lucidati alla perfezione, salotti disseminati ovunque nelle aree comuni interne ed esterne, personale di servizio educato al riserbo e all'efficienza.

    Il concierge la informa che un corriere ha consegnato per lei una busta, nella quale trova il biglietto del volo in business class per Parigi.

    Le comunica anche che il suo conto è già stato saldato dalla LVM.

    Ellen valuta che anche questo sia un comportamento anomalo: è in vacanza e il suo network paga il conto dell'hotel. Mah!

    Tutto è nato la settimana prima, a Berlino, quando un incontro casuale ha determinato lo stimolo iniziale della sua inchiesta.

    4

    Sei giorni prima - Domenica, 1 Aprile 2012 – Berlino

    Poltroncine in velluto di un intenso colore azzurro, divanetti di cuoio marrone, legno scuro per i pavimenti e più chiaro per la boiserie alle pareti, un ampio tappeto a disegni geometrici che occupa quasi tutto il locale.

    L'ambiente è lussuoso ma caratterizzato da un insieme di materiali e tonalità, sul filo di lama fra eleganza e cattivo gusto.

    Ellen sta terminando il suo drink nella Tea Lounge interna del Regent, in attesa della sua amica Lindsay, che da New York si è trasferita a Berlino l'anno scorso per seguire il marito, diventato il responsabile della sede tedesca di un'azienda informatica americana.

    Sono le cinque e trenta del pomeriggio e il Blackberry, appoggiato sul lucido tavolino di radica, squilla.

    «Scusami Ellen, sono in ritardo.» esordisce con voce trafelata Lindsay «Ho un problema con Bob, che non vuole stare in casa da solo con la nuova tata. Si è ficcato sotto il letto, piangendo come un matto e urlando che la sua mamma non gli vuole più bene. Adesso vedo di calmarlo. Spero di farcela ad arrivare tra una mezz'ora. A dopo tesoro, ciao!»

    Ellen, guarda l'orologio al polso, alza gli occhi al cielo e pensa a quanto potrebbe essere bello avere un figlio, ma anche a quanto sarebbe arduo per lei gestirne i capricci più imprevedibili.

    Nello stesso istante un tipo distinto le si avvicina e in un fluido inglese, solo un poco contaminato da un lieve accento tedesco, le chiede «Posso permettermi di offrirle un altro Mojito? Piacere di conoscerla, il mio nome è Rolph Berger.», porgendole la mano.

    É una situazione che a Ellen accade spesso e che lei odia intensamente. Sa di essere una donna attraente, non fa nulla per nasconderlo, e adesso si trova davanti questo aspirante playboy, che tenta un patetico approccio alla James Bond!

    Ellen è solita liquidare questi personaggi con una battuta sagace e spesso offensiva, ma osserva meglio il tipo che ha di fronte.

    Un bell’uomo sulla quarantina, una mano virile ma con dita affusolate che sembrano denotare raffinatezza dei gesti, un abito grigio di taglio sartoriale indossato con naturale eleganza, camicia bianca perfettamente stirata e cravatta nera a pois finissimi, un volto dai tratti decisi e con due vivaci occhi verdi, che esprimono uno sguardo schietto, ed una bocca sorridente, che si schiude su una dentatura perfetta.

    «Con molto piacere. Si accomodi pure.» si trova a dire Ellen, quasi stupita di se stessa, stringendo la mano allo sconosciuto.

    Mentre Rolph Berger si accomoda sulla poltroncina accanto ad Ellen, un solerte cameriere arriva al tavolo per prendere le ordinazioni.

    «Ein Mojito und ein Whiskey Sour, bitte!» ordina l'uomo con un affabile sorriso al cameriere.

    «La ringrazio per aver accettato la mia compagnia.» si rivolge a Ellen fissandola negli occhi con uno sguardo cortese. «Non è mia abitudine abbordare donne sole nei bar degli hotel, ma l'appuntamento che avevo con il mio collega inglese è stato appena annullato. Non ho potuto fare a meno di intuire che anche lei si trova in una situazione simile e mi sono detto che questa coincidenza meritava di sicuro un approfondimento, signorina...?»

    «Ellen Irons.» risponde prontamente lei, ma al tempo stesso arrossendo in viso come mai le è successo, forse da quando frequentava le scuole medie.

    «Ho un appuntamento con una cara amica che non vedo da mesi e mi ha appena comunicato di essere in leggero ritardo. Di cosa si occupa nella vita, mister Berger?»

    «Lavoro per un’organizzazione internazionale nel campo della sicurezza mondiale, miss Irons. Oggi, come le dicevo, avrei dovuto incontrare un mio collega, per definire i dettagli di una convention, che si svolgerà in questo hotel tra poche settimane, ma lui pochi minuti fa è stato richiamato con urgenza in Inghilterra e sta correndo all'aeroporto per prendere il primo volo per Londra.»

    «E lei, miss Irons, si trova a Berlino per lavoro o per turismo?»

    L'istinto professionale di Ellen è subito in allerta quando le sue orecchie sentono organizzazione internazionale e sicurezza mondiale.

    Determinata ad approfondire la conoscenza con l'affascinante interlocutore, decide di raccontare più di quanto sarebbe opportuno con un normale sconosciuto.

    «Sto trascorrendo alcuni giorni di vacanza in Europa.» dice lei sfoderando un ampio sorriso. «Mi occupo di indagini su crimini internazionali per conto di un grande network televisivo americano. Ho da poco terminato la prima serie del mio programma

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